Portraits
Family
1977 - 1978
Blood, 180cm x 168cm x 187cm x 162cm
House Rukawa, Kanagawa
Se
qualcuno gli avesse chiesto qual'era il primo ricordo che aveva di
Keiko, sapeva cosa rispondergli.
Ovviamente,
non l'avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura che con la sorella
gemella avesse un rapporto che andava bene oltre la normale
fratellanza e tolleranza.
Già, loro si tolleravano, e molto
anche.
Il
fatto che avessero, bene o male, lo stesso identico carattere, li
portava a discutere silenziosamente anche per le piccolezze, ed erano
seguiti da un giorno di musi lunghi e mugolii, per poi riparlarsi a
monosillabi come se nulla fosse successo.
La Signora Rukawa aveva
perso le speranze a cercare di far instaurare tra di loro un minimo
di dialogo costruttivo, ma si risolveva sempre con un “va'
a
cagare!” da parte di uno verso l'altro. Sapeva
benissimo che
tra i due, quello più taciturno e distaccato era il suo
figlio
maschio e che doveva puntare sul senso di colpa della figlia femmina.
Il
problema di entrambi era l'orgoglio. Arricchito con un pizzico
abbondante di testardaggine, diventava un cocktail perfetto per il
caratteraccio dei caratteracci, e la Signora Rukawa era riuscita a
partorire non uno, ma ben due individui muniti di ciò, e non
sapeva
se esserne fiera o più spaventata.
Di
tutto ciò, il Signor Rukawa non era di certo immune.
Adorava i
suoi gemelli, come li chiamava affettuosamente in loro assenza, ma
spesso subiva il loro caratteraccio taciturno e scontroso e si
ritrovava a guardare con uno sguardo allibito la moglie, che invece
si scioglieva in una risata cristallina, ormai conscia dei due
adorabili mostri che aveva partorito.
Spesso,
il povero Nobuo Rukawa cercava di interagire con i suoi figli, alle
volte fallendo miseramente, altre stupendosi lui stesso di aver fatto
con loro un discorso più lungo di cinque sillabe.
E
dire che quando erano piccoli, era il loro punto di riferimento,
specialmente per Keiko!
Il
primo ricordo che Kaede aveva di Keiko era collegato, molto
probabilmente, alla culla. Ricordava a tratti questo fagottino rosa
che veniva poggiato al suo fianco, con i pugnetti stretti e una
piccola chiazza di capelli scuri sulla testa, gli occhi chiusi e la
bocca leggermente aperta per catturare l'aria e trasferirla nei
polmoni. Era solo un flebile flash che la sua mente gli riportava di
tanto in tanto, specialmente quando con la gemella aveva un
collegamento più forte, ad esempio se uno dei due era sotto
pressione per qualcosa, anche se la maggior parte delle volte era lei
a far scattare la scarica elettrica, semplicemente guardandolo negli
occhi.
Il
primo vero ricordo che aveva di sua sorella
risaliva al primo
giorno di asilo.
Keiko
aveva un delizioso vestitino con una gonna scozzese di un rosso
accesso che faceva venire il mal di testa non appena lo si guardava,
con le maniche corte e lievemente gonfie sulle spalle, mentre lui
indossava una semplice T-shirt con lo scollo a V e dei pantaloncini
che arrivavano sotto al ginocchio. Keiko si teneva stretta alla lunga
gamba di Nobuo Rukawa, guardando coi suoi occhioni blu le figure
degli altri bambini che giocavano a rincorrersi sul prato verde
brillante. Kaede si limitava ad osservare quegli stessi bambini con
indifferenza e le mani affondate nelle tasche dei pantaloncini. Suo
padre cercava, con poca convinzione a dir la verità, di
staccare la
gemella dalla gamba, imbarazzato davanti alla figura della maestra
che guardava incuriosita quella bambina con dei lunghi capelli neri
legati in due codine alte, frutto di quindici minuti di tempo
persi.
“Avanti Keiko, non vuoi giocare con gli altri
bambini?”
Kaede
guardò la maestra, per poi rivolgere gli occhi verso la
sorella, che
scuoteva il capo freneticamente e rintanando maggiormente gli occhi
dietro il completo grigio del padre, che s'imbarazzò ancor
di
più.
“Keiko...” sospirò, passandole
delicatamente una mano
sotto un braccio, cercando di staccarsela.
Avrebbe
avuto al limite quattro anni, ma Kaede decise che ne aveva abbastanza
di quella sceneggiata e si avvicinò alla sorella,
prendendole una
mano e stringendogliela leggermente. Si guardarono negli occhi,
così
simili ma nello stesso momento così differenti: Keiko aveva
delle
sfumature azzurrognole vicino all'iride e gli occhi più
dolci del
fratello, che al contrario erano di una sfumatura blu elettrico e dal
taglio affilato e freddo.
Sentì
le dita della mano di sua sorella stringere lievemente le sue, il suo
corpo rilassarsi e far capolino da fuori la gamba del padre pian
piano, sempre con più sicurezza, finché non venne
completamente
allo scoperto e rivolse un timido sorriso ai due adulti, che le
ricambiarono in fretta, loro padre con una punta di sollievo. I due
bambini si allontanarono da loro, avvicinandosi ad un albero di
ciliegio, non in fiore, per sedersi all'ombra di esso e continuare a
guardare quei vivaci bambini rincorrersi a vicenda.
La
maestra gli sorrise lieve “E' tutto l'impatto iniziale,
Signor
Rukawa. Vedrà che se la caveranno bene.”
Il
padre sospirò “Meno male che c'è il
fratello...”
Era
stato risoluto quella volta, ma più che altro
perché si era
scocciato abbastanza di quella situazione e voleva togliersi di torno
quella maestra rompiscatole.
Le giornate in casa Rukawa erano pressoché simili, ma quella sera fu diverso. Molto diverso, nonostante la Signora Rukawa aveva iniziato a preparare la cena allo stesso orario di sempre e con la stessa calma di sempre.
Suo
figlio era tornato a casa per primo, con un umore nero come il
carbone e sapeva benissimo che ogni minima azione o parola poteva
scatenare il suo fiume infinito di “va' a
cagare”.
Aveva
perso.
Lo
capiva dalle mani serrate a pugno all'interno delle tasche della sua
tuta, dagli occhi più freddi e distanti e dal viso duro ed
inespressivo, ovviamente più del solito. Lo vide varcare la
porta di
casa con la schiena ritta, con il benché minimo cenno di
orgoglio o
narcisismo e buttare il borsone con la divisa da basket sporca e
zuppa di sudore sul divano, salendo poi nella sua stanza in religioso
silenzio e meno colorito di grugniti ed altro.
Con
uno sospiro, la Signora Rukawa lasciò perdere il bollitore
del riso
ed afferrò la borsa del figlio, tirandoci fuori i panni
sporchi per
poi inserirli nella lavatrice dello stanzino lì vicino ed
avviare il
programma veloce, inserendo un misurino di detersivo, tornandosene
poi alle sue faccende.
Mezz'ora
dopo, anche sua figlia tornò a casa, chiudendo la porta con
meno
forza rispetto al fratello, ringraziando i Kami. La sentì
togliersi
le scarpe all'ingresso e camminare lentamente verso il salone,
buttando la cartella di scuola malamente sul divano, dirigendosi poi
in cucina.
“Ciao
cara.” esclamò la donna, rivolgendole un sorriso.
Keiko
la guardò, allungando gli occhi sulla pietanza che stava
cucinando e
dando una rapida occhiata alla tavola già imbandita per
quattro
“Pollo al curry?”
La
donna le diede le spalle, sospirando “Pollo al
curry.”
Lasciò
la madre alle sue faccende, salendo al piano superiore da suo
fratello. Sapeva che lo avrebbe trovato steso sul letto in ordine,
con la benché minima voglia di farsi un bagno. E
così fu. Non si
prese nemmeno la briga di bussare alla porta della stanza del
gemello, visto che non le avrebbe risposto, e si fermò alla
soglia,
aggiustandosi distrattamente il fiocco rosso della sua divisa
scolastica, che ancora toglieva.
“Non
mi conviene chiederti com'è andata, vero?” chiese.
Dal
letto, non provenne ne uno sguardo ne un'occhiataccia, che
solitamente erano il cavallo di battaglia di Kaede in ogni tipo di
situazione. Si appoggiò allo stipite della porta. Non era
poi
cambiato molto da quando era bambino... Guardando meglio il letto su
cui era steso, lo poteva vedere con lo sguardo d'acciaio fisso sul
soffitto e le braccia incrociate dietro la testa, le lunghe gambe
stese su un letto che nonostante fosse della sua misura, sembrava
sempre troppo corto per la sua continua crescita.
Sospirò
e si aggrappò lievemente alla maniglia della porta,
iniziando a
chiudersela alle spalle “Questa sera c'è il pollo
al curry”.
Sapeva che era il suo piatto preferito.
Alle
otto e tredici, puntuale come sempre, Nobuo rientrò a casa
dopo una
lunga giornata di lavoro come impiegato. Come sempre, posò
la sua
ventiquattrore su un bancone della cucina e si slacciò
lievemente la
cravatta che aveva addosso e che gli stringeva il collo dalle nove di
quella stessa mattinata. La cucina era satura di vapori ed odori
vari, in particolare del curry. Probabilmente, sua moglie aveva di
nuovo cucinato il pollo. Era il piatto delle partite: sia che suo
figlio vinceva o perdeva, la madre gli propinava sempre quel
dannatissimo pollo al curry, il suo piatto preferito, sia per
festeggiare sia per tirarlo su di morale.
Vide la donna di spalle,
indaffarata sui fornelli mentre la televisione era sintonizzata su un
canale che stava trasmettendo il telegiornale, anche se non lo stava
seguendo da un po'. Forse era quello ed il fatto di stare attenta a
non bruciare la cena, che non le fece sentire suo marito che
rientrava.
“Satsuki.”
la chiamò l'uomo, avvicinandosi al televisore e pigiando il
tasto di
spegnimento.
Come se fosse stata punta da un spillo, la donna
sussultò e si voltò alle sue spalle
“Nobu... Non ti avevo
sentito.”
“Pollo
al curry?” chiese l'uomo, sedendosi pesantemente a tavola,
già
apparecchiata per quattro.
“Pollo al curry.” affermò Satsuki,
spegnendo il fornello ed agguantando due pattine, per poter afferrare
la pentola senza scottarsi e metterla in tavola. Disse a suo marito
di iniziare a servirsi e si precipitò alla fine delle scale,
per
poter richiamare i suoi gemelli “E' pronto.”, per
poi sedersi a
tavola e riempirsi un bicchiere con dell'acqua.
Dopo circa cinque
minuti, il primo a scendere fu Kaede, che nel frattempo si era fatto
una doccia e si era cambiato, nonostante avesse ancora un po' i
capelli umidi. Si sedette anche lui e, aspettando che sua madre
finisse col mestolo, si servì una dose abbondante di pollo
al curry,
ignorando l'occhiata sottecchi che essa gli aveva rivolto. Vide suo
padre passarsi una mano stanca sui capelli neri, che iniziavano a
sbianchirsi un po' sulle tempie, ed afferrare un bicchierino di
saké
bianco e portarselo in bocca.
Poco
dopo scese anche Keiko, ancora in divisa scolastica, che prese posto
affianco al gemello, agguantando velocemente la brocca dell'acqua per
riempirsi il bicchiere anche lei. Salutò il padre con un
accenno di
sorriso e prese il mestolo del riso per mettersi la sua porzione di
cibo nella ciotola.
“Com'è
andata la partita, Kaede?” esclamò improvvisamente
il padre,
guardandosi complice con la moglie.
Keiko,
per poco non si strozzò col riso e si voltò
immediatamente a
guardare il fratello. Aveva alzato uno sopracciglio e rivolto
un'occhiata di ghiaccio al suo vecchio, ma continuò a
mangiare,
senza rispondere alla domanda.
Suo
padre capì, e passò a sua figlia “E a
te, Keiko? Oggi non avevi
da fare un compito?”
La
ragazza abbozzò una smorfia con le labbra, mettendosi una
ciocca
corvina di capelli dietro l'orecchio e mescolando con le bacchette il
suo riso “E' andato bene. Tra una settimana dovrebbe uscire
la
graduatoria di metà trimestre.” rispose tranquilla.
Nobuo
lanciò prima un'occhiata alla moglie, poi guardò
i volti dei suoi
figli chini sulla loro cena e fece un sospiro stanco. Più
crescevano
e più si accorgeva che si somigliavano sempre di
più, ogni giorno.
Quando erano usciti entrambi dal grembo della madre, si era stupito
che per quanto potessero essere gemelli, non si assomigliavano
affatto, anche se erano nati l'una a distanza di sette minuti
dall'altro. Mentre il maschio era nato piangendo anche l'anima e con
le mani aperte in cerca di afferrare qualcosa, la femmina era nata
più tranquilla, coi pugnetti rosa chiusi stretti, tanto che
l'ostetrica le dovette darle uno schiaffo sul sedere per vedere se
fosse tutto apposto. Ogni volta che Nobuo ricacciava quella storia,
aveva sempre un po' esagerato col saké e Kaede si ritrovava
a
lanciare un'occhiata sprezzante alla sorella, che sbuffava. Alla
nascita, erano più o meno simili nelle proporzioni, soltanto
che
Kaede superava Satsuki di parecchi grammi. Entrambi erano nati con
una zazzera di capelli corvini sul capo e le pelle chiara. Quando
finalmente aprirono anche gli occhi, rivelarono quattro perle blu
elettrico, che fece felice loro padre come mai prima d'allora: era il
colore degli occhi di Satsuki.
Col
tempo e crescendo, iniziarono a differenziarsi per fisico. Kaede si
era alzato moltissimo ed aveva superato il metro e settanta
già dal
primo anno di medie, mentre Keiko era ferma al metro e cinquanta, per
poi superare il metro e sessantadue al suo ingresso alle superiori,
mentre il fratello arrivava bellamente al metro e ottantasette. Anche
i tratti del viso di diversificarono: Kaede si era ritrovato con un
viso e con degli occhi dal taglio affilato, mentre Keiko aveva dei
tratti morbidi e degli occhi dolci. L'unica cosa che gli accomunava
era il tono della pelle, il colore degli occhi e dei capelli ed il
naso.
Eh
si, il naso.
Avevano lo stesso naso.
E la gente glielo
facevano notare. Sempre.
Inoltre,
crescendo, avevano sviluppato diversi interessi. Alle medie, Kaede si
avvicinò al mondo del basket, praticandolo amatorialmente
già da un
paio di anni in un campetto vicino casa, coinvolgendo ogni tanto
anche Keiko, e rivelando man mano un vero talento naturale, sbocciato
definitivamente alle medie, diventando il giocatore di punta del
Tomigaoka, fama che poi si portò anche allo Shohoku.
Se
suo figlio era un genio nello sport, sua figlia lo era nello studio.
Keiko
era intelligente e frequentava sia il corso di letteratura che quello
di lingua giapponese, rientrando sempre nelle prime cinque posizioni
delle graduatorie che venivano effettuate ogni metà
trimestre a
scuola. In realtà, lei non era un genio per talento,
solamente le
piaceva leggere ed aveva un'ottima memoria, che l'aiutava non poco
nello studio e nella vita extrascolastica.
Nonostante
fossero gemelli, l'uno non si era mai sentito inferiore all'altra, ne
viceversa. Entrambi i genitori sapevano che i gemelli avevano degli
interessi diversi, ed ogni tanto cercavano di aiutarsi a vicenda,
anche se quello che alle volte doveva essere aiutato di più
era
Kaede, dato che la sua media era sempre in bilico tra le
insufficienze e le sufficienze e perciò, quando si
avvicinavano dei
test o altro, riluttante andava a bussare alla stanza della gemella
per chiedergli di spiegargli qualche algoritmo o qualche passo di
giapponese antico. Avevano sempre frequentato le stesse scuole, ma
classi diverse. Era Keiko a scegliere la scuola e Kaede la seguiva a
ruota, appurando però prima quanto distanziasse da casa. La
madre
era conscia della pigrizia del figlio, ma sapeva anche bene che lui
sceglieva la stessa scuola di Keiko per controllarla. Non avrebbe mai
ammesso che era geloso o che soffrisse del complesso della sorella
minore, tuttavia voleva avere la certezza di avere la gemella a
portata d'occhi, e più o meno era sempre stato
così da quando
frequentavano le scuole pubbliche.
Inspiegabilmente,
a Satsuki venne in mente che anche Nobuo Rukawa era simile ai figli,
specialmente a Kaede, sia per aspetto che per carattere,
inizialmente. Dall'alto dei suoi quarantadue anni, suo marito aveva
imparato un po' a relazionarsi con le persone e perciò aveva
abbandonato quella cortina di freddo che lo caratterizzava quando
frequentava il liceo, dove aveva conosciuto lei e dove si erano anche
innamorati. Satsuki sorrise a quel pensiero: quanti anni erano
passati?
Guardò
il volto dell'uomo che aveva sposato e, nonostante un po' di rughe e
qualche capello grigio che spuntava ribelle, poteva riconoscere
l'uomo di cui si era innamorata a sedici anni come se fosse passato
solo ieri. Scosse un po' la testa, sorridendo sotto i baffi e
continuò a mangiare.
Nobuo
finì la sua porzione di pollo al curry e mise le proprie
scodelle
sporche nel lavello, congedandosi dalla famiglia per finire del
lavoro arretrato e togliendosi completamente la cravatta dal collo.
A
tavola rimasero solo Satsuki, Kaede e Keiko intenti a finire la
propria cena, in religioso silenzio, spezzato ogni tanto dal rumore
delle bacchette che si scontravano con la ceramica. Il figlio fu il
primo ad alzarsi, lasciando la scodella sul tavolo ed avviandosi
verso le scale.
“La prossima volta li batterai.” esclamò
improvvisamente la madre, alle sue spalle. Si voltò a
guardarla e la
ritrovò con un lieve sorriso delineato sul viso,
così simile a
quelli che ogni tanto spuntavano sul volto della gemella quando
leggeva il suo nome alla cima della graduatoria scolastica di
metà
trimestre. Anche Keiko lo guardava, ma se sua madre sorrideva, lei
aveva un boccone di pollo al curry in bocca.
“Batterò
Sendoh.” grugnì duro, scomparendo poi al piano di
sopra.
Satsuki
sospirò rassegnata, per poi voltarsi verso la figlia, che
nel
frattempo aveva ingoiato il boccone.
Keiko sbuffò “Chi?”
Salve
a tutti
Sono "relativamente" nuova in questo fandom, anche se è uno
dei primi che seguo da quando mi sono iscritta la prima volta su EFP.
Dai meandri del mio computer, ho trovato una cartellina minuscola con
ben cinque diverse varianti di questa storia, alcuni scritti in maniera
massiccia, altri semplicemente abbozzati. Non so precisamente cosa mi
è preso, ma grazie a due storie di questo fandom, che ho
letto in pressapoco un giorno, mi è venuta voglia di
riprendere in mano questa storia e di farla diventare qualcosa di
concreto e non semplici bozze. Ci sto lavorando da un paio di
giorni, nel tempo libero e nei buchi che ho sul lavoro, anche
perché dovevo ricordare che cavolaccio volevo scrivere ed a
cosa volevo arrivare alla fine, anche perché era scritta
anche un pochino da cani, ma capitemi: il più vecchio
documento che ho trovato risale al 2009!
Detto ciò, spiego brevemente il titolo della "raccolta", il
perché e la fascia temporale a cui faccio riferimento.
"Portraits", "ritratti", perché ogni capitolo
avrà un titolo ben preciso, non ci sarà nessuno
collegamento temporale tra un capitolo e quello successivo, a meno che
non ve lo scriva, e verranno pubblicati così come mi sono
venuti in mente, anche se temporalmente saranno sconessi tra di loro. I
titoli dei capitoli saranno come le descrizioni che potrete trovare
sotto una fotografia di un dipinto in un libro di storia dell'arte.
Perché questa scelta? Non lo so sinceramente, ma mi
è sempre piaciuta come idea e volevo sfruttarla prima o poi.
Temporalmente parlando, la storia è ambientata nel 1993 ed i
ragazzi del primo anno di liceo avranno quindici anni e così
via... La data riportata in questo ritratto è quella in cui
i cogniugi Rukawa si sono sposati (non c'era da specificarlo, ma
vabbè...)
Non
credo che ci sia altro... Non so quando aggiornerò, ma spero
di poterlo fare il prima possibile...
Ringrazio anticipatamente chiunque si fermerà a leggere
questa raccolta e chiunque abbia voglia di recensire, anche solo per
evidenziare degli errori (che sicuramente ci saranno)...
Vostra, Lu.