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Autore: Lifaen    16/12/2016    2 recensioni
"Incatenato a chi eri ed incapace di accettare chi sarai… Quanto vorrei poter sentire quelle grida che fingi non esistano."
"Mi hai legato ben bene, eh, Ferid."
"Siamo legate a lui, ma lui non lo sarà mai veramente a noi."
Alcuni vincoli possono essere infinitamente più saldi di legami fisici. Questa one shot tratta di quanto stretti possano diventare, o quanto possano essere percepiti come parte integrante di una personalità.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Crowley Eusford, Ferid Bathory, Mikaela Hyakuya
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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Che noia.
Ferid Bathory non aveva idea di quanto tempo avesse passato, seduto sul divano della propria immensa biblioteca, le gambe accavallate ed un libro in mano, con in testa quelle due uniche parole. Con l’uniforme da nobile che gli cadeva a pennello, i capelli d’argento raccolti in una coda di cavallo fermata da un fiocco nero e solo qualche ciocca che gli ricadeva ai lati del viso, il vampiro rilesse per l’ennesima volta la stessa riga, facendo scorrere i suoi occhi cremisi sulle parole senza preoccuparsi realmente di registrarne il contenuto. In fondo, comprendere qualcosa che già si conosceva non era solo inutile: era direttamente sciocco e privo di senso.
Inclinò lievemente la testa di lato con un sospiro, lanciando un’occhiata fuori dalla grande finestra, mentre il movimento del capo veniva accompagnato dall’ormai noioso tintinnio degli orecchini a forma di diamante dello stesso colore del sangue che si trovavano su ciascun orecchio. Nonostante tra lui e i suoi favoriti ci fosse una considerevole distanza, il barone poteva sentirli parlottare piano grazie ai propri sensi affinati, resi ancora più acuti dal totale silenzio in cui era immersa la sala di lettura.
Ferid si accorse, mentre pensava ai ragazzini che invitava in casa contro ogni regola, di stare iniziando a dimenticare il nome di qualcuno di loro. Si fece l’appunto mentale di uccidere quelli di cui non gli importava più alla bevuta successiva, e chiuse il libro, provocando un tonfo sordo che riecheggiò nella biblioteca silenziosa e vuota.
Mentre si alzava dal divano, appoggiò il libro su un tavolo e si avviò verso gli enormi battenti che collegavano la biblioteca al resto della villa; rallentò però il passo sino a fermarsi mentre passava distrattamente davanti ad uno specchio, lanciandosi uno sguardo con la coda dell’occhio.
Il suo aspetto era perlopiù invariato. Tutto era al suo posto su quello che lui stesso riteneva un bellissimo viso; ricordava che, quando aveva conosciuto Crowley Eusford, che ai tempi era ancora umano, questi aveva commentato come quella di Ferid fosse “una bellezza che era in grado di corrompere”.
Beh, rifletté tra sé e sé avvicinandosi allo specchio, non che non avesse ragione. Lui stesso ne è la prova più evidente.
Ogni tanto trovava sorprendente il suo amico; nonostante all’apparenza fosse semplicemente un bruto, un soldato estremamente forte e preparato, ed un terribile quanto inarrestabile combattente, e per quanto anche in termini di forza Ferid gli fosse comunque leggermente superiore a causa dell’età più avanzata, Crowley era anche da sempre in grado di essere sorprendentemente sottile ed acuto. Lo era stato durante la sua breve vita umana, e lo era anche da vampiro. Il fatto che la sua forza mostruosa fino a quel momento gli avesse evitato di dover pensare più del necessario ad una reale strategia non significava comunque che non ne fosse in grado. Era stato un cavaliere templare di alto rango, in fondo: non poteva essere uno stupido, o Ferid non si sarebbe mai interessato a lui tanto da trasformarlo.
Sì, Crowley aveva sempre avuto ragione sull’aspetto di Ferid. Lui stesso ne era rimasto affascinato, per quanto col tempo e con la conoscenza anche quella lieve attrazione si fosse ridotta a poco più che relativa simpatia; e nonostante nessuno l’avrebbe mai ammesso volentieri, quell’aspetto rassicurante e i suoi modi garbati gli erano di enorme aiuto nel farsi passare come più servile di quanto in realtà non fosse, o meno pericoloso di quanto non apparisse. In fondo, era anche grazie al proprio aspetto meno minaccioso di tanti altri e alla propria personalità apparentemente meno fredda che riusciva a procurarsi i bocconcini migliori da decadi.
Peccato solo aver perso l’ultimo… in compenso però ora ho nuovi modi per divertirmi.
Mikaela Hyakuya era stato l’ultimo ragazzino di cui non avesse dimenticato il nome; nemmeno il suo aspetto gli era sfuggito di mente, come neppure quel candore che sembrava emanare. Certo, forse era dovuto al fatto di passare lo sguardo su quella stessa persona almeno una volta al giorno per i motivi più disparati; nonostante tutto quello che era successo, nonostante tutto quello che Ferid gli aveva fatto, personalmente e meno, il giovane vampiro che non aveva ancora completato la transizione nell’immortalità sembrava sempre essere fortuitamente presente in almeno un luogo in cui si recasse.
E in tutta onestà doveva ammettere che la cosa lo divertiva in una maniera che lui stesso considerava strana e vagamente perversa.
Scosse la testa, uscendo dalla sala; probabilmente sarebbe stato meglio fare due passi. Forse un po’ di aria fresca l’avrebbe aiutato a schiarirsi le idee e a fargli trovare qualcosa o qualcuno con cui passare il tempo. I ragazzini, in fondo, non contavano sul serio. Se fosse stato particolarmente fortunato sarebbe anche riuscito ad incontrare Mika, lungo la strada.
L’aria fredda della città sotterranea gli portò alle narici il profumo dei piccoli esseri umani che la popolavano, quando aprì il portone della villa che venne prontamente rinchiuso da due servitori, mentre altri due gli si affiancavano con un rispettoso saluto. Ferid sorrise a ciascuno di loro, poi prese a camminare senza degnarli di una parola sulla sua destinazione; d’altronde, nemmeno lui la conosceva.
Sanguinem era pacifica come sempre era stata, con l’unica eccezione di quando, qualche tempo prima, Ferid aveva causato la catena di eventi che avevano condotto alla trasformazione di Mika in vampiro da parte della Regina dei vampiri del Giappone, il Terzo Progenitore Krul Tepes. I vicoli silenziosi della capitale erano come sempre estremamente noiosi, da quando Mika non li abitava più assieme al piccolo Yuu; qui, i ragazzini che vi scorrazzavano evitavano anche solo di incrociare il suo sguardo, ammutolendosi di colpo quando lo notavano, terrorizzati dall’idea di poter essere i suoi prossimi favoriti.
Ferid non avrebbe potuto chiedere piacere maggiore; lo divertiva vedere quale effetto la sua nomea e la sua presenza avessero sugli umani. Il modo in cui tremavano, come lo osservavano con attenzione, pronti a scappare non appena lui avesse fatto una mossa… adorava sentirsi al centro dell’attenzione.
Uscendo da una strada secondaria e scivolando lentamente in una nuova via più grande, gli venne voglia di sporgersi per osservare il passaggio sottostante mentre il resto della città si stagliava davanti a lui. La sua noia evaporò in buona parte quando i suoi occhi incontrarono una massa di capelli dorati sotto cui l’unico elemento distinguibile era la cappa bianca dell’uniforme nobiliare.
“Mika!” chiamò, sbracciandosi quando il ragazzo si voltò lievemente  sollevando lo sguardo per osservarlo. Nonostante la distanza Ferid poté osservare facilmente tutta la sua figura irrigidirsi, e lo sguardo azzurro del giovane farsi glaciale. Incontrare quegli occhi ancora di quel colore così intenso era sia bello che triste; ogni volta che lo incontrava, sperava di poterlo vedere tramutato definitivamente. I vampiri “congelati” pressappoco all’età attuale di Mika erano quelli che in assoluto preferiva sopra tutti gli altri.
“Che fortuita coincidenza trovarti qui, Mika! È un bel po’ che non ci si vedeva, vero?” continuò, sporgendosi ulteriormente dal parapetto. Lo sguardo dell’altro non lasciava trasparire nulla che non fosse disprezzo, e Ferid ebbe un ulteriore moto di divertimento quando il giovane si voltò per andare per la sua strada senza degnarlo nemmeno di un saluto.
Ferid a quel punto saltò sul parapetto, per poi lasciarsi cadere in basso, incurante dei richiami della sua guardia personale. Non aveva la minima intenzione di perdere l’occasione di fare quattro chiacchiere a tu per tu con Mika, senza la Regina tra i piedi. Atterrò con un tonfo sordo degli stivali, aggraziato come un gatto, e prese a seguire il giovane vampiro incompleto ignorando il fatto di stare venendo ignorato a propria volta.
“Su, su, Mikaela, non c’è mica bisogno di tenermi il broncio, sai?” continuò, seguendo i passi del ragazzino biondo con relativa facilità. “In fondo, quattro chiacchiere tra buoni amici non hanno mai ucciso nessuno” aggiunse, con una risatina leggera.
La risposta che ottenne fu semplicemente un silenzio gelido e totale. Tuttavia non gli passò nemmeno per l’anticamera del cervello di arrendersi; per quanto Mika potesse essere testardo, alla fine in un modo o nell’altro cedeva sempre, e finivano col chiacchierare almeno per qualche minuto.
“È una mia impressione o l’aria si sta facendo più calda, da queste parti?” domandò in tono giocoso, attendendo una rimbeccata sull’illogicità dell’appurare il maggiore o minore calore dell’ambiente in una locazione sotterranea.
Ancora nulla.
Da quel punto in avanti, Ferid decise semplicemente di parlare a briglia sciolta. Sapeva per esperienza che un simile atteggiamento poteva indisporre chiunque, e Mika non faceva eccezione; anzi, lui vi era molto più vulnerabile di chiunque altro. Ogni frase casuale che Ferid lanciava aggiungeva della frustrazione ai tentativi di Mika di ignorare la ricerca di un dialogo da parte del nobile, e, raggiunto un livello sufficientemente elevato di irritazione nell’atteggiamento del vampiro biondo, sarebbe bastata una singola frase (o addirittura un singolo nome) per far crollare il silenzio sussiegoso di Mikaela come un banalissimo e fragile castello di carte.
L’occasione si presentò dopo mezz’ora di soliloquio: saltando di palo in frasca, viaggiando da vecchie reminiscenze risalenti a qualche secolo più addietro ad alcuni degli eventi più recenti che avevano interessato il panorama politico, l’oggetto del blaterare senza sosta del Settimo Progenitore infine divenne un tema particolarmente scottante.
“Ormai la guerra è alle porte, Mika. Se sei fortunato, potresti anche riuscire a ritrovare la tua adorata principessa”, commentò, la spada che gli tintinnava debolmente contro i fianchi.
Fu un momento, ma Ferid riuscì a seguirne perfettamente ogni istante. Dal moto della mano all’elsa della spada, alla sua estrazione e al voltarsi di Mikaela, il vampiro dai capelli argentati non si perse un singolo attimo della serie di azioni che si concluse con la lama di prima classe puntata alla sua gola. Nonostante la palese rabbia ed intento omicida che promanavano dagli occhi di quel bambino che per la prima volta in trenta minuti aveva smesso di dargli le spalle, Ferid non sentì in alcun modo il bisogno di dissimulare o ritrattare il lieve sorriso che ancora gli aleggiava sulle labbra, meno che mai mettere mano alla propria spada. In fondo, non ve n’era motivo; il giovane, per quanto talentuoso e progenie della Regina, era in ogni caso a malapena paragonabile ad un neonato. Non costituiva una minaccia, e il fatto che lui contemporaneamente lo sapesse e non volesse accettarlo rendeva le sue reazioni ancora più divertenti.
“Se non la pianti, ti giuro che ti faccio saltare la testa e la seppellisco da qualche parte” lo udì sussurrare, il fuoco che ardeva in quegli occhi cerulei tanto da fare quasi eccitare Ferid.
Ferid non riuscì a trattenere una risatina, che tuttavia si premurò di fingere risultasse nervosa. Il fatto che fosse l’ennesima, vuota minaccia non gli impediva certo di giocare e fingersi un po’ spaventato; la paura risultava per ciò stesso ancora più ridicola, e maggiore divertimento ne derivava.
“Oh, ma come siamo suscettibili oggi” replicò, sollevando le mani come a scusarsi. “Sei sicuro di aver dormito abbastanza?”
“Noi non abbiamo bisogno di dormire.”
“Vero, ma ogni tanto è bello spegnere il cervello per qualche ora. Tu sei giovane, quindi sei ancora pieno di vigore, energia e voglia di fare, ma quando si diventa vecchi come me…”
“Si dovrebbe già essere morti da molto tempo” lo interruppe Mikaela, rinfoderando la spada con un verso stizzito e voltandosi di nuovo. Ferid abbassò le braccia, e lasciò cadere la maschera nervosa. Era certo che Mika non avesse creduto nemmeno per un secondo alla pantomima.
Rise di nuovo, avviandosi a seguire il vampiro biondo che aveva ricominciato a camminare. “In effetti i miei capelli si sono ingrigiti di recente, ed è davvero un problema a livello estetico; forse l’hai notato pure tu. Stavo pensando di tingerli, sai? Potrei anche colorarli come i tuoi! Saremmo per davvero come due buoni fratelli, non credi?” terminò, con una risata che riecheggiò solitaria lungo la via che stavano percorrendo.
“Lasciami in pace, Ferid.”
“Oh, andiamo, così mi ferisci. Sai che nessuno ti adora quanto me, Mika. Sei rimasto il mio favorito, e dopo quattro anni in molti potranno confermarti come questo sia un ottimo risultato!”
Il commento gli costò un altro sguardo del basilisco, che accolse con il sorriso divertito che spesso gli si stampava sul viso quando aveva a che fare con Mikaela. Poche cose in fondo gli miglioravano tanto la giornata come osservare quanto ascendente possedesse ancora nel determinare le variazioni di umore del biondo giovane.
È come se fossimo due giovani innamorati, pensò, vagamente compiaciuto. Danza sul palmo della mia mano, e sono in grado di decidere se sia arrabbiato o speranzoso. E non c’è niente che possa fare per impedirmelo, o impedirselo. Il pensiero lo fece ridacchiare sommessamente, cosa che gli valse l’ennesimo sguardo di odio di Mika. C’era qualcosa in quello sguardo… qualcosa che gli procurava una sorta di strana euforia. Dove aveva già visto quello sguardo… ?
Non ottenendo risposta, decise di mettere temporaneamente da parte il dubbio, e tornò a rivolgere le proprie attenzioni al ragazzino che gli camminava davanti.
“Senti, Mika, dove staresti andando?” domandò, sperando che non fosse troppo arrabbiato.
“Ho sete” fu la risposta.
“Oh, beh, quand’è così avresti potuto chiedere a me!” replicò il vampiro dai capelli d’argento, con un tono che lasciava trasparire ostentata delusione per il fatto che Mika non avesse pensato ad una risoluzione tanto banale. “Avremmo potuto berci un bicchiere assieme per completare la tua transizione, e invitare qualche amico per festeggiare il lieto evento!”
“Nessuno approva i tuoi festini, lo sai” ribatté seccato Mikaela. “Probabilmente l’unico che ci viene volentieri è quel mostro, il tuo amico…”
“Oh, sì, Crowley è tanto caro e dolce. Ogni tanto penso che dovrei sposarlo prima che la sua natura pervertita lo allontani da me“ lo interruppe Ferid.
“… e anche su di lui ho alcuni dubbi” concluse il vampiro biondo guardando stranito lo sgraditissimo accompagnatore, facendo del suo meglio per ignorare l’ultima frase. A volte Ferid sembrava non pensare assolutamente a come suonasse ciò che gli usciva di bocca, o dava l’impressione che semplicemente dicesse la prima cosa che gli saltava in mente, per quanto ridicola potesse essere.
Ma era tutta una recita.
Ferid era troppo intelligente per comportarsi in maniera tanto stupida; anzi, proprio perché era così intelligente Mika era sempre stato certo che per lui non fosse un problema adottare atteggiamenti che chiunque altro avrebbe ritenuto più consoni ad un completo demente.
Il Settimo Progenitore si godette per un po’ il silenzio, rievocando e cementando nella propria mente l’espressione a metà tra il disgustato e l’attonito che spesso Mikaela gli rivolgeva; adorava anche quella, come tutto ciò che riguardava il piccolo angelo che lui e la Regina si contendevano tanto aspramente. Spesso Ferid si era domandato come sarebbe stato assaggiare il suo sangue ora che era un vampiro, per quanto incompleto; aveva accantonato l’idea unicamente perché il Terzo Progenitore non avrebbe tollerato un simile affronto alla sua autorità. Ciò che era della Regina non andava danneggiato. Qualunque insubordinazione sarebbe stata punita: Ferid aveva già avuto prova quattro anni prima della rapidità e brutalità con cui Krul Tepes si liberava di chi le avesse mancato di rispetto.
E ancora questa memoria mi provoca brividi di eccitazione… spero che un’emozione simile ricapiti presto.
Dal tempo in cui avevano camminato e considerate la direzione e la rapidità dei passi di Mika, che sempre accelerava l’andatura, Ferid era stato in grado di determinare che il ragazzo fosse diretto al palazzo reale. Mentre passavano di fianco ad un paio di bambini (la cui massima età non poteva superare gli otto anni) che giocavano per terra in silenzio atterriti dalla loro presenza, uno dai capelli castani e l’altro dalla chioma corvina, Ferid afferrò quello dai capelli neri per il cappuccio dell’uniforme da bestiame, e sorpassò Mika; il movimento fu talmente rapido che nessuno dei tre infanti se ne accorse. E mentre le sue orecchie udivano il respiro del bambino farsi più rado e i battiti del suo cuore aumentare a mille intanto che questo si accorgeva della situazione in cui si ritrovava, i suoi occhi si godettero lo spettacolo dello sguardo di Mikaela Hyakuya che passava dall’irritato all’esterrefatto e il suo corpo tendersi completamente a causa della sete, che ormai lo tormentava quasi costantemente. Per quanto avesse una volontà forte, la sete lo era di più; lo era sempre. Anche a Ferid il profumo faceva venire l’acquolina in bocca.
“Ho un consiglio da amico e da mentore per te, mio caro novellino” cantilenò, sventolandogli sotto gli occhi il ragazzino che aveva preso a piangere. Con la coda dell’occhio notò che quello castano stava semplicemente tremando in un angolo, terrorizzato. Si chiese se per caso non fossero amici. “Più continui a trattenerti, più difficile diventerà controllarsi. Non puoi sopravvivere per sempre solo con il sangue di Sua Maestà. Prima o poi dovrai bere per davvero, Mika; quindi è il caso che tu lo faccia il prima possibile e ti tolga il pensiero” terminò con un sorrisetto appena accennato. Per sottolineare ulteriormente le proprie parole, provocò un minuscolo taglio alla gola del piccolo prigioniero con un’unghia; la cosa fece ammutolire dal terrore l’ostaggio, anche se continuava ad ansimare e lacrimare. Il profumo del sangue si spanse subito nell’aria, e poté sentire sia Mika che se stesso deglutire a vuoto per la tentazione che rappresentava. Nonostante per lui mantenere l’autocontrollo richiedesse poco più che un pensiero, a causa dell’età e dell’esperienza, sapeva che per Mika era una tortura: trovava fantastico vedere il suo viso contorto nell’agonia, intrappolato tra ciò che la sua umanità cercava di ricordargli e quello che la sua nuova natura gli imponeva.
Incatenato a chi eri ed incapace di accettare chi sarai… Quanto vorrei poter sentire quelle  grida che fingi non esistano, Mikaela caro.
Non riuscì a non sorridere, quando lo vide allungare una mano verso il suo bocconcino con un ansito in cui gli parve di udire la parola “Sangue”.
Poi Mika lo spintonò per una spalla. Ferid decise di lasciare che il vampiro liberasse il bambino, sciogliendo la presa sul suo cappuccio e fingendo un’espressione sorpresa nel mentre. Indietreggiando di un paio di passi poté notare che lo stava tenendo in braccio mentre respirava pesantemente, ancora intento a trattenersi, come a volerlo proteggere da lui. D’improvviso, notò un dettaglio a cui non aveva fatto caso.
Gli occhi dell’oggetto del suo gioco erano di un verde sconvolgente, simile a quello di uno smeraldo sotto quei capelli neri.
Ferid non riuscì a dissimulare la sorpresa, questa volta reale. Scoppiò poi a ridere, e continuò anche mentre Mika lasciava andare il bambino, che correva via piangendo seguito a ruota dal suo compagno di giochi. Non riuscì a fermarsi nemmeno mentre Mikaela lo oltrepassava con il fiato grosso e gli occhi bassi, ansante. Riuscì tuttavia a captare un “Va’ al diavolo, Ferid”, mormorato in maniera quasi del tutto impercettibile.
Si prese del tempo per ponderare su quelle parole. Poi scrollò le spalle e si voltò ad osservare Mika, che stava per svoltare ad un crocevia di strade e scomparire dalla sua visuale.
“Nonostante mi abbia più volte cacciato dalla sua magione infernale… credo seguirò il tuo consiglio, Mika. Non mi dispiacerebbe una visitina al diavolo. Di tanto in tanto è d’uopo fare un salto dai vecchi amici” concluse con un sorriso mellifluo, voltandosi e iniziando a ripercorrere i propri passi.
 
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L’acqua calda sollevava lievi nuvole di vapore attorno a lui.
Crowley Eusford stava finendo di godersi un bagno rilassante, i lunghi capelli scuri sciolti che galleggiavano nell’acqua, il viso appena sopra la superficie. Il comfort non significava granché, ma la sensazione di essere puliti era particolarmente gradevole. Il grande bagno della villa era candido come sempre, i suoi servitori enormemente efficienti come al solito; riteneva che uno dei vantaggi di essere un vampiro nobile fosse esattamente non dover fare le faccende domestiche. Si risollevò stancamente, puntellandosi con un gomito sul bordo della vasca per mettersi quantomeno seduto, e piegò una gamba per appoggiarvi con uno sbuffo il mento sopra.
Era solo un’altra giornata noiosa.
In tempi recenti aveva avuto delle aspettative, doveva ammetterlo. La dichiarazione dello stato di guerra da parte del Terzo Progenitore era stata un fulmine a ciel sereno per molti; erano pochi a comprendere i ragionamenti della Regina, ed ancor meno capivano il perché stesse impiegando tanto tempo per radunare le forze volte a schiacciare gli umani. Si mormorava che questi avessero un’arma potenzialmente letale dalla loro parte, e che fosse questa la ragione dietro la cautela mostrata da Sua Maestà.
Crowley non si era sentito preoccupato; semmai, il discorso di Krul Tepes era stato per lui inebriante ed interessante. La statica società dei vampiri l’aveva sempre tediato più di quanto potesse esprimere a parole, ed era solo grazie alla compagnia costante del Settimo Progenitore Ferid Bathory che era riuscito ad evitare il sopraggiungere della follia causata dalla noia. Non che questo contribuisse a rendere il vampiro dai capelli d’argento meno irritante, se ci si metteva.
Mentre si alzava dalla vasca, lasciando cadere uno scroscio d’acqua e minuscole gocce dal corpo allenato e muscoloso, si ritrovò a ripensare ad alcuni spezzoni del discorso della Regina.
Per cui, abbiamo deciso di sterminare l’Esercito Demoniaco Imperiale del Giappone. È guerra!
Un’asserzione repentina; Crowley aveva sentito montare l’eccitazione al pensiero della guerra. Da umano era giunto a considerarla inutile… ma aveva rivalutato lo scontro, col tempo. Era una delle poche cose che ancora gli procurassero una qualche forma di divertimento.
Per proteggere l’equilibrio del mondo, faremo strage di tutti quegli sporchi umani guidati dalla cupidigia!
Al Tredicesimo Progenitore venne quasi da sorridere. Per l’equilibrio del mondo. Non importava cosa dicesse, certe frasi ad effetto avevano poco o nullo impatto; chiunque era perfettamente consapevole che anche la potente Regina del Giappone dovesse sottostare agli ordini del Concilio dei Progenitori, e che se non avesse obbedito le conseguenze sarebbero state tremende ed inevitabili persino per lei. Dunque era naturalmente anche nel suo interesse condurre quella guerra, se era stato il Concilio ad imporgliela. L’equilibrio del mondo e tante altre facezie erano solo belle parole con cui ispirare le truppe. Alla fine, come tutti, voleva solo preservare un altro po’ la propria esistenza eterna.
Crowley si cinse l’asciugamano in vita, se ne mise un altro sul capo ed uscì dal bagno accompagnato da una nube di vapore. Fuori dalla porta, solerti come sempre, lo stavano aspettando Horn e Chess che gli parvero comunque più attente del solito.
“Il bagno è stato piacevole, mio signore?” domandò la vampira bionda, con un lieve inchino.
Crowley annuì. “Sì, ne avevo davvero bisogno. Se volete favorire voi…”
“In realtà, mio signore…” si intromise Chess, un pochino titubante, incapace di terminare la frase senza arrossire.
Il vampiro si ritrovò a ridere. I capelli che gli scendevano coprendogli la schiena erano una delle più grandi passioni delle sue luogotenenti; loro stesse spesso insistevano per sistemarglieli in quella che era giunto a considerare una sua caratteristica, una lunga e stretta treccia che riposava sulla sua spalla.
“Capisco” replicò. “Quindi, chi di voi si occuperà di farmi la treccia quest’oggi, ragazze? Se evitate di sfondare un muro come è successo l’ultima volta, potrei anche considerare di lasciarvi fare, sapete?”
La proposta animò subito entrambe le donne sia di aspettativa che di spirito combattivo. Quasi fu sorpreso nel non vederle sfoderare le zanne e cominciare ad accapigliarsi per l’onore.
“Tu l’hai fatto l’ultima volta, Chess” fece Horn, calma come al solito nonostante Crowley potesse quasi percepire la sua eccitazione alla prospettiva che le era stata offerta. “Questa volta è il mio turno.”
“Ma tu ci hai messo il doppio del tempo la volta prima, equivale praticamente a due volte di fila!” Chess era invece molto più incline all’irrazionalità e ai capricci. Era sempre stata un po’ infantile, per quel che Crowley ricordava; per questo tendenzialmente si rivolgeva a Horn, più posata e razionale, quando si trattava di sviluppare strategie ed agire in concerto.
In effetti è sorprendente, rifletté mentre entrava in una stanza senza realmente badare a quale fosse e vi gettava un’occhiata per vedere se vi fosse una sedia, che non si siano ancora massacrate a vicenda, considerando quanto sono diverse. Forse è la mia presenza a tenerle unite, come ha suggerito Ferid un sacco di tempo fa, dopotutto.
In realtà, si ritrovò a pensare intanto che cercava un luogo dove sedersi comodamente in attesa che le due donne finissero di bisticciare mentre lo seguivano, quello che Ferid una volta aveva detto era un po’ differente; il fatto che si applicasse nello specifico caso a due donne era solo una coincidenza.
Con un corpo del genere, nessuna donna ti lascerebbe in pace.
Col passare del tempo aveva smesso di dare peso a quella frase; non che Ferid avesse avuto torto, ma lui non si era mai dato pena di considerare realmente come le donne reagissero al suo passaggio. Per un cavaliere templare la castità era un voto sacro ed infrangibile, e Crowley era sempre stato ligio al dovere anche dopo aver perso la fede in Terrasanta. Non aveva mai toccato una donna, prima che la sua vita andasse a rotoli incontrando un certo vampiro dai modi eccentrici ed i capelli d’argento.
Decidendo che sarebbe stato meglio che fosse la camera da letto ad accogliere la cerimonia della treccia (dall’intensità con cui Horn e Chess ne stavano ancora discutendo si sarebbe potuto realmente pensare ad una qualche forma di funzione religiosa), Crowley interruppe il battibecco i cui toni stavano degenerando poco a poco.
“Che ne dite se invece ci lavorate entrambe? Questa soluzione è più di vostro gradimento?”
Non dovette nemmeno voltarsi per percepire il malcontento che pervadeva entrambe le sue luogotenenti; ciascuna voleva essere l’unica ad acconciare i capelli del suo signore, ma apparentemente nessuna delle due aveva intenzione di cedere anche solo un passo sulle proprie pretese. Crowley si era già ritrovato in quella situazione, ed aveva una volta dovuto mutilare entrambe prima che riuscissero a calmarsi e ad accettare di lavorare assieme; nonostante andassero normalmente molto d’accordo, e anche la capricciosa Chess desse di solito ascolto ai consigli della più giudiziosa Horn, entrambe erano estremamente focose nel loro contendersi le attenzioni del proprio signore. Dopo quella particolare occasione, tuttavia, entrambe avevano moderato enormemente i toni; sebbene questo non impedisse di tanto in tanto a Chess di lamentare come il braccio riattaccato non le sembrasse più lo stesso di prima.
“Beh…” azzardò Chess, presa lievemente in contropiede.
“Se lo dite voi, nobile Crowley, deve essere una buona idea…” commentò Horn, più sicura della prima ma non ancora del tutto convinta.
“O così, oppure cerco qualcun altro da cui lasciarmi acconciare i capelli. In effetti, potrei anche affidarmi a Ferid…”
La minaccia ebbe immediatamente l’effetto desiderato, confermato da un No che le donne lanciarono all’unisono; la cosa fece sorridere il Tredicesimo Progenitore, confortato dal fatto che rievocare lo spettro del Settimo fosse sufficiente ad unire gli intenti dei suoi due Diciassettesimi in meno di qualche secondo.
“Allora è deciso”, fece, aprendo la porta della propria camera da letto ed entrandovi; non appena si sedette sul letto percepì le due donne alle sue spalle che iniziavano ad armeggiare con i suoi capelli, dopo aver levato da sopra il suo capo l’asciugamano. “Vedo che non perdete tempo…” notò, con una punta di divertimento nella voce.
“È naturale, nobile Crowley” rispose con voce delicata Horn. “Prenderci cura di voi è per noi un piacere immenso, lo sapete.”
“Giusto” si aggiunse Chess con voce più squillante mentre lasciava scorrere le dita tra i capelli del vampiro nobile. “Noi siamo votate a proteggervi e a servirvi, nobile Crowley. In ogni cosa possiate ritenere utile…”
“Qualunque sia il vostro desiderio, noi lo esaudiremo, mio signore.”
Crowley non poté fare a meno di notare una strana inflessione nel tono di Horn, mentre questa pronunciava l’ultima frase; come se si stesse trattenendo dal dire qualcosa. Si limitò a sorridere, chiudendo gli occhi e lasciando fare le due donne, udendole di tanto in tanto bisticciare su quale fosse la direzione giusta da dare all’intreccio.
Poi, d’improvviso, Horn parlò.
“Mio signore, posso ardire di fare una domanda?”
Crowley per tutta risposta rise lievemente. “Ne hai appena fatta una, quindi immagino tu ne abbia a sufficienza anche per una seconda, Horn”.
Sentì la vampira boccheggiare lievemente per un attimo, come sorpresa dalla risposta sarcastica. Dopo qualche secondo, però, sembrò riuscire a recuperare la compostezza.
“Perché vi fidate di lord Ferid?”
Fu il turno di Crowley di sentirsi preso in contropiede dalla domanda. Molto probabilmente Horn doveva aver pensato parecchio a quel quesito; chissà da quanto voleva porlo. Il Tredicesimo Progenitore si ritrovò a riflettervi seriamente sopra.
Aveva conosciuto Ferid ottocento anni prima, all’incirca; ai tempi Crowley era un cavaliere templare privo di fede che indagava su una serie di misteriosi omicidi e corruzione politica, poi trasformato in vampiro dallo stesso mostro che aveva orchestrato ogni cosa. Per i primi centocinquant’anni della sua vita eterna, l’unica cosa che aveva avuto in mente era stata la vendetta da consumare nei confronti di quel mostro dai modi raffinati e dal linguaggio perverso.
E invece, quando finalmente se l’era ritrovato a portata di lama, non solo non era riuscito ad ucciderlo ma aveva anche finito con l’accettare la sua compagnia nei secoli a venire; Ferid asseriva di averlo trasformato perché voleva non un servitore, uno schiavo, un sottoposto, ma un alleato, un proprio pari, un amico. Crowley non avrebbe saputo dire se fosse stata la verità o meno: Ferid era sempre stato impossibile da leggere, mentre sembrava non avere problemi a indovinare accuratamente quali pensieri stessero attraversando la mente di Crowley. Che tuttavia rimaneva convinto della necessità che tra amici vi fosse almeno una certa dose di onestà, cosa che era completamente certo tra lui e Ferid mancasse in maniera pressoché totale.
Ma era anche vero che, se pure Ferid gli aveva imposto l’eternità per un suo egoistico capriccio o, molto più probabilmente, un piano di cui ancora non aveva ben chiare portata ed entità, gli aveva anche dato modo di divertirsi in più di un’occasione, assicurandosi che la noia dell’immortalità non avesse mai la meglio su di lui; probabilmente era solo per averlo vigile e sveglio quando gli fosse veramente servito, ma Crowley avrebbe mentito se avesse detto di essersi annoiato spesso, coinvolto com’era stato nei secoli dalle trame del Settimo Progenitore. C’era sempre qualcosa da fare, un posto dove andare, avversari da affrontare e nemici da eliminare; la lista degli antagonisti di Ferid che quest’ultimo preferiva lasciare al suo muscoloso braccio destro sembrava praticamente sterminata, e Crowley non poteva esserne sorpreso, considerando la personalità insopportabile dell’amico.
Amico: alla fine anche lui si era arreso e aveva iniziato a pensare in quei termini di Ferid. Era più semplice che non cercare costantemente un termine che con ogni probabilità nemmeno esisteva. Inoltre, ottocento anni cambiavano un sacco di cose, e stemperavano tanti rancori. Poco alla volta, anche l’obiettivo della vendetta aveva perso il suo anelito, la sua attrattiva: gli era venuto spontaneo domandarsi E poi? Cosa avrebbe fatto, dopo aver ucciso Ferid? Certo, questi gli aveva promesso di aiutarlo a diventare abbastanza forte da ucciderlo, sebbene Crowley stesso fosse quasi certo della falsità di quell’affermazione: il Settimo Progenitore non gli sembrava tanto incline a lasciarsi uccidere, anche meno ad aiutare qualcuno nel perseguire quell’obiettivo. Forse era stata la noia esistenziale a parlare, al tempo, ma da allora il vampiro dai capelli d’argento aveva trovato nuovi modi per divertirsi, e probabilmente aveva mire differenti rispetto a seicentocinquanta anni addietro; infine, Crowley non vedeva un reale modo per raggiungere il livello di Ferid Bathory. Per quanto fossero quasi pari in termini di forza, Ferid gli sarebbe sempre stato lievemente superiore, grazie ai milleduecento anni di esperienza in più che possedeva rispetto al Tredicesimo Progenitore.
Mi hai legato ben bene, eh, Ferid.
Sì, era probabilmente così che si sentiva. Ferid era una compagnia interessante, questo non poteva negarlo: con lui non ci si annoiava mai. Tuttavia Crowley Eusford non poteva ignorare lo stato delle cose; il Settimo Progenitore lo aveva vincolato in maniera quasi indissolubile a sé. Non sapeva nemmeno dire se fosse scontento oppure no della cosa: era semplicemente un fatto, e lo era da talmente tanto tempo che aveva smesso di avere reale rilevanza. Non si sentiva realmente privo di libertà di azione o di potere decisionale, anche se lo era; quando Ferid chiamava, lui rispondeva, e quando aveva bisogno di un ostacolo fra lui e un attaccante, Crowley era lì, pronto ad eliminare chiunque si fosse scagliato contro il vampiro dai capelli d’argento, o a sperare che l’avversario sopravvissuto al primo colpo fosse una sfida degna di nota. Non si trattava di fedeltà, di questo Crowley era abbastanza certo: quella che lo induceva ad assecondare le richieste e gli ordini di Ferid era una insopprimibile, atavica, totale volontà di evitare la noia. Quasi invariabilmente si rivelavano compiti dapprima noiosi, che però nascondevano la maggior parte delle volte un imprevisto che lo divertiva oltremodo.
Probabilmente è questa la genialità della sua manipolazione, rifletté divertito. Continua ad affidarmi compiti che mi fanno divertire, che è quello che mi ha sempre promesso, e così io non ho mai reali incentivi a tradirlo. Chissà per quanto potrà andare avanti questo gioco.
Il pensiero lo fece finalmente scoppiare in una risata che attirò l’attenzione di Chess e Horn; le due donne infatti smisero di concentrarsi sui suoi capelli per lanciargli un’occhiata incuriosita, Crowley poteva percepirlo.
“Mio signore… ?” azzardò Chess, ma venne probabilmente zittita da uno sguardo di Horn, perché s’interruppe prima di poter proseguire la domanda.
Crowley si prese ancora qualche secondo per terminare di ridere, esilarato dalla crudeltà e dal deviato senso dell’umorismo del destino e di Ferid Bathory.
“Fidarmi di Ferid, Horn? Quando mai l’ho detto?” domandò, il tono divertito e le spalle scosse dalle risate residue. “Ferid Bathory non è più degno di fiducia di quanto lo sarebbe una serpe. Il fatto che siamo amici non significa che io mi fidi di lui, o lui di me.”
Horn rimase in silenzio qualche momento, poi lei e Chess ripresero a fargli la treccia con maggior calma rispetto a prima.
“Comprendo, mio signore. Vi prego di perdonare la mia sciocca domanda.”
In quel momento, un servitore bussò timidamente alla porta. Sollevando lo sguardo, Crowley fissò i propri occhi cremisi in quelli di un vampiro dai capelli color oro pallido di cui nemmeno ricordava il nome.
“Sì?”
“Eccellenza, c’è una visita inaspettata. Si tratta di lord Ferid Bathory.”
Crowley sgranò gli occhi, e poté udire Horn e Chess trattenere il respiro alle proprie spalle. Poi si sciolse in un’ennesima risata.
“Naturalmente. Tipico di lui. Fatelo entrare” comandò. Sentì Chess mormorare qualcosa sul fatto che Ferid possedesse un’abilità telepatica ad ampio raggio. “No, Chess, nulla del genere. Semplicemente, quell’uomo è tremendamente inopportuno.”
 
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Non dovettero attendere molto perché il Settimo Progenitore venisse introdotto nella camera da letto; e, come sempre, a Crowley non parve di vedere un singolo nastro o capello fuori posto. Gli occhi cremisi di Ferid Bathory erano accesi di divertimento, mentre li  lasciava scorrere sulla stanza, sul letto, sui due Diciassettesimi Progenitori, sul suo braccio destro ancora quasi completamente nudo; intanto che Crowley si appoggiava all’indietro sulle braccia con un sorriso e incrociava una gamba sull’altra, Horn e Chess erano ancora intente a trafficare con i suoi capelli.
“Cielo, Crowley, avolte penso tu sappia ciò che desidero anche prima che lo dica” commentò con una risata leggera mentre si avvicinava al terzetto, i tacchi degli stivali che rimbombavano nella stanza vuota.
“Non essere sciocco, Ferid” replicò l’altro con un ghigno. “Nessuno a parte te sa cosa desideri; e di certo non posso saperlo io, visto quanto ami tenere per te i tuoi segreti e non rivelare nulla se non lo stretto indispensabile. A cosa devo questa visita improvvisa?”
“Non sono forse stato abbastanza esplicito, prima?” domandò con tono volutamente civettuolo il vampiro dai capelli d’argento. “Credevo un pervertito come te avrebbe colto immediatamente la palla al balzo, come si suole dire.”
“Non confondere i ruoli, te ne prego. Non sei nella posizione di dare del pervertito a chicchessia.”
“E cos’è questa indecenza?” continuò Ferid, ignorando il vampiro dai capelli scuri. “Potresti quantomeno rivestirti, prima di accogliere gli amici in casa, no? O progettavi di spassartela con le signorine qui presenti?”
Crowley poté percepire distintamente un sussulto da parte delle interpellate; le mani di Horn tremarono lievemente per un singolo attimo, tra i suoi capelli, poi la vampira riprese a lavorare ancora più alacremente, come per compensare il momento in cui aveva rallentato il processo. La cosa divertì ulteriormente entrambi i vampiri.
Come al solito, rifletté in silenzio Crowley, quando ci sei tu le cose diventano sempre un po’ più interessanti.
“In realtà, io non sono tenuto proprio a fare nulla per mettere a proprio agio chi si presenti a casa mia senza invito; e comunque la tua battuta su come ti leggessi nel pensiero di poco fa mi ha fortunosamente ricordato che sei un pervertito a cui non dispiace vedere corpi nudi. Quindi ho pensato di… farti un favore?” concluse con un sorriso sghembo ed immaturo.
Poteva infatti facilmente notare come di tanto in tanto gli occhi di Ferid dardeggiassero rapidamente sul suo corpo, le sue braccia muscolose, i suoi addominali scolpiti; Crowley onestamente non capiva tanto interesse. Ma Ferid era incomprensibile su una quantità di argomenti, perciò non si era mai dato pena di chiedergli cosa trovasse di tanto interessante nel suo aspetto fisico.
“A dirla tutta” ammise lentamente Ferid tornando a guardarlo in viso, “preferisco i bambini. Tu sei… fin troppo adulto, per i miei gusti.”
La risatina che seguì fu sovrastata da quella più forte di Crowley. Questi poté percepire lo sguardo di Chess sollevarsi dal suo lavoro, per fissarsi sulla sua nuca o poco oltre, in viso al Settimo Progenitore: probabilmente era incuriosita, perché era ben nota la passione decisamente fuori dai canoni di Ferid per i bambini, i suoi “favoriti”.
“Inoltre” proseguì Crowley, sentendo Chess riscuotersi e tornare al proprio compito come Horn prima di lei, “non sono proprio dell’umore di assecondare i tuoi voli pindarici, o i tuoi bisogni, al momento. Come puoi notare, siamo… occupati.”
Alle due vampire, ormai al termine della loro impresa, avrebbe sussultato il cuore se questo non fosse stato immobile; con ogni probabilità era soltanto una loro impressione, o un tentativo di infastidire il Settimo Progenitore, ma era parso loro che il nobile avesse usato un tono vagamente più dolce del solito, per descrivere l’attività in cui erano coinvolte.
Una volta che ebbero terminato la treccia, si scostarono dalla schiena del vampiro e guardandosi in faccia poterono notare di essere lievemente arrossate; ciò fece loro sgranare gli occhi, mentre Crowley si stiracchiava ben bene.
“Grazie dell’aiuto, ragazze” disse, voltandosi ad osservarle con un sorriso appena accennato.
“Ma come?” fece Ferid, il tono estremamente sarcastico. “Loro si sono tanto impegnate, ti hanno rifatto la treccia… e tutto quello che hai da dire è “Grazie”? Io, se avessi delle servitrici così dedite, le ricompenserei in maniera ben più ampia.”
“Potresti, indubbiamente, se solo potessi essere sicuro di arrivare alla fine dell’operazione con la testa ancora attaccata al corpo; e considerando quante persone ti detestano, direi che le possibilità sono estremamente basse” ridacchiò Crowley. “Tuttavia…”
“Tuttavia?” domandò Ferid, avvicinandosi ancora un po’ al Tredicesimo Progenitore, incuriosito dall’espressione giocosa che era nata sul volto di quest’ultimo.
“Credo tu mi abbia dato una fantastica idea per ravvivare questo incontro, sai?”
“Ma davvero? E quale sarebbe, dimmi?”
Il sorriso sul volto di Crowley si allargò ulteriormente. Poi si voltò di scatto, l’asciugamano che scivolava lentamente lungo i fianchi fino ad appoggiarsi sulle lenzuola bianche del letto, mentre si allungava a baciare Horn sulle labbra.
“… Eh… ?” fu l’unico suono che Ferid riuscì ad emettere, sorpreso dalla piega degli eventi. Chess era anche più sconvolta di lui, ormai completamente rossa in viso per la visione del corpo nudo del suo signore davanti ai suoi occhi; Horn dal canto suo era immobile come uno stoccafisso, sconcertata più degli altri due messi assieme, mentre sentiva montare un’ondata di emozioni che minacciavano di farla svenire, se non le avesse sfogate subito; sete di sangue, desiderio di stringere a sé il suo signore, e…
Il bacio durò solo un secondo, ma fu un secondo che ai tre vampiri attorno a Crowley sembrò probabilmente durare un’eternità; si scostò immediatamente dopo, con una risata lieve, e sussurrò una singola parola, abbastanza forte perché entrambe le vampire lo udissero.
“Prendetelo.”
La reazione fu subitanea; entrambe le donne partirono all’attacco, superando il proprio signore in una frazione di secondo. Horn era priva della sua lancia, quindi doveva fare ricorso alla propria forza naturale, ma Chess aveva già estratto la frusta, facendola schioccare in direzione della gamba del Settimo Progenitore per impedirgli di avere completa mobilità. Per quanto sembrasse un attacco suicida, entrambe avevano evidentemente la flebile speranza di poter prendere di sorpresa il nobile di rango superiore.
A Ferid tutto questo era chiaro come il sole.
Nonostante la sorpresa dovuta alla mossa inaspettata di Crowley, le reazioni delle donne erano comunque troppo lente ai suoi occhi. Gli bastò fare un passo indietro con una risatina, perché la frusta di Chess sibilasse impotente contro l’aria, e con un singolo movimento in verticale del braccio riuscì contemporaneamente a tranciare di netto l’arto di Horn che puntava alla sua gola, provocando uno spruzzo di sangue che macchiò il bordo del letto ornato da intarsi d’argento che raffiguravano due leoni in lotta; infine, oltrepassandola con un rapido movimento le sferrò un calcio tanto forte da spezzarle la spina dorsale.
L’espressione sorpresa della bambina mentre scivolava lentamente di lato con un gemito di dolore, fu una reale goduria per il vampiro dai capelli d’argento.
“Ammirevole dedizione davvero” commentò, vagamente impressionato da come entrambe avessero ubbidito senza esitare ad un ordine che era evidentemente mirato a toglierle di mezzo. Crowley ha veramente un pessimo modo di congedare le sue servitrici, si disse, mentre si voltava dando la schiena al letto e faceva saltare la testa della bambolina dai capelli viola scuro con un altro movimento fluido del braccio, il sangue che sprizzava dalla base del collo in una fontanella grottesca mentre quel corpo voluttuoso ricadeva all’indietro come una marionetta a cui fossero stati recisi i fili.
La successiva sensazione fu quella del ferro sulla pelle del collo e della gola.
Non riuscì nemmeno a voltare il capo prima di venire strattonato all’indietro da qualcosa in maniera estremamente rapida e violenta; immediatamente dopo il mondo cominciò a vorticare attorno a lui, mentre perdeva la sensibilità nel resto del corpo. Non si sentiva più. Dopo un paio di giri, tutto attorno a lui divenne orizzontale e si ritrovò a guardare di sbilenco gli addominali di Crowley, che sedeva davanti a lui a gambe incrociate, una catena in mano, macchiata di sangue, l’espressione un pochino sorpresa.
“Ops” fece questo, riprendendo a sorridere poco dopo.
“Ops?” rimbeccò Ferid. Era passato un po’ di tempo dall’ultima volta che era stato decapitato, ma i capelli premuti fra il suo capo e il letto e la macchia di sangue che sapeva gli si stesse allargando sotto erano indizi sufficientemente chiari sulla sua attuale condizione.
“Credo di aver messo un po’ troppa forza in quello strattone.”
“Ma non mi dire.”
“Mhmh” annuì il vampiro, afferrandolo per i capelli argentati e sollevandolo ad altezza viso, con un sorriso giocoso.
La nuova posizione consentì a Ferid di vedere meglio ciò che c’era attorno a lui; la catena era decisamente lunga, abbastanza da consentire di avvolgerci qualcuno della stazza di Crowley almeno una o due volte. Una parte degli anelli era stata frettolosamente piegata e manipolata in maniera tale da congiungersi con quelli di un’altra, a formare una sorta di collare improvvisato. Era quello che gli era parso una catena insanguinata, di primo acchito: doveva essere quello l’arnese con cui Crowley era riuscito a decapitarlo senza che se ne accorgesse.
“Quindi che vuoi fare di me ora?” azzardò, iniziando a sentirsi lievemente preoccupato ma tentando di rimanere gioviale.
“In realtà stavo pensando di lasciarti così per un po’.”
“Ma così mi trasformerei in un demone, lo sai.”
Crowley ci pensò su un attimo, poi annuì. “Sì, è vero” ammise, senza smettere di sorridere. “Però devo pensare bene a qualcosa da fare con te. In fondo, un’occasione così ghiotta non mi ricapiterà mai più…”
Ferid rabbrividì. La situazione si era fatta più rischiosa di quanto non avesse previsto. Aveva dato per scontato che Crowley non avrebbe agito, che Horn e Chess fossero solo d’intralcio e che il Tredicesimo Progenitore avesse trovato un modo crudele per levarle di mezzo e rimanersene solo con lui; non aveva pensato che i due Diciassettesimi Progenitori potessero essere solo delle distrazioni per celare la minaccia vera, e… la sua testa si stava annebbiando…
Crowley notò lo sguardo dell’altro farsi sempre meno vigile, quindi capì di dover agire in fretta. “Se farai tutto quello che ti dirò, e non farai nulla che io non ti ordini, ti riattacco la testa al corpo. Come ti pare? Chiudi le palpebre due volte per accettare.”
Ferid impiegò qualche secondo a ricevere le parole, processare le informazioni e comprenderle. Qualche altro secondo dopo, sbatté le palpebre due volte. Crowley sorrise di nuovo, sollevò lo sguardo e notò Horn, il vestito macchiato di sangue, che si era riattaccata l’arto che il Settimo Progenitore le aveva strappato e aveva aiutato la testa di Chess a ricongiungersi col resto del corpo. La vampira più bassa prese un profondo sospiro, mentre la rigenerazione terminava di ricomporre i tessuti e legare nuovamente ossa e muscoli, portandosi una mano al collo nel mentre.
“Ragazze?”
“Sì, mio signore?” domandò Horn, posata come al solito, come se non avesse appena terminato di recuperare la testa dell’amica e di riattaccarsi un braccio amputato. Rimase però di stucco quando quest’ultimo le lanciò la lunghissima catena con una risata.
“Legategli i polsi, poi le caviglie e ancoratelo al letto. Qui, al mio posto. Fate in fretta, o ci lascia seriamente le penne” concluse con un sorriso ancora più largo, come se in qualche modo la prospettiva lo eccitasse.
Obbedirono, naturalmente; come avevano appena dimostrato, anche se metteva a rischio la loro stessa esistenza, non avrebbero mai ignorato un ordine di Crowley. Per nient’altro che la totale devozione che portavano al loro signore non si tiravano mai indietro, quando lui impartiva un comando.
Chissà come ha fatto, pensò a fatica Ferid mentre le osservava stancamente appoggiare e legare al letto il proprio corpo decapitato. Per fortuna ho anch’io il mio servitore fedele.
L’ultimo pensiero venne mentre lanciava un’occhiata di striscio a Crowley. Quanto era appena successo era un gioco; la sua preoccupazione di morire era stata reale, non poteva negarlo, ma era stato più istinto che consapevolezza. Quella gli ricordava che non importava quanto violenti potessero diventare i loro divertimenti, Crowley non l’avrebbe mai ucciso volontariamente. Era nella stessa condizione di Mikaela: incatenato a Ferid stesso, perché lui si era assicurato fosse così.
E, a quanto pare, ora tocca a me, rifletté mentre Crowley posava nuovamente la sua testa sul corpo e sentiva piano piano la rigenerazione restituirgli coscienza e sensibilità di arti e torso. Le gambe erano tenute unite dalle catene alle caviglie, e nemmeno le braccia erano libere di muoversi a causa di quelle ai polsi; poi Crowley gli rimise il collare improvvisato, e solo quando si allontanò poté constatare che, nonostante prima gli fosse sembrata lunga, la catena che gli fungeva da guinzaglio era molto più allentata del previsto; questo doveva significare che ce ne fossero ancora parecchi metri sul pavimento. Era stato accomodato in posizione seduta, così che gli riusciva di osservare tutta la stanza attorno a sé, compresi i tre vampiri che lo stavano scrutando attendendo che riprendesse piena conoscenza; le ragazze sembravano irritate, spaventate e dubbiose. Crowley se la stava certamente spassando, sotto quel sorriso infantile.
“Ma che… ? Crowley… ?”
Lui, per tutta risposta, ridacchiò. “Prima che ci provi” lo bloccò sollevando un dito, “non puoi rompere le catene. Non puoi nemmeno allentarle, né provarci. Non puoi sfilartele se non te lo dico io.”
Ferid annaspò un attimo, cercando una scappatoia alle condizioni. Non riuscendo a trovarne, probabilmente per via della sete che stava iniziando a farsi sentire sui suoi processi cerebrali, causa la perdita di sangue, si trovò costretto ad annuire; tuttavia si premurò di fingere un sorriso. Era importante sembrare sempre in controllo della situazione.
Crowley sembrò soddisfatto, perché il suo sorriso si allargò, facendosi più ferino. Ferid ebbe modo di notare come vi fosse un barlume di eccitazione, in fondo ai suoi occhi; molto probabilmente, il vederlo vulnerabile aveva risvegliato la sua parte più bestiale.
“Ed ora, mio signore?” domandò Chess, vagamente incerta di cosa fare da quel punto in avanti. Era probabilmente una situazione in cui nessuno di loro era mai stato; e tutto dipendeva da quello che Crowley avrebbe deciso.
La risposta di Crowley non si fece attendere; le passò un braccio dietro al collo, infilò la mano fra i suoi capelli e le spinse il viso contro il proprio collo pallido.
“Ora bevi” ordinò con un tono stranamente delicato.
La prima reazione di entrambe fu di arrossire; Ferid dal canto proprio sbarrò gli occhi, in attesa di vedere se Chess avrebbe obbedito o avrebbe opposto qualche resistenza.
Non poté dirsi sorpreso, quando questa non vi fu.
Chess Belle affondò le zanne nel collo del Tredicesimo Progenitore, che si sentì subito inebriato dalla consueta, immorale sensazione di piacere che era associata al tabù da quel momento per loro infranto. Mentre la vampira prendeva a succhiare con voluttà il sangue del suo signore, questi stava tenendo d’occhio Ferid, in cerca di una qualche reazione, che non si fece attendere. Come prevedibile, quel genere di spettacolo era per Ferid estremamente eccitante; d’altronde, cos’altro ci si poteva aspettare da un simile pervertito? Con ogni probabilità era anche la mancanza di sangue che si stava facendo sentire; ma soprattutto, Crowley era dannatamente sicuro che fosse la visione a cui non poteva sottrarsi il fattore scatenante dello sguardo famelico del Settimo Progenitore. Quella, e il fatto di essere legato.
Voltò lentamente il capo per osservare Horn, anche lei enormemente arrossita nell’osservare la scena; poteva quasi leggerle in faccia il desiderio di imitare Chess, di poter anche lei godere del sangue del suo signore almeno per qualche secondo.
“Mio signore… perché… ?” la sentì domandare in un soffio. Crowley si prese un altro attimo per godersi la sensazione che gli proveniva dalle labbra di Chess prima di strattonarla lievemente per i capelli, inducendola ad allontanarsi.
“Beh” ammise con un sorriso, “Chess ha perso molto più sangue rispetto a te, Horn. Ho immaginato avesse sete, o almeno più di te. Ma non ti preoccupare, per questa volta non farà l’egoista e lascerà qualcosa anche per te. Vero, Chess?”
Negli occhi di Chess potevano leggersi una serie di emozioni che si succedevano quasi senza soluzione di continuità, delle quali la maggiore era sicuramente quella di continuare a bere. Ma la domanda di Crowley risuonò per qualche motivo stranamente minacciosa alle orecchie di entrambe, e la vampira dai capelli scuri si sentiva in ogni caso più rinvigorita di prima; per cui si limitò ad annuire, chinando lievemente il capo.
“Naturalmente, mio signore” proferì sottovoce.
Ferid ridacchiò lievemente, ancora incatenato. Nonostante fossero tutti e tre ben distratti e considerasse sin troppo facile poterli smembrare nel giro di pochi secondi per fargliela pagare, era giunto alla conclusione che non valeva la pena sforzarsi di negare a Crowley quel piccolo attimo di divertimento. Si sarebbe fatto risarcire più avanti, in qualche modo. “Oh, molto meglio” annuì con uno sguardo orgoglioso per il Tredicesimo Progenitore. “È così che si ricompensano le brave servitrici, sono contento che tu l’abbia capito.”
“So perfettamente che se anche solo qualcuno di noi fosse umano tu avresti avuto una ricompensa ben diversa in mente, Ferid” commentò l’altro divertito. “Ma sfortunatamente questo è l’unico tipo di piacere fisico che ci è concesso, quindi le ragazze dovranno adattarsi. E non parlare come se fossi stato tu a darmi l’idea.”
“Non lo stavo facendo, stavo solo complimentandomi per l’ottima cura che hai delle tue sottoposte: è veramente lodevole.”
“Certo. In fondo, è veramente degno di lode non essere dei mostri totali con te come esempio a cui guardare” ghignò Crowley in risposta. Poi tornò a volgersi alla vampira bionda, ancora indecisa sul da farsi. “Guarda che se non decidi in fretta ti caccio via e lascio che sia Ferid a terminare il pasto, sai?”
La minaccia sortì nuovamente effetto immediato, e Horn Skuld si avventò sul collo del suo signore, che si lasciò mordere senza un lamento. Mentre anche lei iniziava a succhiare il sangue tanto bramato, tornò la piacevole sensazione che si provava ogni volta che qualcuno mordeva o veniva morso. Crowley le accarezzò distrattamente i capelli biondi mentre sentiva la testa farsi un po’ più leggera e riempirsi di una indefinita nebbiolina, e l’ennesima ondata di piacere lo fece sospirare ed arrossire lievemente.
Dannazione, pensò. Ferid non me la lascerà passare, questa. In effetti gli bastò lanciare un’occhiata rapida al vampiro in catene per notare che aveva recuperato gran parte della sua irritante noncuranza, e della sua spavalderia giocosa. Nei suoi occhi poteva leggersi facilmente quanto la vista di quel contatto, il più intimo che un vampiro potesse avere, che Crowley stava avendo con le sue luogotenenti, lo stesse divertendo.
Dopo pochi attimi ancora, Horn si allontanò con un sospiro lieve, le guance debolmente arrossate; una piccola ciocca di capelli finì lievemente fuori posto, mentre osservava con attenzione le piccole ferite prodotte dai suoi canini rimarginarsi rapidamente grazie al fattore rigenerativo che accomunava tutti i vampiri. L’espressione di infantile divertimento non aveva ancora abbandonato il volto del suo signore, e la vampira ne fu sollevata. Aveva temuto di poter essere giudicata, per l’abbandono con cui si era concessa quel piacere immorale. Una tale mancanza di controllo era nota in Chess; da lei ci si aspettava un atteggiamento più maturo e dignitoso.
Dopo poco giunse l’ennesima risata del Settimo Progenitore, che non sembrava più minimamente memore del fatto di essere stato solo una testa senza corpo pochi minuti prima.
“Sapete, siete veramente belli, tutti quanti! A quando le nozze, Crowley? Potrei fare da damigella a Horn o Chess, e Mika potrebbe farti da testimone! Ah, ma dobbiamo anche organizzare un addio al celibato, e ben due addii al nubilato! C’è così tanto da fare…”
Lo sproloquio lasciò  nuovamente basite le due vampire, ma ottenne ancora solo una risata divertita da parte del loro signore.
“Per quanto ti vedrei benissimo a tormentarle per mesi sul colore migliore dei vestiti e terribilmente indeciso su quello del tuo perché sia in sintonia con entrambi, mi pareva che il matrimonio prevedesse soltanto una sposa.”
“Oh beh, allora chi sceglieresti?”
Crowley non rispose, ma si limitò a sorridere. Poi tornò a rivolgersi alle due donne.
“Ragazze.”
“Sì, mio signore?” domandò Horn chinando lievemente il capo.
“Siete tutte sporche di sangue. Che ne dite di andare a farvi un bagno, intanto che io finisco qui? Rilassatevi, ripulitevi e poi tornate, va bene?”
“Ma, mio signore…” tentò di obiettare Chess, solo per essere zittita da un’occhiata di Horn.
“Grazie molte, nobile Crowley. In effetti, avrei voluto chiederlo io stessa, ma temevo fosse troppo irrispettoso da parte mia.”
Il messaggio del suo signore era abbastanza chiaro da non aver bisogno di essere ulteriormente esplicitato.
Il nostro ruolo qui è finito.
Scese dal letto con un sospiro, notando solo in quel momento che effettivamente sia lei che Chess erano ricoperte di sangue ormai rappreso. Probabilmente un bagno era l’idea migliore; il sangue secco non aveva un buon sapore.
“Andiamo, Chess” invitò l’amica, aprendo la porta. Questa sbuffò, ma dopo un’occhiata al loro signore si alzò, mugugnando qualcosa su come si sarebbero perse il meglio della situazione. Quando l’affiancò, si voltarono entrambe verso i due vampiri nobili, inchinandosi rispettosamente per salutarli.
“Nobile Crowley. Nobile Ferid.”
“A dopo, ragazze” le salutò il primo, raggiante, accompagnando il saluto con il gesto della mano.
“Cielo, non sapete quanto vi invidio in questo momento” replicò il secondo  sollevando i polsi legati in saluto. “Voi ve ne andate a lavarvi e io invece devo stare qui a sopportare i capricci e i desideri di questa belva feroce.”
“Come se ti dispiacesse.”
“Sì, sì, mi dispiace un sacco, e lo sai!”
Si chiusero la porta alle spalle mentre i toni della discussione venivano lievemente attutiti, e si diressero al bagno. Prima di arrivarvi, comunque fecero in tempo a udire lo sferragliare prodotto dalle catene, e quello che supponevano essere il loro schiantarsi addosso al Settimo Progenitore a giudicare dalle sue urla.
Non sembrava dispiacergli.
 
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L’acqua lavò via in fretta le incrostazioni di sangue rappreso, ma toccò loro aspettare per avere dei ricambi puliti; Horn si ritrovò a riflettere come era da un po’ che non facesse il bagno con Chess.
L’ultima volta dev’essere stata quando abbiamo incontrato lui.
Ai tempi, servivano un Undicesimo Progenitore. Horn nemmeno rammentava più il suo nome; erano state trasformate da lui, perché voleva avere due belle presenze a fargli compagnia e con cui passare il tempo; obbedienti perché costrette, avevano sopportato le sue angherie e strane manie per parecchio tempo.
Poi, all’improvviso, Crowley Eusford era arrivato, e il loro padrone era morto. Pensava di insegnare una lezione di umiltà a quel vampiro novizio, ma era invece finito decapitato in meno di trenta secondi; la differenza di abilità e potere era stata da subito evidente ad entrambe.
Ricordava ancora il Progenitore strillare di come Crowley non potesse in alcun modo essere una progenie di Ferid Bathory: se questo fosse stato vero, non avrebbe nemmeno dovuto poter sperare anche solo di toccare un Undicesimo come lui, perché al massimo avrebbe potuto ambire al rango di Tredicesimo. Crowley aveva semplicemente ignorato la sua paternale e l’aveva ucciso senza troppe cerimonie. Poi si era voltato verso di loro, e sorridendo aveva proferito tre semplici parole.
Ora cosa farete?
Sulle prime Horn era rimasta interdetta, e Chess con lei; non avevano mai pensato a cosa fare se il loro “padre” fosse morto. Eppure era successo; erano sole. Erano libere. Colui che le aveva cambiate era stato ucciso, con una semplicità disarmante per giunta. La vampira bionda aveva cercato di interpretare la domanda, di ragionarvi sopra per assicurarsi se vi fosse una risposta più giusta di un’altra: era stata abituata a soppesare le parole con chi fosse più potente di lei, una facoltà che Chess doveva ancora affinare, e nella quale non era riuscita nemmeno nei secoli successivi.
Tuttavia, non le era riuscito di intuire alcuna inflessione nel tono del suo salvatore; guardandolo negli occhi, non aveva visto altro se non una curiosità innocente ed infantile. Probabilmente non era stato cambiato da molto, e doveva ancora abituarsi a quella vita, alla sua forza, a tutto. Ogni cosa era per lui un gioco divertente, motivo di meraviglia.
Meraviglia: qualcosa che lei a malapena ricordava, tanto era lontana ed umana come sensazione.
Per cui, dopo una rapida occhiata con Chess ed avendo visto nei suoi occhi la propria stessa risoluzione, aveva dato voce al proprio desiderio di seguirlo e servirlo. Da tutti i punti di vista, era stata una vera follia: una persona tanto potente poteva essere infinitamente peggio del loro signore appena deceduto. Eppure, qualcosa nello sguardo di quell’uomo le diceva che non aveva motivo di angustiarsi da quel punto di vista; non sembrava essere una persona immotivatamente crudele.
Udendo la loro risposta, il vampiro aveva semplicemente sorriso, mentre si assicurava al fianco la spada dell’avversario ucciso.
In tal caso, andiamo. Sto cercando una persona.
Chi?
aveva domandato Chess, curiosa ed impertinente come sempre.
Ferid Bathory.
“Ehi, Horn?”
La voce di Chess la fece riscuotere dai ricordi. La guardò con aria interrogativa in risposta.
“Credi che il nobile Crowley abbia finito?”
Horn rifletté sul quesito in silenzio per qualche momento. “Non ne sono certa” rispose infine. “Probabilmente ci farà chiamare lui quando avrà terminato con il nobile Ferid.”
“Il nobile Ferid è inquietante” si lamentò l’altra, raccogliendosi su se stessa e appoggiando il mento sulle gambe; ebbe qualche difficoltà a causa delle dimensioni del seno. “Non si capisce mai cosa gli passi per la testa. Non capisco perché il nobile Crowley continui a stargli appresso.”
Horn sapeva come avrebbe risposto il loro signore ad un simile dubbio.
“Lui direbbe che è perché lo diverte. Le cose si fanno sempre più complicate quando il nobile Ferid è coinvolto. E questo al nostro signore piace.”
“Perché non possiamo bastargli noi? A noi lui basterebbe. Da quando frequenta il Settimo Progenitore è… cambiato” mugugnò piano Chess.
“Non è così che funziona, Chess” replicò Horn. “Il nobile Crowley è sempre stato uno spirito affine al nobile Ferid; solo che non l’abbiamo notato finché non si sono reincontrati e non hanno iniziato a passare del tempo assieme. Per quanto noi possiamo essergli fedeli… non saremo mai in grado di scatenare in lui lo stesso divertimento che il Settimo Progenitore sa procurargli.”
“Da un certo punto di vista mi sento sollevata. L’idea di essere deviata quanto il nobile Ferid un po’ mi spaventa.”
Horn si lasciò sfuggire una risata sottile.
“Già” concluse. Siamo legate a lui, ma lui non lo sarà mai veramente a noi. “Spaventa anche me.”  
  
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