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Autore: Swamplie    25/10/2016    8 recensioni
School AU
Clarke Griffin è sul tetto del mondo, ammirata da tutta la scuola. Da tutti tranne che da Lexa Woods. L'indifferenza di Lexa nei suoi confronti è qualcosa che Clarke non sopporta, tanto che la sua prima missione è tormentare l'altra ragazza. Ma quando Clarke supera il limite, è costretta a lavorare insieme a lei per un progetto. Si rende subito conto di quanto poco conosce Lexa e se stessa, e capisce che ora tutto ciò che vuole è che Lexa la noti.
o
Clarke perde la testa per qualcuno che proprio non si aspettava.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Clarke Griffin, Finn Collins, Lexa, Octavia Blake, Raven Reyes
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 12
Scuse

Clarke, dopo aver aspettato che Lexa arrivasse, stava camminando con lei nel parcheggio della scuola, quando entrambe videro Octavia scendere da sola dal bus.

Clarke la seguì con lo sguardo, e si sentì in colpa. Sembrava il fantasma della persona che era una volta. Non si era preoccupata di truccarsi, e tutta la sua postura sembrava sconfitta. Ultimamente era stata vista per tutto il tempo da sola. Anche se Clarke continuava a innamorarsi sempre di più di Lexa e ad avere incubi su quello che lei e la sua amica le avevano fatto passare, la rabbia che provava nei confronti di Octavia stava cominciando lentamente a svanire. Dopotutto Clarke si era comportata ancora peggio con Lexa, eppure sembrava che la ragazza l’avesse quasi perdonata.

“Sai, è venuta da me un po’ di tempo fa e abbiamo parlato” disse Lexa dietro di lei, Clarke la guardò sorpresa. “Voleva scusarsi.”

“Davvero?” chiese Clarke.

L’Octavia che conosceva non si pentiva di nulla.

“Mhm” confermò Lexa. “È strano, siete diventati tutti così sentimentali.”

Gli occhi di Clarke ritornarono su Octavia e la guardò entrare nell’edificio un po’ prima di loro. Non si parlavano da 5 mesi. Forse era arrivato il momento di ascoltarla.

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Quando suonò la campanella per il pranzo, Clarke si diresse verso l’armadietto di Octavia e la aspettò lì. La sua vecchia amica la vide quando entrò nel corridoio e si avvicinò lentamente a lei.

“Hey.” Disse, ma suonava più come una domanda.

“Ciao.” Ripose Clarke.

Octavia sembrava quasi timida mentre, ansiosa, la guardava, chiaramente non sapendo cosa aspettarsi da Clarke dopo tutti quei mesi. Clarke, da parte sua, non
sapeva da dove iniziare.

“Vuoi pranzare con me?” si fece scappare alla fine.

Octavia sembrò provare a nascondere la sorpresa, ma Clarke riuscì comunque a vederla. Le ci volle un po’ per rispondere.

“Okay” disse, di nuovo in un tono che sembrava una domanda.

“Pensavo...” mormorò Clarke “che forse è arrivato il momento di parlare.”

Octavia annuì piano. Era stano che le cose fossero così imbarazzanti tra di loro in quel momento, quando prima condividevano e si dicevano tutto.

Fuori trovarono un tavolo da pic-nic, abbastanza isolato dagli altri studenti, che dava loro la privacy di cui avevano bisogno. Ora che Octavia era di fronte a lei,
all’improvviso non sapeva cosa voleva dirle. I motivi per cui era arrabbiata con lei cominciarono a rincorrersi nella sua testa. Come non fermava mai Clarke dal fare cose stupide. Il fatto che non sembrava mai avere rimorsi, qualcosa che fino allo scorso autunno Clarke condivideva con lei. Ma la ragazza di fronte a lei ora, eccome se sembrava dispiaciuta.

Alla fine Octavia sospirò, si sporse sul tavolo e guardò Clarke negli occhi.

“Mi dispiace, okay?” disse “ho fatto un’enorme cazzata, più di una volta e non sono fiera di me stessa, se questo è quello che pensi.”

“Per cosa ti dispiace?” Chiese Clarke.

Voleva solamente sapere quanto dell’atteggiamento di Octavia era cambiato.

“Per tutto.” Ammise “Fa schifo quando capisci che sei uno dei cattivi. Quando trattavamo il resto della scuola in quel modo pensavo che stessimo pretendendo il rispetto. Ma loro non ci rispettavano, loro avevano paura di noi. Non credo che qualcuno possa davvero rispettarti quando sei una persona così cattiva da non tenerti neanche gli amici. Da quando hai smesso di parlarmi, le uniche persone che vedevo regolarmente erano gli amici di Bellamy.”

Un’espressione di dolore attraversò il suo viso.

“Non voglio finire come loro” mormorò. “So che non siamo tanto migliori, ma almeno noi ci sosteniamo a vicenda. Voglio stare con persone a cui importa davvero di me, e ho capito che anche io ho bisogno di preoccuparmi di più della gente. Tutta la gente, non solo di quella che è vicino a me.”

“E lo fai?” chiese Clarke. Quando vide la confusione sul volto di Octavia continuò. “Ti preoccupi per le persone? O t’importa solamente di quello che possono fare per te?”

“Certo che mi preoccupo!” disse Octavia con enfasi.

Le domande di Clarke fecero riapparire l’espressione colpevole e abbassò lo sguardo sulle sue mani.

“Certo che mi preoccupo” ripeté in silenzio. “Continuo a pensare a come abbiamo rubato quelle pillole a Lexa. Non riesco a credere di essermi permessa a superare quella linea. Ho solo questa orribile sensazione, sempre. Penso a cosa sarebbe potuto succedere se... se le cose fossero andate male.”

Si mosse a disagio sulla panca, sembrando molto preoccupata. Clarke si bloccò per un momento. Di cosa stava parlando Octavia? Sembrava che sapesse più di quello
che Clarke pensava.

“Con andate male vuoi dire...”

“Voglio dire” disse Octavia, e fissò gli occhi pieni di preoccupazione dritti nei suoi. “Lexa è molto malata, vero?”

Oh cavolo. Clarke non sapeva cosa dire. Non aveva mai parlato con nessuno dei problemi di salute di Lexa, a parte Lexa stessa. Octavia non avrebbe dovuto sapere niente, e invece sapeva. Senza pensarci ancora, Clarke si arrese e sospirò.

“Si.”

Octavia annuì lentamente dopo quella conferma e abbassò di nuovo lo sguardo.

“L’avevo immaginato.” Mormorò. “Sai che ho dovuto dare una mano al reparto pediatrico dell’ospedale? L’ho vista uscire un paio di volte alla fine del mio turno, lei non mi ha vista però. E tutte quelle volte che mancava da scuola... Non è venuta per un po’ dopo quello che abbiamo fatto.” All’improvviso sembrava arrabbiata. “Come abbiamo potuto giocare con la sua salute in quel modo! Capisco perché non vuoi parlarmi. Diavolo, neanche io voglio parlare con me!”
 
Clarke si rese conto di un’altra cosa: ora era Octavia a credere che erano state le loro azioni a mettere Lexa in pericolo, e probabilmente se ne andava in giro con quel senso di colpa da mesi. Sentiva il bisogno di dirle che non era così. In parte perché era sbagliato lasciare credere ad Octavia di aver quasi ucciso una sua compagna di classe, e in parte perché le avrebbe permesso di capire bene le intenzioni della sua amica. Se Octavia avesse saputo che non aveva causato tutto il danno che pensava, si sarebbe sentita lo stesso in colpa o sarebbe ritornata la sua insensibilità?

“C’è una cosa che dovresti sapere.” Le disse. “Rubare le pillole non è stata la ragione per cui è peggiorata, anche se all’inizio anch’io pensavo che fosse così.”

Aspettò che Octavia sospirasse e lasciasse perdere la questione, invece si accigliò.

“Ma avrebbe potuto esserlo!” disse con una punta di rabbia verso Clarke. “Che cazzo di scusa è?”

Questo fece sorridere Clarke, perché quelle erano le esatte parole che voleva sentire.

“Lo so.” Disse “Ecco perché ho smesso di parlare con tutti. Tutti voi mi lasciavate continuare a fare quelle cose orrende e dopo aver visto le conseguenze non volevo essere mai più quel tipo di persona di nuovo.”

Octavia annuì comprensiva e sorrise triste.

“Siamo state terribili l’una per l’altra.” Disse. “Eravamo così piccole e stupide, e la combinazione ha portato irrimediabilmente al disastro.”

Clarke ridacchiò.

“E ne andavamo anche fiere.” Disse. “Non seguivamo le regole e avevamo l’attenzione di tutti.”

“Mi hai convinto a fare un tatuaggio, ti ricordi?” disse Octavia. “Mia madre andò su tutte le furie!”

“Tu sei quella che ha corrotto Raven ad hackerare il computer di Titus per rubare le risposte a tutte le verifiche a sorpresa di quel semestre!” si difese Clarke
scherzando.

“Tu sei quella che ha corrotto me a cominciare a spingere Lex..” Octavia si zittì quando si rese conto delle piega che aveva preso la conversazione. “Scusa” aggiunse.
Clarke la rassicurò con un sorriso triste.

“Si… eravamo parecchio terribili l’una per l’altra.”

“Possiamo non esserlo più però” provò Octavia timida. “Se vuoi provarci di nuovo, voglio dire. Possiamo aiutarci ad essere migliori. Mi piacerebbe migliorare. Puoi mettere tutti i limiti che vuoi, e io non mi avvicinerò alla tua ragazza, lo prometto!”

Le guance di Clarke diventarono rosse al modo in cui Octavia si era riferita a Lexa.

“Lexa non è mia.” Borbottò. Le fece male il cuore sentendosi pronunciare quelle parole.

“Ma vorresti che lo fosse.” Disse Octavia dolcemente.

Questa non era come tutte quelle volte in cui si prendevano in giro sui ragazzi, cercando di scoprire che aveva una cotta per chi. Octavia sapeva che con Lexa era diverso, e per quanto Clarke era arrabbiata con lei, sapeva che Octavia ci teneva a lei. Non aveva mai ferito intenzionalmente Clarke, e di conseguenza, Lexa.

“Si.” Rispose. “Credo che potremmo provarci. Ti dirò quando penso che ti stai comportando da stronza, e tu farai lo stesso con me?”

Octavia sorrise.

“Mi piacerebbe tanto” disse “Penso che Raven sarà felice di non essere più intrappolata tra noi due che litighiamo.”

“Come se non fosse già abituata!” Clarke alzò gli occhi al cielo. “Anzi, primo passo del nostro nuovo accordo è essere perfetti angeli con Raven, lei è la cosa migliore che abbiamo.”

“Lo è davvero.” Concordò Octavia, la sua voce piena di amore. “Cosa abbiamo fatto per meritarcela?”

“Quello che faremo da ora in poi.” Clarke sorrise e alzò il suo succo di frutta per un brindisi.

L’espressione felice sul volto di Raven quando più tardi si avvicinarono a lei al suo armadietto e la stritolarono in un abbraccio da entrambi i lati, fece valere al cento per cento il suo provare a rimanere amica con Octavia.

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L’orologio ticchettava sulla porta della biblioteca della scuola, sembrava che accelerasse ad ogni minuto. Ogni volta che Clarke lo guardava l’ora si avvicinava sempre di più alle 17. Mancavano solo 8 minuti, 5 minuti, 4... Stava seduta rigida sulla punta della sedia, tamburellando nervosamente con il piede.

Lexa era seduta sulla sedia di fronte a lei, le sue dita si muovevano sulla tastiera alla velocità della luce. La scrittura si fermò per un momento quando cominciò a scorrere freneticamente la pagina su e giù.

“Dov’è la parte sul quel dottore del Massachusetts?!” Urlò in preda al panico.

Clarke si voltò velocemente verso il suo schermo, dove la guardava una copia del progetto di Lexa. Fece scorrere le pagine, i suoi occhi analizzavano i paragrafi più veloci che potevano.

“Trovato!” esclamò dopo qualche secondo. “Alla fine di pagina 8!”

Lexa trovò la parte e ricominciò a scrivere di nuovo. L’orologio segnava altri 2 minuti restanti.

“Okay, finito!” urlò in trionfo. “Ho finito!”

“Si!”

Clarke non potè fare a meno di esultare a voce alta. La bibliotecaria non sembrava molto contenta, ma dato che erano le uniche lì, le lasciò fare. Sapeva che Lexa era sotto pressione.

“La sto stampando!” disse Lexa, e Clarke corse disperatamente per raggiungere più veloce che poteva la stampante.

Saltò sul posto, fissando la stampante e aspettando che uscissero i fogli. Non lo fecero.

“Non sta succedendo niente!” gridò voltandosi indietro verso Lexa, che stava dando dei colpetti più o meni violenti sul lato del computer, come se l’avrebbero fatto lavorare più velocemente.

“C’è qualcosa che non va con questa cosa!”

Lexa si era innervosita, lasciò andare un lamento.

“Non se ne parla, la mando a te! Proviamo da un altro computer!”

Cambiò postazione e Clarke si precipitò verso di lei, con la testa sopra la sua spalla, mentre Lexa apriva il progetto aggiornato e trovava la stampante. Quando premette ‘stampa’, Clarke corse alla stampante e aspettò. Di nuovo, non accadde niente.

“Cosa c’è che non va!?” ringhiò, dando un calcio leggero alla grande macchina.

Poi lesse sul display.

“Cazzo, c’è un foglio incastrato!”

Mentre apriva la parte alta della stampante per cercare il foglio che gli stava impedendo di consegnare il progetto di Lexa in tempo, Lexa era al suo fianco, a guardare anche lei nella macchina.

Infine Clarke trovò il foglio e lo tirò via un po’ troppo violentemente. Si strappò, ma riuscì a togliere tutti i pezzi. Chiuse velocemente la macchina, premette i tasti giusti e alla fine: si sentì il ronzio della stampa.

“Finalmente!” sospirò.

Entrambe guardarono nello stesso momento all’orologio, e s’irrigidirono quando videro che segnava le 17 in punto. Il professor Wallace era molto rigoroso riguardo le scadenze, odiava le persone che erano in ritardo e aveva assicurato che se un progetto arrivava anche un minuto in ritardo, avrebbe perso punti. Come se non bastasse, Lexa era stata ritardata quando l’influenza si era diffusa a scuola, e sua madre aveva preferito farla rimanere a casa per una settimana e mezza per non farla ammalare. Una scelta abbastanza ragionevole secondo Clarke, ma comunque Lexa si era persa un sacco di lezioni ed era più indietro di quando già lo fosse.

Sembrò che la stampante impiegasse un’eternità a stampare tutto. Lexa si era impegnata tanto e probabilmente la sua relazione era la più lunga di tutte quelle degli altri studenti. Quando finalmente vennero fuori tutte le pagine, Lexa le raccolse e le mise nelle mani di Clarke.

“Vai!” disse “Sei più veloce di me!”

Clarke non se lo fece ripetere due volte. Mezzo secondo dopo partì di corsa dalla biblioteca. L’ufficio del professor Wallace era dall’altra parte della scuola, e Clarke fu grata che i corridoi erano tutti vuoti e le permisero di correre veloce come mai aveva fatto prima.

La porta dell’ufficio era aperta, e finì per aggrapparsi allo stipite della porta per rallentare, poi slittò nella stanza con un’espressione quasi selvaggia.

“Professore!” ansimò, lui la guardò lievemente divertito. “Le ho portato la relazione di Lexa!”

L’appoggiò sulla scrivania di fronte a lui.

“Non abbiamo avuto il tempo per rilegarla.” Si scusò Clarke “Ma è tutta lì, finita.”

Wallace annuì con la testa nel momento in cui Lexa apparve sulla porta dietro Clarke, senza fiato per la corsa. I suoi occhi fissavano nervosamente il professore.

“Ce l’abbiamo fatta?” chiese e lentamente fece un passo avanti per affiancarsi a Clarke.

Il professore fece un cenno verso l’orologio digitale sulla sua scrivania che segnava le 17.01.

“Penso che vi meritiate un minuto in più per lo sforzo.” Disse e un sorriso mosse le sue labbra. “Grazie Lexa. Non vedo l’ora di leggere il tuo lavoro.”

Lexa si lasciò sfuggire uno squittio felice, mentre Clarke batté le mani entusiasta, e prima che se ne rendesse conto, erano saltate l’una nelle braccia dell’altra. Era successo spontaneamente, Clarke non riuscì a registrare nient’altro che la risata inebriante di Lexa dritta nel suo orecchio e il modo in cui la stringeva forte. Nello stesso momento, si resero conto insieme di quello che era successo e del fatto che il professore era ancora seduto lì. S’irrigidirono un poco e si allontanarono velocemente, guardandosi i piedi con lo stesso rossore sul volto: Clarke sfoggiando un sorriso imbarazzato e Lexa anche lei con gli angoli della bocca all’insù.

“Sono felice che ce l’abbiate fatta.” Disse il professore e quando Clarke alzò lo sguardo su di lui capì che era molto soddisfatto.

Quando lasciarono l’ufficio, Clarke rallentò un po’, guardandosi di nuovo timidamente i piedi facendo fermare Lexa.

“Cosa?” chiese Lexa. “C’è qualcosa che non va?”

Clarke la guardò sorridendole timidamente.

“Ho qualcosa per te.” Disse, improvvisamente nervosa di quello che Lexa potesse pensare.

“Cosa?” fu tutto quello che Lexa disse, non capendo quello che Clarke voleva dire.

“Un regalo.” Precisò. “Ti ho fatto qualcosa.”

Dopo mesi d’ispirazione, venuta tutta da Lexa, aveva dipinto una collezione intera di quadri che le ricordavano lei. Ma la settimana prima ne aveva dipinto uno molto speciale, uno che pensava che sarebbe piaciuto molto a Lexa. Mentre il suo tempo come assistente di Lexa stava giungendo al termine, la sensazione di non aver dato abbastanza ricominciò a crescere forte dentro di lei. Voleva dare a Lexa qualcosa di più, e se doveva essere completamente onesta, la ragione più egoistica per cui voleva darle un regalo era che voleva disperatamente che Lexa avesse qualcosa che le ricordasse Clarke. Stava per arrivare la fine di aprile, si sarebbero diplomate tra un mese e mezzo e Clarke avrebbe frequentato l’Arkadia University, mentre Lexa avrebbe seguito sua cugina a Polis. Sarebbero state lontane 6 ore di macchina, e Clarke trovava altamente improbabile la possibilità che Lexa facesse un salto lì per rivederla. Non era sicura di sapere quando l’avrebbe vista di nuovo dopo il diploma, cosa che stava cercando di non pensare molto, fallendo miseramente.

A quelle parole, l’espressione sul volto di Lexa fu di genuina sorpresa. Si sistemò i capelli dietro un orecchio in un gesto nervoso e guardò Clarke con occhi leggermente spalancati.

“Hai fatto qualcosa per me?” domandò.

Clarke sorrise e annuì.

“Vieni” disse, e fece segno a Lexa di seguirla verso il suo armadietto.

Cominciarono a camminare, Lexa dietro di lei.

“Vedilo come un ricompensa per tutto il lavoro che hai fatto per il progetto.” Spiegò, ma poi temette che Lexa avesse aspettative alte e fosse delusa, quindi subito aggiunse: “Non è granché, pero, l’ho fatto a casa. Ho solo pensato che ti potesse piacere.”

Si fermarono davanti all’armadietto di Clarke, lo aprì nervosamente rivelando i segni degli anni di scuola. L’interno era decorato con diversi ricordi che aveva raccolto negli anni: uno schizzo abbastanza carino che aveva disegnato quando era una matricola, foto stupide che aveva fatto con Raven e Octavia in una cabina fotografica, il biglietto per un concerto dei The Grounders... In quel momento quelle cose sembravano tutte così lontane. Allora era una persona diversa, e si rese conto che in realtà, non le sarebbe mancata quella parte della sua vita. Non vedeva l’ora di andare all’università come una persona migliore, e dare anche ai suoi amici la possibilità di essere migliori.

Spostò i libri davanti per cercare la busta di carta che aveva nascosto dietro. Il dipinto che c’era dentro era grande quanto un foglio di giornale e ci entrava appena nell’armadietto. Si voltò per trovare Lexa che la guardava curiosa, e le sorrise timidamente.

“Ti ho vista leggere un libro sul cielo notturno.” Disse, sentendosi in dovere di spiegare. “e dato che hai un calendario lunare a casa tua, ho pensato che fosse una tua passione...”

Lexa sollevò le sopracciglia sorpresa.

“Sei venuta a casa mia mesi fa, te lo ricordi ancora?”

Clarke sentì all’improvviso le guance diventarle rosse e si agitò un po’ sotto lo sguardo di Lexa.

“È difficile dimenticare qualsiasi cosa che riguardi te.”

Per superare l’argomento dell’eterno amore che provava per la ragazza che aveva di fronte, allungò la busta verso Lexa e quando lei guardò dentro e poi tirò fuori il dipinto, vide gli occhi della mora spalancarsi per la meraviglia.

Era un bellissimo disegno di un cielo di notte. La luna si rifletteva nell’oceano e su un lato maestose scogliere si ergevano dall’acqua.

“Wow” sussurrò Lexa, senza fiato. “Clarke, queste sono le vere costellazioni!”

“Lo so” Clarke sorrise. “Ho letto qualcosa e l’ho trovato davvero interessante. Non avevo mai notato le forme, per me erano solo stelle. Ma ora che ne so di più, non posso fare a meno di cercare le costellazioni per tutto il tempo ogni notte. La mitologia che c’è dietro le rende affascinanti. Ti ho dipinto le stelle dell’emisfero meridionale visto che, lo sai, non riusciamo a vederle da qui.”

Lexa finalmente staccò gli occhi dal dipinto e guardò Clarke negli occhi, come se stesse cercando di capire ogni parte di lei.

“Non sei come pensavo che fossi.” Mormorò.

Clarke abbassò lo sguardo sul pavimento imbarazzata.

“Non sono come ero prima.” Alzò le spalle. “Probabilmente ero esattamente come immaginavi.”

“Sei molto intelligente” continuò Lexa “Intelligente nel senso importante, non solo quello di scuola.”

“Proprio tu lo stai dicendo!” ribatté Clarke e le sorrise, tutto il suo corpo fremeva felice per quel complimento e per la ragazza da cui l’aveva ricevuto. “Quindi... ti piace?”

Lexa ritornò con lo sguardo al dipinto, sorridendo in adorazione.

“Certo che mi piace!” disse. “È incredibile! Non avevo idea... non sapevo che fossi così brava. L’hai davvero fatto tu?”

Avere Lexa che ammirava il suo lavoro con così tanto entusiasmo era probabilmente la cosa più bella che le era mai successa.

“Si, amo dipingere. Prima lo facevo sempre, mia madre e mio padre dovevano fisicamente trascinarmi via dal cavalletto quando arrivava l’ora di cena.” Ridacchiò piano a quel ricordo, ma poi il suo cuore si riempì di tristezza. “Non l’ho più fatto per tanto tempo, però. Non so neanche cosa fosse successo. Non mi riconoscevo più”

“Cosa ti ha portato a dipingere di nuovo?”

Quegli occhi versi la guardavano con tanta curiosità, completamente ignari di tutto quello che Clarke avrebbe potuto fare per loro. La risposta alla domanda sembrò immensa quando la pronunciò.

“Tu.”

Era solo una parola, ma sembrò che avesse riempito l’aria intorno a loro con una presenza fisica quanto il pavimento che avevano sotto i piedi. Clarke vide negli occhi di Lexa qualcosa che non aveva mai visto prima. Erano pieni di amore e adorazione, ed erano rivolti a lei. Qualche mese prima non aveva idea che l’unica cosa di cui aveva bisogno per essere felice era Lexa che la guardava in quel modo. Ora lo sapeva e voleva che non finisse mai.

Ma finì.

All’improvviso l’espressione di Lexa cambiò drasticamente. Al calore sul suo volto si sostituì un’espressione terrorizzata. Di colpo, il dipinto ritornò nelle mani di Clarke
e Lexa si passò nervosamente le mani nei capelli, sembrava che ci fosse una battaglia dentro di lei.

“Io...” mormorò, guardando dappertutto tranne che Clarke. “Mi dispiace Clarke, io non... non posso.”

Poi si voltò e corse via nel corridoio, lasciando Clarke in uno stato di delusione e confusione.
 
Una settimana e due giorni di attesa per accontentare un po' tutti ;)

Forse, fooorse, Lexa ha capito qualcosa. Ora deve fare un discorsetto con se stessa per chiarirsi un paio di cose. Clarke la darà una mano? Ovviamente si.
Alla prossima, amici ;)
  
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