Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: Zagras94    11/10/2016    1 recensioni
[Crossover][Crossover]C'è chi dice che esistono infiniti universi paralleli... In cui per ciascuno di essi esiste il riflesso vivo di storie narrate nel nostro mondo....
Realtà? Finzione? Mero dogma moderno? Forse. Ma quando, per un motivo apparentemente inspiegabile, Ralph Spaccatutto si ritrova con uno strappo dimensionale in piena regola nel suo videogame, non può non contattare in aiuto i vari esponenti del suo universo: il mondo Disney.
Ed è un bene... specie se il loro mondo pacifico stesse per essere stravolto dalla più cruenta e sanguinaria invasione mai esistita.... e soprattutto se la loro sopravvivenza dipendesse dal più variegato, folle e sorprendente gruppo di eroi che essi abbiano mai visto....
Genere: Avventura, Azione, Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Sigla opening:
 
 
https://www.youtube.com/watch?v=vWesYAQW_kg
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CAPITOLO 5 : IL FATO DI UN NON-MORTO – PARTE UNO.
 
 
 
 
 
 
Mentre il carro-slitta di Kristoff, guidato dal suddetto, si avvicinava alla porta nordoccidentale di Arendelle – chiamata simpaticamente dai locali la “Porta del Gelo”, dato che d’inverno su ogni sporgenza di pietra della struttura pendevano sempre lunghe stalattiti di ghiaccio -, i pochi passanti che stavano viaggiando, chi per un motivo e chi per un altro, lungo la via maestra quel giorno poterono ammirare – non senza una certa e stupita curiosità – i bizzarri compagni di viaggio che accompagnavano sul mezzo la loro principessa e il suo fidanzato: un gruppetto di quattro pescatori, diretti ad un lido più tranquillo del porto cittadino per procurarsi di che vivere, si arrestò all’unisono con le bocche semiaperte e le canne immobili al vento, mentre un cacciatore esperto, tal Faendal, ancora scuoteva la testa camminando qualche metro dietro il carro, tenendo ben salde sulle spalle il proprio fucile, tre splendidi pernici e l’idea rassegnata che, di quei tempi, si incrociavano sulle strade e ai crocicchi di esse bizzarrie di ogni sorta.
E non c’era da meravigliarsi per questo: nel loro mondo e periodo storico, pur esistendo ancora la nobile arte della scherma e l’utilizzo di corazze apposite durante i conflitti bellici, era oramai alquanto raro imbattersi in quattro cavalieri, armati di tutto punto, vestenti abiti e armature estranee, - e per lo più dalle fattezze inusuali -, oltre che dotati ognuno di armi differenti; specie dal momento che negli ultimi decenni stava regnando incontrastata una relativa pace. Evidentemente, il quartetto di diretti interessati non sembrava farci caso. Affatto.
Seduta sui sedili imbottiti direttamente posteriori al posto di guida, Anna salutò con un sorriso stentato e un leggero sfarfallio di mano i suoi sudditi meravigliati, tornando poi subito dopo a guardare, con aria alquanto incerta, i “colpevoli” di tale stupore contagioso. Partendo dal più eclatante.
Siegmeyer, appollaiatosi fin dall’inizio del viaggio di ritorno sulla cassetta affianco a Kristoff, seguitava a raccontargli alcune delle sue avventure nelle loro terre d’origine, tra una risata grassa e un buon sorso di caldo liquore, entrambi ampliamente condivisi e accettati dal suo ragazzo; attualmente, era impegnato a descrivergli come aveva respinto a colpi di spadone, insieme a dieci suoi commilitoni catariniani, un assalto di duecento soldati di una certa Zena, i quali stavano assediando il loro forte da tre settimane.
<< Avresti dovuto vederlo, caro Kriss!! Ahahah!!! Quei somari zenesi avevano ritenuto davvero che una sortita sul lato ovest di Strongarm sarebbe stata un’impresa facile. Facile!!! Ah! Se ne pentirono subito. Dovevi vedere le loro facce, stupiti e pallidi come uno sbarbatello davanti alla sua prima locandiera popputa, quando sulla sommità delle scale ci videro urlanti e con gli spadoni alla mano, già in viaggio di sola andata verso le loro capocce!! Ahahahahah!!! Lunga gloria a Catarina, per Gwyn!! >> concluse ridendo forte Sir Onion, ormai completamente brillo, seguito dal divertito ridacchiare di Kristoff, di cui non si riusciva più a comprendere se il divertimento fosse derivato dal racconto o dal “Miele di drago”.
<< Incorreggibile, nevvero? >>.
Anna si voltò alle spalle per guardare confusa colui che aveva intrapreso il discorso. << Che intendete dire, Sir Lautrec? >>
Precisamente dietro di lei, sdraiato comodamente e quasi con pigrizia lungo tutto il sedile e parte dello schienale, Lautrec sbadigliò con leggerezza, stiracchiandosi un po’ il dorso con le braccia intrecciate dietro la nuca, a mo’ di cuscino, e scoccando finalmente poi uno sguardo tra il divertito e il rassegnato al suo compagno gaudente.
<< Intendo dire che non sono neanche le undici di mattina, ed è già con più fumi dell’alcool nel sangue che il sangue stesso, trascinando chiunque abbia nelle vicinanze in una piccola festa ambulante… Eeeeh, non cambierà mai, temo. >> disse sospirando enfaticamente. Poi aggiunse, con un mezzo sorrisetto: << O meglio, lo spero. >>.
Alla seguente occhiata interrogativa da parte di Anna, il cavaliere di Fina le elargì un largo sorriso furbesco, e spiegò: << Vede, milady, i nativi di Catarina, qualunque sia il loro carattere, sono tipi festaioli per natura. A prescindere. Hanno tanto coraggio ed ardore nel cuore quanto cibo e vino nello stomaco; potrebbero tranquillamente fare a pezzi a mani nude un truce e gigantesco Demone del Caos e nemmeno dieci secondi dopo tirar fuori dagli zaini tovaglie e vettovaglie, riempire i boccali colle migliori e più forti bevande del mondo e brindare fino all’alba nel nome dell’onore, della gloria o di qualunque altra cosa infiammi loro l’animo. E il caro, vecchio Sieg non fa eccezione. >>.
Anna ascoltò rapita quella piccola descrizione dei valorosi soldati di quel regno, Catarina, così spontanei e diversi dai “cavalieri” del suo tempo, di cui titolo portavano spesso solo il nome. Dopotutto, era proprio per via di quella grezza e semplice schiettezza, così vera, così ricca, che aveva preferito il suo amato montanaro a tutti i rampolli delle nobile casate di mezzo mondo. << Quindi, non desiderate che cambi? >>.
Lautrec fece una breve e sincera risata secca, prima di risponderle. << Oh, per le mutande di Velka, certo che no! Non sarebbe lui, se non fosse un impavido avventuriero dalla corazza cipollina, sulla quarantina e con una passione smodata per i banchetti e i duelli mortali. >>. Fece poi un sorriso possibilmente più ampio di prima, osservando il compagno mentre tirava devastanti pacche sulle spalle di Kristoff, il quale probabilmente aveva per questo perso come minimo un polmone. << Né io mi sarei tanto affezionato a lui, dopotutto. >>.
Anna fece un sorrisetto malizioso, guardando Lautrec con espressione sorniona. << Oooooh… Allora lo spietato combattente dall’armatura bronzea, sotto sotto, è un cucciolone, eh? >>.
A quelle parole, il carimese arrossì lievemente, sgranando due occhi in direzione della ragazza, contenenti il tacito messaggio: “Prova a dirlo a qualcuno e te ne pentirai.”; poi voltò lo sguardo verso il mare poco distante, con la fronte corrugata, borbottando sottovoce commenti irripetibili riguardanti la curiosità femminile e la propria personale stupidità.
Terminato il suo momento di ironia, la rossa diede giusto un’occhiata veloce a Solaire, seduto alla sua sinistra e ancora assorto a contemplare il sole nel cielo limpido – e ancora si chiedeva come diamine facesse a fissarlo senza rovinarsi le pupille - , mentre concentrò tutte le sue attenzioni verso Oscar, appoggiato elegantemente alla sua destra e assorto nell’ammirare da lontano Arendelle, con faccia pensierosa.
<< Oscar, come va la tua spalla? >>.
L’astoriano si scosse dalla culla privata dei suoi pensieri, voltandosi ad osservare Anna con un’iniziale espressione disorientata; dopo un secondo però, una volta recuperata la concentrazione, le sorrise benevolo, torcendo il busto quel che bastò per portare il deltoide alla vista della ragazza.
<< Controllate voi stessa. >> disse semplicemente.
Ed Anna constatò quel che aveva visto anche prima: lo spallaccio destro della corazza presentava ancora lo squarcio obliquo lasciato dalla lama del pugnale, il quale aveva sfondato il metallo proprio nel suo punto più sottile… ma, sotto di esso, al di là degli strati di acciaio, ferro e tessuto, la carne era immacolata, senza neppure la minima cicatrice, come se un paio di ore fa il cavaliere non fosse mai stato infilzato nel muscolo da parte a parte da un coltellaccio.
Già…. Due ore fa….
Il solo fissare quella spalla le riportò alla mente cosa aveva visto prima… e la rivelazione che ne era conseguita….
 
 
Due ore prima.
 
 
<< Allora, al mio tre, intesi? Uno… Due… Tre! >>.
<< YARGH!!! >>.
Nonostante avesse cercato in tutti i modi di prepararsi nella testa e nel corpo all’imminente dolore, Oscar non riuscì a tenere al riparo dei denti un secco urlo di sfogo, quando Solaire, pur operando con mani attente, gli sfilò il largo coltellaccio di Kristoff dalla spalla, il quale venne estratto dal muscolo con l’accompagnamento di un viscido e sottile “slock!”. E anche di un ruscelletto color rubino che cominciò a riversarsi giù lungo il braccio, lento ma costante, come un suo simile d’acqua da una fonte montana. Il guerriero del Sole si ingegnò quindi a sollevare la manica di tessuto e maglia di ferro che copriva la parte ferita a scopo di un’analisi necessaria, ultimo impedimento alla vista della lesione, dal momento che lo spallaccio, previamente slegato, era ancora incastrato intorno alla lama ed era venuto via insieme ad essa.
Quando, con cura scrupolosa, il biondo riuscì ad arrotolare il pezzo di vestiario sporco di sangue oltre l’omero e finalmente poté esporre alla luce e all’aria la ferita, sia Kristoff che Anna – ma anche gli altri cavalieri, dopotutto, non nascosero respiri forti dalle narici - emisero un gemito di raccapriccio: con un taglio leggermente diagonale di ben cinque centimetri e rivoli copiosi di sangue che sgorgavano da quel crepaccio di carne, il terribile squarcio attraversava tutto il deltoide della spalla destra di Oscar da parte a parte, deformando la pelle sottoascellare in una storpia montagnola sbucciata, ossia il punto ove la lama aveva terminato il suo trapasso ed era fuoriuscita con violenza; inoltre, il muscolo intorno alla lesione era disgustosamente gonfio, producendo come risultato un bozzo di carne rubiconda e pulsante, macchiato di sangue e talmente grosso da dare l’idea di poter esplodere da un momento all’altro come un brufolo troppo pieno.
Non la migliore delle visioni, insomma.
Solaire studiò attentamente la ferita in silenzio, sia davanti al braccio, sia dietro di esso (costringendosi per questo a dover sollevare piano l’arto, e strappando così, purtroppo, un altro lamento all’amico), tastando delicatamente ma con perizia vari punti di volta in volta e controllando le eventuali reazioni del soggetto; poi, dopo qualche secondo di riflessione, scosse la testa mesto e sentenziò: << Più grave di quel che credessi… Tendini e legamenti recisi, muscolo praticamente macellato, persino l’osso è stato scalfito per una buona tacca… >>. Si voltò in direzione di Kristoff e lo guardò con una faccia in parte sarcastica ed in parte cupa. << Ma sei un montanaro per davvero? Se avessi visto questa roba senza sapere i fatti dietro le quinte, avrei giurato che fosse il risultato della mano di un assassino prezzolato! >>.
Il ragazzo spostò più e più volte il peso sulle sue gambe, rosso d’imbarazzo in viso e incapace di guardare in faccia il cavaliere per la vergogna. Ora che era sparita quella carica esuberante di adrenalina che l’aveva pervaso quando aveva ritrovato Anna, Kristoff si era reso conto del casino da lui compiuto, tra l’altro totalmente estraneo dal suo normale modo di comportarsi, ed era divenuto un vascello di emozioni turbinanti, quali dispiacere, costernazione, senso di stupidità, tensione e nervosismo (anche se, nel profondo, non riusciva a scollarsi di dosso quella sciocca sensazione di sollievo ed allegria nel vedere la sua amata sana e salva, oltre che di un pizzico di orgoglio virile per l’impeto dimostrato).
Grattandosi abbastanza freneticamente la base della nuca per via del nervoso imbarazzo, balbettò umilmente qualche parola di scusa. << Mi… Mi dispiace davvero un… un botto, signor Solaire. Io... Non so cosa mi abbia preso. Sul serio! >>. Il pomo d’Adamo del ragazzo seguitava a fare un’estenuante lavoro su e giù, deglutendo di continuo l’abbondante salivazione da lui prodotta. << All’inizio volevo solo… ecco… fare un po’ di scena. Sapete, apparire grande e grosso, spaventare senza torcere un capello a nessuno. Ma quando ho finito di seguire le tracce e ho visto Anna lì con voi… come se fosse una prigioniera… Beh… >>. Puntò quindi due occhioni da cucciolo bisognoso d’affetto verso la fidanzata, la quale si sentì sciogliere dentro come caramello su di una brace. << Ho agito d’istinto. >>.
Lautrec, che per tutto quel tempo si era piazzato al fianco sinistro del montanaro, cominciò a battere le mani guantate di metallo in un applauso lento ma elegante, volutamente enfatizzato da un’espressione del volto ironicamente colpita. Poi si rivolse ai propri compagni: << Che dire, ragazzi? Tale è la forza dell’amore: trasforma docili e semplici contadini in devastanti macchine da guerra! >>.
Le risate, si sa, tendono ad essere estremamente contagiose; perciò, quando alla prima, fragorosa risata di Siegmeyer seguì a ruota il ridacchiare roco del cavaliere di Carim, fu solo naturale che iniziarono a sorridere prima, sghignazzare poi, tutti i restanti componenti del gruppo, dalla risata cristallina di Solaire a quella seppur sofferente di Oscar, dal lieve gorgoglio di Anna al sommesso e un poco sollevato ridacchiare di Kristoff.  Fu così che tutta la tensione precedentemente accumulata svanì, nel nulla, come bruma mattutina all’innalzarsi del limpido sole. Perlomeno, per qualche prezioso secondo di pace.
Tuttavia, un leggero ed inutilmente celato gemito da parte dell’astoriano ferito riportò i presenti alla situazione attuale in un batter d’occhio, spezzando quel piccolo incantesimo che era andato creandosi fra di loro.
Solaire pose di nuovo tutte le sue attenzioni all’amico, il quale fissava con uno sguardo indecifrabile la lacerazione subita. O almeno, “indecifrabile” lo era per la ragazza ed il ragazzo, che erano ancora ignari di tutto.
Perché, quando Oscar parlò e pose fra due respiri doloranti la sua domanda, chiunque si sarebbe accorto di come l’aria lì attorno si fosse fatta particolarmente tesa, di come su ognuno dei cavalieri si dipingesse in volto una maschera seria e grave, di come gli sguardi apparentemente “indecifrabili” fossero in realtà carichi di una nascosta verità, una taciuta esperienza condivisa e conosciuta dal quartetto.
<< Solaire, sii sincero: quanti sorsi? >>.
Il guerriero del Sole fissò a lungo gli occhi blu del compagno coi suoi marroni, prima di rispondere, ogni traccia della consueta gaiezza scomparsa dalla voce.
<< Due sorsi. Se non di più. >>.
Oscar chiuse gli occhi ed annuì greve. Lautrec fu meno galante: imprecò fra i denti in maniera orribile, tanto da far girare Anna con la bocca aperta dallo scandalo.
Kristoff invece chinò la testa verso di lei, in malcelata confidenza, sussurrandole: << Due sorsi di cosa, amore? >>. La ragazza lo guardò di rimando, confusa quanto lui. << Non ne ho idea. >>.
Se ne fecero presto, un’idea. Una miriade d’idee, a dirla tutta.
Usando la mano del braccio sano, il sinistro, Oscar slacciò i laccetti di cuoio consunto di una piccola borsa che portava appesa alla cintura sul fianco e vi infilò dentro la mano con calma e sicurezza, segno che sapeva perfettamente dove trovare ciò che stava cercando e che aveva ripetuto quel gesto molte volte prima; difatti non dovette star molto a rovistare: afferrando nella sacca qualcosa di consistente, tirò fuori la mano con l’oggetto ben stretto in pugno. Oggetto che fece spalancare gli occhi di Anna e Kristoff dallo splendore.
Stretta nel palmo di Oscar c’era una tozza fiasca di materiale verde smeraldo grande quanto un boccale piccolo di birra, da cui si irradiava splendente ed affascinante una luce gialla, color dello zafferano e del metallo fuso, che ondulava ritmicamente secondo i leggeri tremolii della mano, segno che essa era il liquido contenuto all’interno, qualunque esso fosse. Ad osservarla con attenzione, si capiva subito che la bottiglietta in sé non era nulla di speciale, tuttavia era proprio quel bagliore costante a rapire gli occhi e le menti dei due giovani: trasmetteva qualcosa di confortevole, di sicuro e di benevolo, come l’abbraccio di una mamma o il focolare caldo di un camino d’inverno, o come una serata in un pub con amici di vecchia data, o come un caldo letto dove dormire insieme alla moglie e i figli piccoli…
Oscar osservava quella radiosa bevanda con un mesto sorriso, le palpebre socchiuse non si sa se per il chiarore abbagliante o se per nostalgia. << Mmmm… Speravo proprio di non doverti usare. >> disse con voce impastata. Poi, senza dire più nulla, stappò la bottiglia e bevve.
Ciò che successe poi, subito dopo, rimase per sempre scolpito nelle memorie di Anna e Kristoff.
Come il primo sorso andò giù in gola, il corpo del cavaliere iniziò ad illuminarsi tenuamente, quasi fosse lui stesso ora ad irradiare quella luce al posto della fiasca, seppur più fioca: essa prese a fuoriuscire dai pori della sua pelle, in parte disperdendosi nell’aere sotto forma di piccole scintille danzanti, in parte andando a convogliarsi, a guisa di lingue sottili, verso la ferita alla spalla. Non appena le lingue toccarono la parte lesionata, il sangue smise di colpo di defluire dalla lacerazione, mentre, a vista d’occhio, i suoi lembi iniziarono lentamente a rimarginarsi, sia in superficie che in profondità nelle carni, tanto che anche il gonfiore calò visibilmente. Un secondo sorso da parte dell’astoriano accelerò il prodigioso processo di guarigione, finché la ferita si richiuse, il bozzo livido scomparve e ogni traccia della passata lesione svanì nel nulla, salvo giusto un po’ di sangue secco. Terminato il proprio compito, anche la luce si spense, lasciando Oscar come era prima.
Il cavaliere mosse un poco il braccio in varie manovre di prova, per controllare se tutto fosse a posto; poi, con volto sollevato, si alzò e disse: << Tutto regolare. >>.
Se quello spettacolo aveva semplicemente messo di nuovo di buonumore la compagnia di guerrieri, lo stesso non si poteva dire di aver suscitato in Anna e Kristoff: stavano lì a bocca spalancata, con gli occhi grandi come fari e le braccia molli distese lungo i fianchi, talmente immobili che sembrava non respirassero nemmeno, tanto da far preoccupare seriamente Solaire che avessero avuto qualche sorta d’infarto dallo shock.
Poi, riuscendo a malapena a mettere insieme le parole per comporre una frase di senso compiuto, entrambi dissero a stento:
<< Co-Cosa… >>.
<< … è successo? >>.
A prendere parola per rispondere alla loro domanda spezzata fu Oscar, che ancora reggeva in mano la bottiglia miracolosa. Con un banale gesto la indicò loro, e disse: << Credo che bisogni ringraziare lei. >>.
<< Questa, lady Anna e sir Kristoff, è quella che dalle nostre terre viene chiamata Fiaschetta Estus. Come si evince dal suo aspetto esteriore, è a prima vista una semplice fiasca di spesso vetro lavorato color verde smeraldo, senza troppi fronzoli né decorazioni, ma, come molte delle cose del mondo, rivela esser più di quel che appare: infatti queste bottigliette sono assai preziose, poiché sono le sole ed uniche a poter racchiudere al loro interno il potere delle fiamme dei nostri speciali falò, sotto forma di puro fuoco liquido. Sì, >> ripeté comprensivo il ragazzo verso i due, che a quell’ultima notizia erano sobbalzati. << avete capito bene: quello che contiene tuttora la fiaschetta e che io ho ingurgitato poco fa era essenza di fuoco allo stato liquido, una rappresentazione, un frammento, si può dire, dello stesso potere che ci consente di guarire quando ci sediamo nelle prossimità di un falò, solo in questo caso portatile e tascabile. >>.
Anna non riusciva a parlare, da quanto era stordita dalla rivelazione improvvisa; fu Kristoff a domandare per lei. << Non… Non capisco: come è possibile che tu possa bere una versione liquefatta del fuoco ed uscirne indenne? E per di più, guarendovi, addirittura? >>.
Oscar annuì piano, con consapevole pazienza. << Questione intelligente, sir Kristoff. Difatti, un normale essere umano, come voi ad esempio, se provasse a bere di questa fiaschetta, andrebbe incontro ad una fine atroce e molto dolorosa, quella che d’altronde concederebbe il fuoco. >>. All’astoriano non sfuggì il breve ma evidente tremito delle spalle di Anna a quella notizia, prova altrettanto evidente che la rossa aveva già pensato di chiedere di assaggiarla. << Tuttavia, come avevo già detto a lady Anna prima che voi mi interrompeste a colpi di coltello… noi non siamo esseri umani. >>.
Detto questo, come a voler sancire una decisione presa da tempo, si affaccendò colle cinghie della sua armatura e della sua veste, cominciando a togliersi il busto con metodicità.
Kristoff piegò leggermente la testa di lato, osservando l’improvviso spogliarello del cavaliere con perplessità. Non riusciva proprio a capire come mai, di punto in bianco, dopo aver pronunciato frasi sibilline, avesse iniziato a levarsi la parte superiore del suo armamento. Si voltò con tutto il corpo verso Anna, con curiosità. << Anna, hai idea del perché si stia spogliando di colpo? >>.
La ragazza stava ancora osservando il montanaro, quando iniziò a dire: << Non so proprio, Kris. Non mi viene in mente nessuna motivazione per cui- >>. Poi buttò uno sguardo oltre di lui, verso il cavaliere, ed ammutolì; anzi, più precisamente si portò di getto le mani alla bocca per soffocare un grido, mentre sul suo volto pallido e sugli occhi sgranati si dipingeva un’espressione di orrore.
Allarmato dalla sua reazione, Kristoff si voltò anche lui verso il cavaliere. E anche lui impallidì e inorridì.
Oscar aveva finito di spogliarsi della sua corazza superiore, la quale era appoggiata con cura ai suoi piedi, e stava ora ritto in piedi, con posa granitica, a torso nudo. Torso che sarebbe sembrato in tutto e per tutto quello di un normalissimo essere umano, dalla pelle rosea e ben delineata dai muscoli sviluppati, se non fosse stato per ciò che si trovava all’altezza del suo cuore.
Un orribile groviglio di venature spesse come cavi, simile alle radici di un rampicante che scavano in profondità nella roccia, si espandeva dal centro del suo cuore per un diametro medio di undici/dodici centimetri verso tutto il suo busto, purulento e vivido come un tumore: mentre le estremità di quella ramificazione sembrava perdersi all’interno della carne e della cassa toracica dell’astoriano, il fulcro centrale da cui si dipanavano consisteva in un foro dalla forma rotonda, scuro come la notte e dalle grinze interne a spirale, che pareva continuamente vorticare su se stesso in un’illusione ottica, come un buco nero che aspira tutto. Quale fosse la profondità di quel buco di cinque centimetri nel petto era un mistero, ma potevano essere pochi millimetri come chilometri, dall’effetto che produceva….
Oscar osservava con occhi gelidi Anna e Kristoff, quest’ultimo che ora lo guardava con espressione sconvolta in faccia. Non sorrideva. Non digrignava i denti. Era soltanto neutro.
<< Questo che vedete sul mio petto, e che vi dà quell’orrenda maschera di raccapriccio sui volti, è il Segno Oscuro. Tutti noi ne portiamo uno all’altezza del cuore, anche Solaire, Siegmeyer e Lautrec, nonostante non si siano spogliati, ve lo posso assicurare. E non potrebbe essere altrimenti: poiché questo è il marchio che ci contraddistingue dai comuni mortali come quello che siamo! >>.
Guardò Anna negli occhi, con una muta sofferenza che cercava di manifestarsi, in silenzio.
<< Noi siamo i reietti. Noi siamo gli immortali. Noi siamo i portatori della maledizione. >>.
Fece un profondo, doloroso respiro.
<< Noi siamo non-morti. >>.
 
 
 
 
http://i.imgur.com/9zZhP76.png
 
Oscar di Astora.
 
 
 
 
FINE PARTE UNO.
 
 
 
Sigla ending (consigliate le cuffiette per epicità):
 
https://www.youtube.com/watch?v=5N7J802QzP4
 
 
   
 
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