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Autore: Amber    15/10/2016    9 recensioni
Arthur è sopravvissuto a Mordred e ora la realtà davanti a se è cambiata. Merlin è uno Stregone, l'altra faccia della medaglia, il suo Destino, ma è anche il suo servitore, il suo amico... e ad Arthur i conti non tornano affatto, perché ora che ha aperto gli occhi e Avalon scintilla sullo sfondo, i colori del moro sembrano un po' più definiti e lui si rende conto di non riuscire più a guardare il mondo con gli stessi occhi.
Tratto dal testo:
-Voglio che tu me lo dica Merlin. Voglio che tu pretenda. Voglio che tu chieda. Voglio che tu… voglia. Perché io sono vivo, tu sei vivo e sono davvero stufo che i miei conti non tornino se tu non ci sei. Quindi dimmelo, dimmelo e basta-
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gwen, Merlino, Principe Artù | Coppie: Gwen/Artù, Merlino/Artù
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più stagioni
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Niente, mi è partita la ship. E adesso scrivo come se non ci fosse un domani.
In realtà questa shot è stata UN PARTO. 21 pagine del futuro che avrei voluto vedere se Arthur non fosse morto e Merlin fosse riuscito a salvarlo… perché avanti un Arthur che sa e che ha impostato tutta la sua vita sul non sapere non può semplicemente far finta di nulla e tornare alla sua vita e tanti saluti. Anche perché lui ha scelto Gwen per la lealtà, il coraggio e blablabla…
Però il mio Arthur non è solo un asino, proprio come dice Merlin, ma è anche un po’ tontolone… quindi a fare le somme, a fare i conti, ci mette giusto un po’ di tempo. Ma la soluzione arriva, arriva sempre.
Al che per concludere e lasciarvi a ciò: siamo in un futuro parallelo, una what if? in cui Merlin riesce a salvare Arthur perché Morgana li raggiunge un po’ dopo rispetto al telefilm e loro sono un po’ più vicini ad Avalon. Quindi con un hocheti pocheti tutti stanno bene e sono vivi… beh, tranne Morgana che rimane morta. La storia è dal punto di vista di Arthur e va avanti e indietro tra passato e futuro (la mia precedente one shot era così e mi ha divertita, lo ammetto).
Quindi grazie a tutti e buona lettura!
Amber
 
QUANDO I CONTI NON TORNANO
 
C’erano dei conti che non gli tornavano.
 
Arthur a pensarci se ne era reso conto, senza ammetterlo né a voce e nemmeno con il pensiero, nel momento stesso in cui aveva aperto gli occhi e si era trovato davanti il volto angosciato e infinitamente sollevato di Merlin.
Merlin il suo servitore, inutile, incapace, disobbediente, chiacchierone, leale, coraggioso, assolutamente ignorante in fatto di gerarchie, insolente, divertente... insomma, lui.
Merlin l’idiota, o come meglio specificare il fu idiota, ciò che evidentemente non era ma che il suddetto gli aveva lasciato credere per anni –assurdamente inconcepibile.
Merlin lo Stregone, a quanto si diceva il più potente mai esistito in tutti i regni conosciuti e ultimo Signore dei draghi –e, per Camelot, tutto ciò rendevano chiare un sacco di situazioni strane rinchiuse nei ricordi della sua mente.
Merlin, l’altra faccia della medaglia, il suo Destino –completamente ridicolo.
Merlin più fragile che mai, mentre tratteneva a stento le lacrime e lo aiutava a rimettersi in piedi, il lago di Avalon che risplendeva nel chiarore dell’aurora. Aveva visto l’ebano dei capelli del suo servitore scintillare, il pallore della pelle venir sfiorato dai primi, timidi raggi del sole e si era smarrito nei suoi occhi blu, ben più profondi di qualunque altro specchio d’acqua quella terra avesse mai visto e no, si era detto ammutolito, questa non è una cosa che dovrei notare.
 
“O che dovrei continuare a ricordare” pensò irritato, le braccia incrociate e gli occhi rivolti verso la finestra della propria camera reale su cui si riflettevano i bagliori delle stelle. In realtà non stava osservando nulla in particolare, ma almeno stare lì rivolgendo trucidi sguardi al cielo notturno gli impediva di raggiungere il suo letto vuoto e freddo.
Un letto dove lei non dormiva più da molto tempo.
Lei, Ginevra, sua moglie, la sua Regina, simbolo di forza, coraggio, intelligenza e verità, per lui semplicemente Gwen sin da quando era solo una serva diventando, grazie a tutte quelle qualità, il suo unico, prezioso, vero amore. Forse.
Al che i conti continuavano a non tornare.
Perché prima, quando Camlann non era che un nome sconosciuto sulla cartina, Mordred non lo aveva trafitto e lui continuava a ignorare tutto ciò che riguardava un certo Stregone a lui ben noto girandosi dall’altra parte -cieco e sciocco Re che giocava nei tornei, arrogante e tronfio-, non si sarebbe mai allontanato dal talamo dove la sua bellissima Regina, la sua Gwen per cui aveva lottato tanto contro tutto e tutti, lo aveva atteso per lungo tempo invano.
Invece ora che il mondo gli si era risvoltato davanti come un guanto, ora che sapeva quanto era stato stupido e cieco, ora che sapeva chi aveva sempre avuto a fianco e a chi doveva tutto ciò che lo circondava, si sentiva come se avesse perso la strada, girando in un vuoto infinito senza mai trovare alcun punto di riferimento. Nulla aveva più la stessa luce, la stessa intensità. Tutto pareva sbiadito, privo di importanza.
Beh, tranne un particolare blu che aveva assunto una sfumatura tutta nuova da un istante all’altro. E un certo color ebano che sotto il sole tendeva a risplendere in modo particolarmente singolare
“Per Camelot…” imprecò portandosi la mano agli occhi stropicciandoseli. Chissà, forse così avrebbe allontanato tutti quegli stupidi pensieri melensi. Era il Re di Camelot si o no? Dov’era finita la sua… virilità?
 
Ricordava con precisione il momento in cui lui e Merlin erano tornati a Camelot. Durante il viaggio di ritorno, eseguito rigorosamente a piedi –grazie Morgana, davvero grazie mille-, si era fatto raccontare ogni cosa sotto suo specifico ordine
-Senza tralasciare nulla- lo aveva minacciato e Merlin, da buon servitore, aveva ubbidito, a volte balbettando imbarazzato e certe volte cercando di sorvolare su certi particolari che aveva dovuto cavargli fuori quasi a forza.
E lui, avventura dopo avventura, ricordando insieme al moro, si era sentito sempre peggio, sempre più oppresso, sempre più perso: c’erano cose enormi in ballo –l’avvelenamento, per dirne una molto lontana nel tempo; il drago, che come uno stolto aveva creduto di aver ucciso lui; suo zio Agravaine, per citare qualcosa di un po’ più recente; lo squarcio nel velo con l’aldilà, qualcosa che ancora oggi lo terrorizzava; Excalibur- e tante altre cose piccole ma quotidiane –tutti quei soldati o mercenari che lo avrebbero colpito se quella che lui credeva fosse stata semplice fortuna non lo avesse salvato; le viverne durante il viaggio alla ricerca del tridente del Re Pescatore; le vipere nello scudo di ser Valiant; i mostri, gli avvertimenti che lui aveva sempre ignorato-, tutte situazioni e avvenimenti che rendevano i suoi ultimi anni un’accozzaglia di bugie senza fine e in molti delle quali lui sarebbe morto.
 
“Solo perché guardavo, ma non volevo vedere” si rimproverò tornando a trucidare il cielo nero. Era sicuro che se Merlin si fosse confidato in una situazione diversa, lui non gli avrebbe creduto “Cosa che poi è successa finché non me lo ha mostrato”
Non che gli avesse dato motivo di fiducia in quegli anni. Certo, gli aveva chiesto molte volte consiglio, ma quante volte il ragazzo lo aveva avvertito e lui non gli aveva creduto finché non aveva visto il pericolo con i suoi occhi o non c’era caduto dentro con tutte le scarpe?
E anche quell’ennesima volta, per rendersi conto che i maledetti conti non tornavano, Arthur aveva dovuto sbatterci la faccia contro. Peggio, era quasi dovuto morire.
 
Arrivati a Camelot, Ginevra gli era corso incontro nel cortile interno del castello e dopo aver abbracciato lui e pianto tutte le sue lacrime di preoccupazione, si era gettata su Merlin, suscitando una genuina sorpresa nel ragazzo, continuando a ringraziarlo per averli salvati tutti e per averlo riportato sano e salvo a casa
-Di nuovo- si era sentito dire prima che il cervello collegasse le sue stesse parole, sentendosi per una volta in dovere di specificare.
Ma nel momento in cui Gwen, che chissà come sapeva, aveva iniziato a parlare di ringraziamenti ufficiali per aver salvato il reame, il Re, i sudditi e probabilmente osannandolo per il sole che sorgeva e tramontava, il moro si era ritratto scuotendo il capo vigorosamente
-No mia Regina- le aveva risposto deciso –Non voglio meriti di alcun genere e nessun ringraziamento, voglio solo continuare a fare quello che ho sempre fatto. Se però il mio signore non ha più bisogno di me quei due giorni di vacanza me li prenderei volentieri prima di tornare al vostro servizio-
Lo aveva guardato, il capo leggermente piegato, la frangia corta nera a sfiorargli la fronte, le lunghe braccia abbandonate contro i fianchi e lui si era ritrovato la lingua incollata al palato. Merlin era sporco, debilitato, stanco, arruffato e dal pallore del volto probabilmente in procinto di svenire, la sua magia sicuramente ridotta a semplici briciole dallo sforzo fatto in quei giorni serrati e pieni di angoscia per lui e l’unica cosa che era riuscito a fare era stato annuire in risposta.
Merlin gli aveva sorriso, aveva chinato il capo davanti ai due sovrani e si era allontanato, dirigendosi verso l’alloggio che divideva con Gaius che gli camminava a fianco.
E prima che Ginevra lo trascinasse dalla parte opposta perché -sei appena scampato dalla morte, devi riposarti!- aveva notato la camminata decisa, la figura longilinea illuminata dal sole, lo zigomo affilato mentre si chinava appena per dire qualcosa al suo mentore.
Poi era stato distratto da Gwen, ma quando aveva alzato inconsapevolmente gli occhi torcendo il collo per guardare dietro di se cercando la figura del suo servitore senza trovarla, si era sentito come se gli fosse mancato il terreno sotto i piedi.
 
Dopo un lungo giorno passato a letto a dormire si era sentito completamente rinvigorito e in dovere di riprendere con calma le sue accumulate mansioni, ma l’irremovibile Gwen, decisamente poco convinta e ancora spaventata da tutta quella situazione, lo aveva costretto a letto finché non era dovuto intervenire Gaius a chetarla e a constatare che si, il Re stava bene
-Come sta?- gli aveva chiesto nel vuoto della camera e non erano serviti nomi mentre Gaius gli controllava la cicatrice lasciata dalla spada di Mordred, una perfetta e sana linea rosata. Il medico lo aveva fissato con serietà e aveva sospirato
-Vi assicuro mio signore che sta bene-
 
E infatti era stato proprio così. La mattina del terzo giorno qualcuno aveva aperto i tendaggi con un impeto impressionante facendogli strizzare gli occhi quando il sole lo aveva colpito in piena faccia, un lamento mal trattenuto gli era uscito dalle labbra e lui aveva riso
-Sveglia pigro fiorellino, il sole splende e anche quest’oggi i vostri impegni vi reclamano più che mai!-
Arthur si era messo a sedere con una tale spinta che le coltri erano scivolate a terra, aveva spalancato gli occhi e Merlin era lì, dove sempre era stato e sempre avrebbe dovuto essere: dava le spalle alla finestra e al tavolo su cui aveva posato un abbondante colazione, le mani dalle lunghe dita sui fianchi snelli, il sorriso impertinente che gli illuminava gli occhi blu, il fazzoletto rosso al collo in contrasto con la casacca e solo lunghi e interminabili istanti dopo pieni del suo attonito silenzio si era reso conto che affianco allo stregone c’era Ginevra in camicia da notte, che rideva divertita per quel nomignolo, la risata argentina che tanto amava che riempiva tutta la stanza.
Ed era stato in quel momento, vedendo i due parlare animatamente, che il pensiero lo aveva colpito come un fulmine a ciel sereno per la prima volta
“Qui i conti non tornano”
 
Da quel giorno erano passate intere lune, un susseguirsi di giorni uno più impegnativo dell’altro.
Annunciare al reame la morte di Morgana e dichiarare finita la guerra; eleggere nuovi cavalieri in sostituzione degli amici morti che tanto valorosamente lo avevano seguito in ogni battaglia; addestrare personalmente le reclute fino allo sfinimento ogni giorno; presidiare costantemente alle riunioni per rendere Camelot un posto migliore e giusto o per sigillare le ultime dichiarazioni di pace con i vari regni vicini; rendere libera la magia.
Ne aveva parlato con Merlin una sera, il fuoco scoppiettante nel camino lanciava bagliori dentro ai suoi occhi che aveva visto tremare di felicità riempiendosi di lacrime mal trattenute e in un impeto improvviso gli aveva stretto il gomito con le lunghe dita bollenti
-Si, sarebbe… Maestà nessuna parola, nessun ringraziamento basterebbe a… sarebbe l’unica cosa che io…- Nei suoi balbettamenti inconcludenti lo Stregone –davvero il più potente al mondo?- aveva tremato e Arthur si era trovato di nuovo senza parole e il disagio gli era dilagato sottopelle come lava incandescente. Non che non si fossero mai ritrovati a una distanza ravvicinata, anzi a volte erano anche più vicini, ma questo era stato prima di capire, prima di notare… cosa? La dedizione, l’impegno, la lealtà? No, quelli c’erano sempre stati. Il silenzio con cui Merlin si era dedicato a Camelot e a lui senza voler nulla?
Si era staccato dalla sua presa e aveva scosso la testa allontanandosi fino ad arrivare davanti alla finestra con una foga che sperò fosse solo nella sua testa e finalmente, ora che non lo guardava, ora che gli si era allontanato, il pensiero era tornato lineare e lucido
-E’ una decisione che ho preso come naturale conseguenza di quello che è successo, di quello che ho compreso. Volevo solo che lo sapessi da me prima che dall’araldo ufficiale-
Probabilmente Merlin non si era accorto di nulla perché si era limitato a ridere, cercando di contenere la gioia, gli occhi scintillanti
-Con il vostro permesso vorrei andare a informare Gaius-
E lui glielo aveva concesso con un cenno del capo rilassandosi solo quando aveva sentito la porta chiudersi. Lo aveva visto correre nel cortile interno diretto dal vecchio mentore: il viso rosso per lo sforzo della corsa, i capelli al vento e i vestiti tutti spiegazzati mentre agitava le braccia in aria, i pugni stretti, la vittoria nel sorriso che proprio non lo voleva abbandonare.
Arthur si era ritrovato a sorridere con lui seguendolo con lo sguardo.
Era bastato semplicemente quasi morire per finalmente capire e sapere, solo per poterlo vederlo così felice e finalmente a suo agio? Un agio, capì improvvisamente, che il moro non aveva mai realmente provato con lui fino a quel momento
-Arthur, cosa guardi?- Il Re aveva sussultato girandosi. Gwen era al suo fianco, gli occhi rivolti verso il cortile ora vuoto –Posso condividere con te il motivo di quel sorriso?- gli aveva chiesto sporgendosi per baciarlo sulle labbra improvvisamente congelate.
Lui aveva subito il bacio e l’aveva osservata per un lungo, interminabile istante, scrutandola interdetto: i lunghi boccoli castani erano ancora acconciati, il vestito rosso la stringeva nei punti giusti in quel modo che gli piaceva da sempre valorizzandola, il viso disteso e giovanile mentre attendeva che le rispondesse
-Sono solo contento che tutto stia procedendo per il meglio- le aveva confidato mentendo.
No, decisamente dei conti non tornavano.
 
Da quella sera erano passate altre tre lune ed era successo di tutto.
La liberazione della magia aveva portato tanti ringraziamenti quanto parecchi scompensi in tutto il regno. In molti erano stati guardinghi su cosa potessero o non potessero fare, arrivando a chiedere udienza al castello per accusarlo addirittura di un editto falso, di un complotto per trovare l’ultima magia rimasta nel regno per annientarla definitivamente e lui, oltre che negare e cercare di spiegarsi non aveva potuto fare nulla per convincere quella gente spaventata.
Era stato Merlin a farsi avanti e a parlare. Beh, non proprio a parlare.
Si era mosso con decisione da un angolo nascosto della grande sala del trono gremita e senza chiedere il permesso –ma quando mai lo chiedeva?- si era posizionato tra la folla che lo accusava e lui. Da come avevano tutti trattenuto il fiato Arthur sapeva che gli occhi blu di Merlin si erano accesi d’oro mentre ogni oggetto della stanza pareva aver preso vita propria iniziando a galleggiare sopra le loro teste e a ruotare
-Sono il servitore personale del Re- aveva detto con tono fermo, deciso, quasi irritato –Credete davvero che ora mi brucerà sul rogo come avrebbe fatto Re Uther? Re Arthur è un uomo buono, giusto, coraggioso, ma soprattutto non è suo padre. Quell’editto è reale tanto quanto questa terra su cui camminate e dove ora la magia è libera di essere praticata. La vostra malafede è un vero e proprio insulto al vostro Re-
C’era stato un mormorio sommesso, addirittura ammirato, tra le file del suo popolo. E li aveva visti inchinarsi uno dopo l’altro, ma non a lui
-Emrys- lo avevano invocato sommessamente.
Arthur si era chiesto per la prima volta chi fosse davvero il suo servitore mentre guardava tutte quelle persone in ginocchio e a capo chino verso il moro –spalle contratte, schiena dritta, testa alta.
Solo a quel punto si erano congedati da lui, Merlin compreso, chiedendo perdono per la loro insolenza, ringraziando e rafforzando la loro lealtà a lui e a Camelot. Arthur si era limitato a lasciarli andare mentre il brusio delle chiacchiere della sua corte su Merlin iniziavano a rimbalzare da un angolo all’altro del castello
-Quel Merlin?-
-Uno Stregone?-
-Ma il servitore del Re?-
-Da quanto lo è?-
-Il Re lo sapeva?-
-Re Uther è stato gabbato di certo!-
A metà pomeriggio lo aveva trovato a lucidare la sua armatura nella stanza reale già sistemata e in ordine. Le bianche mani lavoravano con foga, il viso era indurito da una smorfia e gli occhi blu erano fermi, determinati, concentrati
-Non c’era bisogno che ti rivelassi se non volevi farlo, Emrys. Ora la gente chiacchiera- gli aveva detto stando vicino alla porta che aveva chiuso entrando.
Forse era stato un po’ vile usare quel nome ma il moro non ci aveva fatto alcun caso
-Vi stavano accusando ingiustamente. Non potevo sopportarlo un istante di più- aveva dichiarato con foga e Arthur aveva sentito il respiro mozzarsi. Lo stregone non lo aveva guardato, concentrandosi su un filo dei suoi pantaloni prima di tornare strofinare con forza.
Per lui. Di nuovo solo per lui. Avrebbe voluto vederli di nuovo, quegli occhi d’oro che avevano incantato tutti
-Potresti usarla… la magia- Aveva fatto un passo verso di lui, calamitato, poi si era bloccato di nuovo vedendolo fermare il suo lavoro. Guardami, avrebbe voluto gridargli, guardami e fammi capire, fammi vedere –Finiresti prima il tuo lavoro-
Merlin aveva sospirato. Le palpebre si erano socchiuse per un solo secondo andando a creare una piccola ombra sullo zigomo poi si era ripreso, continuando a ignorarlo
-Mi piace farlo così, svolgere le mia mansioni in quel modo solo per non faticare non è quello che voglio-
-Merlin- Arthur, con chissà quale coraggio, gli si era accucciato a fianco e gli aveva stretto la spalla facendolo voltare. Aveva la spalla ossuta ed era così magro che il Re si era chiesto quanto forte avrebbe dovuto stringerlo per vederlo spezzarsi. Ma forse non serviva la forza fisica, perché lo sguardo blu che il proprio servitore gli aveva lanciato parlava già di crepe e frammenti –Cos’è che vuoi?-
La domanda era pesata sopra di loro come un macigno finché lo Stregone non lo aveva allontanato gentilmente, distogliendo lo sguardo
-Niente. Sire, non voglio niente-
Arthur aveva sentito il sapore di quella bugia persino sulla lingua
“No” aveva pensato lasciandolo “Qualcosa non va, affatto”
 
-Ha molta influenza, non credi?- gli aveva chiesto qualche sera dopo Gwen. Gli si era seduto di fronte, osservandolo studiare carte e resoconti. Merlin si era congedato appena aveva visto la Regina entrare: era andato portando via i panni sporchi dopo aver finito di rassettare tutta la stanza, senza mai smettere di ciarlare sulla nuova tresca che l'aiutante cuoca aveva con lo stalliere sposato
-Mh?- aveva risposto distrattamente senza concederle alcuna attenzione
-Merlin- aveva specificato lei. Aveva alzato gli occhi per un breve istante e aveva incontrato il suo sguardo serio
-Merlin?-
-E’ sprecato Arthur- A fare il tuo servitore, erano state le parole non dette che erano galleggiate intorno a loro come acqua densa.
Oh, certo che era sprecato. Ora che tutti sapevano, lo vedeva nei loro occhi quanto lo giudicassero mentre teneva Merlin accanto a se come suo personale servitore. Persino ser Lion gli aveva accennato qualcosa. Avrebbe dovuto avere un nuovo incarico, una posizione di rilievo nel castello che lo elevasse… ma lo stesso Arthur non era certo di volerlo. Quindi taceva, senza affrontare il problema
-Non ne parleremo adesso. Devo finire qui-
-Arthur…-
-Buona notte Ginevra- aveva detto molto più duramente di quanto avrebbe voluto. La donna aveva sospirato e si era allontanata senza una parola.
Si era ritrovato solo con una porta chiusa, la fronte sul tavolo e la piuma d’oca in mano spezzata
“Dovrei nominarlo Sommo Stregone di Camelot. So che è quello che tutti si aspettano. Ma poi… lui non sarebbe più… Anche se rimarrebbe qui, come membro attivo della Tavola Rotonda, gli impegni che avremmo non ci permetterebbero nemmeno di… e io…”
I conti continuavano decisamente a non tornargli. Evidentemente gli mancava un passaggio.
 
Una notte di qualche tempo dopo non dormiva, non che fosse strano. L’insonnia per i troppi pensieri facevano parte di lui ormai da tempo, quindi quando il solarium gli era venuto a noia era uscito per raggiungere l’esterno, lasciando Gwen a dormire da sola nella stanza a fianco. Aveva deciso di andare sul camminamento delle mura, dove avrebbe potuto avere una visuale migliore della cittadella.
A distanza di tempo, Arthur si chiedeva ancora perché avesse scelto quel luogo invece che un qualsiasi altro dell’intero castello.
 
“Il mio Destino, l’altra faccia della medaglia, filo rosso con doppio giro e nodo” pensò scrollando la testa, sorridendo appena divertito “Ah, se solo immaginasse che pensieri di agitano nella mia testa… cosa direbbe?”
 
Fu su quei camminamenti che aveva incontrato il suo servitore.
Merlin gli stava dando le spalle ed era completamente appoggiato al parapetto, i gomiti che lo puntellavano mentre osservava l’orizzonte scuro, lontano, sempre più lontano. La luna era una piccola falce nel cielo, ma insieme alle stelle creava quella luminosità tale da renderlo opalescente. Avrebbe voluto osservarlo per un po’ in tutta calma, per capire cosa ci fosse che non andava, ma appena lo aveva percepito, Merlin si era rilassato voltandosi
-Maestà- lo aveva salutato con un breve cenno del capo
-Che fai qui?-
Il moro si era stretto nelle spalle tornando a concentrarsi sull’esterno delle mura
-E voi?- Nemmeno lui gli aveva risposto affiancandolo. Erano rimasti in silenzio, contemplando il nulla. Andava bene così, potevano condividere quel loro piccolo spazio da soli, senza parole inutili, cosa che lui di sicuro avrebbe preferito –Arthur ho preso una decisione-
Erano state quelle le parole esatte che aveva usato, parole sussurrate che erano rimaste nella sua memoria per tutto il tempo a venire
-Hai preso una decisione?- aveva ripetuto, peggio di un pappagallo
-Quello che è successo nella sala del trono non deve più ripetersi- Merlin si era girato verso di lui, nervoso e lui non aveva avuto il coraggio di fare altrettanto
-Qualcuno che non capisce ed è scontento ci sarà sempre, tu lo dovresti sapere- aveva risposto atono osservando il fumo uscire dal comignolo di una casupola lontana –Con il tempo capiranno tutti che non è un trucco-
-No, non lo faranno. So cosa vuol dire avere paura della propria natura, avere paura che il tuo stesso vicino ti denunci, avere paura di essere condannato al rogo per ciò che si è. La gente non smetterà di avere paura solo perché un araldo glielo dirà, anche se avrà in mano il vostro editto con il sigillo reale-
Si era voltato, respirando profondamente e Merlin era serio, così serio da fare paura, come poche volte lo aveva visto.
In fondo alla gola aveva sentito il fiele bloccargli il respiro
-Cosa proponi?-
-Lasciatemi andare- Era stato peggio di un pugno nello stomaco, peggio della ferita di Mordred, peggio di qualunque combattimento, di qualsiasi guerra, peggio di qualsiasi cosa –Andrò in tutta Albion, in tutti i villaggi, in tutte le case e piazze. Andrò nei regni vicini e in quelli ancora più lontani. Parlerò di voi, racconterò di me, farò vedere loro chi sono e chi siete. Scaccerò via la paura e farò diventare reale il regno che avete sempre desiderato- aveva dichiarato con fermezza –Ma non funzionerà se rimarrò qui-
Era rimasto in silenzio, osservandolo. Gli occhi blu al buio gli erano parsi neri, il nero dei capelli era quasi indistinguibile con le ombre silenziose tutte intorno a loro. La fiamma di una torcia aveva crepitato per un breve istante e Arthur aveva sentito distintamente due guardie chiacchierare appena sotto di loro, continuando indisturbati la loro ronda
-Quindi ti stai licenziando dal mio personale servizio- erano le uniche parole che era riuscito a dire
-Solo temporaneamente- aveva specificato lo Stregone sorridendo. Gli aveva posato una mano sul gomito e aveva stretto il rosso Pendragon della maglia con le lunghe dita pallide –Permettetemi di realizzarlo, vi prego-
Arthur aveva annuito ammutolito.
 
Merlin era partito qualche mattina dopo, il tempo di sistemare le ultime faccende e prepararsi.
Arthur di quei giorni frenetici in cui no, non doveva pensare, certo che sarebbe impazzito, ricordava solo la conversazione che aveva origliato non intenzionalmente tra Merlin e Gaius nello studio di quest’ultimo. Il perché era andato là nemmeno lo ricordava
-…non andrà bene- stava dicendo il vecchio
-Lo so Gaius, ma è mio dovere provarci. Sta diventando tutto un po’ troppo-
-Mi rendo conto ragazzo, ma…-
-Niente ma e niente se. Mi aiuterà, deve aiutarmi. Arthur ha ragione a darmi dell’idiota, tutto questo lo dimostra a pieno, e non provate a convincermi del contrario perché non funzionerà-
Arthur si era accigliato e aveva incrociato le braccia, nascosto dietro la porta
-Ecco prendi. Questa ti aiuterà a dormire, ma finirà presto quindi dovrai rifornirti-
-Grazie Gaius. Qualche notte senza incubi è proprio quello che mi servirà durante il viaggio- aveva sospirato il moro
-Ricordati che Morgana è morta Merlin, mentre Arthur è vivo grazie a te-
-Si, lo so… E’ quello che mi ripeto ogni notte-
Poi era partito. Si erano ritrovati in pochi a salutarlo quella mattina: lui, Gaius, Gwen, ser Lion, ser Parsifal e qualche altro servitore occasionale. Merlin aveva con se un sacca da viaggio, dell’oro che Arthur gli aveva messo in mano con forza, del cibo e un cavallo
-Non fate troppe follie senza di me- aveva commentato divertito il moro e Gwen si era sporta per abbracciarlo
-Ci mancherai-
-Anche voi-
-Fai buon viaggio e torna presto- lo aveva salutato ser Parsifal stringendogli la mano
-Proteggeteli voi finché non torno. Sono nelle vostre mani- aveva detto sorridendo ai due cavalieri
-Contaci- aveva annuito Ser Lion dandogli una pacca sulla spalla
-Merlin- Gaius gli si era avvicinato e i due si erano scambiati quello sguardo da mille parole che era loro prerogativa da sempre. Il vecchio evidentemente perse, perché lo aveva abbracciato di slancio stringendolo forte –Non fare lo stupido-
-Quando mai lo faccio?-
Poi era stato il suo turno e il moro aveva chinato la testa, in segno di saluto e rispetto
-Maestà, scegliete bene il vostro prossimo servitore- lo aveva preso in giro
-Di sicuro sarà migliore di te in tutto-
Merlin aveva riso scuotendo il capo e aveva afferrato le briglie del cavallo facendolo girare verso il portone spalancato
-Vi manderò mie notizie, promesso-
La sua partenza, improvvisamente diventata realtà lo aveva colpito come un macigno in pieno petto. Non lo avrebbe più rivisto, non avrebbero più parlato, non lo sarebbe mai più venuto a svegliare la mattina, non…
-Merlin!- lo aveva chiamato con… quale voce? Non se ne era curato. Merlin si era voltato verso di lui e gli aveva sorriso
-Si, Maestà?-
Arthur si era trovato senza nulla da dire. Aveva solo allungato il braccio e Merlin, sorpreso, gli aveva stretto l'avambraccio
-A presto- lo aveva salutato.
Il sole era nel pieno della sua ascesa quando Merlin se ne andò, voltandosi una volta sola per alzare la mano in segno di saluto.
 
Certe notti Arthur chiudeva gli occhi e non doveva nemmeno sforzarsi di rievocare con la mente la sua immagine: brache marroni, maglia azzurra, fazzoletto rosso, zigomi taglienti, occhi blu e il sorriso che gli aveva rivolto quando se n'era andato.
Gwen, quando ancora era sdraiata al suo fianco, aspettava in silenzio, ma lui quasi non se ne rendeva conto.
 
“Due anni”
Arthur si sedette sulla scrivania e respirò pesantemente passandosi le dita sulla corta barba bionda. Merlin era partito e improvvisamente erano passati due anni. Non che ci avesse pensato o avesse contato i giorni, per carità!
Però erano passati due interi, lunghi anni.
E non è che Merlin non si fosse più fatto sentire, come aveva promesso aveva mandato sue notizie: saltuariamente alla finestra di Arthur arrivava un corvo e lo strano messaggero portava... foglie. O bacche. O fiori. Non una lettera, non parole. Quell'idiota gli mandava cose per fargli capire dove si trovasse.
Gaius, quando gli aveva mostrato il primo indizio –una foglia a cinque punte sempreverde grande come il suo palmo-, aveva solo commentato che finalmente i suoi insegnamenti sulla botanica stavano dando i suoi frutti. Arthur, a mezza bocca, aveva imprecato all'uccello del malaugurio che quella robaccia poteva portarla al vecchio piuttosto che a lui, perché di tempo da perdere per cercare di capire dove fosse quell'idiota proprio non ne aveva. Eppure il corvo continuava a posarsi sul suo davanzale, lui continuava a dargli da mangiare e a raccogliere questo o quello, rigirandoselo tra le dita sospirando.
Notizie più certe gli arrivavano invece quando meno se lo aspettava.
 
Ricordava che, qualche mese dopo la partenza di Merlin, stava ascoltando nella sala del trono il resoconto del comandante di un signorotto locale su certi briganti che da tempo stavano disturbando i loro contadini, razziando e depredando
-Manderò subito i miei cavalieri per stanarli e metterli sotto processo- aveva ordinato e ser Lion si era fatto avanti annuendo –Il tuo signore può stare tranquillo, non permetterò che rimangano impuniti-
-Maestà non ce ne sarà alcun bisogno- aveva commentato il comandante con un inchino –Giustizia è già stata fatta. Sono venuto qui a porgervi i nostri più sentiti ringraziamenti. Sarebbe voluto venire il lord di persona, il mio signore, ma è affetto dalla gotta da ormai molto tempo come voi ben sapete e non ha figli da inviare alla vostra reale presenza-
-Non capisco- aveva ammesso Gwen raddrizzandosi sul trono -Chi ha fatto giustizia?-
-Uno Stregone. Nel villaggio che ha salvato e in cui stava alloggiando per nostra fortuna si è fatto chiamare Emrys, nel nome del Re di Camelot-
Arthur aveva compreso di non aver sentito male solo quando aveva visto Gaius sorridere di riflesso, in modo aperto e sincero. Anche Ginevra stava sorridendo
-Davvero? E cos'ha fatto il nostro Stregone per meritarci i vostri ringraziamenti?- aveva domandato la Regina
-Ecco lui... mia Regina...- Il cavaliere era arrossito? –Quando io e i miei uomini siamo arrivati dopo aver ricevuto l'urgente messaggio, i briganti erano ancora a testa in giù. Loro... camminavano sulle mani, avanti e indietro lungo i campi che avevano distrutto con un rastrello nella bocca, strettamente sorvegliati dai contadini che li riprendevano se sbagliavano la profondità dell'aratura e da lui: ecco, stava dicendo seguendoli passo-passo, un giro di campo per ogni raccolto distrutto, un passo sulle mani per ogni ingiustizia fatta a un'innocente, una preghiera a Camelot e al vostro Re per ogni malefatta eseguita-
-Li ha fatti camminare sulle mani... con il rastrello in bocca?- aveva ripetuto il Re esterrefatto e non gli era affatto sfuggita la risata di ser Lion
-Si Maestà. Nel momento in cui ci ha visto e i contadini hanno riconosciuto il nostro stemma, Emrys se né andato dichiarando che quei briganti avevano capito e non c'era bisogno di punirli ulteriormente- Gli era scappato un sorriso mentre raccontava –Quando ha chiesto ai briganti se preferivano andare in prigione con le buone o continuare ad arare i campi camminando sulle mani, vi assicuro che nessuno di loro ha fatto storie mentre ci seguivano nelle celle camminando sulle loro gambe-
Poco dopo, solo e al sicuro nella sua stanza, Arthur si era messo a ridere, assolutamente senza parole.
 
Poi c'era stato il banchetto con la Regina Annis. La donna aveva voluto rinnovare l'alleanza e lui non ci aveva visto nulla di male, invitandola nel suo reame per tutto il tempo che lei avesse ritenuto opportuno
-Ti chiederai perché ho deciso di rinnovare la nostra amicizia Arthur- aveva esordito la donna a metà serata scostandosi i capelli dalla spalla.
Tutt'intorno a loro la musica era stata alta e le chiacchiere ben animate, nessuno aveva fatto caso a loro due a capotavola insieme a Ginevra, che però stava discutendo con la sua vicina del viaggio.
Lui l'aveva guardata confuso e aveva annuito
-In effetti è così. Ma qualsiasi sia la ragione sono lieto che ti abbia portato qui alla mia tavola-
Lei gli aveva sorriso, scuotendo il capo
-Sei furbo, lo sai vero? Usi molto bene le parole, su questo non c'è che dire- Arthur aveva riso con lei e aveva chinato buffamente la testa per ringraziarla –No, le ragioni sono purtroppo più serie. Vedi, ho incontrato il tuo giullare qualche tempo fa- aveva continuato e lo aveva osservato guardarla con sorpresa prima di annuire –Me lo ricordo molto bravo con i trucchetti di magia che ci aveva sottoposto e ora so anche il perché. Dimmi Arthur, all'epoca ne eri al corrente?-
-No, mia Regina- aveva risposto sinceramente
-Una scoperta alquanto singolare devo dire. Ammetto che quando ho visto nemmeno ci volevo credere. In realtà credevo che per il tradimento lo avresti fatto impiccare o peggio, invece ho sentito che hai addirittura liberato la magia nel tuo regno, andando contro tutto quello per cui tuo padre ha combattuto. Lo hai fatto per lui?-
Si, avrebbe voluto risponderle. Perché lui non aveva mai chiesto niente, perché si era nascosto per tutta la vita, perché non gli aveva mai dato prova di potersi fidare, perché voleva vedere quegli occhi blu diventare d'oro anche alla luce del sole
-No. Ho solo finalmente compreso che la magia non è buona o cattiva, sono le persone e le loro intenzioni a far pendere la bilancia- aveva risposto e non era stata totalmente una bugia –Mio padre è stato un grande Re, ma non posso dire che non ha fatto degli errori-
Annis l'aveva osservato bevendo dal suo calice
-Riconoscere gli errori passati aiuta a migliorarsi e a non commettere leggerezze, cosa che purtroppo io ho commesso- ammise la donna sospirando –Sappi che ho avuto modo di incontrarlo in una spiacevole circostanza. Sarebbe stata guerra se Merlin, o Emrys come ora si fa chiamare, non fosse intervenuto e non ci avesse dato una mano in battaglia, aiutandomi a rimediare a un mio errore di valutazione. Io per prima non sarei qui se non fosse stato per lui. Ecco perché sono qui a Camelot a rinnovarti la nostra alleanza-
Ma tutto quello non era importante, nemmeno l'aveva sentita. Aveva solo avuto la percezione del calice che gli era scivolato dalle mani. La tovaglia si era tinta di rosso e l'unica cosa che era riuscito a pensare e che mai gli aveva sfiorato la mente era che, lontano da lui, Merlin era andato in battaglia da solo. Probabilmente si era ferito, poteva essere morto senza di lui. Perché Merlin era fatto di carne e sangue e tutta la magia del mondo a volte non bastava... e non c'era nessuno a guardargli le spalle
-Cosa?- aveva balbettato, la mano che tremava appena.
Gwen si era voltata subito verso di lui, allarmata dal rumore del calice rovesciato e gli aveva preso la mano
-Arthur? Che succede?-
Lui non le aveva nemmeno risposto, continuando a cercare ossigeno intorno a se
-Lui sta bene, mio Re- La Regina gli aveva raddrizzato il calice e lo aveva fatto riempire con un cenno –Quando se n'è andato, dopo essersi accertato senza alcun ombra di dubbio che il pericolo era scampato e che non sarebbe mai più tornato, era in ottima salute, senza nemmeno un graffio. Te lo posso giurare-
Il lungo respiro che aveva svuotato i suoi polmoni, il sollievo bruciante che lo aveva colpito a quelle parole, ancora lo ricordava
“Sta bene. È vivo. Lui è Merlin... non si lascerà sconfiggere senza il mio permesso, senza aver completato la sua missione, senza essere prima tornato da me”
Ginevra lo aveva osservato apertamente. Un lungo, intenso, soffocante minuto in cui lui non aveva avuto il coraggio di corrispondere lo sguardo. Cosa ci avrebbe letto? Gli occhi scuri non lasciarono il suo viso mentre tornava a respirare regolarmente.
Io so, sembrava lo accusasse. Attento a te, non mi inganni, perché io so.
Sapeva cosa, non lo capiva nemmeno lui
-Voglio solo dirti- Aveva ripreso Annis poco dopo quando la Regina era tornata a dar loro le spalle. Si erano guardati e lei aveva sorriso, gentile. Arthur si era chiesto come sarebbe stato avere una madre come lei a guidarlo –che hai al tuo servizio un amico davvero molto leale. Non è cosa da tutti, ne convieni? Spero che tu te ne renda conto-
-Si, lo so. Merlin è davvero il più leale... e di sicuro il più raro-
Non si era reso conto subito di ciò che aveva detto. Annis era rimasta solo lì, ad osservarlo, acuta e intelligente come sempre
-A volte le gemme più preziose non sono quelle che luccicano alla luce del sole sotto gli occhi di tutti, ma sono sepolte molto in profondità, difficilmente riconosciute. Sembra che tu, mio giovane amico, ne abbia trovato uno davvero raro-
No, non l'aveva trovato. Era stato Merlin a scegliere di rimanere, facendosi schiacciare dal fardello della menzogna che portava sulle spalle e sorbendosi le sue idiozie, anche se per mille e una volta e forse anche di più avrebbe potuto metterlo al suo posto con un solo cenno della mano. Semmai facendolo camminare sulle mani per tutto il castello.
Annis aveva lanciato un'occhiata a Gwen che si stava intrattenendo con la sua dama di compagnia e poi aveva guardato lui, scettica.
Lui aveva finto di non cogliere e la conversazione si era chiusa lì.
Invece di risolverli, quei conti diventavano sempre più complicati!
 
-Prima di partire Merlin mi accennò che soffriva di incubi-
Arthur l’aveva buttata lì a Gaius una mattina. Una menzogna che nascose allontanando gli occhi dal medico che fermò le mani a mezz’aria, i dosaggi di un infuso abbandonati sul tavolo
-Ah, ve lo disse?- Forse c’era scetticismo nella sua voce, un sentimento del tutto infondato
-Si, ma non mi ha voluto dire su cosa-
-Maestà, se Merlin non ve ne ha voluto parlare io di sicuro non lo tradirò-
Arthur gli aveva lanciato un’occhiata penetrante –dovresti essere leale a me, il tuo Re!-. Era seduto a cavalcioni sulla sedia, la testa appoggiata mollemente sulle braccia. Gaius aveva corrisposto, il sopracciglio vagamente arcuato verso l’alto che pareva dirgli –sono allenato a sentirle, le balle, quindi no, non mi incantate affatto Sire-
-Ok, ho origliato- aveva confessato infine –Ma non intenzionalmente-
-Origliare è pericoloso Maestà, si rischiano di sentire cose scomode- Con quella perla il medico era tornato ai suoi dosaggi, ignorandolo e Arthur aveva sbuffato seccato
-Anche io fatico a dormire-
-Posso darvi lo stesso infuso che ho dato a lui. Aiuta a scivolare in un sonno senza sogni-
-E’ solo che da quando so di Merlin… e di quello che ha fatto per me e per Camelot… mi sento come se avessi perso la bussola. Ho fatto delle scelte nella mia vita, ho creduto a cose… invece adesso è tutto diverso. Mi fa impazzire e non trovo pace-
-La vostra percezione è cambiata sire. Avete quasi rischiato di morire, ci siete andato davvero molto vicino. Questo cambierebbe chiunque-
-No- Aveva scosse il capo deciso –Molte altre volte mi sono ritrovato vicino alla morte e non mi è mai successo nulla di simile. I conti non mi tornano più da quando Merlin si è rivelato. Anche con Gwen sento che qualcosa non va… ed è Gwen!-
Il vecchio aveva sospirato e si era girato a guardarlo
-Sire, Merlin vi ha mentito per una buona ragione. E anche io l’ho fatto, insistendo ardentementee costringendolo nel non dirvi nulla. Non dovete sentirvi tradito per questo-
-Lo so, lo so. Non lo sto accusando per quello. Vorrei solo ritrovare la strada, tornare a vedere il mondo come prima senza impazzire-
-Non credo sarà possibile Sire. Io posso solo darvi un rimedio per dormire. Le vostre risposte dovrete cercarvele da solo-
 
Di incredibile aiuto, non c’era che dire. Alla fine Gaius non aveva risolto la sua curiosità sugli incubi di Merlin, non gli aveva consigliato come risolvere i suoi problemi –problemi a cui non sapeva nemmeno lui dare un nome- e gli aveva dato un rimedio contro l’insonnia che funzionava a malapena.
E per Camelot, più il tempo passava più gli mancava Merlin: il suo consiglio, il suo ciarlare a vanvera, la sua irriverenza, il suo ritrovarsi ovunque anche quando non doveva, gli mancavano i suoi occhi e il suo gesticolare, il sorriso e tutto il resto.
E ne avrebbe avuto davvero bisogno quando Ginevra, triste ma risoluta, aveva dichiarato nella loro camera che avevano un problema.
 
-All’inizio non ci ho dato peso: eri convalescente, appena scampato dalla morte e ti sono stata vicino comprendendo; poi ho dato la colpa ai troppi impegni, perché stavi addestrando i tuoi nuovi cavalieri, perché c’era la guerra da chiudere, paci da siglare, la magia da liberare e ho continuato ad aspettare, a tacere. Però adesso tutto si è chetato, il regno è in pace ma io sto ancora aspettando inutilmente. Ma adesso basta-
-Ginevra cosa…?-
-Non ti azzardare a dirmi che non ti sei accorto di quanto è cambiato il nostro rapporto Arthur!- aveva gridato lei, i pugni chiusi lungo i fianchi –Non mi guardi più. Non mi tocchi più. Quasi fatichi a dormire al mio fianco…-
-Ho un sacco di pensieri lo sai-
-Pensieri che non condividi con me, che sono tua moglie, la regina di Camelot! Certo, dei problemi del regno ne discutiamo insieme e con i membri della Tavola Rotonda troviamo la soluzione e agiamo; ma tu taci di quello che ti passa per la testa, dei tuoi pensieri più intimi che ci siamo sempre confidati, da ancora prima che ci sposassimo. Perché Arthur? Dimmi... cos'ho fatto per meritarlo?-
Ma no, avrebbe voluto rispondergli lui di riflesso, di quelle cose ne parlavo prima con Merlin. Ovviamente aveva taciuto, limitandosi a sospirare
-Mi dispiace farti pesare la situazione. Mi rendo conto di non essere un buon marito da un po’ di tempo ma tu non hai fatto nulla, te lo assicuro-
Lei aveva preso fiato, poi aveva abbassato gli occhi
-Merlin è andato via oltre un anno fa… Credevo davvero…-
-Cosa centra Merlin adesso?- aveva domandato lui nervosamente allontanandosi, iniziando a passeggiare su e giù –Merlin non è qui e con il nostro matrimonio non centra niente-
Ginevra aveva alzato il mento, fiera e non lo aveva perso di vista. In quegli occhi scuri –troppo scuri-, lui aveva letto una tristezza infinita
-Ti ricordi Arthur cosa ti ho detto quando ho accettato di sposarti? Con tutto il mio cuore- Gli aveva preso la mano e gliela aveva stretta. Lui aveva trattenuto il fiato e lei si era schiarita la voce –Per me è ancora così: con tutto il mio cuore- aveva scandito piano. Gli aveva posato una mano sul petto, proprio sopra a quel tamburellare. L’anello che lui le aveva donato brillava freddo alla luce delle candele –Dimmi Arthur, anche per te è ancora così?-
Il cuore gli si era stretto in una morsa gelida e le labbra si erano sigillate, improvvisamente mute. Sembrava che ogni cosa tacesse, perfino il suo cuore.
Vide la sua fierezza sgretolarsi e quella che era stata l’amore della sua vita allontanarsi di qualche passo, staccandosi da lui come se bruciasse
-Arthur ti stai ingannando. Non è Merlin a non centrare niente qui… sono io-
E se n’era andata, richiudendo la porta dietro di se.
Di tutto quello che Arthur avrebbe pensato di provare in un frangente simile, con ancora il tonfo della porta chiusa nelle orecchie, il sollievo non era nell’elenco. Quei benedetti conti…
Si era limitato ad andare alla finestra e ad appoggiare la testa contro il muro
“Dove sei, stupido idiota?”
 
Ginevra da quel momento dormiva in un’altra stanza. La corte non aveva fatto commenti, o almeno non davanti a lui, e Gaius era stato l’unico a sospirare scuotendo il capo
-Sono troppo vecchio per queste cose- aveva semplicemente commentato.
Lui e Ginevra continuavano a fare i sovrani come se nulla fosse, comportandosi normalmente davanti a tutti, ma oltre a quello non avevano più rapporti di alcun genere. Lei era troppo orgogliosa per piangere e pestare i piedi, per cedere, e a lui andava bene così.
Erano stati vicini anche durante tutto il torneo che si era svolto quella settimana ed era stata sempre Ginevra a incoronare il vincitore, proprio come si conveniva, mentre Arthur lo premiava.
Ma era stato lui a essere premiato nel modo migliore possibile.
Mentre finiva di pronunciare le parole di rito, la polvere che ancora non si era completamente posata sull’arena, il popolo ancora fremente ed eccitato dai combattimenti, sopra le loro teste era esploso enorme, in mille colori, lo stemma del vincitore, tre spighe dorate su campo verde. Era stato così improvviso che si erano levate urla e schiamazzi, prima di trasformarsi in grida ammirate, risate e battiti di mani e piedi
-Ma… Arthur e questo?- aveva domandato Ginevra prendendogli la manica del braccio
-Non lo so, non capisco cosa sia- aveva risposto abbassando gli occhi verso la folla
-E’ una magia vero?- aveva domandato ser Lion senza schiodare gli occhi dalle piccole esplosioni nel cielo –Oh, ora c’è il vostro stemma Sire-
Arthur aveva alzato gli occhi al cielo, ed ecco il drago dorato su campo rosso. Si era sporto dalla balaustra, aveva abbassato gli occhi e… Merlin era lì,  in piedi all’ingresso dell'arena da cui entravano i cavalieri in lizza per il torneo. Vedeva distintamente gli occhi dorati, la mano appena sollevata, il sorriso sul volto coperto da un leggero strato di barba scura, il mantello blu a ricoprirlo completamente.
Anche Ginevra lo aveva visto, e lo aveva trattenuto per il braccio, con una fermezza inquietante
-Prima i tuoi doveri di sovrano Arthur. Devi chiudere i giochi, ricordi?-
E lui lo aveva fatto appena si era ristabilita la calma e il cielo aveva smesso si scoppiettare. C’era il banchetto a cui presiedere ma c’era tempo e lui lo aveva già perso di vista.
Perché Merlin non rimaneva mai dove lo lasciava?
Aveva praticamente corso per raggiungere gli appartamenti di Gaius, non aveva badato a nessuno, era solo… andato. E aveva spalancato la porta con un impeto non proprio ben trattenuto. Merlin sedeva al tavolo, una minestra fumante davanti al viso mentre rideva per una cosa che gli stava raccontando il medico. Aveva abbandonato il mantello blu e ora indossava una semplice casacca del medesimo colore, brache nere e fazzoletto al collo dello stesso colore che stonava così tanto da fargli arricciare il naso.
Ed era una cosa stupidissima da notare.
Ma c’era Merlin lì, con i suoi occhi blu che ora lo guardavano sorpreso, il sorriso aperto, le lunghe dita appoggiate al tavolo mentre si alzava in piedi, i capelli neri più lunghi di quando se ne era andato che andavano a coprire le sue stupide orecchie e la barba accennata che gli copriva le guance
-Sei qui- aveva soffiato sconvolto e lo Stregone aveva riso annuendo. Poi aveva appoggiato un ginocchio a terra e aveva abbassato la testa
-Sire, Merlin è tornato come promesso. Scusate se ci ho impiegato così tanto-
Arthur lo aveva afferrato per il braccio e alzato in piedi quasi di peso, mentre lo abbracciava stretto, il naso affondato nei suoi capelli, il sorriso che non era riuscito a trattenere nascosto nel suo orecchio. Era ancora un po’ più alto lui di Merlin, quello almeno non era cambiato e la cosa gli faceva un po’ piacere
-Ben tornato a casa-
 
Era stato strano. Merlin si era presentato quella sera davanti a tutta la corte ed erano iniziati i festeggiamenti, sia per il suo ritorno e sia per la fine del torneo. Il moro era rimasto sorpreso dalla freddezza di Gwen ma Arthur non gli aveva spiegato il motivo, anche se sapeva che presto ne avrebbero dovuto parlare. Non era potuto stare con lui quanto avrebbe voluto perché aveva degli ospiti da intrattenere, ma aveva udito stralci di conversazione su questo o quello e si era sentito così orgoglioso di lui, ma anche così irritato che avrebbe voluto urlare a tutti di andarsene. Era il Re! Perché non poteva sentirli per primo i racconti di Merlin?
Una cosa però aveva notato, una cosa che probabilmente se gli fosse stato vicino non avrebbe colto con tutta quella chiarezza: lo Stregone salutava e parlava con tutti, ma pareva cieco alle occhiate ammirate e devote di chi gli stava intorno; loro si avvicinavano, chinavano la testa e lui semplicemente ciarlava come sempre di tutto, senza badare al servo che lo ascoltava adorante, al cavaliere che gli rispondeva solo se Merlin gli poneva una domanda diretta, al nobile che lo lusingava ricercando i suoi favori. Merlin... era semplicemente Merlin, che se ne fregava delle etichette e non si rendeva conto di quale immenso salto aveva fatto da quando era solo il suo personale servitore.
Poi il moro si era congedato presto perché stanco per il viaggio e si era rifugiato nella sua vecchia stanza, lasciando di fatto lui a bocca asciutta e il resto della sala con la promessa che avrebbe finito i racconti sul suo viaggio un'altra volta.
Aveva dovuto aspettare il giorno dopo, ovvero quella mattina, per potergli parlare con un po’ di serietà
-Tu e i tuoi stupidi corvi- aveva esordito con un ringhio e Merlin aveva riso, la testa buttata appena all’indietro
-Non avevo sempre di cui scrivere, mi dispiace. I corvi sono buoni messaggeri e la natura mi ha offerto sempre il giusto spunto-
-Ah, non temere. Anche senza i tuoi dettagliati resoconti, le tue gesta hanno raggiunto tutti qui a Camelot-
-Oh- Merlin aveva avuto la decenza di arrossire voltando il viso per non farsi vedere. Erano sul camminamento delle mura, proprio nel luogo in cui lo Stregone gli aveva detto di voler partire. Erano passate delle guardie di ronda in quel momento e vederli chinare il capo sia a lui che a Merlin era stato assolutamente esilarante –Di alcune cose non vado fiero. Avrei preferito non lo scopriste-
-Briganti che camminano sulle mani. Balordi trovati a galleggiare per aria legati come salami. Guerre ai confini sventate con parole di pace. Dighe ricostruite dal nulla per evitare la distruzione di interi villaggi e raccolti. E molto, molto altro ancora- aveva elencato il biondo sbuffando seccato –Si, davvero cose terribili, dovresti proprio vergognarti-
-Non ci sono state solo cose belle Maestà. Ci sono state anche situazioni brutte e difficili- Merlin lo aveva osservato di sottecchi e si era morso le labbra, pensieroso –Che succede tra voi e la Regina? Gaius non mi vuole dire niente e ieri vedervi al banchetto è stato strano. Avete litigato forse?-
Arthur si era stretto nelle spalle, rispondendo come se parlasse del tempo
-Io e lei abbiamo dei problemi da qualche tempo. Si è anche trasferita in un’altra camera-
-Da qualche tempo?-
-Dei conti che non tornano ecco-
Merlin aveva alzato le sopracciglia sconvolto
-Con Ginevra? Con Gwen? Quali conti non tornerebbero scusa? Lei è Ginevra!- aveva balbettato e improvvisamente l’etichetta era stata dimenticata –Oh per tutta l’Antica Religione, Arthur cos’hai fatto? Perché di certo è colpa tua. Non ci posso credere, sto via due anni e voi due vi… cosa, lasciate? Ma perché?-
-Te l’ho detto: dei conti non tornavano. Smettila di preoccuparti, l’unico agitato qui sei tu non vedi?- Merlin aveva spalancato gli occhi, senza parole –Parliamo di cose serie invece-
-Serie? Cosa c’è di più serio della rottura tra il Re e la Regina…?-
-Merlin-
-Sta. Zitto- si era ordinato da solo e non erano riusciti a non ridacchiare
-Certe cose non cambiano proprio mai… Comunque, devi sceglierti un servitore- aveva esordito serio incrociando le braccia al petto
-Eh?-
-E devi procurarti un vestiario più adatto, sia per stasera che per il futuro. Quindi ti chiamerò un sarto o qualcosa di simile- aveva continuato scrutandolo da capo a piedi
-Eh?-
-So già dove starai. In realtà te lo avrei detto ieri ma sei fuggito ancora prima che te lo potessi comunicare, quindi di fatto è colpa tua, come sempre del resto-
-Eh?-
-La mia vecchia stanza sarà perfetta. Ho già dato ordine che venisse preparata e tutte le tue cose sono state traslocate lì- aveva concluso osservandosi la mano della spada con sufficienza
-No scusate un attimo perché mi sono perso e devo ravvivare il concetto: EH?-
Arthur, davanti alla sua faccia scioccata non era più riuscito a trattenersi e aveva riso di cuore
-Beh, non puoi dirmi che non te lo aspettavi!-
-Ma… non sarò più il vostro servitore?- aveva chiesto smarrito e… ferito? –Io credevo avrei ripreso le mie vecchie mansioni!-
“Sciocco, ingenuo, stupido Merlin” aveva pensato divertito scuotendo un po’ il capo “Non si accorge proprio di come lo guardano tutti ormai” –Certo che no. George…-
-George?-
-George, come ti stavo dicendo, è perfetto: la mia armatura non ha mai brillato tanto; la mia spada taglierebbe anche la pietra se solo provassi; il mio vestiario, le mie stanze, ogni cosa è sempre impeccabile e perfetta, perché per lui è un onore essere il mio servitore. Non posso proprio separarmi da George- aveva sospirato melodrammatico.
Aveva davvero faticato a non ridergli in faccia. Merlin aveva assunto quell’espressione irritata e altezzosa allo stesso tempo, l’orgoglio ferito nascosto da un broncio, le mani posate sui fianchi
-Sono lieto allora che abbiate trovato un mio degno sostituto- aveva sbottato
-Proprio come avevo detto, rammenti?-
-I miei complimenti Maestà, contro tutte le mie previsioni riuscite sempre nei vostri maggiori intenti- Si era voltato, rigido come un baccalà e aveva osservato l’orizzonte senza degnarlo né di un’occhiata né di una parola e Arthur si era goduto ogni istante, osservandolo
-Non vuoi sapere cos’ho pensato per te?- aveva sorriso sporgendosi verso di lui
-No. Non mi interessa-
Ma non era vero. Il suo tono nascondeva ben altro dell’irritazione
-Peccato- aveva commentato appoggiandosi alla pietra con le braccia incrociate, attendendo.
Un’attesa davvero molto breve
-Oh e va bene. Forza, ditemelo!-
-No, ora no-
-Arthur…-
-Merlin-
Si erano fissati e il moro aveva sbuffato
-Siete terribile, peggio di un bambino ecco-
-Te lo dirò, ma solo se rispondi a una mia domanda- Merlin aveva alzato il sopracciglio –Soffri ancora di incubi?-
Lo Stregone si era irrigidito deglutendo, il pomo d’Adamo che andava nervosamente su e giù, e come risposta era stata più che sufficiente
-E’ stato Gaius a dirvelo?-
-No- Al suo sguardo interrogativo aveva scosso il capo –Cosa sogni?-
-Io… non voglio parlarne-
Arthur gli aveva preso il gomito avvicinandolo a se. Le ciglia di Merlin aveva creato un’ombra sullo zigomo quando aveva abbassato gli occhi, la frangia aveva coperto la fronte e si era un po’ mossa per il vento
-Ti prego-
-Tu muori- aveva confessato in un sussurro così basso da essere quasi inudibile e Arthur aveva sussultato –Tu muori sempre. Sai, va com’è andata fino ad un certo punto, quindi all’inizio sono inquieto ma tranquillo: Mordred ti ferisce e noi ci dirigiamo verso Avalon, almeno finché la strada non ci viene sbarrata da Morgana. Ma… lei arriva troppo presto e noi siamo ancora così lontani… poi la uccido certo, la uccido sempre, ma noi siamo comunque troppo lontani per sperare di raggiungere Avalon e salvarti. Il sogno finisce appena vedo la barca su cui ti ho sistemato allontanarsi dalla riva per raggiungere il centro del lago. Mi sveglio sempre in un bagno di sudore, con la nausea ad attanagliarmi il petto e il cuore che pompa sangue al cervello come se me lo volesse spaccare. Tu muori e non io non riesco a salvarti-
Aveva iniziato a tremare e nel parlare gli aveva stretto il braccio di rimando, come a volersi ancorare alla realtà
-Ma tu mi hai salvato Merlin, non sono morto-
-Tu non ti rendi conto della fortuna sfacciata che abbiamo avuto! Se Morgana fosse arrivata un po’ prima, tu saresti morto, lo capisci?-
-Se se se… un sacco di se Merlin. Sei un idiota se perdi il sonno per una cosa del genere. Non è successo, mi senti? Non è mai successo. Sono vivo e vegeto e anche tu lo sei. E sono passati da quel giorno quasi tre anni-
-Lo so, ok? Ma mi spaventa. Sono terrorizzato ancora oggi da quel giorno, va bene? Cosa avrei fatto se ti avessi perso?- Aveva scosso il capo rabbrividendo –Non lo riesco nemmeno a immaginare, non voglio immaginarlo-
Arthur lo aveva stretto, forte. Aveva nascosto il viso nel suo collo e lo aveva solo stretto a se, lasciando che Merlin facesse altrettanto
-Per quello che vale… grazie per avermi salvato quel giorno. E per anche tutte le altre volte. Se non fosse stato per te Merlin tutto questo non ci sarebbe, Albion non esisterebbe-
-Non dire fesserie- aveva riso il moro –Ce l’avresti fatta benissimo da solo-
-No. Non ci sarei mai riuscito. È stato solo grazie a te, mettitelo bene in testa-
Arthur, stretto in quell’abbraccio aveva capito una cosa. Ma forse l’aveva capita anche prima. Era stato come un lampo nel suo cervello, un sussulto che lo aveva lasciato senza fiato. A dispetto di tutto era riuscito a trovare la forza per ridere e Merlin si era staccato da lui, perplesso
-Arthur?-
-No è che… quei conti… mi hanno inseguito per tutto il tempo e adesso…- Era stato scosso dalle risate e il moro lo aveva guardato confuso, attendo –I conti Merlin... i conti che tornavano a malapena… non capisci?-
-Siete impazzito vero?-
Aveva scosso il capo e lo aveva guardato divertito, finalmente consapevole
-Farai parte della Tavola Rotonda. Sarai il Sommo Stregone di Camelot, di tutta Albion. Sarai il mio braccio destro. Lo annunceremo stasera, è già tutto pronto se tu lo vuoi, devi solo dirmi di si-
Con immenso piacere, lo aveva visto rimanere senza parole
-Sommo… chi, io?-
-Tu si. Sommo Stregone-
-Io, nella Tavola Rotonda?-
-Certo-
-Braccio destro?-
Arthur aveva riso annuendo
-Si idiota, il mio braccio destro-
-Trasferito nella vostra vecchia stanza, quella che ho pulito per anni? Dormirò nel vostro letto?-
Oh. Quella era una prospettiva particolare
-Hai bisogno di una stanza adeguata e quella è perfetta. Tranquillo, come ti ho già detto, ora si occuperà un servitore di te, basta solo che tu lo scelga- Merlin aveva arricciato il naso alla prospettiva di farsi servire e lui lo aveva tranquillizzato assicurandogli che aveva il tempo che voleva per pensarci –Allora? Che ne dici? Qual'è la tua risposta?-
Il moro gli aveva sorriso, poi aveva chinato il capo
-Sarà un immenso onore Maestà-
 
Arthur tornò alla finestra, sorridendo divertito.
Quella sera Merlin, inchinato davanti al trono e rosso per l'imbarazzo, aveva quasi balbettato mentre ufficializzavano il suo nuovo incarico davanti a tutta la corte. Ginevra non gli aveva rivolto quasi un sorriso anche se l’idea era stata anche sua e Arthur si era ripromesso di parlarle, ma non quella sera
-Questi benedetti conti…- mormorò senza riuscire a trattenere le risate.
C’erano dei conti che non gli erano tornati. Conti che per tanto, tanto tempo l'avevano perseguitato. Pensando a dove e a quando era iniziata quella storia, quella sensazione, gli scappava da ridere -cosa che stava facendo poco velatamente da tutto il santo giorno. C'erano voluti praticamente tre anni per riuscire a dargli un nome, ma solo quel pomeriggio aveva capito quali conti si era ritrovato ad affrontare per tutto il tempo.
Perché ora che comprendeva si sentiva un vero e proprio asino reale
-Avrei dovuto riconoscerlo subito… e invece…- Alzò gli occhi al cielo e sbuffò un sorriso –Oh, per tutta Camelot. Io sono il Re!- esclamò al suo riflesso uscendo di gran carriera dalla camera. Si ritrovò quasi a correre per i corridoi e ser Parsifal, vedendolo venirgli incontro nel suo giro di ronda, lo lasciò passare senza fare un solo commento… o quello era stato un sorriso? “Gli darò un giorno libero” si ripromise aumentando il passo.
La sua vecchia stanza -la stanza di Merlin- aveva la porta chiusa e da sotto di essa c'era il buio completo. Ovviamente. Lanciò un'occhiata all'altezza della luna e...
“Si, sono proprio un asino” pensò sconsolato “Ma se non lo faccio ora non lo faccio più. E se poi ci ripenso?” Alzò il pugno per bussare ma imprecò a mezza voce riabbassandolo –Io sono il Re accidenti- sbottò e d'impulso aprì la porta.
Cento fiammelle galleggianti si accesero all'improvviso illuminando tutta la stanza. Merlin dava le spalle alla finestra, indossando solo le brache di quel giorno indosso, la mano sollevata verso di lui e gli occhi splendenti dorati lo inchiodarono sul posto, un passo dentro la stanza e uno fuori. Appena però l’ormai ufficiale Sommo Stregone si rese conto di chi era entrato nella stanza, abbassò la mano e molte fiammelle si spensero, lasciandone comunque alcune a volteggiare pigramente. Le fiamme crearono molte ombre, rendendo la stanza un piccolo universo intimo, permettendo ai due interlocutori di guardarsi in faccia
-Sire?- domandò sbigottito il moro –Cosa ci fate qui?- chiese e rendendosi conto all'istante della situazione andò a indossare al volo la sua casacca azzurra posata sulla sedia, con suo grande disappunto.
Arthur rimase immobile un minuto prima di entrare definitivamente e chiudere la porta
-Sono venuto a vedere se ti manca qualcosa-
Oh. Che idiota.
Merlin corrugò le sopracciglia
-Ehm... grazie. Ma no, sono a posto davvero- Si guardarono –Sire... voi sapete vero che ore sono?-
-Tu non dormi- gli disse sperando che il moro non notasse il suo rossore
-Se siete qui perché vi siete pentito e rivolete indietro la vostra vecchia stanza...-
-Cosa? No!-
-Ah- Si guardarono e stavolta le sopracciglia dello stregone schizzarono verso l'alto –Vi siete pentito della nomina che mi avete dato? Non so se è legale togliermela dopo appena qualche veglia-
-No- scandì il biondo roteando le pupille
-Ok. Quindi... è successo qualcosa? La Regina sta male? Avete preso una botta in testa? Perché già oggi pomeriggio non eravate propriamente in voi e mi chiedevo se per caso...-
-Merlin-
-Sta zitto- concluse il moro per lui prima di incrociare le braccia –Sa, ora che sono il Sommo Stregone non so se essere zittito da voi in questo modo sia propriamente corretto, visto che sono anche, testuali parole, il vostro braccio destro. E visto che sono il primo nella storia del regno, credo dovremmo creare una specie di regolamento ecco-
-Io sono il Re e io do gli ordini- Arthur lo sentì sbuffare ma lo ignorò facendo qualche passo verso di lui, poi si bloccò –Non stai dormendo- ripeté
-Meno male visto come siete piombato in camera- Arthur piegò appena la testa, rimanendo in attesa e lo Stregone roteò gli occhi –Credete davvero che mi piaccia dormire ora che sapete dei miei incubi?-
Sospirò e abbassò appena gli occhi prima di iniziare a parlare
-Devo... dirti una cosa. Anzi, devo chiedertela e non ero sicuro di poter aspettare domani. È tutta la notte che ci penso per trovare una risposta- Merlin divenne serio d'un colpo e annuì, ascoltando –Vedi è da quando sei andato via... anzi no, da prima, da quando ho riaperto gli occhi ad Avalon, che ho la sensazione che i miei stessi conti non tornino. Scoprire di te mi ha fatto completamente perdere la strada, mi sono sentito un ubriaco sul mio stesso trono. Tutto quello che sapevo, tutto quello di cui ero certo, tu l'hai rivoltato come un guanto sbattendomelo in faccia e lo cosa mi ha sconvolto ben più profondamente di quello che puoi anche solo immaginare. Tu eri il mio servitore, ma improvvisamente non lo eri più e al suo posto c’era questo altro te che non avevo mai visto ma che allo stesso tempo era così simile al mio servitore, con le sue idiozie, l’impertinenza e tutto il resto che rendeva te… beh, te-
Merlin, durante il suo discorso, aveva trattenuto il fiato irrigidendosi
-Oh- mormorò distogliendo lo sguardo, deglutendo a vuoto –Mi spiace, io... sapete che vi ho tenuto nascosta la mia natura perché non volevo mettervi nella condizione... ma questo non…-
-So perché lo hai fatto e ti avevo già perdonato in quella radura, lo sai. Merlin, ti ho perdonato senza battere ciglio… va beh, tralasciando i primi istanti di smarrimento- Arthur gli si avvicinò –Ma non stai cogliendo il punto, come sempre-
Merlin lo fissò pensieroso
-Maestà non capisco-
-Parlo della magia che ho liberato. Tu lo sai vero che l'ho fatto solo per te? Certo, ora capisco bene che sono gli uomini a far pendere la bilancia, ma sei stato tu e solo tu la ragione per quell'editto-
Lo Stregone lo fissò e scosse il capo, le labbra strette
-Non ho mai voluto che vi sentiste in debito con me...-
-Certo che sono in debito- Arthur fece un altro passo verso di lui –Non solo per tutto quello che hai fatto in passato per me e Camelot, ma anche per tutto ciò che hai continuato a fare in silenzio in questi due anni: ho sentito dire su di te così tante cose su come ci hai protetti e non sono nemmeno sicuro sia tutto! Merlin, in tutto questo tempo non mi hai mai chiesto niente, non hai mai voluto niente-
-Io...- Il moro si era agitato, diventando improvvisamente nervoso. Guardò ovunque tranne che verso di lui e Arthur si avvicinò ancora, le fiammelle intorno a loro che ruotavano impazzite
-Parlo degli abitanti di Albion, contadini, cavalieri e nobili, che ti adorano, come puoi non essertene accorto? Parlo della Regina Annis che ci ha visti insieme quanto? Tre volte? E ha capito prima di me. Parlo di Ginevra che mi ha praticamente sbattuto in faccia chi tra noi era l’intruso nel rapporto lasciandomi libero, qualcosa che all’epoca a malapena intuivo senza afferrarlo in pieno- Prese fiato. Il moro respirava quasi a stento, guardandolo con i suoi occhi blu striati appena d’oro, come se non riuscisse a contenere la magia –Merlin, tu non ti rendi conto di come ho passato questi due anni-
-Voi scherzate… Non potete starmi dicendo che sono proprio io la causa della fine del vostro matrimonio-
-Sono io la causa della fine del mio matrimonio. Tu centri solo indirettamente-
Merlin si portò la mano tremante al viso, forse per cercare la calma. Una calma che Arthur non gli voleva concedere affatto
-Per questo Gwen non riesce quasi a guardarmi?- mormorò il moro a se stesso
-Merlin- Arthur gli afferrò il braccio avvicinandolo –Ora ti chiederò una cosa e ti ordino di essere sincero, almeno come lo sono stato io-
Gli occhi blu dello stregone lo aveva fissato impauriti e aveva cercato di tirarsi indietro
-Arthur per favore, no. Non ti rendi conto… non hai idea…-
Ma lui non ne voleva sapere e lo spinse contro il muro, al diavolo l’etichetta
-Se non vuoi ascoltarmi allora dovrai usare la magia per mandarmi via, Emrys- lo sfidò. Gli occhi del moro si tinsero d'oro, il braccio che il biondo stringeva venne attraversato da una lieve scossa prima di sentirlo abbandonarsi contro il muro alle sue spalle, gli occhi chiusi
-Non potrei mai farlo- Tornò a guardarlo, occhi blu nei suoi, fingendo un coraggio che evidentemente non aveva e annuì –Forza chiedi-
Arthur lo tenne contro il muro e si avvicinò ancora di più a lui, in un modo che mai li aveva visti prima. Sentiva il respiro dell’altro direttamente sulla sua guancia e rabbrividì appena
-Dimmi Merlin... cos'è che vuoi?-
Il moro trattenne il fiato, lo sguardo gli cadde inconsapevolmente sulle sue labbra prima di distoglierlo velocemente arrossendo
-Quello che voglio io è irrilevante-
-E se lo volessimo entrambi?- Lo strinse di più avvertendo il cuore dell’altro saltare un battito –Guardami- Lo pregò? Ma Merlin lo fece, socchiudendo gli occhi –Non mi hai risposto-
-Tu non capisci- mormorò –Nemmeno tu sai cos’ho passato. Te l’ho detto, non ci sono stati solo bei momenti- Respirò a fondo –Il fatto che soffro d’incubi in cui tu… è solo la punta dell’iceberg. Ti rendi davvero conto di quanto tu sia stato vicino alla morte, quel giorno ad Avalon?- gli domandò
-E’ una cosa passata-
-Si e sei vivo. Sei vivo ed è la cosa più straordinaria, la cosa più bella di tutte- ammise con sincerità –Sai cos’hanno significato per me quei giorni? C’era questa profezia che gravava sopra di noi, sopra di te, in cui saresti dovuto morire. Io ero senza magia, ho fatto di tutto e sono comunque arrivato in tempo. E cos’ho fatto? Mi sono occupato del resto mentre tu venivi trafitto da Mordred e io lo sapevo!- Arthur lo guardò ridere istericamente mentre si aggrappava a lui, il capo chino, le fiamme che si spegnevano una dopo l’altra lasciandoli al buio –L’angoscia che ho provato… il sollievo nel vederti vivo non lo dimenticherò mai… Non sei stato solo tu quel giorno ad aprire gli occhi, ma anche io. Ma tu sei sposato con Ginevra e mi faceva vergognare quello che provavo così ardentemente, perciò ho provato, devi credermi, ci ho provato davvero a mettermi da parte, perché io voglio bene a Ginevra, la rispetto e mai mi sarei permesso di rovinarle la felicità. Ma allo stesso tempo stavo cadendo in questo tunnel, in questo baratro oscuro e no, proprio non riuscivo più a essere com’ero prima: sono dovuto fuggire, me ne sono dovuto andare, la scusa di portare la nostra parola in tutta Avalon era perfetta, indiscutibile. Sai quante volte avrei voluto tornare indietro da te?- La luna che illuminava la stanza rese tremolanti i lineamenti del moro che sospirò.
Arthur allentò appena la presa su di lui e provò a guardarlo in faccia
-Merlin…-
-Cosa voglio mi chiedi? Arthur, se io inizio a volere e a chiedere e a pretendere, dopo non mi fermerò più, perché a dispetto di ciò che tutti possono credere sono un maledetto egoista. Quindi stai bene attento quando mi chiedi cosa voglio, perché sono già fuggito una volta da quella domanda e non sono sicuro di avere la forza per rifarlo-
-Guardami- gli ordinò. Gli alzò il viso con la mano e rimasero fermi a guardarsi seri. Lo Stregone aveva il viso arrossato ma era ben saldo nelle sue convinzioni e Arthur gli si allontanò di qualche passo, per cercare di vedere il quadro generale… ma era così chiaro –Sei un idiota, perché anche tu avevi capito prima di me e invece di parlarmene te ne sei andato-
-Ginevra…-
Arthur lo bloccò, alzando la mano
-Ginevra niente, te l’ho detto no? Lei lo sa e ormai non ci si può più fare niente. Io non ci voglio più fare niente- Fece un altro passo indietro e si ritrovò al centro della stanza. Il moro seguì il suo movimento, accendendo due pigre fiammelle che volteggiavano sopra le loro teste –Voglio che tu me lo dica Merlin. Voglio che tu pretenda. Voglio che tu chieda. Voglio che tu… voglia. Perché io sono vivo, tu sei vivo e sono davvero stufo che i miei conti non tornino se tu non ci sei. Quindi dimmelo, dimmelo e basta-
Lo Stregone trattenne il fiato un solo secondo, gli occhi appena spalancati, prima di raggiungerlo, gli ultimi due passi quasi di corsa. L’impeto del moro lo fece barcollare all’indietro agguantandolo per la vita mentre Merlin gli prendeva il viso tra le mani baciandolo.
Ed era caldo, caldo come la vita che scorreva in entrambi.
Ad Arthur venne da ridere e Merlin rise con lui mentre cadevano sul letto come due ragazzini
-Abbiamo due anni da recuperare- mormorò il moro sulle sue labbra, gli occhi blu talmente splendenti da accecarlo.
Arthur gli tirò appena i capelli indietro e posò le labbra nella congiunzione tra il collo e la clavicola, sentendolo rabbrividire con piacere
-Abbiamo tutta la vita per farlo- dichiarò avanzando centimetro dopo centimetro sulla sua pelle, verso la gola
-Non andrò più via, promesso-
Il biondo gli lanciò un’occhiata di rimprovero e annuì, le mani che scorrevano sulla schiena coperta dalla maglietta
-Non ho nessuna intenzione di rimanere senza di te, proprio ora che i miei conti sono di nuovo a posto-
Il ragazzo rise e gli prese il viso tra le mani, sprofondando le mani nei suoi capelli
-Per l’Antica Religione, ma si può sapere che cosa sono questi benedetti conti?-
-Merlin-
-Sta zitto?-
-No. Baciami e stai zitto-
Merlin rise e obbedì, non senza aver prima borbottato un asino poco velato.
Forse un giorno glielo avrebbe detto, si ripromise il biondo ebbro della sua pelle lattea.
Merlin con i suoi occhi blu, i capelli neri, il fazzoletto intorno al collo.
Merlin suo amico da sempre, il suo servitore irriverente e sciocco.
Merlin lo Stregone, Signore dei Draghi, serio e ligio al dovere.
Merlin l’altra faccia della sua medaglia, il suo Destino, sempre presente, sempre pronto a sacrificarsi per lui.
E infine Merlin il suo amore, il suo amante, il suo complice e stavolta sarebbe stato Arthur a dargli tutto se stesso, a proteggerlo, a elevarlo al suo fianco.
Semplicemente Merlin e Arthur.
Ecco, i conti finalmente, tornavano.
 
  
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