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Autore: Word_shaker    09/11/2016    4 recensioni
«Hai notizie di Steve? Come sta?» chiese sedendosi sulla poltrona e godendosi - senza troppe ostentazioni - il calore della casa. Il suo volto era pallido, le sue labbra violacee, il braccio metallico congelato e diversi ciuffi umidicci di capelli erano attaccati alle sue guance. Sentiva il freddo scorrere fin nelle vene e cozzare dolorosamente con quella fitta di improvviso calore che ricopriva casa Wilson. Maledetta neve. Maledetta umidità londinese. Maledetto Natale.
«E chiedilo a lui, no?» gridò, irritato, fra uno sbadiglio e l'altro. James non gli era mai piaciuto. Adesso che si presentava il giorno della Vigilia di Natale dopo tre quarti d'ora stentati di sonno avrebbe potuto dire con certezza che - al diavolo lo spirito natalizio! - lo detestava con tutto se stesso.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Sam Wilson/Falcon, Steve Rogers
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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 «James? Che diavolo ci fai qui?».
Sam Wilson non riusciva  a tenere gli occhi aperti. Aveva la voce impastata dal sonno, un paio di spaventevoli borse sotto gli occhi e la testa che ciondolava pesantemente prima a destra, poi a sinistra.Come biasimarlo, visto che fino a due ore prima era in aeroporto ad effettuare il suo atterraggio?
«Devo parlarti» affermò bruscamente prima di entrare in casa, tremante di freddo. Se non l'avessero licenziato un paio di giorni prima, avrebbe comprato un cappotto senza buchi.
«A quest'ora?» domandò Sam chiudendo la porta, per poi massaggiarsi le tempie. Sarebbe stata una lunga giornata... «Sai, ho pilotato il volo Chicago-Londra stanotte» spiegò, certo del fatto che l'altro non avrebbe capito.
Bucky, infatti, ignorò totalmente l'informazione.
«Hai notizie di Steve? Come sta?» chiese sedendosi sulla poltrona e godendosi - senza troppe ostentazioni - il calore della casa. Il suo volto era pallido, le sue labbra violacee, il braccio metallico congelato e diversi ciuffi umidicci di capelli erano attaccati alle sue guance. Sentiva il freddo scorrere fin nelle vene e cozzare dolorosamente con quella fitta di improvviso calore che ricopriva casa Wilson. Maledetta neve. Maledetta umidità londinese. Maledetto Natale.
«E chiedilo a lui, no?» gridò, irritato, fra uno sbadiglio e l'altro. James non gli era mai piaciuto. Adesso che si presentava il giorno della Vigilia di Natale dopo tre quarti d'ora stentati di sonno avrebbe potuto dire con certezza che - al diavolo lo spirito natalizio! - lo detestava con tutto se stesso.
Sapendo che non si sarebbe liberato di lui molto in fretta, decise di andare in cucina e preparare il caffè.
«Il caffè lo preferisci con lo zucchero?»
«Sì, ma non mi hai risposto»
«E tu avresti potuto telefonare prima di piombare qui!»
«Ci ho provato, ma avevi la segreteria!»
«C'è un motivo se avevo la segreteria!».
Con passo felpato, James andò in cucina. In fondo, malgrado tutto, Sam l'aveva accolto in casa e gli stava offrendo un caffè. Gli doveva un minimo di comprensione. E poi, anche se non aveva ancora cantato, era convinto che lui potesse davvero aiutarlo. Altrimenti, perché fare tutta quella strada a piedi e presentarsi a quell'ora?
«Come sta Steve?» sussurrò al suo orecchio.
L'altro, non avendolo sentito arrivare, sussultò e poi urlò.
«SANTO CIELO, JAMES!» - esclamazione ironica, per un pilota di aeroplani! - «NON FARLO MAI PIÙ!
Sono le otto del mattino, non ho dormito, tu ti presenti qui e per qualche strano motivo mi chiedi di Steve. PUOI DARMI UN ATTIMO?»  
«D'accordo, ma non gridare: sono le otto del mattino...» rispose con un sorriso divertito.
Dopo un caffè - due per Sam -, le cose andarono decisamente meglio.

 

«Fammi indovinare: vuoi sapere come sta Steve»  commentò invitandolo a sedersi sul divano, mentre lui prese la poltrona. Temeva di addormentarsi nei primi trenta secondi se soltanto si fosse avvicinato a guardare il divano.
«Esatto» disse sedendosi.
«Non capisce perché tu abbia cominciato a fare lo stronzo. Dice che negli ultimi tempi sei diventato irriconoscibile, che ti irriti per tutto quello che lui fa o dice, ed è preoccupato per te. Sono due settimane che non lo chiami ed è preoccupato per te, ma ha paura di beccarsi una porta in faccia se viene a trovarti. Non ho idea di che cosa ti sia successo, ma di certo non posso farti i complimenti».
Bucky si coprì il volto con la gelida mano metallica - forse per farsi del male, per punirsi.
Nonostante Steve soffrisse per la sua assenza e per il suo atteggiamento, da ciò - sfortunatamente - non poteva desumere che lui ricambiasse i suoi sentimenti.
«Sai, Sam, per me Steve è tutto»
«Bel modo di dimostrarlo!»
«Sta' zitto!
Lui c'è sempre stato per me, e non ricordo un momento della mia vita in cui lui non ci sia stato. Forse è con lui che ho cominciato a vivere, non lo so. 
Ricordo che andavamo a scuola insieme e giocavamo nel prato durante l'intervallo. Veniva sempre pestato dai ragazzi più grandi e io lo difendevo. Alla fine gli davo una ripulita e gli pettinavo i capelli con le dita, perché altrimenti sua madre avrebbe finito il lavoro che i bulli avevano cominciato.
Ricordo anche le notti che abbiamo passato a bere, da ragazzi. Diventava brillo con un gin, allora. E quante volte mi ha coperto quando prendevo la macchina di mio padre senza permesso e senza patente!
Sai, tre anni fa ho avuto la meningite e hanno dovuto amputarmi un braccio. Ha passato intere notti con me in ospedale dicendo di essere mio fratello per non essere cacciato. La protesi è un suo regalo. Aveva risparmiato quei soldi per trasferirsi in America e diventare professore di storia alla NYU, e invece...»
«Allora perché hai cominciato a comportarti da perfetto coglione
«Ci sto arrivando, un attimo!
Un giorno - tre mesi fa, credo - eravamo a casa sua a guardare Il Trono di Spade sul divano. Quella serie non gli è mai piaciuta perché dice che "c'è troppo sesso", ma che per i miei commenti vale la pena di seguirla. Ci stavamo ingozzando di patatine, quando mi sono fermato a guardarlo. Si è accorto che lo stavo guardando e, prima che potessi voltarmi per tornare a concentrarmi sulla TV, mi ha sorriso. Era il sorriso più bello del mondo.
Allora ho realizzato che può succedermi tutto, ma finché c'è Steve c'è la mia felicità. Sono gay, Sam. Sono innamorato di lui... Probabilmente da sempre».
Quella confessione fu accompagnata da un funereo silenzio.
Bucky sentiva di aver fatto la scelta giusta: parlarne lo stava facendo sentire meglio, anche se - forse - Sam avrebbe complicato le cose, piuttosto che migliorarle. Ecco perché si era allontanato ed aveva cominciato a comportarsi in modo diverso con il suo migliore amico: aveva paura - e, al tempo stesso, la certezza - di essere rifiutato.
Sam era sconvolto. Non sapeva che cosa dirgli, perché non si era mai ritrovato davanti ad una situazione simile.
Fortunatamente, James ruppe quell'imbarazzante atmosfera ancora una volta: «A volte mi vergogno di me stesso, di quello che sono riuscito a fare e che ho fatto, ma lui mi fa sempre sentire come se non ci fosse assolutamente niente di sbagliato in me.
Sono innamorato di un uomo. Sono solo innamorato. Non devo vergognarmi di niente.
Piuttosto, ho paura che lui si vergogni di me, di avere un migliore amico innamorato di lui. Non so se l'hai notato, ma spesso è un po'...»
«...Retrogrado?»
«Be', sì»
«Forse è per questo che ha scelto noi come amici!».     
Bucky ridacchiò.
«Può darsi. Che cosa potrei fare?» domandò. Nelle sue parole, come una bambina iperattiva, la disperazione correva e giocava a nascondino.
«Diglielo» affermò Sam, secco. 
«Ma potrei perderlo!»
«Potresti perderlo comunque, se tu continuassi a comportarti così. Preferiresti rinunciare a lui per una bugia o per la verità? Pensa a tutto quello che avete passato, pensa a quanto sta male per te in questo periodo!»
«Quindi dovrei... Dirglielo?»
«Sì, Sherlock! In fondo, siamo a Natale... Quale momento migliore per dire la verità?»
«Odio il Natale. Ma sì, diamogli un senso. Andiamo a sputtanarci per amore».

Con il cuore che batteva ad una velocità surreale, James tornò a casa. 
L'idea migliore sarebbe stata organizzare un discorso, ma lui non era molto bravo con le parole. Eppure era costretto ad usarle e a sforzarsi di farlo meglio del solito, in questo caso.
Per evitare imprevisti come uno sgradevole groppo alla gola o le lacrime agli occhi, decise di prendere dei fogli di carta e un pennarello e buttare giù il discorso migliore che il suo cervello avesse potuto partorire in un momento tanto critico.

 

Quando si presentò a casa di Steve, quella sera, con la giacca tutta bucata e il volto bagnato di neve e lacrime, l'uomo sulla soglia della porta non capì perché il suo migliore amico stesse lì, al freddo, con il sorriso di un condannato a morte che contempla il suo ultimo attimo di vita e una serie di fogli fra le braccia.
Bucky, dal canto suo, lasciò che i fogli parlassero per lui.

"Caro Steve,
forse l'anno prossimo sarà diverso 
ed uscirò con un sacco di ragazze attizzate dal mio braccino di latta,
oppure farò le stesse cose di sempre... Chi lo sa?
Ma prima di voltare pagina
c'è una cosa che devo dirti
e ti assicuro che mi sta uccidendo.
Per favore, non vergognarti di me
anche perché non c'è nulla di cui vergognarsi.
Solo perché siamo a Natale
(e a Natale si dice la verità... 
Almeno, così mi ha detto Sam),
permettimi di dirti
che per me sei perfetto, Steve.
E il mio cuore straziato ti amerà
anche quando darai inizio ad un'apocalisse zombie.
Buon Natale, amore mio
".
Durante quella confessione, un briciolo di speranza fece tremare il cuore di James. Il suo amico era agitato e non si preoccupava di nasconderlo. I suoi occhi azzurri erano diventati, se possibile, ancora più azzurri. Erano lucidi. Sembrava che stesse trattenendo il pianto.
Alcuni cartelli avevano fatto ridere Steve, cosa che l'aveva aiutato - seppur in parte - a scaricare la tensione. Aveva davanti a sé un uomo sorpreso, forse anche compiaciuto.

Una volta terminato quel momento d'incertezza e di angoscia, Bucky raccolse tutti i fogli e si voltò, pronto ad andarsene. Non sapeva perché, ma all'improvviso il mondo sembrava un po' più freddo, vuoto e grigio - e dire che viveva a Londra!
Quell'istante non durò a lungo. Steve, cosciente di quello che sarebbe successo se fosse rimasto lì impalato, gridò: «Bucky! Dove vai?».
Cercando di non farsi illusioni, si voltò.
«Non lo so» ammise con un triste orgoglio che riempì i suoi occhi  e colorò il suo volto di una sfumatura biancastra. L'espressione del suo migliore amico lo stupì: sul suo viso poteva leggere comprensione, pietà, amore, desiderio... Tutto tranne che la vergogna che tanto aveva temuto. Sembrava un bambino che cercava coraggiosamente di avvicinarsi ad un cucciolo per accarezzarlo. Era così dolce...
Approfittando di quella silenziosa tensione, gettò i cartelli per terra, lo prese per i fianchi e lo baciò, tanto per accentuare tutto quello che si era sforzato di scrivere.
Nelle sue labbra non lesse altro che amore, un amore ingenuo che non vedeva l'ora di essere vissuto, di poter cominciare ad ardere con la dignità che meritava.
«Sai che cosa avevo chiesto per Natale?» domandò Steve quando tutto finì.
«No» rispose Bucky con un sorriso trasognato.
«Te».      




 

 

   
 
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