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Autore: Frytty    22/05/2009    1 recensioni
Whatever they say These people are torn Wild and bereft Assassin is born... Muse
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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One-Shot scritta per la partecipazione al contest indetto da "Writers Arena" "Fenomeni Paranormali" e posizionatasi terza. Sono molto soddisfatta di questa storia a dir la verità, ma ci ho pensato molto prima di postarla, spero vi piaccia ^^.

Whatever they say
These people are torn
Wild and bereft
Assassin is born...

Adorava uccidere.
Plin. Plin.
Le goccioline facevano rumore quando incontravano il pavimento di marmo immacolato della stanza.
La sua ennesima vittima.
Era stato più complicato del solito.
Non era riuscito a stordirlo in tempo e aveva incominciato ad urlare in prossimità della piazza della città, quando aveva compreso che quella verso cui si stava dirigendo, non era certo la casa di qualcuno che voleva proporgli un affare.
Non uno dei suoi soliti clienti, di quelli vestiti a puntino che si fermavano a chiacchierare con lui in Banca.
Aveva cercato di rimanere calmo, cercando di trascinarlo via prima che qualcuno lo udisse.
Ma non era la polizia che lo preoccupava.
Né tanto meno la gente lì attorno.
Di curiosi ce n'erano fin troppi, almeno per i suoi gusti.
Voleva che la sua vittima rimanesse lucida, ecco perché al primo approccio non esagerava mai. Al massimo lo sbatteva con violenza contro il muro più vicino.
In questo caso la vittima, si sarebbe svegliata ancora prima di raggiungere la destinazione e avrebbe potuto cominciare a guardarsi intorno, magari cercando di individuare la causa di quel forte mal di testa.
Adorava uccidere, ma non era ancora del tutto sicuro del perché. Non era questione di vendetta, ormai esaurita da tempo. Non era per renderlo felice.
Amava quella folle paura che si accumulava tutta d'un tratto nelle iridi delle vittime poco prima della fine, le loro preghiere inutili, i loro scongiuri, le loro suppliche, le loro lacrime che insisteva per assaggiare, le loro grida, che lo assordavano, distraendolo per un momento da tutti i suoi pensieri.
Frugò per qualche minuto nella tasca dei pantaloni costosi dell'uomo, recuperandone il portafoglio, estraendone la carta d'identità. I soldi non gli interessavano.
Robert Crawford.
Il banchiere più famoso di New York.
Legato ad una sedia, mani e piedi, la bocca sigillata dallo scotch grigio, il sangue che continuava a gocciolare dalla sua gamba destra e dal fianco, gli occhi chiusi, la pelle fredda.
Morto.
Lasciò cadere il portafoglio a terra, conservando la carta d'identità nel taschino della sua nuova giacca nera, stando ben attento a non ferirsi con il coltello che reggeva ancora in mano, sporco di sangue.
Avrebbe dovuto pulirlo, ma ci avrebbe pensato dopo.
Aveva un altro compito da svolgere.
L'ultimo per chiudere quella splendida giornata di Ottobre.

Christel Low era stanca.
Non le piaceva lavorare fino a tardi, in particolare perché gli unici rumori che le facevano compagnia erano il ronzare del suo computer portatile e quelli indistinti dell'uomo delle pulizie che faceva scorrere l'acqua nel bagno di servizio e armeggiava con stracci e flaconi di detersivo.
I tacchi delle sue scarpe dalle punte consunte, facevano rumore lungo la stradina secondaria dove aveva avuto la malaugurata intenzione di parcheggiare la sua modesta automobile.
Le facevano paura il buio e il silenzio ma cercava di non pensarci.
Magari avrebbe potuto telefonare Josh e rassicurarlo che sarebbe rientrata a breve a casa.
Almeno la sua voce le avrebbe fatto compagnia lungo il tragitto.
Sollevò la borsetta, frugandovi per qualche minuto all'interno prima di estrarne un cellulare grigio.
Compose frettolosamente un numero fisso e si portò l'apparecchio all'orecchio, contando mentalmente gli squilli e pregando che il suo fidanzato non si fosse appisolato durante l'attesa.

Gabriel sapeva di essere speciale.
Lo sapeva praticamente da sempre.
E sentiva che anche Christel lo era, mentre la seguiva, silenzioso, nascondendosi nell'ombra quando lei si guardava intorno.
Era una donna abbastanza interessante: capelli lunghi color noce, occhi presumibilmente chiari, snella ed agile, belle gambe. Ma non era l'aspetto fisico quello che destava l'attenzione in Gabriel, l'assassino.
Si concentrò velocemente sui suoi pensieri, che al momento, sembravano piuttosto confusi.
Josh. Andato. Veloce. Macchina. Chiavi.
Chissà chi era Josh, poi.
Allungò lo sguardo, puntandolo verso la modesta berlina verde oliva parcheggiata poco più avanti.
Osservò di nuovo lei, adesso arrabbiata mentre spingeva il cellulare giù nella borsa, tra mucchi di carte.
Non è possibile che più hai bisogno di aiuto e più la gente se ne sbatta. Non può essere. Che razza di idiota! Nemmeno la decenza di aspettarmi! Oh, ma mi sentirà!
Gabriel sorrise, le mani nelle tasche, mentre ascoltava quella muta conversazione.
Christel aveva una bella voce.
Attraversò cauto la strada, attento a non farsi vedere, facendo finta di guardarsi intorno quando lei spostò lo sguardo su di lui, appena poco prima di accelerare il passo e raggiungere finalmente la macchina, infilando la chiave di metallo nella fessura e aprendo la portiera.
Gabriel la osservò mentre si avvicinava ancora di qualche passo, mentre poggiava la borsetta sul cruscotto, inseriva la chiave nel quadro di accensione, piegava la testa, probabilmente in cerca di qualcosa e poggiava la mano sulla portiera prima di chiuderla.
Gabriel affrettò il passo, fin quando non si ritrovò esattamente accanto alla vettura.
Bussò gentilmente sul vetro del finestrino, mentre la donna lanciava un piccolo urlo e indietreggiava nel sedile, la mano sul cuore.
Fece un bel respiro poi lasciò che il finestrino si aprisse.
< Posso fare qualcosa per lei? > Chiese gentile e ancora una volta Gabriel rimase incantato ed estasiato di quella voce perfettamente melodica.
< In realtà si. > Rispose poggiando le mani sul finestrino e sorridendo. < Mi chiedevo se avevate una cartina. Sa, sono nuovo di qui e ho un po' di difficoltà a trovare l'albergo che ho prenotato. >
< Una cartina ha detto? Si, dovrei averla qui, da qualche parte... > Christel incominciò a frugare, aprendo lo sportello del vano dove solitamente riponeva i cd musicali.
Non fu difficile.
Gli bastò aprire velocemente la portiera, sporgersi verso di lei, che ignara stava continuando a frugare tra le sue cianfrusaglie, e sbatterle la testa sul cruscotto un paio di volte, perché crollasse svenuta.
In fondo, si sa, le donne sono più fragili degli uomini ma soprattutto più gestibili dal punto di vista fisico.

Christel riprese conoscenza quando ormai erano già arrivati in casa.
La testa le faceva male come i polsi.
Cercò di strattonarli prima di rendersi conto che erano stati legati all'indietro ad una sedia sulla quale lei stessa era seduta.
Lo scotch le pizzicava la pelle.
Le erano stati legati anche i capelli in una coda alta.
Si guardò intorno ma non aveva grande possibilità di movimento.
Si trovava in una casa, squallida da ciò che risultavano essere i muri, muffiti dalla troppa umidità e dall'acqua piovana che scorreva lungo le pareti, raccolta da un catino di ferro poggiato a terra.
Il marmo freddo la sorprese.
Una casa così squallida pavimentata con del marmo!
Era buio e nella stanza c'era odore di chiuso.
< Ben svegliata. > Le sussurrò una voce nell'orecchio sinistro che la spaventò, facendola sussultare e ricominciare ad agitare, invano, non producendo altro che suoni smorzati e incomprensibili.

Sapeva sarebbe stato più semplice con lei.
Era così fragile...
Le accarezzò una guancia. Stranamente non aveva ancora cominciato a piangere.
Si rifiutò di ascoltare i suoi pensieri.
Non era quello il momento.
Si sedette di fronte a lei, giocando con il coltello che aveva appena finito di ripulire dal sangue del banchiere.
Gli piacevano i coltelli.
Bastava una mossa e... zack! la tua preda era al tuo completo servizio.
La scrutò sorridendo.
< Tu sai perché sei qui, vero Christel? >
Lei scosse il capo.
< Si, beh, dicono tutti così. > Continuò come se non l'avesse vista. < Ma forse mi hai già visto. Perché non cerchi di ricordare, Christel? > La guardò accigliato, come se lei non si stesse sforzando abbastanza, un tono come d'accusa nella sua voce ipnotica.
Christel scosse di nuovo il capo.
< Capisco, beh, la botta in testa, la perdita del senso d'orientamento... capisco che tutto ciò non debba aver giocato a tuo favore, ma fai uno sforzo... in fondo posso lo stesso sentirti. >
Quell'ultima parola la paralizzò.
E' anche lui un telepatico.
< Non è stato così difficile, vero? > Le chiese, inclinando appena la testa, abbandonando il coltello sul tavolo al suo fianco.
Cosa vuoi da me? Sei così sicura di non averne idea? Christel scosse la testa.
Prova a riflettere. Christel provò a concentrarsi, soffermandosi su quei pochi tratti che riusciva a distinguere dell'uomo di fronte a lei.
Aveva degli occhi così azzurri, che per un attimo fu costretta a trattenere il fiato mentre una morsa d'acciaio le attanagliava lo stomaco.
I capelli neri disordinati e le labbra ben disegnate.
Gabriel...
Nemmeno questo è stato così difficile vedo. Ti ricordi ancora di me, allora.
Come potrei mai dimenticarti? Sei stato il mio primo ragazzo.
E' passato così tanto tempo...
Perché mi stai facendo questo?
Christel lo implorò con lo sguardo di liberarla. L'aveva riconosciuto, aveva avuto ciò che voleva, o almeno così sperava.
Non aveva paura, non adesso.
Era così sicura che Gabriel non le avrebbe mai fatto del male.
Infondo, avevano condiviso tanto, forse troppo insieme.
Non ne avrebbe avuto il coraggio.
Non sei qui perché io possa punirti, Christel. Non oserei farti del male, lo sai. Voglio solo che tu capisca.
Cosa?
Quello che ancora non sai di me.
Ma io so tutto di te.
< Ti sbagli! > Urlò scattando in piedi e rovesciando la sedia sulla quale era seduto due minuti prima.
E' così. E lo sai anche tu.
< Non è mai stato così. Ti ho salvata io, Christel quella notte. Eravamo solo dei bambini e non mi aspettavo che capissi. Forse non l'avevo capito nemmeno io. > Sembrò calmarsi appena mentre la malinconia prendeva in ostaggio le sue splendide iridi azzurre.
Cosa mai avrei dovuto capire? Ero solo una bambina ma forse avevo già capito fin troppo del mondo, di come andavano le cose.
Stavi cercando di ucciderti, Christel! Non credo tu capissi.
Davvero? E per quale motivo credi che lo stessi facendo? Ero sola, Gabriel. I miei genitori non c'erano mai, sono stata costretta a vivere con persone che non capivano, che mi detestavano, che credevano di farmi felice con le bambole e i loro sorrisi falsi.
Ma eri solo una bambina!
Allora, cosa vuoi? Che ti ringrazi? Credo di averlo già fatto. Più volte.
< Non è di questo che ho bisogno, Christel. Li leggi i giornali no? sei una giornalista, infondo. > Il suo tono sembrò raddolcirsi mentre tornava a guardarla.
Christel annuì. Aveva già capito dove voleva arrivare.
Dimmi che non sei stato tu, Gabriel. Dimmi che non l'hai fatto.
Incominciò a piangere quasi senza rendersene conto.
Sono stato io, Christel.
Perché? Cosa ti avevano fatto di male?
Continuò a piangere disperata, ricominciando a dimenarsi per essere liberata. Le mancava l'aria.
Io... ero solo.
Avresti potuto chiamarmi! Non ti ho mai negato niente, Gabriel! Avrei potuto aiutarti!
< No. No... non avresti potuto. > Si passò una mano tra i capelli, spettinandoli, voltandosi verso l'unica fonte di luce di quella stanza tetra: la piccola finestrella alla sua destra.
Una cicatrice gli solcava il lato sinistro del volto, una cicatrice che Christel non aveva mai visto né ricordava.
I suoi occhi gonfi di pianto lo scrutarono per un po'.
Come hai fatto a farti quella?
Gabriel si voltò verso di lei, sorpreso di quella domanda. Le si avvicinò, inginocchiandosi di fronte a lei, poggiandole le mani sulle cosce.
Non vuoi saperlo davvero.
Invece si.
Gabriel sospirò, guardando la macchia rossa che si era allargata fino a raggiungere il piccolo cucinino.
Aveva tentato di mandare via il grosso dello sporco, tuttavia non aveva pensato che il sangue avrebbe potuto raggiungere anche quel punto nascosto.
Tornò a guardarla, andando ad asciugarle le lacrime con l'indice.
Lei non si ritrasse. Era un gesto che ricordava.
< Sono stato uno sciocco ma volevo morire, come te. > Le rispose.
E come pensavi di farlo? Tagliandoti una guancia?
< Avevo paura. Volevo arrivarci per gradi. > Gabriel abbassò lo sguardo, desolato.
Christiel avrebbe potuto giudicarlo, avrebbe potuto ferirlo con la sua prossima risposta, ma inaspettatamente non disse nulla, rimase in silenzio con una strana voglia di abbracciarlo.
Sarebbe stata disposta a perdonargli qualunque cosa pur di abbracciarlo di nuovo, pur di ritrovare il calore familiare delle sue braccia.
Non vuoi slegarmi?
Mi ucciderai? E sorrise appena, triste ma sincero.
Non ci ho ancora pensato. Sai che ne sarei capace.
Senza ombra di dubbio.
Le slegò i polsi lentamente, quasi come a voler ritardare il momento in cui si sarebbero incontrati di nuovo.
Christel faceva fatica a reggersi in piedi se non fosse stato per Gabriel che la sorresse prima che cadesse.
Si liberò dello scotch prima di sorridergli, ringraziandolo con lo sguardo ancora lucido di lacrime.
Hai paura di me?
Non ne ho mai avuta.
Potrai mai perdonarmi?
Per cosa?
Gabriel rise prima di abbracciarla, stringendola a sé, chiudendo gli occhi alla sensazione conosciuta di sentire il suo corpo contro il suo.
A proposito, chi è Josh?
Christel non rispose, limitandosi a sorridere e a stringerlo a sé ancora più forte.
E' una storia lunga.

Lose control
Increasing pace
Warped and bewitched
Intention erased...

   
 
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