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Autore: _Trixie_    24/10/2016    9 recensioni
Immediatamente successiva alla 06x05, “Street rats”, senza alcuna pretesa in particolare, solo un piccolo momento in più, la traduzione in parole degli sguardi di Emma per Regina e di Regina per Emma.
"Non lo so. Non so da dove iniziare. [...] Non voglio che tu muoia. Non voglio morire. Non voglio che una delle due muoia, non voglio che Henry perda una di noi".
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Immediatamente successiva alla 06x05, “Street rats”, senza alcuna pretesa in particolare, solo un piccolo momento in più, la traduzione in parole degli sguardi di Emma per Regina e di Regina per Emma.
Buona lettura,
T.
 
 
 
 
 
 
 
Alle Swen incontrate domenica,
perché a quanto pare il concetto di spoiler non mi è del tutto chiaro.
Mi dispiace tanto, mi comporterò bene d’ora in poi.
Forse.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
Promesse
 


 
«Hai visto? Come è possibile che non sia morto, dopo una caduta come quella?» domandò Hook, l’uncino rivolto alla televisione e un braccio intorno alle spalle di Emma, che non rispose. «Amore, hai visto?»
«Come? Cosa? Scusa, stavo… pensando».
Hook sospirò. «Avevamo concordato che guardare un film fosse proprio quello che ti serviva per distrarti da tutto quanto, per non pensare».
«Lo so, lo so, hai ragione, scusa» fece Emma, sentendosi improvvisamente a disagio.
L’uomo la strinse a sé. «Stai pensando a… al tuo destino di Salvatrice?»
Emma esitò. Si spostò, drizzando la schiena e sedendosi sul limite del cuscino del divano. Quella convivenza era iniziata solo da pochi giorni e già la ragazza rimpiangeva la mancanza di spazio personale. Sospirò.
Uno sforzo, per far funzionare quella relazione, doveva pur farlo, no?
E, poi, avevano promesso: basta bugie.
«Emma?»
«Sì e no. Non esattamente. In realtà… sto pensando a Regina, lei-»
«A Regina?!»
«Sì, credo che-»
«Perché diavolo stai pensando a Regina?»
«Se mi lasciassi parlare, invece di interrompermi in continuazione, forse-»
«Non lascerò che ti faccia del male, Emma. Quella figura incappucciata-»
«Non sappiamo nemmeno se è lei».
«E chi altri potrebbe essere?»
Emma si strinse nelle spalle. Non lo sapeva.
Poteva essere Regina, avrebbe potuto essere Regina. Era la spiegazione più logica, perché altrimenti avrebbe significato una sola cosa e cioè che Regina fosse morta e Emma non aveva intenzione di lasciare che questo accadesse.
Una parte di Emma, comunque, era convinta che sotto quel cappuccio non potesse esserci Regina.
Regina in quella visione, in qualche modo, c’era. Doveva esserci.
Ma non sotto quel cappuccio.
La ragazza strinse le mani a pugno. «Devo parlarle».
Si alzò dal divano, facendo cadere la coperta che aveva tenuto sulle gambe per scaldarsi.
«Ora? Con Regina?!»
«Sì, ora, con Regina» rispose Emma, infilandosi gli stivali e la giacca contemporaneamente, le chiavi del Maggiolino in bocca, una manica penzolante.
Si stava dando una mossa, Emma, come se fosse terribilmente in ritardo per l’appuntamento più importante della sua vita.
In ritardo di anni.
«Emma, lascia che ti accompagni!»
«Posso andare da sola» rispose la ragazza. «Devo andare da sola. Questa cosa riguarda me e Regina e Henry, non-»
«Riguarda te, Regina e Henry?! E io che posizione occupo, in questa famiglia? Nella tua famiglia».
Nessuna, pensò Emma, ma decise di tacere. Si morse il labbro e si infilò il cellulare in tasca. «Non starò via molto. Se succede qualcosa puoi chiamarmi».
«Emma! Guarda che ore sono! E hai i pantaloni del pigiama, addosso! Che diavolo ti è preso?»
La ragazza guardò verso il basso. Un paio di pantaloni bianchi con fini linee gialle e stampe di panini e patatine su tutta la lunghezza finiva inghiottito nei suoi stivali neri. Emma si strinse nelle spalle. Non aveva tempo per quello, doveva parlare con Regina.
«Torno presto!»
«Emma!»
La ragazza si chiuse la porta alle spalle.
 
 
***
 
 
Finalmente, la luce all’interno della casa si accese e Emma tirò un sospiro di sollievo. Smise di suonare il campanello e fece un passo indietro.
Il secondo successivo, Regina le aprì la porta.
«Emma! Stai bene? È successo qualcosa?!»
«Dobbiamo parlare»
«Sei venuta qui nel bel mezzo della notte, svegliando me e tuo figlio, terrorizzandoci con il suono dannato di questo campanello, solo per… parlare?»
Emma fece per rispondere, poi guardò oltre le spalle di Regina, attirata da un mugolio non meglio articolato.
Emma non aveva notato nulla, oltre la donna, quando il sindaco aveva aperto la porta. Regina portava una vestaglia nera che arrivava giusto al ginocchio, i capelli appena arruffati indicavano che doveva già essersi coricata a letto e sul suo viso non c’era traccia di trucco.
Regina Mills era bellezza.  
E aveva monopolizzato l’intera attenzione di Emma fin dal primo giorno in quella città, fin dal primo passo su quel vialetto, fin dal primo respiro di magia.
«Ehi, ragazzino» fece Emma, in direzione di Henry, che sbadigliava vistosamente mentre cercava di reggersi al corrimano delle scale.
«Torna a dormire, tesoro» disse Regina, dolcemente, prima di raggiungere Henry. Dovette salire tre gradini, uno in più di Henry, per potergli dare un bacio tra i capelli. Emma non poté fare a meno di sentire il cuore riempirsi di tenerezza. E poi avvampò, sentendosi in colpa, quando il suo sguardo scivolò lungo le gambe nude di Regina.
«Non preoccuparti, tua madre dovrà solo discutere dei rimorsi coscienziali per i suoi pessimi, pessimi gusti in fatto di pantaloni» disse il sindaco, spingendo delicatamente Henry su per le scale.
Il ragazzino mugugnò qualcosa sul fatto che si sarebbe riposato giusto cinque minuti, massimo dieci e poi sarebbe sceso.
Regina gli sorrise, ben sapendo che suo figlio si sarebbe addormentato come un sacco di patate fino alla mattina seguente.
Emma, nel frattempo, era entrata in casa e si era chiusa la porta alle spalle. Appese la giacca all’appendiabiti dell’ingresso e si tolse gli stivali, per evitare di graffiare il parquet di Regina.
«Comunque sono i pantaloni del pigiama, non li indosso di giorno. Nessuno vede come dormo. A nessuno interessa» disse Emma, quando Regina tornò verso di lei.
Il sindaco alzò un sopracciglio. «Mi era sembrato di capire che vivessi con il pirata, ora».
«A parte Hook» si corresse l’altra.
Regina le lanciò uno sguardo eloquente, ma non commentò oltre, e Emma preferì non soffermarsi sul significato di quell’espressione.
«Dobbiamo parlare» fece Emma, dirigendosi nel salotto di Regina senza attendere l’invito della padrona di casa e sedendosi sul divano a gambe incrociate.
Prese un cuscino e se lo mise in grembo.
«Mettiti pure comoda, Emma, non preoccuparti, davvero» fece Regina, sarcastica, seguendola. Si sedette di fronte alla ragazza, all’altro capo del divano.
Emma, facendo leva con le braccia, si avvicinò al sindaco. Il suo ginocchio toccò la coscia di Regina e il sindaco si ritrasse, come se fosse fisicamente possibile comprimersi su sé stessi o magari fondersi con la stoffa del divano.
«Cosa c’è?» fece Emma, una smorfia di incertezza sul viso.
«Niente» rispose Regina, la voce più acuta del normale.
«Regina!» fu l’esclamazione lamentevole della ragazza, che solo in quel momento notò la bottiglia di vino aperta, quasi vuota, sul tavolino del salotto. Alzò un sopracciglio in direzione dell’altra donna. «Sei ubriaca?»
«Signorina Swan, bevevo vino per colazione quando tu ancora avevi bisogno del pannolino» rispose il sindaco bruscamente. «Non sono ubriaca».
«Lo sai? È esattamente questo genere di risposta che mi conferma che sei davvero ubriaca».
«Non sono ubriaca. Potremmo gentilmente parlare di qualsiasi cosa tu voglia parlare così che io possa liberarmi della tua irritante presenza e tornare a dormire?».
Emma alzò gli occhi al cielo. «Come preferisci».
Regina attese. Emma la guardava, senza parlare.
E Regina sentiva il vino rosso scorrere nel suo corpo, irrigarle il cervello, facendole notare quanto belli fossero gli occhi di Emma e come fosse delicata la curva dei suoi zigomi e-
«Emma! Di cosa diavolo vuoi parlarmi?» sbottò Regina.
«Non lo so. Non so da dove iniziare» rispose la ragazza, sospirando. «Non voglio che tu muoia. Non voglio morire. Non voglio che una delle due muoia, non voglio che Henry perda una di noi».
Regina sospirò, si schiarì la voce. Se avesse saputo che Emma sarebbe piombata in casa sua per affrontare un argomento tanto delicato, quella bottiglia di vino non l’avrebbe nemmeno aperta.
E non solo perché il profumo di Emma bastava ad inebriarle i sensi.
«Ma se deve perdere qualcuno, deve perdere me» fece Emma.
«No!» urlò Regina, prima di poter controllare il tono di voce. Scosse la testa. «No!» ripeté, a tono inferiore, ma con maggior forza, ai limiti della minaccia.
In nessun universo avrebbe lasciato che succedesse qualcosa a Emma. Non solo perché era la madre di Henry, ma perché… perché era Emma.
«Regina, in questo momento ho bisogno che tu ricordi una cosa che mi hai detto molti anni fa. Mi hai detto che io potrò aver dato alla luce Henry, ma che tu sei sua madre, che sei tu ad aver cambiato ogni pannolino, tu ad aver curato ogni influenza, tu ad aver sopportato ogni suo capriccio1».
«No, no, Emma, lo sai che non è vero. Io… Non ero io. Sei la madre di Henry tanto quanto lo sono io. E tu meriti… di essere felice. Non lascerò che ti accada qualcosa di male».
«Reg-»
«Guardami negli occhi, Emma».
La ragazza tenne lo sguardo rivolto verso il basso, sul proprio grembo, dove stava torturando l’orlo del cuscino.
«Emma» ripeté Regina, afferrando il mento di Emma delicatamente e sollevandole il volto, fino a quando i loro occhi non si incontrarono. «Emma, non lascerò che ti accada nulla di male. Mi hai promesso di aiutarmi a cercare il mio Lieto Fine, ma io voglio che tu abbia il tuo. Non morirai, Emma. Non tu».
Gli occhi di Emma si riempirono di lacrime, la ragazza alzò una mano e la intrecciò a quella di Regina.
Regina era lì. Regina era sempre stata lì. E lì Regina doveva stare.
Emma non riusciva a pensare di svegliarsi un giorno, in una realtà priva di Regina Mills.
Una realtà priva di Regina era una menzogna. Era la menzogna in cui aveva vissuto i primi ventotto anni della sua vita.
Regina doveva restare, Regina nella sua vita doveva esistere.
«Nemmeno tu morirai» bisbigliò. «Regina, non-»
«Cosa? Potrei essere io la figura incappucciata. Non… Non io, io. Ma l’altra parte di me. E entrambe sappiamo cosa è necessario fare per sconfiggerla».
Emma scosse la testa.
«Lasciami qualche giorno, Emma. Lasciami qualche giorno per salutare mio figlio, per dire addio ad Henry. Poi sconfiggeremo la Evil Queen».
«No-»
«Emma, me lo hai promesso».
«No, non sei tu, non sei tu nel sogno».
Regina prese un respiro profondo. «Non possiamo rischiare. E la Evil Queen deve essere sconfitta in ogni caso. Sapevamo entrambe che questo momento sarebbe arrivato, solo… non credevo sarebbe arrivato così presto. Non voglio morire, Emma. Ma se questo sacrificio servirà a tenerti al sicuro… se terrà al sicuro te e Henry, allora sono pronta a farlo».
Il sindaco sorrise mestamente.
Emma non faceva che scuotere la testa, tenendo la mano di Regina tra le proprie all’altezza del cuore, grosse lacrime scendevano lungo le sue guance.
«Emma» insistette Regina. «Questa è la terza via di cui parlavamo».
«No» disse Emma, la voce ferma nonostante le lacrime salate che le bruciavano le labbra. «No. Questa è la via che non percorreremo. È una via che non esiste. Ho fatto una promessa, è vero, ma l’ho fatta secondo i miei termini».
Regina posò l’altra mano sopra quella di Emma.
«Regina, non puoi arrenderti, non puoi lasciarmi in tutto questo da sola. E se tu non ci fossi, nella visione, proprio perché hai pensato di…».
«Credi che la mia morte ti metterebbe più in pericolo della mia vita?»
«Sì» rispose Emma, senza esitare. «In quella visione non ci sei, Regina. E se… Regina, abbiamo sconfitto tanti mostri, insieme. E se tu non ci fossi per sconfiggere questo? E se io fossi sola e questa fosse la ragione per cui non sono abbastanza e-»
«Emma, tu sei abbastanza. E hai la tua famiglia, non-»
«Non lasciarmi da sola in tutto questo. Ti sto pregando, Regina. Non lasciarmi da sola».
Il sindaco, gli occhi a loro volta pieni di lacrime, deglutì. Strinse le mani di Emma.
Era egoista, Regina lo sapeva, quello che stava per dire era egoista.
Perché Regina avrebbe dovuto chiudere gli occhi, smettere di respirare, conosceva ogni genere di incantesimo, avrebbe potuto farlo da sola: smettere di vivere.
Ma Regina non aveva la forza di farlo, non aveva il coraggio di rinunciare agli occhi verdi di Emma.
Avrebbe dovuto uccidersi, Regina, ma l’unico modo in cui avrebbe voluto morire era per mano di Emma.
E Emma la stava supplicando di rimanere con lei.
«Non ti lascio, Emma. Non ti lascio» bisbigliò Regina nel silenzio, appoggiando la propria fronte a quella della ragazza.
«Promettilo».
«Promesso».
 
 
 
 
 
 
 
 
Nda
1 Riferimento a una battuta di Regina nel Pilot. Perché lo sappiamo tutti che Emma ricorda ogni e ciascuna parola pronunciata da Regina.
Grazie per aver letto,
T.
   
 
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