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Autore: SherlokidAddicted    19/12/2016    1 recensioni
[ Wholock | Johnlock ]
[ Seguito di "The side of the Angels", per capire questa storia bisogna leggere la precedente ]
"I tuoi occhi.
Al solo pensiero che non potrò rivederli mai più sento come una stretta al petto che mi impedisce di respirare. Dopo mesi e mesi a darmi la colpa per tutto quello che è successo a Mary, dopo mesi sentendo che niente e nessuno avrebbe potuto sollevarmi il morale, ho trovato in te la felicità che avevo perduto. E adesso mi è scivolata dalle mani come sabbia.
Mi manchi.
E mi mancherai.
Mi sembra l’unica cosa che posso dire adesso."
Genere: Azione, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The side of the Angels'
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Quegli occhi verdi



- Che cosa stai dicendo? – Chiedo con voce acuta mentre lo vedo rigirarsi la busta da lettere fra le dita.

- La verità. C’è una profezia che dice che morirò dopo il suono di quattro colpi. –

- Non crederai a questa scemenza? – La mia voce è incredula, mentre John porta la mano sulla mia spalla nel tentativo di tranquillizzarmi.

- Non ci credevo, finché non è successo. Hanno bussato quattro volte, ed io ho assorbito un’ondata di radiazioni per salvare un amico. Un normale essere umano sarebbe morto sul colpo, ma io… posso resistere ancora. – La sua voce inizia a tremare e così anche le sue mani e le sue braccia. Fa un passo all’indietro e le sue ginocchia cedono. Il disastro deve essere accaduto da poco, e deve aver resistito troppo a lungo, perché solo adesso si notano i segni di sopportazione. Lo reggiamo entrambi prima che possa cadere rovinosamente a terra. – Sarei passato comunque a salutarvi… prima sono stato da Jack per dirgli addio, e da tutte le persone che ho conosciuto. Non avevate bisogno di rovinare un campo di frumento per… trovarmi. – Con il nostro aiuto si rimette in piedi e cerca di resistere ancora, solo per poterci dare l’addio adeguato che l’anno prima non era riuscito a darci.

- Sei un alieno e hai più di novecento anni, non puoi fare davvero nulla per rimediare? – Chiede John con un tono pacato, mentre lo guarda tenere lo sguardo puntato contro le proprie solite scarpe di tela.

- Noi Signori del Tempo abbiamo un modo per sopravvivere, ma le radiazioni sono state troppo potenti e non avrò abbastanza energia per ricorrere a questo rimedio… tutti muoiono, ragazzi. Anche i Signori del Tempo. - Tremante infila la busta da lettere nella tasca del suo cappotto marrone, poi allunga una mano verso la porta del Tardis e si regge ad essa per non cedere nuovamente sulle ginocchia. – A parte Jack Harkness, ovviamente! – Esclama nel tentativo di risultare spiritoso come sempre, ridacchiando appena, ma non riuscendo a contagiarci, data la nostra sorpresa e la nostra paura.

Ed eccolo lì, il Dottore, il Signore del Tempo di novecento anni, l’uomo che ha rischiato tutto e tutti per salvare John Watson, l’uomo che affronta i pericoli terrestri e extraterrestri per salvare vite, l’uomo che evita disastri, battaglie, l’uomo che vince senza usare la forza, e l’uomo che adesso ha dato la sua vita per salvare un amico. Posso anche aggiungere, colui che mi ha dato quelle dosi di adrenalina e di avventura che non provavo da tempo.

Mi sarebbe mancato?

Assolutamente sì.

- Non so quanto tempo mi rimane… sto riuscendo a salutarvi tutti, a gioire per la vostra bella notizia. Mi sarebbe piaciuto essere presente. – So che vorrebbe piangere, ma non lo fa, o almeno… non vuole farlo davanti a noi. Ma probabilmente, appena tornerà nella cabina, si lascerà andare.

- Avremmo voluto ci fossi. – Mormoro non riuscendo più a guardare quei suoi occhi anziani senza riuscire a vederli spenti dalla morte.

Goditi il tuo coinvolgimento, Sherlock.

Stai zitto, Mycroft…. Stai zitto, ti prego.

- Lo so. – Deglutisce a lungo prima di portare un piede all’interno della cabina, senza staccare i suoi occhi stanchi da noi. – Mi dispiace non avervi salutato come si deve l’anno scorso. – Le sue colpe, eccole. Si sente in colpa per come ci ha lasciati, e prima di morire vuole assicurarsi che lo perdoniamo.

Non serve scusarsi.

- Dove andrai adesso? – John è visibilmente preoccupato. La sua espressione somiglia a quella che aveva il giorno in cui io stavo per prendere quell’aereo. Tutte quelle parole non dette, quei silenzi e quelle lacrime trattenute. Non voleva piangere nemmeno lui.

- Non ho ancora salutato Rose. – Il suo tono si è addolcito, ed ha accennato un tenero sorriso mentre si preoccupava di far tamburellare nervosamente le dita sulla porta in legno del Tardis. – Poi chissà… - Lascia la frase in sospeso, prima di tirare su con il naso ed entrare del tutto nella nave. Ci guarda entrambi con quel mezzo sorriso che vorrebbe essere rassicurante, ma che risulta soltanto triste e malinconico. – Io non voglio andarmene… - Mormora con tono grave prima di richiudersi la porta alle spalle. La cabina svanisce sotto i nostri occhi con quel solito rumore assordante, ed entrambi ci poggiamo distrutti al cofano della jeep. John si morde l’interno della guancia nel tentativo di non piangere, io invece non distolgo lo sguardo dal punto in cui la cabina è svanita.

- Dovremmo andare, allora. – Dico con voce tremante, l’unico sintomo del lutto che pian piano mi sta crescendo dentro. John mi guarda senza mutare la sua espressione triste, poi si rifugia con la testa sul mio petto e mi stringe a sé, sospirando pesantemente. Non ricambio quell’abbraccio, sono come irrigidito dalla notizia, mi limito ad abbassare il viso per poggiare il mento sulla sua testa, e nient’altro.


I due mesi sono volati, nonostante gli attimi interminabili in cui ci soffermavamo a pensare all’uomo che ci ha aperto gli occhi e ci ha fatti stare insieme. In quei momenti il silenzio regnava sovrano nel 221b. John si sedeva sulla poltrona e fissava un punto indefinito del tappeto, accavallando le gambe e mordendosi l’interno della guancia come era solito fare per trattenere il pianto. Io mi piazzavo davanti alla finestra, nella speranza di sentire il suono del Tardis, stringendo convulsamente il violino, ma senza azzardarmi a suonarlo. L’unico suono che volevo sentire era quello della cabina. Ma non avvenne mai.

Dovevamo accettare la sua morte e andare avanti.

I preparativi delle nozze furono entusiasmanti sia per John, che per i nostri amici. Non sapevo il perché dovevamo scegliere un posto bellissimo, il colore delle tovaglie, dei fiori, un menu adatto, un tipo preciso di vino o di champagne… in fondo io volevo solo sposare l’uomo che amavo, senza frivole preparazioni. Ma John ci teneva, quindi mi ero impegnato a rispettare ogni scelta e ogni suo capriccio. Era felice, così felice che avrei sprecato quelle ore di indecisione su un colore da indossare con entusiasmo, pur di vedere quel sorriso affiorare sulle sue labbra sottili.

Si sa, John è un romantico, ci tiene a queste cose. In fondo, per farmi quella proposta aveva organizzato una serata talmente sdolcinata, con tanto di violinisti e cenetta speciale, che avrebbe fatto venire le carie a chiunque. Ma non posso negare che quella fosse stata una delle giornate più belle della mia vita. Ricordo ancora benissimo il modo in cui si è inginocchiato davanti a me, stringendo la mia mano fra le sue e chiedendomi se avessi voluto passare il resto della mia vita con lui. Il mio corpo mi ha tradito, perché non sono riuscito a trattenere l’emozione e ho lasciato fuggire quelle piccole lacrime che hanno varcato il mio viso. Ho detto di sì senza neanche pensarci, nonostante ciò che penso sui matrimoni. Volevo davvero sposare John, e lo avrei fatto senza pensarci anche subito, perché so che lui è e sarà sempre l’unico.

E oggi, mentre metto la fede al dito di John, il mio sorriso non ha abbandonato le mie labbra neanche per un secondo. Non sembravo lo Sherlock di sempre, ma ero lo Sherlock innamorato del dottor John Hamish Watson. E le emozioni mi tradiscono spudoratamente.
Ammetto di aver sperato per tutta la giornata di vedere in qualche angolo il volto familiare del Dottore, a guardarci con quel sorriso sincero e felice. Non è accaduto, ma per il resto della cerimonia i nostri pensieri sono concentrati su altro. È il nostro giorno, e non possiamo permetterci di passarlo con due musi lunghi.

La sala per la festa si trova in una magnifica villa che John ha adorato dal primo momento in cui i suoi occhi ci si sono posati. Non ha esitato a sceglierla come luogo del ricevimento.

Tutto è come lo avevamo organizzato. I tavoli sono sistemati secondo il nostro ordine, le tovaglie sono del colore giusto e perfino i fiori che abbelliscono la sala sono meglio di come ce li aspettavamo.

- Cos’è quella faccia? – Siamo nel bel mezzo della sala e stiamo ballando un lento. Avrei preferito non farlo ma così voleva la tradizione. Il primo ballo dei due sposi, sotto gli occhi commossi di tutti gli invitati e i presenti, compresi camerieri e fotografi.

- Quale faccia? – Chiedo continuando a far vagare gli occhi tra la folla che ci fissa.

- Questa faccia! – Mi dice costringendomi a voltare il viso verso il suo. – Ci stai di nuovo pensando? – Ha capito tutto. Ultimamente, data la situazione, è più facile leggere il mio stato d’animo. Cerco come sempre quel volto conosciuto tra la gente, dal giorno in cui abbiamo saputo da lui stesso che non sarebbe sopravvissuto. Non ho mai smesso di cercare e sperare. – Sherlock, anche io sono abbattuto e non riesco ad accettarlo. Ma questo è il nostro giorno… -

- Lui è imprevedibile, quando credevo di averti perso per sempre lui ha smentito tutto e ti ha riportato indietro. –

- Questo è vero, ma sappiamo che è morto. – Lo guardo negli occhi e sospiro, prima di poggiare la fronte contro la sua, nel tentativo di ritrovare la lucidità e di scacciare via il pensiero del Signore del Tempo.

- Hai ragione, dovrei pensare a noi oggi. – Le mani di John raggiungono le mie guance e sollevano il mio viso. Vuole guardarmi nel profondo dei miei occhi, leggermi, tranquillizzarmi ed azzerare ogni mia paura.

- Mi stai dando ragione, il matrimonio fa miracoli! – Sul suo viso compare un mezzo sorriso divertito, mentre io in risposta lo fulmino con lo sguardo, riuscendo soltanto a farlo ridere di più mentre poggia delicatamente le labbra sulle mie. All’inizio sono colto di sorpresa e non ricambio quel gesto, ma poi riesco a sciogliermi e a chiudere gli occhi per donargli quel bacio dolce e pieno di tenerezza che si aspettava. È la seconda volta che lo bacio davanti ad altre persone. La prima è stata allo scambio degli anelli. Il solo pensiero che altri ci stanno guardando mi fa colorare le guance di un rosso scarlatto, che cerco poi di nascondere immergendo il viso nell’incavo del suo collo. Per gli altri è sembrato un gesto dolce e romantico, invece, tanto che hanno esclamato un verso intenerito e commosso, degno da vera commedia romantica da quattro soldi.

Anche se il profumo di John e il calore che mi trasmette il suo corpo non mi dispiace affatto.

Le sue dita stuzzicano piacevolmente la mia nuca ed entrambi continuiamo a ballare, mentre io poggio il mento sulla sua testa, stringendo la sua mano nella mia e mantenendo un lieve sorriso sulle labbra finché… non noto qualcosa di strano fra la folla che ci guarda. Sono sicuro di conoscere ogni singolo invitato ma quell’uomo appoggiato alla colonna in fondo alla sala, quello che ci sta guardando con l’angolo delle labbra sollevato verso l’alto, non credo di averlo mai visto in vita mia. E il fatto che sia qui è abbastanza strano.

- Quello chi è? – Sussurro abbassandomi in modo da raggiungere l’orecchio di John con le labbra. Quest’ultimo si gira e guarda verso la mia direzione, aggrottando la fronte e aprendo appena la bocca confuso.

- Non lo so, è stato qui tutta la sera, credevo fosse qualcuno che conoscevi tu. – La musica finisce e la gente attorno a noi applaude, mentre i nostri occhi non si staccano dall’uomo che non smette di rivolgerci quello sguardo raggiante.

- Intrattieni gli ospiti, vado a parlargli. – Dico, notando che l’uomo si stava affrettando ad allontanarsi e ad uscire dalla sala.

- Non vuoi che venga con te? –

- Siamo gli sposi John, non mi sembra carino assentarci entrambi. Dì agli altri che sono andato in bagno. – Faccio per andare via, ma la mano di John che afferra la mia mi costringe a fermarmi e a puntare lo sguardo sul suo viso visibilmente preoccupato.

- Fai attenzione. – Mi intima con tono serio, come se stesse parlando ad un bambino. Io sorrido appena ed annuisco, poi mi lascia andare e continua a guardarmi fino a quando non raggiungo l’uscita. In fondo al corridoio vedo l’uomo che si sta allontanando a passo svelto, però non corre. Quando sente il mio richiamo si blocca e volta appena la testa verso sinistra, scrutandomi con la coda dell’occhio, finché non mi ritrovo proprio ad un passo dallo sconosciuto.

- Dove vai così di fretta? – Chiedo mentre l’uomo si gira del tutto verso di me. Fa scorrere i suoi occhi su di me, dalla testa ai piedi, poi sorride radioso, proprio come poco fa nella sala. Sembra felice, entusiasta di vedermi, ma ciò che non capisco è perché sperava che io non lo seguissi.

- Oh, scusami, devo… devo aver sbagliato sala. – Mormora mentre con le mani stira la sua giacca marrone e subito dopo sistema il cravattino rosso che ha legato al collo. Posso stare tranquillo, non sembra affatto un tipo losco con cattive intenzioni, ma sono sicuro stia mentendo, non ha affatto sbagliato sala.

Lo guardo attentamente e cerco di memorizzare quel viso nella mia testa. Capelli castani, occhi piccoli e verdi, mento prorompente, sopracciglia quasi assenti e mascella squadrata.

- La verità. – Dico sospirando spazientito. – Non ci sono altri matrimoni o cerimonie in programma per oggi, le altre sale sono libere, quindi dimmi la verità. Delle recenti situazioni mi spingono ad accertarmi che la gente che incontro non sia… come dire, intenta a fare cose contro di me o contro il mio compagno. – Lui accenna una risatina divertita e si strofina le mani tra di loro.

- Tu sei Sherlock, vero? Tu e John siete davvero una coppia avvincente! – Scherziamo? È davvero un fan del blog di John che è riuscito ad intrufolarsi al nostro matrimonio?

- Sono lusingato che tu sia un nostro fan ma non sei stato invitato, quindi sarei lieto che abbandonassi l’edificio il prima possibile. – Sono risultato maleducato? Che importa, dato il suo sorriso smagliante e sorpreso non credo di averlo toccato più di tanto.

- Ah, visto? È qui che ti sbagli, perché proprio qui ho… - Si ferma un attimo per frugare nella tasca interna della sua giacca, scoprendo le buffe bretelle rosse abbinate al cravattino che indossa, poi mi porge ciò che ne ha estratto. Una busta da lettere che somiglia tanto agli inviti che abbiamo fatto stampare per i nostri amici. – Ho questo. – Me lo porge, ed io lo prendo con titubanza, prima di rendermi conto che è davvero uno dei nostri inviti.

- Dove lo hai preso? –

- Me lo hai dato tu di persona. –

- Io non ti conosco. –

- Non ancora, ma io conosco te, e anche tu, ma… beh, non è facile da spiegare. Mi conosci sotto un altro aspetto. – Lo guardo confuso senza capire, e vorrei tanto dire qualcosa ma lui non smette di parlarmi, anzi… prende il mio viso tra le mani e mi costringe a guardare i suoi occhi. – Sherlock, sono davvero felice di averti visto così spensierato mentre stringevi il tuo John sulla pista da ballo. Tu, proprio tu che non riuscivi ad esprimere i tuoi sentimenti nemmeno sforzandoti, guarda adesso dove sei arrivato! – I suoi occhi, occhi verdi, occhi… anziani. – Lo vedo che sei felice, ed io lo sono per voi due. – Le sue mani si abbassano sulle mie e le stringono con affetto.

No no no, non può essere, la mia mente è solo tormentata dalla sua perdita. Non è possibile.

- Farete faville insieme. – A quel punto mi lascia le mani ed io mi affretto ad aprire la busta, mentre dietro di me riconosco il passo svelto di John: “Il matrimonio di John Hamish Watson & William Sherlock Scott Holmes, caro Dottore sei invitato a gioire con noi in questo giorno speciale…”

Non può essere.

- Che succede, Sherlock? – Sollevo lo sguardo ma davanti a me quell’uomo non c’è più. Notando che non rispondo alla sua domanda, John mi strappa la busta dalle mani e inizia a leggere, spalancando poi le labbra con sorpresa. - Non ci credo… - E la sua incredulità viene immediatamente smentita quando dalla finestra lo vediamo varcare la porticina in legno della cabina che aveva parcheggiato nel bel mezzo del prato, girarsi verso di noi e rivolgerci un cenno con la mano ed un sorriso sincero prima di sparire all’interno di essa. Poi anche il Tardis svanisce sotto i nostri occhi stupiti.




Note autrice:
Booom, ultimo capitolo! Che ne dite, ve lo aspettavate?
Vi lascio qui sotto una gif di Undicesimo perchè sì.
Ricordatevi che non è finita qui, ci sarà presto un epilogo, non so quando lo pubblicherò ma ci sarà e poi vi darò altre informazioni.
Ci vediamo all'epilogo!
Bye guys


 
  
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