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Autore: AleDic    17/12/2016    2 recensioni
[Rebirth!AU ⎸Oz/Gil ⎸1564 parole]
Oz amava suonare il violino. A volte, Ada e lo zio Oscar si fermavano ad ascoltarlo o gli chiedevano di interpretare qualche pezzo e Oz gli accontentava. Era sempre stato un modo per dimenticare il tempo che passava in solitudine. Non aveva mai suonato per qualcuno. Almeno, finché non era arrivato Gilbert.
{Terza classificata e vincitrice del Premio Miglior Coppia al contest “Portami via da qui” indetto da AriaBlack sul forum di Efp}
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gilbert Nightray, Oz Vessalius
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nickname su Efp e sul forum: AleDic
Titolo: The song remains the same
Fandom: Pandora Hearts
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico
Personaggi (eventuale pairing): Oz Vessalius, Gilbert (Ozbert)
Rating: Giallo
AU scelta (+ song e/o quote, qualora ce ne siano): AU R + song 5
Introduzione:Oz amava suonare il violino. A volte, Ada e lo zio Oscar si fermavano ad ascoltarlo o gli chiedevano di interpretare qualche pezzo e Oz gli accontentava. Era sempre stato un modo per dimenticare il tempo che passava in solitudine. Non aveva mai suonato per qualcuno. Almeno, finché non era arrivato Gilbert.”
Note dell’autrice: Non so esattamente cosa sia questa storia, stavo scrivendo tutt’altro e poi quest’idea mi è saltata in mente e non è più andata via e così l’ho messa su carta (o almeno ci ho provato, ma non sono sicura di essere riuscita a farlo come si deve.) Comunque sia, un appunto per chi, concedendomi un po’ di fiducia anche dopo queste note iniziali, volesse avventurarsi nella lettura: essendo una Rebirth!AU, ho suddiviso la storia in due momenti, passato e presente; il presente è raccontato con i caratteri normali, mentre il passato è tutto in corsivo. Detto questo, spero che questa cosina vi piaccia almeno un pochino. Ci risentiamo nelle note finali, per chi ci arriverà.










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The song remains the same

 

 

{ 1564 parole }

 

 

"I dive in at the deep end / You become my best friend / I wanna love you but I don't know if I can / I know something is broken / and I'm trying to fix it / trying to repair it / any way I can."

X & Y - Coldplay

 

 

 

È una melodia famigliare, in qualche modo che non sa spiegare. Come se stesse graffiando una fitta nebbia nel profondo della sua anima, ogni nota si scaglia contro di lui e scava, dandogli una strana sensazione. Non è esattamente dolore: più un’immensa e sconcertante nostalgia; qualcosa che ha amato e poi perso. Ma non riesce a ricordare cosa. Tuttavia, è sicuro che quella musica ne custodisce il segreto. Si alza e apre la porta dell’aula. Può sembrare del tutto folle, ma quella musica lo sta chiamando.

 

Oz amava suonare il violino. L’incastro tra la spalla e il mento, le dita che pizzicavano le corde, l’archetto che le accarezzava; a Oz, come a tutti i nobili, veniva insegnato a suonare diversi strumenti, ma per lui, il violino era speciale: per suonarlo, si doveva utilizzare l’intero corpo. Era come danzare con la musica stessa. Alla fine, tuttavia, non era niente più che un hobby, un modo per passare il tempo in quella grande villa. Non c’era molto altro che potesse fare. Sua madre era morta qualche anno prima e suo padre era sempre via; sua sorella Ada aveva solo due anni e le domestiche non lo lasciavano solo con lei. Dopotutto, Oz aveva solo nove anni. Lo zio Oscar veniva spesso a trovarlo, ma era sempre impegnato per via dell’assenza di suo padre. Gli altri bambini della nobiltà, invece, non riuscivano proprio a piacergli, men che meno a farci amicizia. Così se ne stava sempre lì, nella villa, e suonava. A volte, Ada e lo zio Oscar si fermavano ad ascoltarlo o gli chiedevano di interpretare qualche pezzo e Oz gli accontentava. Era sempre stato un modo per dimenticare il tempo che passava in solitudine. Non aveva mai suonato per qualcuno. Almeno, finché non era arrivato Gilbert.

Lo avevano trovato privo di sensi e ferito nel giardino della villa. Quando si riprese, disse non ricordare nulla a parte il suo nome; così, zio Oscar decise di farlo diventare il servitore personale di Oz. La prima volta che lo vide, tremava come una foglia colpita dal vento. Sembrava spaventato da qualcosa e non riusciva nemmeno a parlargli con voce ferma o guardandolo negli occhi. Oz non sapeva cosa fare in questi casi; sapeva solo quello che poteva sapere un bambino di nove anni. E una di queste era, appunto, suonare il violino. Così, lo prese per mano, portandolo nella sala di musica e lo fece sedere. Gilbert assecondò le sue direttive in silenzio, sempre a testa bassa. Poi Oz prese il violino e iniziò a suonare.

 

La scuola è ormai quasi vuota; le attività di club sono terminate da poco e gli studenti si stanno avviando verso casa. Tutti tranne Gilbert. Lui sta ancora seguendo quella malinconica melodia. L’aula di musica si trova al terzo piano, in fondo al corridoio. Gilbert percorre la via per arrivarci come sotto un incantesimo. Cammina piano, senza far rumore. Non vuole che la musica si fermi.

 

Da quando Gil era entrato nella sua vita, qualcosa era cambiato. Ogni giorno sembrava caldo e pieno di luce, le ombre che da sempre vagavano per quella grande villa, seguendolo ovunque, sembravano come svanite e tutto ciò che c’era erano gioia e risate. Gil era timido e impacciato, si spaventava facilmente ed era sempre ansioso, finendo per piagnucolare. Ma era anche oltremodo gentile e premuroso, aveva sorrisi che splendevano e tocchi capaci di rassicurarlo. Sempre pronto a difenderlo ed ad essere al suo fianco, qualunque cosa fosse accaduta. E, più di tutto, chissà perché, ogni volta che era con lui, il cuore di Oz cominciava a battere un po’ più veloce. Allora, suonava. Quando Oz sentiva quel qualcosa pizzicargli il petto e agitargli uno strano vento nello stomaco, come se si trovasse sospeso ad una grande altezza e avesse le vertigini, prendeva la mano di Gil – e una scossa lo attraversava da capo a piedi, quella piccola mano nella sua e la pelle calda e le dita che si sfioravano incerte – e lo portava nella sala di musica, come la prima volta che si erano conosciuti, sistema il violino sulla spalla e suonava (per lui.)

Fu così che accade: il giorno del quattordicesimo compleanno di Gilbert, la sala di musica, il violino e Oz che suonava un pezzo composto solo per lui, le dite che si muovevano frenetiche, l’archetto che le rincorreva, il sudore ad imperlare il volto del giovane Vessalius, il fiato corto e poi – una mano che si posava sulla sua per fermarlo, occhi smeraldo che incontravano oro puro e lo spazio di un respiro che veniva annullato (si sentiva ancora una melodia nell’aria, scandita dai battiti dei loro cuori.)

E poi
ci fu solo
(finalmente)
il sapore delle labbra di Gil.

 

 

 

 

 

A un tratto la musica cambia. Lo fa in modo così repentino e inaspettato che Gilbert sussulta leggermente. C’è qualcosa adesso in quella melodia, qualcosa che è simile a un grido disperato, che riempie il cuore del ragazzo d’angoscia. I piedi incespicano e lui quasi inciampa nell’esitazione dei suoi passi. No, non può fermarsi. La musica sarà anche cambiata, ma lo sta ancora chiamando. E, non sa spiegarsi il perché, sente che solo lui è in grado di placare quelle strazianti urla di dolore.

 

Il giorno in cui il suo mondo iniziò ad andare in pezzi, Oz aveva compiuto quindici anni. Durante la cerimonia per il suo ingresso in società, un inserviente comunicò la presenza dell’ultima persona che ci si sarebbe mai aspettati di vedere in una proprietà dei Vessalius: il capofamiglia dell’acerrima casata nemica, il duca Nightray. Ed eccolo, il peggior scenario possibile che Oz aveva sempre immaginato potesse accadere: era venuto a portargli via Gil. Era qualcosa a cui Oz pensava continuamente; Gil era comparso all’improvviso nella sua vita dal nulla e, allora, non c’era niente che potesse impedire che un giorno, all’improvviso, nel nulla sarebbe svanito. Che un giorno sarebbe venuto qualcuno a reclamarlo e portarglielo via. Ma quello che stava accadendo era anche peggio di tutte le sue paranoiche fantasie. La casata Nightray non solo era acerrima nemica dei Vessalius, ma c’erano voci che la definivano “la casata traditrice”, in quanto, per raggiungere e conservare la loro posizione, non si faceva scrupoli nel macchiarsi le mani di sangue. Oz aveva provato ad opporsi con tutte le sue forze, ma era stato tutto inutile. Gil aveva deciso di andare con quell’uomo.

Gli disse che aveva cominciato a riacquistare i suoi ricordi e che il duca Nightray era davvero suo padre. Gli disse che c’erano i suoi fratelli minori che avevano bisogno di lui. Gli disse che ormai non era più adatto per restare al suo fianco e continuare ad essere il suo servitore (non gli disse che non voleva lasciarlo perché lo amava.)

Oz non aveva saputo obiettare. Non aveva saputo rispondere o reagire o gridare – era stato solo lui a sentirsi in quel modo, era solo lui a provare quelle cose, era solo lui a voler restare per sempre al suo fianco, ma non era quello che Gilbert voleva - se n’era rimasto immobile, in silenzio, per tutto il tempo, finché la carrozza non era sparita all’orizzonte (non aveva saputo come dire addio alla persona che amava.)

 

Era stato un terribile errore.

 

Erano già passati tre anni quando lo venne a sapere

 

Perché era andata a finire in quel modo?

 

Accadde tutto nella notte del suo diciassettesimo compleanno

 

Perché non l’aveva fermato?

 

Un attentato, forse per vendetta e

 

Perché quella volta non glielo aveva semplicemente detto?

 

Gilbert

 

Ti amo.

 

Era morto.

 

 

 

Gilbert è arrivato davanti alla porta della sala di musica. Ma è immobile. Le immagini e i sentimenti che lo stanno attraversando in quel momento lo travolgono come un uragano, insieme a quella melodia. Non sa davvero cosa sta succedendo, non capisce ancora. Tuttavia, deve essere tutto reale. Altrimenti non sa come spiegare le lacrime che gli rigano il volto e non accennano a fermarsi.

 

Rosso.
Intenso, liquido, immenso.
Quello del tramonto era caldo e pacifico; sembrava voler avvolgere e cullare fino al nuovo giorno.
Questo, Oz non lo seppe mai.
Il solo rosso che vedeva, osservando il tramonto dal tetto della villa, era scuro e terribile, profondo e spaventoso; non dava nessuna speranza o consolazione.
Era il rosso della morte. Lo stesso che aveva rivestito il corpo senza vita di Gil.
Era l’unico colore con cui, oramai, i suoi occhi riuscivano a vedere.
Fu anche l’ultima cosa che vide prima di lasciarsi cadere.

 

Apre la porta di scatto. La musica è terminata da qualche attimo, così a Gilbert occorre un po’ per trovarne l’autore. È seduto nell’angolo dell’aula, vicino alla finestra. Ha il viso rivolto verso l’esterno, mentre guarda fuori. Ormai sono passate le cinque, il sole sta tramontando. Sembra che abbia suonato per tutto il tempo osservando il cielo. Gilbert pensa tutto questo nell’arco di un secondo, quello che l’altro ragazzo impiega per realizzare la sua presenza e voltarsi verso di lui.
Chissà quanto è effettivamente passato dall’ultima volta quegli occhi si sono incontrati. Nessuno dei due saprebbe dirlo. Ma non hanno avuto bisogno neanche di un momento per riconoscersi. Il ragazzo biondo rimane immobile, sbattendo piano le palpebre, come per essere sicuro che non si tratti di un’allucinazione.
Una, due, tre volte.
Alla quarta, gli occhi gli si riempiono di lacrime che iniziano a cadere silenziose.
Fa un passo avanti e Gilbert lo imita, come farebbe uno specchio.
E poi, la musica ricomincia.

 

 ≈≈≈

 

 

Note finali: Sì, finisce proprio così. Voleva essere una cosa MOLTO introspettiva, quindi con poca azione, spero di non avervi annoiato. Ho deciso di mettere queste note finali perché mi sembrava meglio spiegare alcune cose solo dopo la lettura. Non so se sono riuscita a renderlo chiaro, ma la storia si svolge tutta nel presente, con Gilbert che sentendo Oz suonare il violino e seguendo la musica, inizia a ricordare quello che è successo nella sua vita precedente. Oz, invece, ricordava già e sono proprio i sentimenti che trasmette tramite la musica che riaccendo qualcosa in Gil (e sì, Oz stava suonando guardando il tramonto, proprio come quando si è suicidato – lo so, sono una persona terribile. T_T) Ecco perché anche i punti di vista sono diversi: nel presente, il POV è di Gilbert che sta ricordando; nel passato c’è il POV di Oz, che nel presente è quello che già ricorda. Seconda cosa: non so se sono sfociata nell’OOC per quanto riguarda Oz. La maestra Mochizuki ci lascia intendere che Oz, pur sapendo suonare diversi strumenti come la sua posizione sociale richiede, abbia una predilezione per il volino, ma non sembra amare così tanto la musica o trovarvi un significato particolare; è una cosa che ho voluto accentuare io ai fini della fic. Se pensate sia troppo OOC, ditemelo pure, così lo inserisco nel format. Se avete bisogno di altri chiarimenti, chiedete pure. Grazie a tutti coloro che si sono fermati a leggere e a quelli che mi lasceranno un commento.

Alla prossima,

Ale  

 

   
 
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