Sono scivolata nel
mondo di Merlin per puro caso e pochi mesi fa; non riesco a tirarmene fuori, ma
non me ne dispiaccio.
Il bisogno di
scrivere era forte e qualche settimana fa ho lasciato che fosse la penna a
parlare per me.
Buona lettura,
M.
Gocce di luce dagli occhi
Lacrima il tramonto,
gocce di luce dagli occhi nella notte cieca.
È qui che a casa mia ormai ritorno.
Ci incontreremo stasera,
menta e rosmarino,
che ho preso a calci le notti per starti più vicino.
Amor, d’amor sia l’amor perduto
“Mi domando come sia mai possibile
che tu non riesca a lucidare come si deve questa dannata armatura” berciò il
principe Arthur in una mattina di inizio marzo, quando l’aria cominciava ad
essere più tiepida e la neve, sotto il pallido sole, aveva finito per
sciogliersi lasciando delle piccole pozzanghere di acqua mista a terriccio.
Il popolo di Camelot si sentiva
riscaldato fin nel cuore alla vista di quel sole che dimostrava come i giorni
più freddi stessero volgendo al termine e l’umore era gioioso e festoso sebbene
non si potesse dire altrettanto di quello del giovane principe Arthur, lasciato
ad inveire contro il servo idiota che
il destino gli aveva donato qualche anno prima: Merlin.
“…non riesco a capacitarmi, devo
essere sincero, non è che ci voglia poi molto a pulirla per bene” continuò
mentre camminava avanti e indietro per le sue stanze, la casacca rossa che
ricadeva sul corpo muscoloso, una cintura di pelle a segnarne la vita sottile.
“Beh, se volete potete pulirvela da
solo” fu la risposta divertita del giovane mago che si passò le lunghe dita tra
i capelli corvini: gli scivolavano sugli occhi di un blu intenso che ad Arthur
ricordavano tanto il colore del cielo poco dopo il tramonto.
“Merlin…” lo avvertì Arthur con quell’espressione che soltanto lui
riusciva ad avere: curvava leggermente il viso verso il basso ed alzava gli
occhi di ghiaccio per incontrare lo sguardo del suo interlocutore, le labbra
strette in una piccola smorfia di fastidio: Merlin aveva imparato bene a
conoscere ogni sfumatura del suo essere e poteva giurare di sapere elencare
almeno tre diverse espressioni del principe per ogni sentimento di natura
umana.
A quell’avviso, quindi, il
servitore alzò le mani in segno di resa, riprese l’armatura -che secondo il
principe era ancora sporca, no di certo secondo i propri canoni- tra le braccia
e si accinse ad attraversare la stanza.
“Come volete, Sire” rispose
scrollando appena le spalle nella sua giacca leggera, i pantaloni scuri un po’
larghi sui fianchi ed una casacca blu con lo scollo che gli lasciava ben
visibile il collo diafano. Su di esso, appunto, un segno rosso all’altezza
della gola, il solco dei denti dell’artefice assolutamente ben visibile.
Il principe osservò per bene la
figura del moro, le braccia piene di pezzi di armatura e quella giacca che
sembrava troppo grande, troppo leggera, troppo vecchia per lui. Semplicemente, troppo.
“Non stai dimenticando niente?”
domandò quindi alzando un sopracciglio proprio mentre Merlin si voltava verso
di lui: tra le sue mani, il fazzoletto rosso che l’altro portava sempre al
collo.
“Lo avete spiegazzato tutto”
borbottò Merlin posando di malagrazia l’armatura sul tavolo accanto e
dirigendosi verso Arthur che nel frattempo aveva piegato appena il capo da un
lato con un’espressione a metà tra il divertito e l’oltraggiato.
“Un po’ di rispetto, Merlin,
avanti. So che se ti impegni, puoi farcela.”
“Siete voi che dovreste avere più
rispetto per gli oggetti degli altri” fece il mago ormai a poca distanza da
Arthur che, con un ghigno divertito sul reale viso, alzò la mano con il
fazzoletto proprio nel momento in cui le dita dell’altro si erano mosse
fulminee per acchiapparne la stoffa.
“Troppo facile, così. E poi,
continui a scordarti qualcosa, non trovi?” continuò
con aria boriosa facendo di riflesso alzare gli occhi al cielo a Merlin. Le sue
lunghe mani si posarono sui fianchi muscolosi del biondo, li accarezzarono con
calma prima di catturare la sua bocca in un bacio delicato, la mano che
risaliva lungo il corpo, fino al suo collo, poi sulla sua guancia. Sentire i
muscoli del principe rilassarsi sotto il proprio tocco e le sue labbra
schiudersi per permettergli di approfondire il bacio era una sensazione
indescrivibile per Merlin. Arthur, da principe e futuro re qual era, conduceva
la propria vita su una linea di austerità e serietà: era un giovane uomo
impostato, ligio ai propri doveri, incapace di lasciarsi andare anche quando
avrebbe dovuto, ma gli era stato insegnato così dal re suo padre, Uther, che
non perdeva occasione di ricordargli quanto un uomo, e tanto più l’erede al
trono, dovesse mantenersi inflessibile e non dovesse lasciare intravedere
alcuna emozione. Per questo, quando Arthur abbatteva ogni difesa e si
abbandonava a Merlin, in tutto e per tutto, per quest’ultimo era una vittoria che
gli scaldava il cuore, per non parlare di quel nodo allo stomaco fatto di tante
piccole emozioni che entravano in contrasto tra loro…
Durante quel bacio, Arthur aveva
aderito perfettamente al corpo spigoloso di Merlin le cui guance si erano tinte
di un rosso che andava a contrastare con la sua pelle pallida.
“Merlin, Merlin” tornò ad alzare
gli occhi al cielo il principe “possibile che dopo tutti questi mesi di,
passami il termine, impudicizia tu
riesca ancora ad arrossire come una verginella -quale non sei più da molto, tra
l’altro- per un solo bacio?”
“Smettetela di prendermi in giro.
Ho la pelle delicata” sbottò in risposta scostandosi con un passo indietro dopo
essersi ripreso il fazzoletto ed incrociando le braccia al petto mentre sentiva
il viso andare a fuoco per l’imbarazzo.
“Certamente, la pelle delicata”
ridacchiò Arthur assolutamente divertito mentre si chinava in avanti e gli
lasciava un bacio sulla guancia, oltrepassandolo subito dopo per dirigersi
verso l’uscita.
“Ah. E ricordatevi, mia signora, tra una veglia alle
scuderie” aggiunse con la mano sulla maniglia e poi scoppiando definitivamente
a ridere schivando il cuscino con il quale Merlin aveva cercato di colpirlo.
***
Il destrieri dei cavalieri
procedevano docilmente sotto i loro comandi avviandosi lungo un sentiero sulla
destra dove la terra cominciava ad asciugarsi rendendo il rumore degli zoccoli
più intenso; il giovane Gwaine si rinviò la folta chioma castana con un gesto
teatrale, gesto che i suoi compagni avevano imparato ad interpretare come il
segno di un resoconto di una nuova –e sfortunata- avventura.
“Insomma, siccome nessuno vuole
raccontare qualcosa di interessante, ci penserò io” iniziò facendo alzare gli
occhi al cielo ai presenti che ben si erano abituati ai coloriti racconti del
cavaliere “Si chiamava Clare… no, aspettate, si chiamava Clarisse. O era
Claribel?” si domandò con aria pensosa sentendo le risate degli altri
cominciare a riempire il bosco insieme ad un cominciamo bene di Lancelot.
“Il nome non è importante, credo.
Parlava più con…” e con le mani –tolte dalle briglie- fece segno di un corpo
sinuoso con un seno importante meritandosi un ammonimento bonario da parte del
principe che in realtà si divertiva parecchio con i suoi racconti tragicomici.
“Scusate, Sire, però sapete quanto
io tenga ai dettagli” si giustificò “e insomma, questa bella donzella si era
ferita un dito durante una sosta al lago. Capite bene che il mio codice d’onore
non mi permetteva di lasciarla in preda ad atroci dolori” sospirò con enfasi
interrompendosi per qualche attimo: era il suo modo personale di tenere tutti
sulle spine.
“Or quindi mi avvicino: Milady, mi inchino, vi lascereste aiutare da un
cavaliere di Camelot?, e lei risponde” adesso finse la voce in falsetto “Oh gentile cavaliere, grazie per il vostro
interessamento, e mi guardava con occhi… beh, era difficile guardarla
proprio negli occhi, ecco, però mi sforzavo. Purtroppo sono qui con mio marito, altrimenti mi lascerei aiutare molto
volentieri da voi” concluse tenendo la voce più alta di qualche tono e la
mano alla base del collo per mostrare il dispiacere della donna.
“Gwaine, dovresti stare più
attento” lo ammonì l’enorme e muscoloso Percival interrompendo il suo racconto
tra le risate degli altri cavalieri ai quali risultava sempre difficile non
ridere dei racconti –recitati addirittura a più voci- di Gwaine.
“Perché dovrei, basta che tu venga
con me e nessuno oserebbe avvicinarmi” asserì in risposta mentre il paesaggio
scorreva placidamente accanto a loro.
“…ma nemmeno le donne, così”
precisò Sir Leon affiancandosi agli altri due mentre la mano di Gwaine andava
ad accarezzarsi il mento con aria pensosa. Rimase in silenzio qualche lungo
attimo –per la gioia dei presenti- ma poi parlò ancora.
“Questo è vero. Allora no, forse
meglio di no.”
“Sarebbe meglio che stessi lontano
dall’idromele…” borbottò Percival cominciando a dispensare piccoli consigli
all’amico che riusciva ad infilarsi nei guai con una capacità innata. Come
quella volta che aveva deciso di sfidare ad una prova di resistenza un
signorotto di un villaggio vicino solo per impressionare una bella donna che,
però, destino volle fosse la figlia dello sfidato; insomma, non era finita bene
o perlomeno non sarebbe finita bene se non fosse intervenuto il pacifico Sir Leon
che con qualche parola diplomatica aveva cercato di rimettere tutto a posto
mentre, con una mano, scostava l’altro cavaliere dietro la propria schiena,
cercando di proteggerlo dall’ira dello straniero.
Per quanto lo riguardava, Arthur
adorava quelle brevi giornate in missione perché, nonostante fossero un suo
dovere ed ordini del padre, lo facevano sentire spensierato. I suoi cavalieri,
poi, ne erano parte fondamentale: i piccoli battibecchi o gli scherzi che si
facevano uno con l’altro, i racconti comici di Gwaine riguardanti le sue ultime
conquiste e la pacatezza di Sir Leon che riusciva sempre mitigare le questioni
quando c’era bisogno di lui… ma soprattutto, lì Arthur poteva voltarsi ed
incontrare il sorriso del fedele Merlin che cavalcava in silenzio a qualche
metro da lui, ridendo alle battute dei cavalieri ma tendendo sempre un orecchio
per scandagliare ogni più piccolo rumore proveniente dalla foresta.
Anche in quel momento, il principe
si voltò verso il mago che gli regalò un sorriso fatto di mille parole
inespresse. Ma tra loro era sempre andata così, non c’era mai stato bisogno di
parlare molto.
Come fosse iniziata, poi, Arthur
non lo ricordava bene perché forse era impossibile dare una data precisa a ciò
che si erano costruiti. Probabilmente era tutto cambiato nel primo momento in
cui si erano visti e presi in giro, poi sfidati, o forse quando Merlin gli
aveva salvato la vita la prima volta buttandolo a terra per scansare il pugnale
della vecchia strega o probabilmente quando aveva bevuto del vino avvelenato al
posto suo. Non lo sapevano né se lo domandavano, semplicemente un giorno era
successo: avevano preso atto dei loro sentimenti più profondi, avevano capito
di non poter stare divisi, di aver bisogno uno della presenza dell’altro per
sentirsi rincuorati e al sicuro. Passavano le notti insieme, abbracciati o solo
sfiorandosi nel grande letto reale. La loro non era solo una questione di sesso
e bisogno, ma era qualcosa di più, forse a livello di alchimia, il modo in cui
non potevano e non riuscivano a starsi troppo lontani. Era come se a volte al
principe mancasse il fiato e per tornare a respirare dovesse solo voltarsi
verso Merlin e riempirsi del suo sorriso per sentire il senso di pesantezza al
petto allentarsi immediatamente. Non erano sdolcinati uno verso l’altro, per lo
meno non sempre, quasi raramente, adoravano prendersi in giro, pizzicarsi e poi
fare la pace a modo loro. Solo una volta, in quei lunghi mesi d’amore –perché
sì, non c’era altra parola per descriversi, se non amore- avevano litigato, una sfiancante e violenta discussione alla
quale erano stati portati per esasperazione: perché era ovvio, Arthur era un
principe tanto bello quanto colto ed attirava nobildonne come fosse lui miele e
loro api e il suo errore era stato concedere una breve passeggiata ad una di
loro, Lady Rachelle, figlia di un importante cavaliere di un regno vicino. Per
farla breve, Merlin aveva lasciato che Arthur la portasse in giro senza
mostrare alcuna gelosia –d’altronde non avrebbe potuto fare altrimenti, il
principe non riusciva più a scollarsela di dosso- ma quando dai bastioni del
castello aveva visto la ragazza alzarsi sulle punte dei piedi –era pure bassa!, avrebbe detto qualche
veglia più tardi Merlin- e baciare Arthur mentre questi arrossiva furiosamente,
Merlin era uscito di testa. Il loro litigio si era consumato nella piccola
stanza di Merlin dove Arthur era andato a cercarlo per spiegarsi cosa fosse
successo, inconscio del fatto che il mago fosse già al corrente di tutto.
Sentendosi colpevole di quel piccolo tradimento ma anche arrabbiato per la
mancanza di fiducia da parte di Merlin il quale lo aveva spiato tutto il giorno senza motivo, aveva schivato ora sì
ora no gli oggetti lanciatigli dal suo servitore.
Nonostante ciò, tutto era sempre
proceduto nel migliore dei modi ed Arthur non aveva più accettato passeggiate
con varie principesse dei regni alleati: a suo modo, aveva già ciò che voleva,
nonostante fosse contro ogni regola o ogni logica o forse addirittura contro
natura, ma non gli importava. Ciò che lo legava a Merlin era puro, autentico,
sincero e per lui non c’era nulla di più reale al mondo.
“Meglio fermarci, Sire” disse in
quel momento Sir Leon spezzando il filo dei ricordi di Arthur che, con faccia
un po’ stralunata, annuì rendendosi conto che le luci del giorno cominciavano a
calare.
“Sì, è un’ottima idea” rispose
quindi scendendo abilmente dal cavallo, il mantello rosso che seguiva il suo
movimento gonfiato dal vento che fischiava tra gli enormi alberi.
“Ma ti dico che è così, perché non
devi credermi mai. Le donne altro non vogliono che delle degne attenzioni!”
continuava a sbottare l’affascinante Gwaine all’indirizzo di Percival che
alzava gli occhi al cielo scuro, armatosi di grande pazienza.
Merlin si lasciò scivolare giù dal
suo cavallo e prese anche le briglie di quello del principe andando a legarli
entrambi ad un ramo qualche metro più in là. Adesso indossava il fazzoletto che
aveva con fatica –assolutamente nulla- recuperato la mattina, almeno il segno
sulla gola, opera di Arthur e frutto della loro notte d’amore, poteva rimanere
coperto.
Non erano così stupidi, i cavalieri
di Camelot, da non essersi accorti dell’affetto palese tra i due ragazzi ma non
creava a loro problemi e comunque non ne avevano mai parlato direttamente con i
diretti interessati: non gli importava, avrebbero ugualmente seguito Arthur
Pendragon fino alla fine del mondo, fino in bocca alla morte.
Insieme all’aiuto del divertente
Gwaine, Merlin si accucciò attorno al cerchio di pietre contenenti legna da
ardere ed osservò il moro dilettarsi con la pietra focaia: detestava dover
mentire ad Arthur riguardo alla propria natura, ma sapeva bene quanto fosse
necessario per la riuscita della propria missione: proteggerlo e fare di lui un
grande re. Si era interrogato molte notti riguardo alla possibilità di essere
sincero fino in fondo con il principe, a maggior ragione adesso che erano in
ballo dei sentimenti profondi tra loro: aveva coinvolto anche il buon vecchio
Gaius –che probabilmente era stato il primo a rendersi conto di ciò che stava
accadendo tra i due ragazzi e che non si era certamente tirato indietro quando
Merlin aveva avuto bisogno di conforto- ma anche il lui era d’accordo sul
tacere riguardo alla magia.
Seduti a terra o stesi sui preziosi
mantelli rossi, i cavalieri continuavano a disquisire sull’età di una donna
che, nemmeno a dirlo, Gwaine aveva sedotto: quest’ultimo sosteneva che si
trattasse di una giovane ragazza ma dopo che anche Sir Leon e Lance si erano
espressi sulla questione, la sua sicurezza andava vacillando.
Merlin rideva alle battute, amava
quell’atmosfera rilassata e di amicizia che, nonostante i ranghi e le
occupazioni sociali, si era creata tra di loro: poteva sentirlo, comunque, lo
sguardo di Arthur bruciargli addosso, lo sentiva forse più caldo ed insistente
del fuoco che scoppiettava davanti a loro e poteva giurare di esserselo
aspettato, l’arrivo di Arthur alle proprie spalle qualche veglia dopo, quando i
cavalieri si erano addormentati.
Il mago stava in piedi sulla riva
del torrente che scorreva placido nel mezzo della foresta, districandosi tra
grandi alberi e rocce. Teneva le braccia incrociate al petto e gli occhi blu
fissi sull’acqua che brillava sotto la luce lunare. I passi di Arthur, per
quanto assolutamente inudibili, rimbombarono nelle orecchie di Merlin: era come
se potessero sentirsi arrivare nonostante l’udito, come se i loro sensi fossero
amplificati a cercarsi l’un l’altro anche tra la folla.
Le mani del principe si allacciarono
sul ventre del servitore mentre il suo petto muscoloso gli aderiva alla
schiena: il calore che emanava il suo corpo era qualcosa che andava a pungerlo
proprio in fondo allo stomaco. Merlin appoggiò le mani sulle sue coperte da
guanti e sorrise.
“Pensavo dormissi” ammise
concedendosi di eliminare la forma di cortesia come erano soliti fare la notte,
come se il buio potesse proteggerli e creare un mondo fatto solo di loro due.
“Un po’ ho dormito ma poi ho sentito che non c’eri e mi sono chiesto
dove fossi finito.”
“Non avevo sonno e il russare di
Gwaine mi innervosisce. Pensavo che solo tu riuscissi a russare così tanto… e
invece ogni volta che siamo con i cavalieri devo ricredermi” sospirò con fare
teatrale mentre le dita dell’altro gli pizzicavano un fianco.
“Attento a come parli, mi pare che
non ti lamenti molto quando dormi appiccicato a me” sussurrò al suo orecchio
senza avere la minima intenzione di scostarsi da lui.
“Solo perché cerco di soffocarti,
Arthur” rise il mago voltandosi tra le sue braccia e trovandosi viso a viso con
lui, i capelli biondi del principe che ricadevano in tanti fili d’oro sulla
fronte e un po’ sugli occhi azzurro cielo.
Anziché decidere di controbattere
ed attaccarlo con uno scappellotto, il principe incassò regalmente quella provocazione
unendo la bocca alla sua in un bacio ardente che desiderava da quella mattina.
Certe volte stargli lontano era molto più difficile che altre.
“Non dovresti prendermi in giro”
sussurrò contro le sue labbra con un ghigno che non prometteva nulla di buono.
“Adoro prenderti in giro, Arthur.
Dovresti saperlo che la notte mi prendo tutte le rivincite che non posso avere
durante le ore di sole” rispose con il fruscio di un sorriso cercando un altro
bacio che, però, non arrivò, perché il principe aveva ben deciso di spingerlo
in acqua per ripicca, sghignazzando divertito per la sua malefatta.
“Arthur!” sibilò il mago immerso
fino alla vita, l’acqua che scorreva attorno al suo corpo bagnato, ormai, fino
alle ossa “Adesso dammi una mano, forza”
Sorrise nel vedere la mano del
principe allungarsi docilmente verso la propria e, invece, rise, quando
l’afferrò ed lo attirò nel torrente con sé sentendo il suo corpo cozzare contro
il proprio e, in realtà, aderire in maniera perfetta. Non disse nulla, Arthur,
ma anzi lo coinvolse in un bacio di fuoco spingendolo contro la roccia lì
vicino.
Nonostante fossero in acqua,
nonostante il vento, i loro brividi erano dovuti all’emozione di potersi unire
ancora una volta, di poter diventare tutt’uno anche quella notte, godendo dei
reciprochi respiri sulla pelle uno dell’altro.
Mentre un sospiro riempiva quel
silenzio assordante, le mani di Merlin si strinsero di più sulle spalle di
Arthur che con urgenza continuava a baciarlo segnandogli ancora il collo,
adesso scoperto, e entrambi abbassarono le loro difese mentali e fisiche
finendo per fare l’amore su quella roccia, l’acqua che li lambiva fino alla
vita e le labbra rosse di baci proibiti che nessuno avrebbe potuto vedere
nell’oscurità di quella notte.
***
L’alba colse il gruppo di uomini
ancora addormentati attorno al fuoco ormai estinto: Gwaine poggiava il capo ad
un tronco dormendo di un sonno profondo nonostante la posizione sembrasse
assolutamente scomoda, Sir Leon, Elyan e Percival stavano raggomitolati da un
lato avvolti nei loro mantelli, il principe dormiva appoggiato ad un albero,
semisdraiato, una gamba tesa ed una piegata, qualche metro più in là stava
Merlin, le braccia contro il petto e le ginocchia piegate, infreddolito dal
vento notturno: quanto avrebbe voluto Arthur tenerlo stretto contro di sé ed
avvolgerlo nel suo mantello nemmeno sapeva spiegarlo a voce ma c’erano alcuni
limiti che, lontano dalla propria intimità, un principe non poteva permettersi
di varcare.
L’unico già sveglio ed impegnato
nell’abbeverare i cavalli, era Lance che si stava anche adoperando a trovare
della legna per ravvivare il fuoco e scaldarsi dato che l’aria di marzo era sì,
più tiepida, ma non abbastanza calda.
Quando Merlin aprì gli occhi pochi
minuti più tardi si ritrovò attorniato da cavalieri in pieno fermento che o
strigliavano i cavalli o preparavano la colazione o scaldavano del vino caldo:
i suoi occhi corsero a cercare il volto di Arthur che lo osservava con un
sorriso rilassato e riposato dall’altra parte della piccola radura, un gilet di
pelle sulla casacca rosso Pendragon e le braccia incrociate al petto.
“Signori, signori, vi prego, la
principessa si è svegliata, non fate questo baccano” fece con una smorfia
divertita mentre guardava il –suo-
Merlin stropicciarsi gli occhi gonfi di sonno.
“Mia signora, le auguro un buon
mattino” trillò Gwaine con un profondo inchino meritandosi, però, un mezzo
calcio da parte del mago: avevano sempre avuto un rapporto di profonda
amicizia, amicizia che li legava da lungo tempo e quindi, proprio per questo,
Merlin poteva permettersi di andare un
po’ oltre con il cavaliere. Il suo calcio sarebbe anche stato preciso sul
sedere del moro se solo la testa non gli fosse girata fastidiosamente
facendogli appena perdere l’equilibrio. Quello sbandamento passò inosservato,
per fortuna, o avrebbe dovuto sorbirsi altre prese in giro dai cavalieri di
Camelot.
Seduti adesso tutti attorno al
fuoco, si passarono l’un l’altro del formaggio e del pane.
“Dovremmo passare per le miniere,
in modo da tagliare il passaggio verso il confine nord. In questo modo, se il
bosco brulicasse di nemici…” iniziò il principe con i gomiti sulle ginocchia ed
il capo appoggiato alle mani.
“Forse è ancora troppo presto per
decidere, Sire, non siamo sicuri che la vostra teoria sia esatta” si permise di
dire il biondo Sir Leon ed Arthur scrollò le spalle.
“Certamente. Ma usufruendo dei
passaggi sotterranei saremmo al riparo dalla fastidiosa pioggia che minaccia il
cielo.”
“Avete ragione, Sire. Tuttavia, se
posso darvi un consiglio, aspetterei prima di prendere una tale decisione: le
miniere sono infestate di wildren” completò il cavaliere con un sorriso
pacifico sulle labbra e fu a quel punto che Arthur annuì e si alzò battendo le
mani una volta per attirare l’attenzione degli altri.
“Molto bene. Si va, cavalieri.
Avanti, Merlin, muoviti” sospirò con
fare scocciato all’indirizzo del moro che stava riponendo il pezzo di pane ed
il formaggio intoccato nella sacca delle vivande avvertendo la bocca dello
stomaco chiusa e un’insolita
inappetenza. Si sentiva piuttosto rintronato, forse la notte passata a dormire
sul terreno aveva aumentato la sua emicrania ed era per quello che si sentiva
invaso da un forte mal di testa che gli attanagliava le tempie. Socchiuse gli
occhi appoggiando per un solo attimo la fronte al dorso del cavallo e poi,
approfittando del fatto che tutti gli altri fossero pronti a ripartire, vi salì
tenendo a bada un’altra fastidiosa vertigine.
Dopo qualche minuto di cammino in
perfetto silenzio, escluse le chiacchiere continue di Gwaine che sarebbe stato
zitto solamente con un limone in bocca, Lance si affiancò al giovane mago e gli
rivolse un sorriso cortese.
“Ti senti bene?” gli domandò
incrociando i suoi occhi blu particolarmente velati di stanchezza e ricevendo
in risposta un sì ed un accenno di un
sorriso.
“Posso riaccompagnarti a Camelot,
se non ti va di continuare” propose quindi imperterrito “Arthur capirà”
aggiunse tenendo, però, solo nella sua mente che Arthur avrebbe capito
qualsiasi cosa riguardante il giovane mago. D’altronde, Merlin era Merlin e
tutti, ormai, lo avevano capito.
“No, Lance, ti ringrazio. Non è
necessario” rispose cercando di essere più convincente mentre, in realtà,
sentiva un senso di freddo invaderlo fin dentro le ossa, nonostante il sole li
colpisse già in pieno.
Il cavaliere annuì e lo distanziò
di qualche passo spronando il suo cavallo bianco ad aumentare il passo: lì si
avvicinò a Percival e lo coinvolse in una chiacchierata riguardante alcune
nuove spade che erano state forgiate in un villaggio vicino.
Anche durante quel tragitto, Arthur
si voltò a guardare Merlin, catturò il suo sguardo ed il suo sorriso e ne fece
tesoro, se ne riempì fino dentro sentendosi immediatamente meglio: quando
partivano per missioni indette da re Uther o di decisione propria di Arthur, il
principe percepiva sempre un po’ di ansia data dal fatto di non sapere
esattamente a cosa stessero andando incontro, alla paura di mettere in pericolo
i suoi cavalieri e Merlin, che nonostante venisse sempre dissuaso dal seguirli,
decideva di testa sua ed andava con loro. D'altronde, si rendeva conto ogni
volta il biondo, se Merlin non fosse stato con lui probabilmente gli sarebbe
mancato un punto di riferimento di grande importanza. Non riusciva a pensare di
fare qualcosa senza il suo idiota
personale, non era concepibile, ormai, per la sua mentalità: Merlin doveva
esserci, qualsiasi tipo di missione si trattasse e, sapeva che avrebbe sempre
avuto un occhio di riguardo per il giovane servo, sapeva che lo avrebbe protetto
fino alla morte, parandolo da fendenti e pugnalate.
Il mago socchiuse gli occhi blu per
un attimo, come non riuscisse a tenerli aperti: gli bruciavano come l’inferno,
li sentiva pesanti e gli facevano male a causa di quella pungente emicrania e
percepiva un gran freddo che stava cominciando a fargli battere i denti. Il
sole li scaldava, era vero, ma le nuvole gonfie di pioggia stavano cominciando
ad avanzare verso di loro e forse era per quello che Merlin aveva freddo, il
vento stava aumentando. Tolse una mano calda dalla briglia del cavallo e la
portò sul polso, poteva sentire il battito accelerato e divenne definitivamente
consapevole che non si trattava solamente del tempo atmosferico ma del suo
corpo che si stava indebolendo a causa di una brutta febbre. Difatti sentiva la
pelle bruciare e nel frattempo richiedere calore, la sua fronte era bollente e
le vertigini non gli davano tregua ma non voleva assolutamente darlo a vedere,
avrebbe stretto i denti fino alla fine: le prese in giro e le battute dei
cavalieri erano più irritanti e sfiancanti –per quanto bonarie- di una stupida
febbre.
Qualche veglia dopo, quando ormai
Merlin si era rassegnato alla propria condizione di ammalato e gli altri
cavalieri si erano arresi all’incapacità di Gwaine di chiudere quella dannata boccaccia almeno per un’intera veglia anche
davanti alle minacce del principe di metterlo alla gogna, cominciò a cadere una
pioggia fitta e fastidiosa sul gruppetto di uomini. Ogni goccia pesava più
dell’altra e in un attimo si ritrovarono tutti bagnati fino alle ossa: la mente
dei principe e quella del servitore, che si erano appena scambiati un sorriso
complice, corse al ricordo della notte, quando immersi per metà nell’acqua del
torrente avevano fatto l’amore, amandosi in silenzio, con urgenza, con il
bisogno che bruciava dentro. Arthur lo aveva aiutato a sistemarsi le vesti con
attenzione, con gesti misurati e delicati, invertendo i ruoli anche quella
notte, quando il buio capovolgeva il loro mondo, rendendoli solo due semplici
ragazzi. Si erano scambiati un bacio prima di tornare al piccolo accampamento,
felici, rilassati anche se con i vestiti bagnati.
“Sire,” Sir Leon affiancò il
principe con un movimento fluido, la voce mantenuta più alta a causa del
continuo battere della pioggia, i capelli appiccicati alla fronte “dovremmo
fermarci.”
Arthur si umettò le labbra e poi le
strinse, pensoso e diviso tra la miglior cosa da fare per i suoi uomini e il
continuo senso del dovere che gli attanagliava lo stomaco. Guardò i cavalieri,
i loro visi stoici ma le schiene dritte mentre tentavano di non piegarsi al
freddo e al vento, alla vera e propria tempesta che stava arrivando decretando
un falso inizio del mese di marzo che aveva scaldato Camelot solo il giorno
prima. Quando lo sguardo indagatore e pensieroso del principe cadde su Merlin
–che continuava a cavalcare in silenzio e con lo sguardo fisso sul sentiero- le
sue sicurezze vacillarono: il ragazzo era pallido e pareva stremato ma lo
conosceva, per quanto fosse a volte pigro e senza resistenza, non si lamentava
mai ed era impossibile fosse ridotto così per una semplice cavalcata.
“Ci fermiamo” decretò infine con
gli occhi fissi sui suoi fedeli uomini, scandagliando le loro espressioni a
metà tra l’incredulo e la gratitudine “poco più avanti c’è un riparo, una
grotta se non ricordo male, dico bene, Sir Leon?”
“Sì, mio signore, dobbiamo
dirigerci leggermente ad est e la troveremo.”
Circa dopo mezza veglia avevano
raggiunto –bagnati fino all’osso e con le stoffe appiccicate addosso- la grotta
che stava a ridosso di un bosco molto fitto dove, nonostante la pioggia,
poterono legare i cavalli che rimanevano riparati dal forte temporale grazie ai
rami dei grandi alberi. Merlin si incaricò di raccogliere dell’acqua ed
abbeverarli mentre Gwaine ed Elyan cercavano della legna da ardere che non
fosse già troppo umida pizzicandosi con continue battutine: sono sicuro che al terzo sidro sverresti,
Elyan, l’alcool è roba da veri uomini, non da ragazzini lo prendeva in giro
il più grande puntellandolo sul fianco con un ramo, estremamente divertito.
Gli altri cavalieri avevano
controllato che nella grotta non ci fossero pericoli e vi si erano sistemati
poco dopo dando il via libera a tutti di entrarvi: il giovane mago, ormai
visibilmente malaticcio, li raggiunse per ultimo dopo essersi preso cura
minuziosamente dei destrieri che si godevano, adesso, il loro meritato riposo.
Il fuoco già acceso proiettava le
ombre degli uomini sulle pareti rocciose e riscaldava l’ambiente. Il primo
sguardo che incontrò fu quello di Lance che pareva cercare di fargli capire che
glielo aveva detto, che aveva bisogno di tornare a Camelot e riposare e che lo
avrebbe accompagnato lui stesso: gli si fece vicino ed accennò un sorriso
notando come stesse tremando dal freddo e come i suoi occhi fossero lucidi di
febbre: certo, non era un medico ma sapeva riconoscere i sintomi cardine di un
raffreddamento coi fiocchi.
“Siediti vicino al fuoco” gli
sussurrò con aria preoccupata ed il moro gli sorrise in rimando posandogli una
mano sulla spalla in senso di ringraziamento. Prima di eseguire, però,
quell’ordine malcelato, si sentì osservato da Arthur. Nei suoi occhi vide
quello che troppe volte già aveva visto: senso di colpa. Il principe aveva
l’innata capacità di colpevolizzarsi per qualsiasi cosa succedesse e sfuggisse
al proprio controllo e adesso Merlin sapeva a cosa stava pensando, pensava al
tempo passato nell’acqua del torrente, che forse non avrebbe dovuto gettarlo
dentro per scherzo e che forse avrebbero dovuto evitare di rimanere lì, a
mollo.
Gli si avvicinò con gli occhi
azzurri indagatori, le labbra unite in un senso di disprezzo per se stesso.
Merlin appoggiò le mani sui bordi inferiori della cotta di maglia del suo
signore e lo aiutò a sfilarla nonostante Arthur non fosse lì per quello,
piuttosto per scusarsi in qualche modo.
“Come ti senti?” gli domandò a
bassa voce guadagnandosi un sorriso da parte del servo.
“Sto bene, non vi preoccupate”
rispose con voce graffiata piegando la cotta di maglia ed appoggiandola sulla
roccia accanto “piuttosto dovreste far asciugare le vesti, finirete per
prendervi un malanno.”
“Tu dovresti sedere vicino al fuoco e scaldarti” fece con fare
apprensivo, il volto preoccupato.
Amava quella sua caratteristica che
trincerava dietro ad un’espressione sempre severa e concentrata, come se
soppesasse ogni sentimento, un filtro applicato che scremava il suo
comportamento lasciando passare solamente ciò che era adatto ad un principe ed
eliminando tutto il resto.
“Finisco di sistemare prima le
vostre cose, Arthur, dopodiché farò come dite” concesse, l’aria stanca ma
sempre un sorriso gentile sulla bocca, un sorriso per il suo principe che aveva
deciso di accettare quel piccolo compromesso mentre gli altri cavalieri si
erano sistemati attorno al fuoco ed avevano cominciato a parlare tra loro, con
Gwaine che teneva sempre alto l’umore e faceva ridere a crepapelle Elyan.
Per quanto lo riguardava, Merlin si
sentiva davvero uno straccio e se avesse potuto si sarebbe appollaiato sulla
roccia ed addormentato in un battibaleno ma voleva portare a termine i propri
compiti perché non ne voleva essere dispensato, tanto meno voleva che Arthur si
sentisse in colpa per il malanno che si era preso. Continuò a sistemare le
vesti del principe stendendole su delle rocce vicine al fuoco dopo averle
strizzate dell’acqua in eccesso. Appoggiò una mano alla superficie in preda ad
una vertigine più forte che fece ondeggiare l’ambiente circostante, una fitta
alla testa e le gambe che gli cedettero tradendolo e lasciandolo scivolare a
terra. Si rese appena conto delle mani che lo toccavano e delle braccia forti
che lo sollevavano, poi si arrischiò a chiudere gli occhi ed inoltrarsi nel
buio, lì dove lui ed Arthur potevano essere loro stessi ed amarsi senza alcun
ostacolo.
***
Un fastidioso pulsare alla testa
non gli dava tregua, pareva che qualcuno continuasse a bussare alle pareti del
suo cervello facendo rimbombare ogni rumore tanto forte da fargli venire voglia
di strapparsi le orecchie. Decise di aprire un occhio tanto per controllare chi
fosse il disturbatore di turno, forse era Gwaine con le sue continue e
fastidiosissime chiacchiere inutili, mai che parlasse di qualcosa di più furbo
o che, meglio, decidesse di tacere.
Quando riuscì a mettere a fuoco ciò
che lo circondava -un grande armadio, coperte rosse e calde, una sedia di legno
intarsiato- non lo collegò immediatamente: la sua testa lavorava lenta e
metteva in ordine un pezzetto per volta ma forse funzionava male, mancava
qualcosa. Tornò a chiudere gli occhi blu con un piccolo sospiro, sentiva la
bocca ancora calda e la febbre bruciare ancora. Ah, sì, la febbre, ecco cosa
era successo. Pian piano riuscì a ricostruire ciò che pensava fosse accaduto,
se si concentrava ricordava a tratti il rumore di zoccoli di cavallo sul
terreno, il vento sul viso ed un mantello rosso Pendragon ad avvolgerlo: sì,
era sicuramente dei cavalieri, ne aveva riconosciuto la stoffa elegante e
liscia che tante volte aveva toccato ma mai indossato.
Due braccia lo cingevano, poteva
riconoscere il calore di un altro corpo accanto al proprio adesso che apriva
gli occhi nel grande e comodo letto: tra quelle coltri già aveva dormito e
anche spesso ed il senso di protezione nel quale era infagottato lo faceva
sentire sempre bene. Riconobbe le braccia possenti e muscolose, l’anello al
pollice destro, le dita intrecciate sul proprio ventre e sorrise, sorrise
perché non riuscì a fare altro, perché il nodo di emozioni e sensazioni in
fondo allo stomaco si era dapprima stretto e poi allentato.
“Arthur” chiamò solo rendendosi
conto di quanto la sua voce fosse roca e la sua bocca secca.
Il principe, che evidentemente non
dormiva, sorrise contro la sua spalla: Merlin poté percepire totalmente quel
sorriso, quell’incresparsi di labbra ed anche un piccolo sospiro sollevato.
“Allora hai deciso di non morire
tra le mie braccia” rispose divertito Arthur stendendo le gambe e
stiracchiandole un po’ per poi tornare ad intrecciarle a quelle del moro. E sì,
per tutte quelle ore non aveva azzardato a muoversi per non disturbare il sonno
del mago e i crampi ed il fastidio che aveva sofferto erano stati il suo modo
personale per punirsi in parte per essere la causa di quel malanno: entrare in
quell’acqua non era stata un’idea grandiosa e nemmeno continuare a vagare sotto
la pioggia per cercare un riparo. Un principe avrebbe dovuto pensarci. Non
sapeva esattamente spiegarsi cosa avesse sentito nel momento in cui aveva visto
Merlin scivolare a terra, forse era stato senso di abbandono, paura,
inadeguatezza nel prendere in mano la situazione. Doveva essere molto grato ai
propri cavalieri perché nonostante tutti sapessero, ne era estremamente certo
ed aveva avuto anche qualche diretta conferma alcune volte, nessuno si era
permesso di giudicarlo mentre si agitava per le condizioni di Merlin che aveva
perso conoscenza. La professionalità di Sir Leon era arrivata al punto di
prendere il controllo della missione e decidere di proseguire la missione
nonostante il forte temporale: aveva preso con sé gli altri uomini ed aveva
rispettosamente salutato il principe, per poi uscire. L’aveva sentito, forte,
Arthur, quel senso di attaccamento verso i suoi uomini, quel senso di
riconoscenza che gli aveva riempito il cuore. Solo per un attimo, però, perché
poi era tornato a morire di preoccupazione per quell’idiota del suo servo. Secondo i calcoli di Sir Leon sarebbero
tornati entro sera e lì avrebbero ripreso il viaggio di ritorno arrivando tutti
assieme a Camelot per non destare sospetti in Uther o in altri componenti della
corte.
“La missione?” fu la prima domanda
di Merlin che cercando di ignorare i dolori dati dalla febbre si voltò tra le
braccia del principe guardandolo finalmente negli occhi: il suo viso gli era
mancato. Forse lo aveva addirittura sognato in quelle lunghe ore di
incoscienza.
“Davvero la tua prima domanda è
sapere come è andata a finire la missione? A volte mi sorprendi, a volte penso
che tu sia troppo ligio al dovere” sospirò teatralmente Arthur posando un
gomito sul cuscino ed appoggiando il capo alla mano.
“Oh, taci per una buona volta”
mugolò in risposta l’altro “la mia testa scoppierà se sentirà ancora qualche
chiacchiera inutile.”
“Merlin, un po’ di rispetto!” si
impettì il nobile alzando gli occhi verso il soffitto, le labbra raggrumate in
un’espressione di piccolo disappunto.
“La missione, Arthur” lo incalzò
ancora il moro, gli occhi blu cerchiati di stanchezza ed il viso
spaventosamente pallido ma la serietà che predominava sui suoi tratti. Non
amava né voleva che Arthur mettesse da parte il proprio dovere per lui e
detestava anche mostrarsi così debole da dover far interrompere gli incarichi
reali. E se si trovano lì in quel momento significava che qualcosa o era stato
posticipato o delegato.
Arthur si lasciò andare ad un
piccolo sospiro e fece un gesto non curante con la mano che subito dopo
appoggiò sulla spalla del moro iniziando ad accarezzargliela.
“Sir Leon l’ha portata a termine
insieme ai cavalieri. Non potevo lasciarti, Merlin, non in quel momento. Mi hai
fatto spaventare, eri cadaverico e tremavi dal freddo ed eri incosciente, non
sapevo cosa fare” lasciò andare tutto d’un fiato il principe, come se riuscisse
ad abbandonarsi anche in quel momento ai propri sentimenti più nascosti, quelli
che a volte lo avevano fatto vergognare. “Sono rientrati al tramonto, tutto sistemato,
e siamo tornati a Camelot a spron battuto questa notte. Ho chiesto a Gaius
qualcosa per far scendere febbre e ti ho portato nelle mie stanze con l’aiuto
di Lancelot. A proposito, sai, credo che abbiano capito che noi…” abbozzò un
sorriso ed arcuò il sopracciglio più volte cercando di essere eloquente.
“Arthur, i cavalieri hanno capito
tutto fin dal primo momento” ridacchiò Merlin portando l’indice sulla punta del
suo naso e schiacciandoglielo un po’ “bisognerebbe essere ciechi per non
notarlo.”
“Speriamo che mio padre sia cieco,
allora” sbuffò bloccandogli il polso e poi appoggiando la fronte contro la sua,
le gambe nuovamente intrecciate.
“Ugh, hai i piedi gelidi” aggiunse
sentendo la pelle fredda di Merlin a contatto con la propria e scatenando una
piccola risata nell’altro.
“Mi hai riportato al castello,
allora” deviò la questione il mago cercando di incentrarsi su quel gesto che
era parso piuttosto romantico –e cavalleresco- e che gli scaldava il cuore.
“Ti ho riportato al castello, sì,
mia personale spina nel fianco” fece Arthur alzando gli occhi al cielo e
fingendo esasperazione. Certo che l’aveva riportato al castello! E lo aveva
anche avvolto nel proprio mantello cercando di tenerlo il più al caldo
possibile, mica poteva permettere che prendesse altro freddo, era un cavaliere,
lui! Un cavaliere innamorato, per
l’esattezza. Non che fosse stato facile per Arthur, ai tempi, comprendere ed
accettare fino in fondo il proprio sentimento per Merlin, per quel disastro di Merlin per l’esattezza,
quello stesso ragazzo che si addormentava, si lamentava di avere sempre fame,
rompeva qualsiasi cosa per disattenzione, parlava fino allo sfinimento e… e
amava, era capace di amarlo, era
riuscito a vedere aldilà della scorza di futuro re che conteneva l’essenza di
Arthur: era andato oltre, lo aveva fatto senza che gli fosse chiesto, senza
avere nulla in cambio. Aveva imparato ad amarlo e gli aveva insegnato ad
amarsi.
Il sorriso di Merlin gli scaldò il
cuore e posò un bacio sulla sua fronte sentendola ancora calda ma molto meno di
qualche veglia prima.
“Mi sento meglio.”
“Per fortuna. Hai ancora moltissimi
compiti da portare a termine, ad esempio la mia camicia…”
Il mago rise, annuì cercando però
la sua bocca e sfiorandola in un bacio delicato, lento, che si fece profondo
mentre i loro corpi si stringevano più uno all’altro sotto le pesanti coltri
reali.
“Um, no” ci pensò su Arthur “puoi
rimanere ancora un po’, la camicia può aspettare” concesse coinvolgendolo in un
altro bacio, uno sfiorarsi continuo di mani, di bocche, dei piccoli sospiri che
rimbombavano nelle orecchie e i sorrisi spontanei dipinti sul viso.
Né Arthur né Merlin sapevano quanto
sarebbe durata la loro bolla di felicità, non sapevano nemmeno cosa sarebbe
accaduto in futuro un giorno che Arthur sarebbe diventato re di Camelot: Merlin
era perfettamente consapevole che avrebbe continuato a proteggerlo, a salvarlo
da qualsiasi pericolo usufruendo della propria magia di nascosto perché la sua
ragione di vita era guardargli le spalle, era concentrata in un ragazzo un po’
borioso e prepotente ma che racchiudeva in sé un animo gentile e a tratti
romantico. Per quanto lo riguardava, invece, Arthur sapeva di avere accanto
prima di tutto un amico leale, una spalla sulla quale piangere senza doversi
vergognare di nascondere i propri veri sentimenti, un consigliere, un idiota, una bellezza paralizzante. Non
c’era altro che li rendesse felici in quel momento e non intendevano domandarsi
cosa avesse in serbo il loro futuro.
La notte stava giungendo nuovamente
a coprirli con il suo manto fatto di stelle, la coperta sotto la quale potevano
essere se stessi senza preoccuparsi di nulla, al sicuro, sotto lo sguardo
rassicurante della luna.
Anche quella notte, il buio sarebbe
stato loro complice.
Fine
Grazie
per essere arrivati fino alla fine di questa –lunga- one-shot. Spero con tutto
il cuore che vi sia piaciuta ed abbia scaturito in voi delle emozioni così come
è stato per me nel momento della scrittura.
La
canzone che appare all’inizio è Menta e Rosmarino di Zucchero e, se non la
conoscete o se vi va di riascoltarla, la trovate qui.
Raccontatemi
i vostri pareri e le vostre sensazioni in una recensione (che fa sempre tanto
bene!) e a presto,
M.