*Note dell’autrice
che continua a sfornare One-Shot*
Un.
Parto.
Questa
storia è stata un parto.
Mi
ronzava in testa da molto, forse troppo tempo.
È
stato difficile svilupparla su carta. Ci ho messo giorni, tante ora
al giorno, in cui scrivevo poche righe.
Ma
alla fine ho avuto quello che volevo e ne sono orgogliosa.
Sono
orgogliosa di questa storia. Sono orgogliosa di ciò che ho
scritto. Sono orgogliosa del messaggio che ho cercato di mandare. E,
più di
tutto, sono orgogliosa della persona a cui ho pensato in ogni momento,
mentre
la scrivevo.
Una
persona che conosco solo da un paio d’anni, ma che mi sembra
di
conoscere da sempre.
Un
persona di cui mi fiderò ciecamente anche se dovesse
tradirmi.
Una
persona che mi conosce meglio di me stessa, e di cui non riuscirei
a fare a meno.
Dedico
questa storia a Giuly_chan, la mia migliore amica. [Ti voglio
tanto bene, Love!]
Bene…
oh… è stata dura scriverla, ma rileggendola mi
vengono le
lacrimucce.
Spero
che piaccia anche a voi, anche se non parla di InuYasha e Kagome,
ma di un altro tipo di rapporto.
Un bacione, fatemi
sapere cosa ne pensate!
Mary-chan
Tutto è
nato da Me e Te
–
Quello che rende indissolubili
le amicizie e ne raddoppia l’incanto, è un
sentimento che manca all’amore: la
sicurezza –
Honoré
De Balzac
–
Non è
vero che un amico si vede dal bisogno. Un amico si vede sempre
–
Roberto Benigni
Si
rigirò tra le mani la sigaretta
spenta, che aveva appena sfilato dal pacchetto, rovinato
successivamente in
terra.
La
osservò per alcuni secondi, poi
estrasse, dalla tasca dei jeans che indossava, un accendino rosso, con
cui la
accese.
Aspirò
una boccata di fumo,
continuando a guardare il cielo ricoperto da nuvole scure. Stava per
piovere e
lei non aveva un ombrello. La solita fortuna che
l’abbandonava.
Rivolse
uno sguardo veloce alla
figura che le stava accanto, seduta a cavalcioni sul muretto al quale
lei era
semplicemente appoggiata. Le scritte, fatte dai ragazzi con pennarelli
indelebili, ne rovinavano la superficie bianca, dandogli
un’aria usata. Di
fronte a lei la spiaggia deserta e il mare, sporco. Il colore che
tendeva sul
verdognolo la schifava, facendole ripromettere di non metterci mai
piede
dentro. Un aspetto che sicuramente non le faceva cambiare idea, erano i
rifiuti
abbandonati sulla riva della spiaggia e che galleggiavano
sull’acqua salata.
Uno spettacolo disgustoso.
Eppure
quel muretto non l’avrebbe
mai abbandonato.
Guardò
nuovamente la figura al suo
fianco, buttando fuori il fumo dalle labbra carnose, leggermente
screpolate. La
sua fonte di attenzione, si guardava le mani posate alla superficie
fredda del
muretto. I capelli castani, saldamente legati in una coda di cavallo,
le
ricadevano su una spalla, mentre gli occhi nocciola e
l’espressione concentrata
le davano l’aria di una bambina.
Una
bambina sofferente, ma pur
sempre una bambina.
Socchiuse
leggermente le palpebre,
poi spostò la sua attenzione su una bottiglia di birra
vuota, abbandonata a
poca distanza da loro. Si lasciò sfuggire un sospiro appena
accennato, ma
abbastanza rumoroso da distogliere l’altra dai suoi pensieri
e iniziare a
fissarla con uno sguardo indecifrabile.
Leggermente
infastidita, fece
finta di niente, portando lo sguardo su una lattina di Coca-Cola,
appoggiata
vicino alla bottiglia di poco prima.
<<
Vuoi anche iniziare a
bere? >>, le chiese la compagna, senza smettere di
fissarla. Una domanda
che irritò non poco l’altra, che si
girò di scatto verso lei.
<<
Non credo siano cose che
possano interessarti, Sango >>, rispose, mentre
un’altra nuvola si fumo
grigio l’avvolgeva.
Sango
ghignò, lasciandola perdere.
Tossì leggermente, quando l’esalazione della
sigaretta la colpì in pieno viso.
Detestava quell’odore nauseante, ed era doloroso vederlo
provenire da una
persona che aveva sempre disdegnato quel prodotto così
orribile.
Sigarette.
A che cosa servono, con precisione?
Dopo
aver osservato per qualche
attimo l’orizzonte, in assoluto silenzio, la ragazza decise
di porgere la
domanda a cui tanto premeva dare una risposta, all’amica.
<< Pensi ancora
a lui? >>
L’interrogata
si bloccò. La
sigaretta bloccata tra l’indice e il medio, vicino alla
bocca. Poi continuò a
fare ciò che stava facendo, indifferente. <<
… No >>
L’amica
sì alzò in piedi sul
muretto, cominciando a camminare, tenendosi in equilibrio.
<< Non sai
proprio mentire, sai, Kagome? >>
<<
Sì, lo so >>
Kagome
sbuffò, aspirando
nuovamente il fumo, che l’aiutava a rimanere calma.
Pensare
a lui?
No,
davvero, non era possibile.
Non doveva,
essere possibile.
Ma,
d’altronde, la fortuna non le
andava mai incontro. Quindi, dopo un anno, poteva anche credere che
sì, ci
stava pensando ancora e ormai era una cosa naturale.
Dolorosa,
certo, ma naturale.
<<
È passato quasi un anno,
oramai >>, constatò Sango, fermandosi per un
secondo ad osservarla.
<<
No! È passato un anno. Oggi. È passato un
anno >>. La fumatrice lasciò
la sigaretta stretta fra le labbra, per strofinarsi le mani
infreddolite.
Faceva fresco, là, ad inizio Primavera, vicino al mare. Non
era un freddo
esagerato. Ma lei era esageratamente freddolosa,
quindi…
La
compagna non si mosse, colpita
da quella notizia rivelatale dall’amica. Lei ricordava ancora
quel giorno. Lei
contava i giorni. Lei viveva tutto, come se fosse successo il giorno
prima.
Con un
ricordo così fresco, si
sarebbe mai potuta dimenticare di lui?
<<
Roma. Ora è a Roma. Cosa
ci faccia un
Giapponese a Roma, lo sanno
solo i Kami >>. Un'altra boccata, un’altra
nuvola di fumo, un altro
dolore che tornava a galla, come tanti altri.
<<
Sai com’è fatto >>.
<<
Sì, so com’è fatto
>>.
A lui
piaceva viaggiare.
A lui
piaceva la libertà.
Era
tornato in patria, un giorno,
e si erano incontrati.
Colpo di
fulmine.
Lei
sapeva che se ne sarebbe
andato, un giorno o l’altro. Ma, vedendolo felice, con il
tempo aveva iniziato
a pensare che le sarebbe rimasto accanto, o che l’avrebbe
portata con sé.
Quel
giorno rise, quando lui le
disse che sarebbe partito.
Rise,
come ride una persona
felice.
Rise,
come se non lo facesse da
anni.
Ci
credeva ancora. Era certa: lui
non l’avrebbe lasciata.
Lui la
guardava triste, lei
rideva.
Reagì
così, quel giorno.
Non
aveva intenzione di credere ad
una sola parola del ragazzo, che l’aveva fatta sognare.
E poi,
in fondo: meglio ridere che
piangere, giusto?
Ed ora
continuava a ridere.
Una
risata amara.
Una
risata triste.
Aveva
perso un amico.
Aveva
perso un amore.
Aveva
perso una parte di sé.
La
libertà era più importante di
lei? Possibile.
<<
Come ti senti? >>,
le domandò Sango.
<<
Cos’è, il momento delle
confessioni? Sai meglio di me, come sto. Mi conosci >>.
La risposta della
ragazza fu dura, quasi difficile da ammettere.
Sango
la conosceva da molto, forse
da troppo.
A volte
le dava fastidio. Le dava
fastidio una persona che la conoscesse quasi meglio di se stessa.
Niente segreti,
niente sentimenti nascosti.
L’unica
persona che le era rimasta
accanto.
L’unica
che avrebbe potuto mandare
al Diavolo, ma che le sarebbe comunque rimasta vicina.
L’unica
che, per disperazione,
voleva eliminare, per poter rimanere completamente sola.
<<
Sono incinta >>.
Kagome
la guardò, lasciando quasi
cadere la sigaretta in terra. Spalancò gli occhi, per un
secondo, poi il suo
sguardo tornò normale.
Per
loro era così: un momento di
sorpresa, poi la continua quotidianità.
Si
conoscevano bene, ma rimanevano
sempre sorprese.
Per un secondo.
<<
Miroku lo sa? >>.
<<
Dice che ha sempre
desiderato un figlio, ma ora è troppo presto. Frequenta
ancora la scuola
>>, spiegò Sango.
<<
Vuole il bambino?
>>.
<<
No >>.
<<
Ti ha lasciata? >>.
<<
Sì >>.
<<
Oh >>.
Gravidanza.
Sango
non aveva ancora compiuto 18
anni. Quello era un concetto che ancora non avrebbe dovuto affrontare.
Gravidanza,
da sola.
Quello,
invece, non avrebbe mai dovuto
affrontarlo.
La vita
è ingiusta, a volte.
Anzi,
ormai aveva le prove matematiche
che, sì, la vita è sempre
ingiusta.
<<
Voglio tenere il bambino,
Kagome >>, proferì l’amica.
<<
Lo sapevo già. Ti conosco
>>.
La
ragazza in stato interessante tornò
a sedere sul muretto. Ne accarezzò la superficie liscia, e
guardò il mare.
Non era
bello.
Non era
pulito.
Non
dava un senso di freschezza.
Non
faceva sentire bene.
Ma per
lei quei momenti erano
indimenticabili.
<<
Cambierà tutto >>,
constatò.
<<
Nah. L’abbiamo detto
anche l’ultima volta. Sarà tutto uguale, come al
solito. Si sa: noi cambiamo,
le situazioni rimangono uguali. Siamo fatte così
>>, rispose Kagome.
<<
Già, forse hai ragione. Questo
posto sarà il primo che farò vedere al bambino,
sai? >>.
<<
Mi sembra giusto
>>.
La
fumatrice gettò la cicca, ormai
finita, a terra, per poi accenderne un’altra.
<<
Fumi troppo >>, la
rimproverò l’amica.
<<
Vuoi fare un tiro?
>>, le chiese, invece, senza badare alle sue parole.
Sango
tentennò. Non le era mai
successo. Ma, in quella situazione... forse sarebbe servito a qualcosa?
Allungò
la mano leggermente
tremante, per poi ritrarla. << No >>.
<<
Brava >>. Aspirò l’ennesima
boccata di fumo. Sapeva quanto facesse male. Ed era questo il punto.
Voleva
farsi del male.
Lentamente.
Una
lenta e rilassante tortura.
La
fine, lo sapeva, era già
scritta. Però le piaceva e il resto non contava.
Se
l’avesse fatta star bene,
avrebbe continuato fregandosene di tutto.
Era uno
sfogo, nulla più. Come un
pianto, come una risata.
<<
Stavo pensando… >>,
cominciò Sango.
<<
Dimmi >>.
<<
Questo posto… come è nata
la storia? >>
Kagome
rifletté per un po’, in
silenzio.
Il
rumore delle onde, il vento, l’odore
sgradevole del fumo.
Era
rilassante, in qualche modo.
E nessuno,
l’avrebbe potuto trovare rilassante.
Tranne
loro, naturalmente.
La
nuvoletta grigia l’avvolse e
lei sorrise, per la prima volta nella giornata.
Un
sorriso malinconico, ma un
sorriso.
Guardò
la sua amica, l’altra parte
di se stessa.
L’unica
persona che le era rimasta
accanto.
L’unica
che avrebbe potuto mandare
al Diavolo, ma che le sarebbe comunque rimasta vicina.
L’unica
che, per disperazione,
avrebbe sempre tenuto stretta, come si fa con un tesoro prezioso.
Perché
senza di lei non sarebbe
stata niente.
Perché
senza di lei sarebbe caduta
e non si sarebbe più alzata.
Perché
senza di lei avrebbe perso
se stessa.
Perché
senza di lei,
semplicemente, sarebbe veramente cambiato tutto.
E tutto
le andava bene com’era.
Con i
dolori.
Con le
sofferenze.
Con le
ferite che non si sarebbero
potute rimarginare.
Con
lei, che era l’unica cosa giusta che
la vita le avesse regalato.
Continuando
a sorridere, la guardò
dolcemente.
<< La
storia è nata da noi due, Sango. È nata solo da
noi due. Me e te. Nulla di più
semplice >>.
–
Non sfuggire all’amicizia:
è l’unica
speranza della tua vita –
Anonimo
–
Amico mio, non pensiamo al domani
e cogliamo insieme quest’attimo di vita che trascorre
–
Kyyam