Dream


Una distesa di sabbia rovente, brucia, scotta, fa male.

Voglio andarmene.

Ma poco lontano vedo un edificio dai contorni rotondeggianti, tutto bianco, così invitante... dà l’idea che faccia così fresco lì dentro, che sia così bello.

Non posso lasciarmi morire qui, ora, così... non devo, ora che ho visto qualcosa che mi potrà salvare, ora che ho di nuovo speranza.

Affaticata arrivo a malapena all’enorme porta dorata dell’immenso edificio e cerco di aprirla, ma è così pesante... mi ci abbandono sopra e con mia sorpresa si apre.

Una ventata di aria fresca mi investe, un profumo di incensi orientali mi avvolge; è il paradiso?

Entro e mi trovo davanti ad una sala infinita dal fresco pavimento di marmo, questo posto è tutto bianco e non c’è nemmeno un mobile, un rumore, nulla, sembra disabitato, ma è tutto così perfetto per esserlo; non c’è un granello di polvere, tutto risplende ed è profumato.

Mi volto per chiudere la porta, ma vedo che è già chiusa, in fondo è meglio così, sono stanca.

Inizio a camminare e sopra di me vedo rampe e rampe di scale, fino all’infinito, tutte di marmo.

Mentre cammino mi accorgo che quel posto è un po’ inquietante: è tutto così paurosamente silenzioso e angosciosamente perfetto.

Ad un tratto vedo una bambina, spuntata dal nulla, che corre per la sala.

E’ bella ed è coperta da veli incrociati tra di loro in modo complicato, di un rosa acceso, con degli altissimi tacchi ai piedi, i capelli castano chiaro raccolti, la carnagione pallida, i due occhioni azzurri contornati da un trucco pesante e nero, le labbra colorate da un rosso scuro ed opaco, dei campanellini appesi ai veli che tintinnano ad ogni suo movimento, delle pietruzze preziose che ornano il suo vestito.

Avrà più o meno cinque anni, quella bambina, e ride, ride e corre su quei tacchi vertiginosamente alti, tenendosi lo strascico dell’abito ed ogni tanto si volta per guardarmi, per poi riprendere a correre e ridere, con quel riso da bambina innocente, quell’innocenza che ha dentro, che fuori è stata cancellata con quel vestito, quei sandali, quel trucco così pesante.

Ma guardandola mentre corre e si volta e ride, mi accorgo che quella bambina è identica a me, non nei vestiti, né nel trucco, ma fisicamente ha i miei stessi colori ed è uguale a me nelle foto di quando avevo la sua età.

Cerco di seguirla, non so che lingua parli, ed intanto continua a ridere e correre.

Inizia a salire una scala, una di quelle rampe che portano chissà dove ed io la seguo correndo, anche se sono stanca, ma ora la stanchezza è passata in secondo piano.

La seguo, la seguo mentre lei continua con il suo riso infantile ed il ticchettare dei suoi tacchi sul marmo lucido che rispecchia entrambe.

Alzo lo sguardo mentre salgo l’ultimo gradino e mi accorgo che lei è scomparsa, non c’è più.

Davanti a me trovo uno specchio e, meravigliata, vedo che ora sono vestita come lo era lei, con i capelli acconciati come i suoi, con il trucco identico al suo e lei è svanita, non si sente più correre né ridere, ci sono solo io.

Mi guardo intorno, guardo già dalle rampe di scale e sotto di me vedo la sala, tutto come prima, tranne la porta, la porta è scomparsa, scomparsa insieme a lei.