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Autore: Siamo_infiniti    19/12/2016    3 recensioni
"Quando Arthur abbatteva ogni difesa e si abbandonava a Merlin, in tutto e per tutto, per quest’ultimo era una vittoria che gli scaldava il cuore, per non parlare di quel nodo allo stomaco fatto di tante piccole emozioni che entravano in contrasto tra loro…"
One-shot merthur con un -sempre piacevole- contorno di cavalieri di Camelot
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: I Cavalieri della Tavola Rotonda, Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Sono scivolata nel mondo di Merlin per puro caso e pochi mesi fa; non riesco a tirarmene fuori, ma non me ne dispiaccio.

Il bisogno di scrivere era forte e qualche settimana fa ho lasciato che fosse la penna a parlare per me.

Buona lettura,

M.

 

Gocce di luce dagli occhi

 

 

Lacrima il tramonto,
gocce di luce dagli occhi nella notte cieca.
È qui che a casa mia ormai ritorno.

Ci incontreremo stasera,
menta e rosmarino,
che ho preso a calci le notti per starti più vicino.
Amor, d’amor sia l’amor perduto

 

 

“Mi domando come sia mai possibile che tu non riesca a lucidare come si deve questa dannata armatura” berciò il principe Arthur in una mattina di inizio marzo, quando l’aria cominciava ad essere più tiepida e la neve, sotto il pallido sole, aveva finito per sciogliersi lasciando delle piccole pozzanghere di acqua mista a terriccio.

Il popolo di Camelot si sentiva riscaldato fin nel cuore alla vista di quel sole che dimostrava come i giorni più freddi stessero volgendo al termine e l’umore era gioioso e festoso sebbene non si potesse dire altrettanto di quello del giovane principe Arthur, lasciato ad inveire contro il servo idiota che il destino gli aveva donato qualche anno prima: Merlin.

“…non riesco a capacitarmi, devo essere sincero, non è che ci voglia poi molto a pulirla per bene” continuò mentre camminava avanti e indietro per le sue stanze, la casacca rossa che ricadeva sul corpo muscoloso, una cintura di pelle a segnarne la vita sottile.

“Beh, se volete potete pulirvela da solo” fu la risposta divertita del giovane mago che si passò le lunghe dita tra i capelli corvini: gli scivolavano sugli occhi di un blu intenso che ad Arthur ricordavano tanto il colore del cielo poco dopo il tramonto.

Merlin…” lo avvertì Arthur con quell’espressione che soltanto lui riusciva ad avere: curvava leggermente il viso verso il basso ed alzava gli occhi di ghiaccio per incontrare lo sguardo del suo interlocutore, le labbra strette in una piccola smorfia di fastidio: Merlin aveva imparato bene a conoscere ogni sfumatura del suo essere e poteva giurare di sapere elencare almeno tre diverse espressioni del principe per ogni sentimento di natura umana.

A quell’avviso, quindi, il servitore alzò le mani in segno di resa, riprese l’armatura -che secondo il principe era ancora sporca, no di certo secondo i propri canoni- tra le braccia e si accinse ad attraversare la stanza.

“Come volete, Sire” rispose scrollando appena le spalle nella sua giacca leggera, i pantaloni scuri un po’ larghi sui fianchi ed una casacca blu con lo scollo che gli lasciava ben visibile il collo diafano. Su di esso, appunto, un segno rosso all’altezza della gola, il solco dei denti dell’artefice assolutamente ben visibile.

Il principe osservò per bene la figura del moro, le braccia piene di pezzi di armatura e quella giacca che sembrava troppo grande, troppo leggera, troppo vecchia per lui. Semplicemente, troppo.

“Non stai dimenticando niente?” domandò quindi alzando un sopracciglio proprio mentre Merlin si voltava verso di lui: tra le sue mani, il fazzoletto rosso che l’altro portava sempre al collo.

“Lo avete spiegazzato tutto” borbottò Merlin posando di malagrazia l’armatura sul tavolo accanto e dirigendosi verso Arthur che nel frattempo aveva piegato appena il capo da un lato con un’espressione a metà tra il divertito e l’oltraggiato.

“Un po’ di rispetto, Merlin, avanti. So che se ti impegni, puoi farcela.”

“Siete voi che dovreste avere più rispetto per gli oggetti degli altri” fece il mago ormai a poca distanza da Arthur che, con un ghigno divertito sul reale viso, alzò la mano con il fazzoletto proprio nel momento in cui le dita dell’altro si erano mosse fulminee per acchiapparne la stoffa.

“Troppo facile, così. E poi, continui a scordarti qualcosa, non trovi?” continuò con aria boriosa facendo di riflesso alzare gli occhi al cielo a Merlin. Le sue lunghe mani si posarono sui fianchi muscolosi del biondo, li accarezzarono con calma prima di catturare la sua bocca in un bacio delicato, la mano che risaliva lungo il corpo, fino al suo collo, poi sulla sua guancia. Sentire i muscoli del principe rilassarsi sotto il proprio tocco e le sue labbra schiudersi per permettergli di approfondire il bacio era una sensazione indescrivibile per Merlin. Arthur, da principe e futuro re qual era, conduceva la propria vita su una linea di austerità e serietà: era un giovane uomo impostato, ligio ai propri doveri, incapace di lasciarsi andare anche quando avrebbe dovuto, ma gli era stato insegnato così dal re suo padre, Uther, che non perdeva occasione di ricordargli quanto un uomo, e tanto più l’erede al trono, dovesse mantenersi inflessibile e non dovesse lasciare intravedere alcuna emozione. Per questo, quando Arthur abbatteva ogni difesa e si abbandonava a Merlin, in tutto e per tutto, per quest’ultimo era una vittoria che gli scaldava il cuore, per non parlare di quel nodo allo stomaco fatto di tante piccole emozioni che entravano in contrasto tra loro…

Durante quel bacio, Arthur aveva aderito perfettamente al corpo spigoloso di Merlin le cui guance si erano tinte di un rosso che andava a contrastare con la sua pelle pallida.

“Merlin, Merlin” tornò ad alzare gli occhi al cielo il principe “possibile che dopo tutti questi mesi di, passami il termine, impudicizia tu riesca ancora ad arrossire come una verginella -quale non sei più da molto, tra l’altro- per un solo bacio?”

“Smettetela di prendermi in giro. Ho la pelle delicata” sbottò in risposta scostandosi con un passo indietro dopo essersi ripreso il fazzoletto ed incrociando le braccia al petto mentre sentiva il viso andare a fuoco per l’imbarazzo.

“Certamente, la pelle delicata” ridacchiò Arthur assolutamente divertito mentre si chinava in avanti e gli lasciava un bacio sulla guancia, oltrepassandolo subito dopo per dirigersi verso l’uscita.

“Ah. E ricordatevi, mia signora, tra una veglia alle scuderie” aggiunse con la mano sulla maniglia e poi scoppiando definitivamente a ridere schivando il cuscino con il quale Merlin aveva cercato di colpirlo.

 

***

 

Il destrieri dei cavalieri procedevano docilmente sotto i loro comandi avviandosi lungo un sentiero sulla destra dove la terra cominciava ad asciugarsi rendendo il rumore degli zoccoli più intenso; il giovane Gwaine si rinviò la folta chioma castana con un gesto teatrale, gesto che i suoi compagni avevano imparato ad interpretare come il segno di un resoconto di una nuova –e sfortunata- avventura.

“Insomma, siccome nessuno vuole raccontare qualcosa di interessante, ci penserò io” iniziò facendo alzare gli occhi al cielo ai presenti che ben si erano abituati ai coloriti racconti del cavaliere “Si chiamava Clare… no, aspettate, si chiamava Clarisse. O era Claribel?” si domandò con aria pensosa sentendo le risate degli altri cominciare a riempire il bosco insieme ad un cominciamo bene di Lancelot.

“Il nome non è importante, credo. Parlava più con…” e con le mani –tolte dalle briglie- fece segno di un corpo sinuoso con un seno importante meritandosi un ammonimento bonario da parte del principe che in realtà si divertiva parecchio con i suoi racconti tragicomici.

“Scusate, Sire, però sapete quanto io tenga ai dettagli” si giustificò “e insomma, questa bella donzella si era ferita un dito durante una sosta al lago. Capite bene che il mio codice d’onore non mi permetteva di lasciarla in preda ad atroci dolori” sospirò con enfasi interrompendosi per qualche attimo: era il suo modo personale di tenere tutti sulle spine.

“Or quindi mi avvicino: Milady, mi inchino, vi lascereste aiutare da un cavaliere di Camelot?, e lei risponde” adesso finse la voce in falsetto “Oh gentile cavaliere, grazie per il vostro interessamento, e mi guardava con occhi… beh, era difficile guardarla proprio negli occhi, ecco, però mi sforzavo. Purtroppo sono qui con mio marito, altrimenti mi lascerei aiutare molto volentieri da voi” concluse tenendo la voce più alta di qualche tono e la mano alla base del collo per mostrare il dispiacere della donna.

“Gwaine, dovresti stare più attento” lo ammonì l’enorme e muscoloso Percival interrompendo il suo racconto tra le risate degli altri cavalieri ai quali risultava sempre difficile non ridere dei racconti –recitati addirittura a più voci- di Gwaine.

“Perché dovrei, basta che tu venga con me e nessuno oserebbe avvicinarmi” asserì in risposta mentre il paesaggio scorreva placidamente accanto a loro.

“…ma nemmeno le donne, così” precisò Sir Leon affiancandosi agli altri due mentre la mano di Gwaine andava ad accarezzarsi il mento con aria pensosa. Rimase in silenzio qualche lungo attimo –per la gioia dei presenti- ma poi parlò ancora.

“Questo è vero. Allora no, forse meglio di no.”

“Sarebbe meglio che stessi lontano dall’idromele…” borbottò Percival cominciando a dispensare piccoli consigli all’amico che riusciva ad infilarsi nei guai con una capacità innata. Come quella volta che aveva deciso di sfidare ad una prova di resistenza un signorotto di un villaggio vicino solo per impressionare una bella donna che, però, destino volle fosse la figlia dello sfidato; insomma, non era finita bene o perlomeno non sarebbe finita bene se non fosse intervenuto il pacifico Sir Leon che con qualche parola diplomatica aveva cercato di rimettere tutto a posto mentre, con una mano, scostava l’altro cavaliere dietro la propria schiena, cercando di proteggerlo dall’ira dello straniero.

Per quanto lo riguardava, Arthur adorava quelle brevi giornate in missione perché, nonostante fossero un suo dovere ed ordini del padre, lo facevano sentire spensierato. I suoi cavalieri, poi, ne erano parte fondamentale: i piccoli battibecchi o gli scherzi che si facevano uno con l’altro, i racconti comici di Gwaine riguardanti le sue ultime conquiste e la pacatezza di Sir Leon che riusciva sempre mitigare le questioni quando c’era bisogno di lui… ma soprattutto, lì Arthur poteva voltarsi ed incontrare il sorriso del fedele Merlin che cavalcava in silenzio a qualche metro da lui, ridendo alle battute dei cavalieri ma tendendo sempre un orecchio per scandagliare ogni più piccolo rumore proveniente dalla foresta.

Anche in quel momento, il principe si voltò verso il mago che gli regalò un sorriso fatto di mille parole inespresse. Ma tra loro era sempre andata così, non c’era mai stato bisogno di parlare molto.

Come fosse iniziata, poi, Arthur non lo ricordava bene perché forse era impossibile dare una data precisa a ciò che si erano costruiti. Probabilmente era tutto cambiato nel primo momento in cui si erano visti e presi in giro, poi sfidati, o forse quando Merlin gli aveva salvato la vita la prima volta buttandolo a terra per scansare il pugnale della vecchia strega o probabilmente quando aveva bevuto del vino avvelenato al posto suo. Non lo sapevano né se lo domandavano, semplicemente un giorno era successo: avevano preso atto dei loro sentimenti più profondi, avevano capito di non poter stare divisi, di aver bisogno uno della presenza dell’altro per sentirsi rincuorati e al sicuro. Passavano le notti insieme, abbracciati o solo sfiorandosi nel grande letto reale. La loro non era solo una questione di sesso e bisogno, ma era qualcosa di più, forse a livello di alchimia, il modo in cui non potevano e non riuscivano a starsi troppo lontani. Era come se a volte al principe mancasse il fiato e per tornare a respirare dovesse solo voltarsi verso Merlin e riempirsi del suo sorriso per sentire il senso di pesantezza al petto allentarsi immediatamente. Non erano sdolcinati uno verso l’altro, per lo meno non sempre, quasi raramente, adoravano prendersi in giro, pizzicarsi e poi fare la pace a modo loro. Solo una volta, in quei lunghi mesi d’amore –perché sì, non c’era altra parola per descriversi, se non amore- avevano litigato, una sfiancante e violenta discussione alla quale erano stati portati per esasperazione: perché era ovvio, Arthur era un principe tanto bello quanto colto ed attirava nobildonne come fosse lui miele e loro api e il suo errore era stato concedere una breve passeggiata ad una di loro, Lady Rachelle, figlia di un importante cavaliere di un regno vicino. Per farla breve, Merlin aveva lasciato che Arthur la portasse in giro senza mostrare alcuna gelosia –d’altronde non avrebbe potuto fare altrimenti, il principe non riusciva più a scollarsela di dosso- ma quando dai bastioni del castello aveva visto la ragazza alzarsi sulle punte dei piedi –era pure bassa!, avrebbe detto qualche veglia più tardi Merlin- e baciare Arthur mentre questi arrossiva furiosamente, Merlin era uscito di testa. Il loro litigio si era consumato nella piccola stanza di Merlin dove Arthur era andato a cercarlo per spiegarsi cosa fosse successo, inconscio del fatto che il mago fosse già al corrente di tutto. Sentendosi colpevole di quel piccolo tradimento ma anche arrabbiato per la mancanza di fiducia da parte di Merlin il quale lo aveva spiato tutto il giorno senza motivo, aveva schivato ora sì ora no gli oggetti lanciatigli dal suo servitore.

Nonostante ciò, tutto era sempre proceduto nel migliore dei modi ed Arthur non aveva più accettato passeggiate con varie principesse dei regni alleati: a suo modo, aveva già ciò che voleva, nonostante fosse contro ogni regola o ogni logica o forse addirittura contro natura, ma non gli importava. Ciò che lo legava a Merlin era puro, autentico, sincero e per lui non c’era nulla di più reale al mondo.

“Meglio fermarci, Sire” disse in quel momento Sir Leon spezzando il filo dei ricordi di Arthur che, con faccia un po’ stralunata, annuì rendendosi conto che le luci del giorno cominciavano a calare.

“Sì, è un’ottima idea” rispose quindi scendendo abilmente dal cavallo, il mantello rosso che seguiva il suo movimento gonfiato dal vento che fischiava tra gli enormi alberi.

“Ma ti dico che è così, perché non devi credermi mai. Le donne altro non vogliono che delle degne attenzioni!” continuava a sbottare l’affascinante Gwaine all’indirizzo di Percival che alzava gli occhi al cielo scuro, armatosi di grande pazienza.

Merlin si lasciò scivolare giù dal suo cavallo e prese anche le briglie di quello del principe andando a legarli entrambi ad un ramo qualche metro più in là. Adesso indossava il fazzoletto che aveva con fatica –assolutamente nulla- recuperato la mattina, almeno il segno sulla gola, opera di Arthur e frutto della loro notte d’amore, poteva rimanere coperto.

Non erano così stupidi, i cavalieri di Camelot, da non essersi accorti dell’affetto palese tra i due ragazzi ma non creava a loro problemi e comunque non ne avevano mai parlato direttamente con i diretti interessati: non gli importava, avrebbero ugualmente seguito Arthur Pendragon fino alla fine del mondo, fino in bocca alla morte.

Insieme all’aiuto del divertente Gwaine, Merlin si accucciò attorno al cerchio di pietre contenenti legna da ardere ed osservò il moro dilettarsi con la pietra focaia: detestava dover mentire ad Arthur riguardo alla propria natura, ma sapeva bene quanto fosse necessario per la riuscita della propria missione: proteggerlo e fare di lui un grande re. Si era interrogato molte notti riguardo alla possibilità di essere sincero fino in fondo con il principe, a maggior ragione adesso che erano in ballo dei sentimenti profondi tra loro: aveva coinvolto anche il buon vecchio Gaius –che probabilmente era stato il primo a rendersi conto di ciò che stava accadendo tra i due ragazzi e che non si era certamente tirato indietro quando Merlin aveva avuto bisogno di conforto- ma anche il lui era d’accordo sul tacere riguardo alla magia.

Seduti a terra o stesi sui preziosi mantelli rossi, i cavalieri continuavano a disquisire sull’età di una donna che, nemmeno a dirlo, Gwaine aveva sedotto: quest’ultimo sosteneva che si trattasse di una giovane ragazza ma dopo che anche Sir Leon e Lance si erano espressi sulla questione, la sua sicurezza andava vacillando.

Merlin rideva alle battute, amava quell’atmosfera rilassata e di amicizia che, nonostante i ranghi e le occupazioni sociali, si era creata tra di loro: poteva sentirlo, comunque, lo sguardo di Arthur bruciargli addosso, lo sentiva forse più caldo ed insistente del fuoco che scoppiettava davanti a loro e poteva giurare di esserselo aspettato, l’arrivo di Arthur alle proprie spalle qualche veglia dopo, quando i cavalieri si erano addormentati.

Il mago stava in piedi sulla riva del torrente che scorreva placido nel mezzo della foresta, districandosi tra grandi alberi e rocce. Teneva le braccia incrociate al petto e gli occhi blu fissi sull’acqua che brillava sotto la luce lunare. I passi di Arthur, per quanto assolutamente inudibili, rimbombarono nelle orecchie di Merlin: era come se potessero sentirsi arrivare nonostante l’udito, come se i loro sensi fossero amplificati a cercarsi l’un l’altro anche tra la folla.

Le mani del principe si allacciarono sul ventre del servitore mentre il suo petto muscoloso gli aderiva alla schiena: il calore che emanava il suo corpo era qualcosa che andava a pungerlo proprio in fondo allo stomaco. Merlin appoggiò le mani sulle sue coperte da guanti e sorrise.

“Pensavo dormissi” ammise concedendosi di eliminare la forma di cortesia come erano soliti fare la notte, come se il buio potesse proteggerli e creare un mondo fatto solo di loro due.

“Un po’ ho dormito ma poi ho sentito che non c’eri e mi sono chiesto dove fossi finito.”

“Non avevo sonno e il russare di Gwaine mi innervosisce. Pensavo che solo tu riuscissi a russare così tanto… e invece ogni volta che siamo con i cavalieri devo ricredermi” sospirò con fare teatrale mentre le dita dell’altro gli pizzicavano un fianco.

“Attento a come parli, mi pare che non ti lamenti molto quando dormi appiccicato a me” sussurrò al suo orecchio senza avere la minima intenzione di scostarsi da lui.

“Solo perché cerco di soffocarti, Arthur” rise il mago voltandosi tra le sue braccia e trovandosi viso a viso con lui, i capelli biondi del principe che ricadevano in tanti fili d’oro sulla fronte e un po’ sugli occhi azzurro cielo.

Anziché decidere di controbattere ed attaccarlo con uno scappellotto, il principe incassò regalmente quella provocazione unendo la bocca alla sua in un bacio ardente che desiderava da quella mattina. Certe volte stargli lontano era molto più difficile che altre.

“Non dovresti prendermi in giro” sussurrò contro le sue labbra con un ghigno che non prometteva nulla di buono.

“Adoro prenderti in giro, Arthur. Dovresti saperlo che la notte mi prendo tutte le rivincite che non posso avere durante le ore di sole” rispose con il fruscio di un sorriso cercando un altro bacio che, però, non arrivò, perché il principe aveva ben deciso di spingerlo in acqua per ripicca, sghignazzando divertito per la sua malefatta.

“Arthur!” sibilò il mago immerso fino alla vita, l’acqua che scorreva attorno al suo corpo bagnato, ormai, fino alle ossa “Adesso dammi una mano, forza”

Sorrise nel vedere la mano del principe allungarsi docilmente verso la propria e, invece, rise, quando l’afferrò ed lo attirò nel torrente con sé sentendo il suo corpo cozzare contro il proprio e, in realtà, aderire in maniera perfetta. Non disse nulla, Arthur, ma anzi lo coinvolse in un bacio di fuoco spingendolo contro la roccia lì vicino.

Nonostante fossero in acqua, nonostante il vento, i loro brividi erano dovuti all’emozione di potersi unire ancora una volta, di poter diventare tutt’uno anche quella notte, godendo dei reciprochi respiri sulla pelle uno dell’altro.

Mentre un sospiro riempiva quel silenzio assordante, le mani di Merlin si strinsero di più sulle spalle di Arthur che con urgenza continuava a baciarlo segnandogli ancora il collo, adesso scoperto, e entrambi abbassarono le loro difese mentali e fisiche finendo per fare l’amore su quella roccia, l’acqua che li lambiva fino alla vita e le labbra rosse di baci proibiti che nessuno avrebbe potuto vedere nell’oscurità di quella notte.

 

***

 

L’alba colse il gruppo di uomini ancora addormentati attorno al fuoco ormai estinto: Gwaine poggiava il capo ad un tronco dormendo di un sonno profondo nonostante la posizione sembrasse assolutamente scomoda, Sir Leon, Elyan e Percival stavano raggomitolati da un lato avvolti nei loro mantelli, il principe dormiva appoggiato ad un albero, semisdraiato, una gamba tesa ed una piegata, qualche metro più in là stava Merlin, le braccia contro il petto e le ginocchia piegate, infreddolito dal vento notturno: quanto avrebbe voluto Arthur tenerlo stretto contro di sé ed avvolgerlo nel suo mantello nemmeno sapeva spiegarlo a voce ma c’erano alcuni limiti che, lontano dalla propria intimità, un principe non poteva permettersi di varcare.

L’unico già sveglio ed impegnato nell’abbeverare i cavalli, era Lance che si stava anche adoperando a trovare della legna per ravvivare il fuoco e scaldarsi dato che l’aria di marzo era sì, più tiepida, ma non abbastanza calda.

Quando Merlin aprì gli occhi pochi minuti più tardi si ritrovò attorniato da cavalieri in pieno fermento che o strigliavano i cavalli o preparavano la colazione o scaldavano del vino caldo: i suoi occhi corsero a cercare il volto di Arthur che lo osservava con un sorriso rilassato e riposato dall’altra parte della piccola radura, un gilet di pelle sulla casacca rosso Pendragon e le braccia incrociate al petto.

“Signori, signori, vi prego, la principessa si è svegliata, non fate questo baccano” fece con una smorfia divertita mentre guardava il –suo- Merlin stropicciarsi gli occhi gonfi di sonno.

“Mia signora, le auguro un buon mattino” trillò Gwaine con un profondo inchino meritandosi, però, un mezzo calcio da parte del mago: avevano sempre avuto un rapporto di profonda amicizia, amicizia che li legava da lungo tempo e quindi, proprio per questo, Merlin poteva permettersi di andare un po’ oltre con il cavaliere. Il suo calcio sarebbe anche stato preciso sul sedere del moro se solo la testa non gli fosse girata fastidiosamente facendogli appena perdere l’equilibrio. Quello sbandamento passò inosservato, per fortuna, o avrebbe dovuto sorbirsi altre prese in giro dai cavalieri di Camelot.

Seduti adesso tutti attorno al fuoco, si passarono l’un l’altro del formaggio e del pane.

“Dovremmo passare per le miniere, in modo da tagliare il passaggio verso il confine nord. In questo modo, se il bosco brulicasse di nemici…” iniziò il principe con i gomiti sulle ginocchia ed il capo appoggiato alle mani.

“Forse è ancora troppo presto per decidere, Sire, non siamo sicuri che la vostra teoria sia esatta” si permise di dire il biondo Sir Leon ed Arthur scrollò le spalle.

“Certamente. Ma usufruendo dei passaggi sotterranei saremmo al riparo dalla fastidiosa pioggia che minaccia il cielo.”

“Avete ragione, Sire. Tuttavia, se posso darvi un consiglio, aspetterei prima di prendere una tale decisione: le miniere sono infestate di wildren” completò il cavaliere con un sorriso pacifico sulle labbra e fu a quel punto che Arthur annuì e si alzò battendo le mani una volta per attirare l’attenzione degli altri.

“Molto bene. Si va, cavalieri. Avanti, Merlin, muoviti” sospirò con fare scocciato all’indirizzo del moro che stava riponendo il pezzo di pane ed il formaggio intoccato nella sacca delle vivande avvertendo la bocca dello stomaco chiusa e un’insolita inappetenza. Si sentiva piuttosto rintronato, forse la notte passata a dormire sul terreno aveva aumentato la sua emicrania ed era per quello che si sentiva invaso da un forte mal di testa che gli attanagliava le tempie. Socchiuse gli occhi appoggiando per un solo attimo la fronte al dorso del cavallo e poi, approfittando del fatto che tutti gli altri fossero pronti a ripartire, vi salì tenendo a bada un’altra fastidiosa vertigine.

Dopo qualche minuto di cammino in perfetto silenzio, escluse le chiacchiere continue di Gwaine che sarebbe stato zitto solamente con un limone in bocca, Lance si affiancò al giovane mago e gli rivolse un sorriso cortese.

“Ti senti bene?” gli domandò incrociando i suoi occhi blu particolarmente velati di stanchezza e ricevendo in risposta un ed un accenno di un sorriso.

“Posso riaccompagnarti a Camelot, se non ti va di continuare” propose quindi imperterrito “Arthur capirà” aggiunse tenendo, però, solo nella sua mente che Arthur avrebbe capito qualsiasi cosa riguardante il giovane mago. D’altronde, Merlin era Merlin e tutti, ormai, lo avevano capito.

“No, Lance, ti ringrazio. Non è necessario” rispose cercando di essere più convincente mentre, in realtà, sentiva un senso di freddo invaderlo fin dentro le ossa, nonostante il sole li colpisse già in pieno.

Il cavaliere annuì e lo distanziò di qualche passo spronando il suo cavallo bianco ad aumentare il passo: lì si avvicinò a Percival e lo coinvolse in una chiacchierata riguardante alcune nuove spade che erano state forgiate in un villaggio vicino.

Anche durante quel tragitto, Arthur si voltò a guardare Merlin, catturò il suo sguardo ed il suo sorriso e ne fece tesoro, se ne riempì fino dentro sentendosi immediatamente meglio: quando partivano per missioni indette da re Uther o di decisione propria di Arthur, il principe percepiva sempre un po’ di ansia data dal fatto di non sapere esattamente a cosa stessero andando incontro, alla paura di mettere in pericolo i suoi cavalieri e Merlin, che nonostante venisse sempre dissuaso dal seguirli, decideva di testa sua ed andava con loro. D'altronde, si rendeva conto ogni volta il biondo, se Merlin non fosse stato con lui probabilmente gli sarebbe mancato un punto di riferimento di grande importanza. Non riusciva a pensare di fare qualcosa senza il suo idiota personale, non era concepibile, ormai, per la sua mentalità: Merlin doveva esserci, qualsiasi tipo di missione si trattasse e, sapeva che avrebbe sempre avuto un occhio di riguardo per il giovane servo, sapeva che lo avrebbe protetto fino alla morte, parandolo da fendenti e pugnalate.

Il mago socchiuse gli occhi blu per un attimo, come non riuscisse a tenerli aperti: gli bruciavano come l’inferno, li sentiva pesanti e gli facevano male a causa di quella pungente emicrania e percepiva un gran freddo che stava cominciando a fargli battere i denti. Il sole li scaldava, era vero, ma le nuvole gonfie di pioggia stavano cominciando ad avanzare verso di loro e forse era per quello che Merlin aveva freddo, il vento stava aumentando. Tolse una mano calda dalla briglia del cavallo e la portò sul polso, poteva sentire il battito accelerato e divenne definitivamente consapevole che non si trattava solamente del tempo atmosferico ma del suo corpo che si stava indebolendo a causa di una brutta febbre. Difatti sentiva la pelle bruciare e nel frattempo richiedere calore, la sua fronte era bollente e le vertigini non gli davano tregua ma non voleva assolutamente darlo a vedere, avrebbe stretto i denti fino alla fine: le prese in giro e le battute dei cavalieri erano più irritanti e sfiancanti –per quanto bonarie- di una stupida febbre.

Qualche veglia dopo, quando ormai Merlin si era rassegnato alla propria condizione di ammalato e gli altri cavalieri si erano arresi all’incapacità di Gwaine di chiudere quella dannata boccaccia almeno per un’intera veglia anche davanti alle minacce del principe di metterlo alla gogna, cominciò a cadere una pioggia fitta e fastidiosa sul gruppetto di uomini. Ogni goccia pesava più dell’altra e in un attimo si ritrovarono tutti bagnati fino alle ossa: la mente dei principe e quella del servitore, che si erano appena scambiati un sorriso complice, corse al ricordo della notte, quando immersi per metà nell’acqua del torrente avevano fatto l’amore, amandosi in silenzio, con urgenza, con il bisogno che bruciava dentro. Arthur lo aveva aiutato a sistemarsi le vesti con attenzione, con gesti misurati e delicati, invertendo i ruoli anche quella notte, quando il buio capovolgeva il loro mondo, rendendoli solo due semplici ragazzi. Si erano scambiati un bacio prima di tornare al piccolo accampamento, felici, rilassati anche se con i vestiti bagnati.

“Sire,” Sir Leon affiancò il principe con un movimento fluido, la voce mantenuta più alta a causa del continuo battere della pioggia, i capelli appiccicati alla fronte “dovremmo fermarci.”

Arthur si umettò le labbra e poi le strinse, pensoso e diviso tra la miglior cosa da fare per i suoi uomini e il continuo senso del dovere che gli attanagliava lo stomaco. Guardò i cavalieri, i loro visi stoici ma le schiene dritte mentre tentavano di non piegarsi al freddo e al vento, alla vera e propria tempesta che stava arrivando decretando un falso inizio del mese di marzo che aveva scaldato Camelot solo il giorno prima. Quando lo sguardo indagatore e pensieroso del principe cadde su Merlin –che continuava a cavalcare in silenzio e con lo sguardo fisso sul sentiero- le sue sicurezze vacillarono: il ragazzo era pallido e pareva stremato ma lo conosceva, per quanto fosse a volte pigro e senza resistenza, non si lamentava mai ed era impossibile fosse ridotto così per una semplice cavalcata.

“Ci fermiamo” decretò infine con gli occhi fissi sui suoi fedeli uomini, scandagliando le loro espressioni a metà tra l’incredulo e la gratitudine “poco più avanti c’è un riparo, una grotta se non ricordo male, dico bene, Sir Leon?”

“Sì, mio signore, dobbiamo dirigerci leggermente ad est e la troveremo.”

Circa dopo mezza veglia avevano raggiunto –bagnati fino all’osso e con le stoffe appiccicate addosso- la grotta che stava a ridosso di un bosco molto fitto dove, nonostante la pioggia, poterono legare i cavalli che rimanevano riparati dal forte temporale grazie ai rami dei grandi alberi. Merlin si incaricò di raccogliere dell’acqua ed abbeverarli mentre Gwaine ed Elyan cercavano della legna da ardere che non fosse già troppo umida pizzicandosi con continue battutine: sono sicuro che al terzo sidro sverresti, Elyan, l’alcool è roba da veri uomini, non da ragazzini lo prendeva in giro il più grande puntellandolo sul fianco con un ramo, estremamente divertito.

Gli altri cavalieri avevano controllato che nella grotta non ci fossero pericoli e vi si erano sistemati poco dopo dando il via libera a tutti di entrarvi: il giovane mago, ormai visibilmente malaticcio, li raggiunse per ultimo dopo essersi preso cura minuziosamente dei destrieri che si godevano, adesso, il loro meritato riposo.

Il fuoco già acceso proiettava le ombre degli uomini sulle pareti rocciose e riscaldava l’ambiente. Il primo sguardo che incontrò fu quello di Lance che pareva cercare di fargli capire che glielo aveva detto, che aveva bisogno di tornare a Camelot e riposare e che lo avrebbe accompagnato lui stesso: gli si fece vicino ed accennò un sorriso notando come stesse tremando dal freddo e come i suoi occhi fossero lucidi di febbre: certo, non era un medico ma sapeva riconoscere i sintomi cardine di un raffreddamento coi fiocchi.

“Siediti vicino al fuoco” gli sussurrò con aria preoccupata ed il moro gli sorrise in rimando posandogli una mano sulla spalla in senso di ringraziamento. Prima di eseguire, però, quell’ordine malcelato, si sentì osservato da Arthur. Nei suoi occhi vide quello che troppe volte già aveva visto: senso di colpa. Il principe aveva l’innata capacità di colpevolizzarsi per qualsiasi cosa succedesse e sfuggisse al proprio controllo e adesso Merlin sapeva a cosa stava pensando, pensava al tempo passato nell’acqua del torrente, che forse non avrebbe dovuto gettarlo dentro per scherzo e che forse avrebbero dovuto evitare di rimanere lì, a mollo.

Gli si avvicinò con gli occhi azzurri indagatori, le labbra unite in un senso di disprezzo per se stesso. Merlin appoggiò le mani sui bordi inferiori della cotta di maglia del suo signore e lo aiutò a sfilarla nonostante Arthur non fosse lì per quello, piuttosto per scusarsi in qualche modo.

“Come ti senti?” gli domandò a bassa voce guadagnandosi un sorriso da parte del servo.

“Sto bene, non vi preoccupate” rispose con voce graffiata piegando la cotta di maglia ed appoggiandola sulla roccia accanto “piuttosto dovreste far asciugare le vesti, finirete per prendervi un malanno.”

Tu dovresti sedere vicino al fuoco e scaldarti” fece con fare apprensivo, il volto preoccupato.

Amava quella sua caratteristica che trincerava dietro ad un’espressione sempre severa e concentrata, come se soppesasse ogni sentimento, un filtro applicato che scremava il suo comportamento lasciando passare solamente ciò che era adatto ad un principe ed eliminando tutto il resto.

“Finisco di sistemare prima le vostre cose, Arthur, dopodiché farò come dite” concesse, l’aria stanca ma sempre un sorriso gentile sulla bocca, un sorriso per il suo principe che aveva deciso di accettare quel piccolo compromesso mentre gli altri cavalieri si erano sistemati attorno al fuoco ed avevano cominciato a parlare tra loro, con Gwaine che teneva sempre alto l’umore e faceva ridere a crepapelle Elyan.

Per quanto lo riguardava, Merlin si sentiva davvero uno straccio e se avesse potuto si sarebbe appollaiato sulla roccia ed addormentato in un battibaleno ma voleva portare a termine i propri compiti perché non ne voleva essere dispensato, tanto meno voleva che Arthur si sentisse in colpa per il malanno che si era preso. Continuò a sistemare le vesti del principe stendendole su delle rocce vicine al fuoco dopo averle strizzate dell’acqua in eccesso. Appoggiò una mano alla superficie in preda ad una vertigine più forte che fece ondeggiare l’ambiente circostante, una fitta alla testa e le gambe che gli cedettero tradendolo e lasciandolo scivolare a terra. Si rese appena conto delle mani che lo toccavano e delle braccia forti che lo sollevavano, poi si arrischiò a chiudere gli occhi ed inoltrarsi nel buio, lì dove lui ed Arthur potevano essere loro stessi ed amarsi senza alcun ostacolo.

 

***

 

Un fastidioso pulsare alla testa non gli dava tregua, pareva che qualcuno continuasse a bussare alle pareti del suo cervello facendo rimbombare ogni rumore tanto forte da fargli venire voglia di strapparsi le orecchie. Decise di aprire un occhio tanto per controllare chi fosse il disturbatore di turno, forse era Gwaine con le sue continue e fastidiosissime chiacchiere inutili, mai che parlasse di qualcosa di più furbo o che, meglio, decidesse di tacere.

Quando riuscì a mettere a fuoco ciò che lo circondava -un grande armadio, coperte rosse e calde, una sedia di legno intarsiato- non lo collegò immediatamente: la sua testa lavorava lenta e metteva in ordine un pezzetto per volta ma forse funzionava male, mancava qualcosa. Tornò a chiudere gli occhi blu con un piccolo sospiro, sentiva la bocca ancora calda e la febbre bruciare ancora. Ah, sì, la febbre, ecco cosa era successo. Pian piano riuscì a ricostruire ciò che pensava fosse accaduto, se si concentrava ricordava a tratti il rumore di zoccoli di cavallo sul terreno, il vento sul viso ed un mantello rosso Pendragon ad avvolgerlo: sì, era sicuramente dei cavalieri, ne aveva riconosciuto la stoffa elegante e liscia che tante volte aveva toccato ma mai indossato.

Due braccia lo cingevano, poteva riconoscere il calore di un altro corpo accanto al proprio adesso che apriva gli occhi nel grande e comodo letto: tra quelle coltri già aveva dormito e anche spesso ed il senso di protezione nel quale era infagottato lo faceva sentire sempre bene. Riconobbe le braccia possenti e muscolose, l’anello al pollice destro, le dita intrecciate sul proprio ventre e sorrise, sorrise perché non riuscì a fare altro, perché il nodo di emozioni e sensazioni in fondo allo stomaco si era dapprima stretto e poi allentato.

“Arthur” chiamò solo rendendosi conto di quanto la sua voce fosse roca e la sua bocca secca.

Il principe, che evidentemente non dormiva, sorrise contro la sua spalla: Merlin poté percepire totalmente quel sorriso, quell’incresparsi di labbra ed anche un piccolo sospiro sollevato.

“Allora hai deciso di non morire tra le mie braccia” rispose divertito Arthur stendendo le gambe e stiracchiandole un po’ per poi tornare ad intrecciarle a quelle del moro. E sì, per tutte quelle ore non aveva azzardato a muoversi per non disturbare il sonno del mago e i crampi ed il fastidio che aveva sofferto erano stati il suo modo personale per punirsi in parte per essere la causa di quel malanno: entrare in quell’acqua non era stata un’idea grandiosa e nemmeno continuare a vagare sotto la pioggia per cercare un riparo. Un principe avrebbe dovuto pensarci. Non sapeva esattamente spiegarsi cosa avesse sentito nel momento in cui aveva visto Merlin scivolare a terra, forse era stato senso di abbandono, paura, inadeguatezza nel prendere in mano la situazione. Doveva essere molto grato ai propri cavalieri perché nonostante tutti sapessero, ne era estremamente certo ed aveva avuto anche qualche diretta conferma alcune volte, nessuno si era permesso di giudicarlo mentre si agitava per le condizioni di Merlin che aveva perso conoscenza. La professionalità di Sir Leon era arrivata al punto di prendere il controllo della missione e decidere di proseguire la missione nonostante il forte temporale: aveva preso con sé gli altri uomini ed aveva rispettosamente salutato il principe, per poi uscire. L’aveva sentito, forte, Arthur, quel senso di attaccamento verso i suoi uomini, quel senso di riconoscenza che gli aveva riempito il cuore. Solo per un attimo, però, perché poi era tornato a morire di preoccupazione per quell’idiota del suo servo. Secondo i calcoli di Sir Leon sarebbero tornati entro sera e lì avrebbero ripreso il viaggio di ritorno arrivando tutti assieme a Camelot per non destare sospetti in Uther o in altri componenti della corte.

“La missione?” fu la prima domanda di Merlin che cercando di ignorare i dolori dati dalla febbre si voltò tra le braccia del principe guardandolo finalmente negli occhi: il suo viso gli era mancato. Forse lo aveva addirittura sognato in quelle lunghe ore di incoscienza.

“Davvero la tua prima domanda è sapere come è andata a finire la missione? A volte mi sorprendi, a volte penso che tu sia troppo ligio al dovere” sospirò teatralmente Arthur posando un gomito sul cuscino ed appoggiando il capo alla mano.

“Oh, taci per una buona volta” mugolò in risposta l’altro “la mia testa scoppierà se sentirà ancora qualche chiacchiera inutile.”

“Merlin, un po’ di rispetto!” si impettì il nobile alzando gli occhi verso il soffitto, le labbra raggrumate in un’espressione di piccolo disappunto.

“La missione, Arthur” lo incalzò ancora il moro, gli occhi blu cerchiati di stanchezza ed il viso spaventosamente pallido ma la serietà che predominava sui suoi tratti. Non amava né voleva che Arthur mettesse da parte il proprio dovere per lui e detestava anche mostrarsi così debole da dover far interrompere gli incarichi reali. E se si trovano lì in quel momento significava che qualcosa o era stato posticipato o delegato.

Arthur si lasciò andare ad un piccolo sospiro e fece un gesto non curante con la mano che subito dopo appoggiò sulla spalla del moro iniziando ad accarezzargliela.

“Sir Leon l’ha portata a termine insieme ai cavalieri. Non potevo lasciarti, Merlin, non in quel momento. Mi hai fatto spaventare, eri cadaverico e tremavi dal freddo ed eri incosciente, non sapevo cosa fare” lasciò andare tutto d’un fiato il principe, come se riuscisse ad abbandonarsi anche in quel momento ai propri sentimenti più nascosti, quelli che a volte lo avevano fatto vergognare. “Sono rientrati al tramonto, tutto sistemato, e siamo tornati a Camelot a spron battuto questa notte. Ho chiesto a Gaius qualcosa per far scendere febbre e ti ho portato nelle mie stanze con l’aiuto di Lancelot. A proposito, sai, credo che abbiano capito che noi…” abbozzò un sorriso ed arcuò il sopracciglio più volte cercando di essere eloquente.

“Arthur, i cavalieri hanno capito tutto fin dal primo momento” ridacchiò Merlin portando l’indice sulla punta del suo naso e schiacciandoglielo un po’ “bisognerebbe essere ciechi per non notarlo.”

“Speriamo che mio padre sia cieco, allora” sbuffò bloccandogli il polso e poi appoggiando la fronte contro la sua, le gambe nuovamente intrecciate.

“Ugh, hai i piedi gelidi” aggiunse sentendo la pelle fredda di Merlin a contatto con la propria e scatenando una piccola risata nell’altro.

“Mi hai riportato al castello, allora” deviò la questione il mago cercando di incentrarsi su quel gesto che era parso piuttosto romantico –e cavalleresco- e che gli scaldava il cuore.

“Ti ho riportato al castello, sì, mia personale spina nel fianco” fece Arthur alzando gli occhi al cielo e fingendo esasperazione. Certo che l’aveva riportato al castello! E lo aveva anche avvolto nel proprio mantello cercando di tenerlo il più al caldo possibile, mica poteva permettere che prendesse altro freddo, era un cavaliere, lui! Un cavaliere innamorato, per l’esattezza. Non che fosse stato facile per Arthur, ai tempi, comprendere ed accettare fino in fondo il proprio sentimento per Merlin, per quel disastro di Merlin per l’esattezza, quello stesso ragazzo che si addormentava, si lamentava di avere sempre fame, rompeva qualsiasi cosa per disattenzione, parlava fino allo sfinimento e… e amava, era capace di amarlo, era riuscito a vedere aldilà della scorza di futuro re che conteneva l’essenza di Arthur: era andato oltre, lo aveva fatto senza che gli fosse chiesto, senza avere nulla in cambio. Aveva imparato ad amarlo e gli aveva insegnato ad amarsi.

Il sorriso di Merlin gli scaldò il cuore e posò un bacio sulla sua fronte sentendola ancora calda ma molto meno di qualche veglia prima.

“Mi sento meglio.”

“Per fortuna. Hai ancora moltissimi compiti da portare a termine, ad esempio la mia camicia…”

Il mago rise, annuì cercando però la sua bocca e sfiorandola in un bacio delicato, lento, che si fece profondo mentre i loro corpi si stringevano più uno all’altro sotto le pesanti coltri reali.

“Um, no” ci pensò su Arthur “puoi rimanere ancora un po’, la camicia può aspettare” concesse coinvolgendolo in un altro bacio, uno sfiorarsi continuo di mani, di bocche, dei piccoli sospiri che rimbombavano nelle orecchie e i sorrisi spontanei dipinti sul viso.

Né Arthur né Merlin sapevano quanto sarebbe durata la loro bolla di felicità, non sapevano nemmeno cosa sarebbe accaduto in futuro un giorno che Arthur sarebbe diventato re di Camelot: Merlin era perfettamente consapevole che avrebbe continuato a proteggerlo, a salvarlo da qualsiasi pericolo usufruendo della propria magia di nascosto perché la sua ragione di vita era guardargli le spalle, era concentrata in un ragazzo un po’ borioso e prepotente ma che racchiudeva in sé un animo gentile e a tratti romantico. Per quanto lo riguardava, invece, Arthur sapeva di avere accanto prima di tutto un amico leale, una spalla sulla quale piangere senza doversi vergognare di nascondere i propri veri sentimenti, un consigliere, un idiota, una bellezza paralizzante. Non c’era altro che li rendesse felici in quel momento e non intendevano domandarsi cosa avesse in serbo il loro futuro.

La notte stava giungendo nuovamente a coprirli con il suo manto fatto di stelle, la coperta sotto la quale potevano essere se stessi senza preoccuparsi di nulla, al sicuro, sotto lo sguardo rassicurante della luna.

Anche quella notte, il buio sarebbe stato loro complice.

 

 Fine  

 

Grazie per essere arrivati fino alla fine di questa –lunga- one-shot. Spero con tutto il cuore che vi sia piaciuta ed abbia scaturito in voi delle emozioni così come è stato per me nel momento della scrittura.

La canzone che appare all’inizio è Menta e Rosmarino di Zucchero e, se non la conoscete o se vi va di riascoltarla, la trovate qui.

Raccontatemi i vostri pareri e le vostre sensazioni in una recensione (che fa sempre tanto bene!) e a presto,

M.

 

 

  
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