Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: starmars    24/12/2016    3 recensioni
Sono passati dieci anni da quando Arya Stark è entrata nella casa del bianco e del nero. Dopo aver imparato a combattere e ad uccidere, deciderà di tornare nel continente occidentale per ottenere vendetta.
“Perchè il Nord non dimentica, e di certo non l'avrebbe fatto lei.”
Non sarà la sola a compiere questa scelta. Anche i Targaryen stanno tornando e i regni del Westeros, dopo una pace durata anni, ricadranno in un periodo di tumulti e di guerre.
**La fanfic prende in considerazione le vicende delle prime quattro stagioni della serie Tv, alcune nozioni aggiuntive sono state prese dai libri della saga. Non c'è alcun riferimento alla quinta stagione.**
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arya Stark, Daenerys Targaryen, Nuovo personaggio, Tyrion Lannister
Note: Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
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 CAPITOLO 35

Il pavimento tremò sotto i suoi piedi e sentì il tintinnio acuto dei calici e delle caraffe di vino sopra al suo tavolo. Si resse istintivamente con le mani al muro trattenendo il respiro. Chiuse gli occhi fino che tutto non fosse finito. Di nuovo la stanza tornò ferma e trasse uno sbuffò di sollievo.

Colse l'occasione per allungare di vino il calice che già presentava un sottile velo rosso sul fondo, bevve un lungo e pieno sorso avvicinandosi alla finestra della sua stanza.

Era calma mentre osservava fuori il buio della notte illuminato solo dalle torce dell'esercito, era calma mentre ascoltava in lontananza le grida delle armate sotto le mura, l'acqua della baia agitarsi sotto l'avanzare delle navi della flotta e i corni di battaglia. Ma la bocca le si spalancò involontariamente alla vista di tre draghi che si alzarono in volo. Aveva sentito parlare spesso dei tre cuccioli della regina argentea, voci le avevano riportato storie che aveva creduto fossero solo fantasticherie del popolo al di là del mare stretto.

Solo tre lucertole con le ali. Aveva pensato spesso sentendo quel vigliacco di Varys prima che fuggisse insieme a suo fratello. Mostro.

Delle lucertole avevano solo le scaglie, per il resto era come osservare degli incubi giganti e maestosi volteggiare in alto.

Rimase ancora calma, stranamente, come se stesse osservando una rappresentazione teatrale, una di quelle più noiose, ma con i risvolti inaspettati, mentre quelle creature scioglievano le mura di Approdo del Re come se fossero fatte di ghiaccio.

La notte venne improvvisamente svegliata con tutta quella luce incandescente, mentre lei ancora beveva calma un sorso di vino.

“Vostra grazia.” La voce di Meryn Trant fece capolino da dietro il portone appena aperto della sua stanza e lei fece segno per farlo entrare. “Vostra grazia, le armate sono riuscite a far breccia sulle mura, la resistenza sta cedendo, i mercenari se la danno a gambe sotto i draghi e dalle Acque nere non giungono notizie migliori.”

Sapeva cosa avrebbe aggiunto alla fine di quella frase ma Cersei lo guardò accigliata. “Non mi rinchiuderò di nuovo nei sotterranei in attesa di qualche lieta o triste notizia. Voglio starmene qui a guardare.”

“Ma signora...” continuò, la frase cadde nel vuoto e lei tornò ad osservare la città tra le fiamme. “Permettetemi di rimanere allora al vostro fianco per proteggervi.”

“Anche di questo non ho bisogno.” rispose fredda e una massa oscura imponente e rumorosa con un'armatura sferragliante, fuoriuscì allo scoperto. Non ho bisogno di nessun altro quando c'è lui qui con me. Quel lui avrebbe dovuto essere Jaime in altre circostanze, ma suo fratello aveva preferito allontanarsi e scortare il re e la regina lontano da Approdo del re. Una morsa fitta la paralizzò, come sempre accadeva quando i suoi pensieri tornavano a lui.

No. Ora quel lui era Ser Gregor, la Montagna, un mostro rimesso in vita, un uomo silenzioso, la sua ombra gigantesca. Così alla sua vista Meryn Trant non poté fare a meno che indietreggiare e inchinarsi rispettosamente.

“Con il vostro permesso...tornerò ad organizzare nuovamente la difesa della fortezza.”

Cersei non si voltò per guardarlo andare via ma sentì i suoi passi veloci e stretti raggiungere il corridoio.

Jaime avrebbe dovuto occuparsi anche di quello, ma lui l'aveva abbandonata, sola in quella città fetida.

Un'esplosione verde invase le sue finestre ad est, quelle che si trovavano affacciate sul mare. Ancora urla, e lei sorrise, bevendo un altro sorso di vino.

 

 

**

 

 

“La sicurezza del re Tommen è la nostra priorità. Pertanto, ritengo sia opportuno seguire i consigli del Lord Tyrell e trasferirlo prima della battaglia verso Alto Giardino. Naturalmente lo stesso vale per la regina Margaery.”

Appena Lord Stafford finì di parlare il silenzio cadde sopra di lei, insieme agli sguardi in attesa. Cersei si gingillò con le dita accarezzando le rughe del tavolo di legno, all'interno della sala del consiglio.

“Se il re lascia la capitale che messaggio daremo al popolo? Che siamo già sconfitti?” chiese sottile e i suoi occhi verdi si posarono su Qyburn che aveva preso il posto ormai da tempo di Pycelle.

“Potremmo sempre fare in modo che la gente non venga a sapere. Organizzare una partenza rapida e discreta.”

“Io sceglierò la sua scorta, solo gli uomini più fidati e valorosi.” Jaime era seduto al suo fianco e parlava come capo della guardia reale e in qualità di primo cavaliere del re.

Smise di accarezzare il tavolo e osservò tutti uno ad uno. Tutti credevano di saperla meglio di lei. L'unica donna di quella stanza, ma spesso l'unica che riuscisse in più occasioni a mostrare le palle.

“Uscite, lasciatemi sola con ser Jamie.” fu perentoria, e lapidaria, nessuno si azzardò a replicare. Si alzarono quasi all'unisono, Lord Stafford, il Maestro Qyburn e il Lord Tyrell, muovendo le pesanti sedie sul pavimento e in un attimo furono soli.

“Cersei...” Jaime le afferrò delicatamente con l'unica mano il braccio, ma lei lo scansò rapidamente.

“Non permetterò che mio figlio lasci la città senza di me.” era poco più che un sussurro, ma uscì come un sibilo tagliente e diretto.

Suo fratello gemello la guardò inclinando il capo come se stesse osservando un cucciolo di cane. “Perché non vai anche tu con loro?” cercò di trasmettere tutta la sua dolcezza con quelle parole, ma Cersei lo guardò strizzando gli occhi, bruciante di rabbia.

“Sei impazzito forse? Andare ad Alto Giardino significherebbe ammettere la sconfitta della nostra casata e dichiarare i Tyrell ormai sovrani potenti e incontrastati.” picchiò i pugni sul tavolo stringendosi le dita tanto da potersi fare male da sola. “MAI!”

“Tornerete non appena tutto si sarà risolto.” ribatté Jaime ancora controllato

“Pensi che sarà facile rientrare in città come legittimi sovrani una volta abbandonata la nave? Ma come ragioni Jamie! Ti sei rammollito a forza di sentire le frasi disconnesse di quel grassone ingordo di Lord Tyrell e di quella maledetta decrepita che si porta sempre appresso. La sua mammina Oleanna, e poi lei...lei quella sgualdrina!”

Jaime le prese di fretta la mano, bloccandola. “Smetti, o ti sentiranno!”

“Che cosa sentiranno? È la verità. Margaery non ha fatto altro che affondare i suoi artigli sempre più su mio figlio da quando è arrivata e adesso lo ha pure convinto ad allontanarsi. Io speravo che almeno tu, almeno tu Jamie riuscissi a comprendere. Come puoi lasciare che se ne vada.” pronunciò l'ultima frase con la dolcezza e la sensibilità che sapeva potessero far breccia su suo fratello. Accarezzò delicatamente la sua guancia e gli spostò il ciuffo biondo dagli occhi. Si sporse dischiudendo la bocca appoggiandola poi sulle sottili labbra di Jamie Lannister. Lui rispose appena e per un brevissimo istante, scostandosi d'impeto come se fosse stato punto e vide nel suo sguardo quella consapevolezza che lo aveva in quegli anni allontanato sempre più dal suo letto.

“Non mi lasci altra scelta...” la guardò serio senza alcun rimorso quasi provasse piacere a vedere la sua espressione sgomenta e sorpresa a quella frase.

“Cosa vuoi dire?” le labbra le cominciarono a tremolare per la collera ancora prima di sentire cosa stesse per dire, perché Cersei già sapeva.

“Lo accompagnerò di persona. Non posso lasciare che il re vada senza un'adeguata scorta. Se è questo il tuo volere rimarrai qui ad Approdo del re.” detto questo Jaime si alzò in piedi quasi di scatto. Nella stanza vuota quelle parole risuonarono forte, poi tornarono come un eco dentro la sua testa. Una condanna pronunciata dalla lingua dell'uomo che un tempo amava più di ogni altra cosa al mondo. Solo i suoi figli erano al suo pari.

“Chi sei tu? Chi sei tu infido serpente traditore!” sibilò e si alzò in piedi davanti a lui cominciandolo a spintonare con rabbia e frustrazione. Chi era quell'uomo in piedi davanti a lui? Prima si sarebbe battuto, avrebbe ucciso per stare al suo fianco. Mentre adesso l'avrebbe lasciata sola senza suo figlio, senza il loro figlio, in una città pronta per ricevere un assedio.

Jaime la bloccò alzando la sua mano dorata, fredda e ferma davanti al suo petto, scansando uno schiaffo in arrivo. Mancò di un soffio la sua guancia, alterando sempre più la sua collera. Gli urlò in faccia con il volto contrito e prima di poter sentire altro, pronunciato dal ser della guardia reale, si allontanò accompagnata solo dai suoi passi svelti e pesanti.

 

 

 

Quanti uomini nel mondo avrebbero voluto sedersi esattamente dove si trovava lei in quel momento? Un trono fatto di spade fuse tra di loro, le spade dei nemici di Aegon il conquistatore. Non erano affilate, ma mai una persona poteva permettersi di sedercisi comodamente, rischiava in ogni caso di recarsi ferite profonde.

Stette lì ad aspettare quello che sapeva potesse arrivare come inevitabile nel suo destino. Lei lo avrebbe affrontato con orgoglio e mai abbassando la testa. Io non scappo. Se fosse stata lei la sovrana indiscussa dei Sette regni non avrebbe pensato di fuggire dalla capitale. Che razza di sovrano era uno che abbandonava una città in assedio se non un uomo ormai imbambolato dalle parole infide di quella regina Tyrell. Lei non è la regina, non lo sarà mai più adesso.

Ricordava ancora l'ultima volta che era stata lì seduta ad attendere che Stannis entrasse da quel portone, aveva da una parte suo figlio, ancora un piccolo cucciolo sulle sue ginocchia e dall'altra aveva in mano il veleno che avrebbe ucciso entrambi. Anche allora sarebbe stata disposta a morire per mano sua e ad uccidere lei stessa il suo amore più grande, piuttosto che essere trattata da prigioniera peggio di qualsiasi schiava o puttana.

Qualcosa apparve al centro del salone interrompendo il filo dei suoi ricordi. Con un rumore ottuso rotolò fino a sbattere ai piedi della scalinata del trono. Meryn Trant la osservava con gli occhi sgranati, rossi di sangue, la bocca spalancata in un ultimo grido al mondo e il collo tagliato di netto come se fosse rimasto fermo di fronte alla morte.

La sua testa mozzata non gli fece il minimo effetto lì per lì, poi deglutì e con la forza di una leonessa urlò nel vuoto della stanza.

“Fatti avanti bestiolina, so che sei qui.” i suoi occhi vagarono alla sua ricerca mentre il cuore involontariamente cominciò a palpitare così forte che alla fine sentì batterlo dentro le sue orecchie.

Si staccò dall'ombra di una colonna come se fosse appartenuta ad essa e da lì avesse preso vita. Da quanto tempo stava ad osservarmi. Rabbrividì vedendola alla luce tremolante di una delle fiaccole.

Arya Stark aveva la faccia dipinta di sangue, i suoi occhi la stavano fissando senza battere ciglio. Vestita come una guerriera, l'armatura di ferro in cui tra sporcizia e spruzzi di rosso non si riusciva più a distinguere quella che avrebbe dovuto essere una testa di metalupo. Al fianco una spada sottile, poco più spessa di un ago, e nella mano, come se fosse il prolungamento del suo braccio un'altra più grande, più robusta, forgiata in acciaio di Valyria, anche quest'ultima color porpora come se avesse infilzato solo uomini per tutta la notte.

“Sei cambiata. Adesso non sei più una bestiolina. Ma sempre bestia selvaggia rimani.” sorrise melliflua osservandola dall'alto del trono, ma lei non rispose, ne mutò la sua espressione di ghiaccio.

“Quella che hai è la spada di Jaime Lannister. Come mai è nelle tue mani?” continuò puntando con gli occhi l'elsa dorata con il loro simbolo, il leone forgiato sopra. La vide finalmente cambiare volto, strizzare gli occhi e rimettere la spada nel fodero velocemente.

“Era la spada di mio padre, ma voi l'avete distrutta come molte altre cose che vi sono capitate a tiro.” non ricordava la sua voce, ne tantomeno ricordava che aspetto avesse, ma quando parlò rimase sorpresa di quanto fosse misurata priva di accenti, o di sfumature. Non era la voce limpida e squillante di una donna, ma sembrava parlasse con un tono più profondo, e fu allora che le venne dentro un po' di timore, come se davanti si ritrovasse un essere oscuro e sovrannaturale. Si calmò di nuovo, lasciando una pausa con il silenzio irreale che si era creato. Arya Stark sembrò aver capito e sorrise in una smorfia tagliente che trasformò il suo volto coperto di sangue in qualcosa di grottesco.

“Dove hai lasciato il corpo di Ser Trant?” le chiese all'improvviso, come se la cosa le importasse, ma in realtà voleva solo tornare a parlare per distrarsi e distrarla dal fissarla insistentemente come stava facendo.

“Se ne sta occupando Spettro.”

Cersei non comprese e dischiuse la bocca, confusa. “Che vuoi dire?”

La ragazza sorrise ancora. “Spettro, il metalupo, se lo sta divorando.”

Non fu tanto la notizia in sé a farle venire una botta allo stomaco ma fu la chiara visione del suo corpo divorato da un lupo, a spaventarla davvero.

“Che cosa ci fai qui Stark? Quella là fuori non è la tua guerra. Combatti per i signori dei draghi ma questo trono non sarà mai tuo.” continuò a farle domande come se nulla fosse. Voleva allungare il tempo, ma voleva anche sapere. Era curiosa, ed era stranita da come potesse realmente interessarle parlare con lei. La sua rabbia e il suo orgoglio prendevano il sopravvento sulla paura.

“Hai perfettamente ragione. Non è la mia guerra...quella là fuori. Infatti non è per quello che sono qui.”

Di nuovo un silenzio ancestrale si frappose tra loro due, mentre nella sua mente riaffiorò con prepotenza l'immagine di Ned Stark e di come la sua testa fu tagliata via dal corpo senza che lei avesse potuto farci niente.

Strinse le mani sul ferro freddo del trono, sentendo le lame levigate sprofondarle nel palmo sudato.

“Sei in cerca di una vendetta dopo più di dieci anni? Sei un'illusa se speri ancora di poter affibbiarmi la responsabilità di quel che accadde. Mio figlio Joffrey è morto. Torna a giocare fuori con i tuoi amichetti.” il collo si inarcò portandole in alto la testa, indicando con quel gesto il portone che avrebbe dovuto attraversare.

“Non ho atteso tutto questo tempo, fatto una guerra lunga mesi, per venire qui ad Approdo del re e sentire che ti scrolli da ogni responsabilità. Cersei. Cersei.” la vide chiudere gli occhi e stringere le labbra come se stesse assaporando un dolce. “Il tuo nome è stata la mia preghiera, la mia ninna nanna prima di coricarmi per oltre dieci anni.”

“E così sarei la tua ossessione.” constatò con una certa soddisfazione, l'essere stata il suo tormento più grande le fece godere del momento.

“No, non la mia ossessione. Solo che io non dimentico tanto facilmente. Sono qui per te Cersei.”

A quel punto sentì ribollire qualcosa dentro di sé che risalì con forza fino su, alla sua bocca. “Stolta ragazzina anche io non dimentico, cosa credi? Che non sappia che con te nella guerra era intervenuto anche quel mostro informe? Sapevo avrebbe fatto parte della flotta, così gli ho preparato una bella accoglienza. Spero ti sia piaciuto, ho sempre trovato l'altofuoco intensamente affascinante.” un calore di rabbia e risentimento le ustionarono la faccia ma trovò davanti a sé una persona impassibile che ancora le teneva testa con quegli occhi di sangue e vendetta.

“Tyrion è vivo.”

“Cosa...?” sibilò Cersei.

“È nato per sopravvivere, nessuno riuscirebbe a mettermi il dubbio sulle sue capacità di rimanere in vita. Nemmeno tu che sbraiti dall'alto di quel trono.” La osservò mentre sicura fece qualche passo avanti verso di lei, attraversando la luce gialla delle torce di volta in volta, apparendo e scomparendo in quella lunga camminata, fino a che non se la ritrovò lì sotto.

“Lo sai che questo è il momento, sii donna e scendi da lì, vieni a difendere la tua vita, cerca di sopravvivere anche tu.”

La mente le trasferì simultaneamente un centinaio di pensieri, tutto le ricordò di Jaime che avrebbe dovuto essere lì. 

Tu dovevi stare con me fino alla morte! Urlò dentro la sua mente contro il volto impassibile del gemello. Avrebbe dovuto combattere per lei e per la sua vita. Quella per cui un tempo avrebbe attraversato un oceano di fuoco.

Le venne in mente Joffrey, il suo figlio più amato ma un re poco capace, le cui azioni l'avevano condotta fino a quel momento, si chiese cosa sarebbe successo se effettivamente Eddard Stark avesse ricevuto la sua grazia e fosse stato spedito alla barriera come gli era stato promesso. Suo padre non avrebbe iniziato una guerra contro Robb Stark, sarebbe ancora vivo, tutti forse sarebbero ancora vivi e lei non sarebbe lì in quella situazione, ma ancora felice tra le braccia colme di amore di suo fratello Jaime.

Tyrion è nato per sopravvivere. Quel mostro informe, che uccise sua madre, aveva davvero la capacità di rimanere in vita nonostante tutto e nonostante tutti. Ma era pur vero che lei Cersei Lannister, non era una donna qualunque e anche lei era dotata della stessa abilità. Quante altre donne al suo posto si sarebbero lasciate andare facilmente al destino? Essere donna era una condanna ben peggiore dell'essere nani in quel mondo. All'ultimo posto nella catena di potere. Ma non lei. Lei era arrivata in alto, oltre suo padre e oltre tutto quello che un re sarebbe riuscito a fare.

Anche lei era nata per sopravvivere.

“Parli come se la situazione ti risultasse scontata, bestiolina.” pronunciò riprendendo controllo delle sue emozioni tornando ad essere una fiera leonessa. Si alzò improvvisamente in piedi sistemandosi con molta tranquillità l'abito lungo. Osservò lo stupore, finalmente una reazione, affiorare nel volto rosso di Arya Stark che la fissava, fino a che dei passi metallici si presentarono alle spalle del trono. La scena si fece ancora più piacevole guardando la ragazza distogliere l'attenzione da lei per portarla su ser Gregor, che entrando ebbe lo stesso effetto che possedevano le statue silenziose ma imponenti sotto le quali ti senti inerme e piccolo.

“Ser, vorrei che ti occupassi di questa gentilissima ospite. Io me ne andrò nelle mie stanze.” L'uomo montagna non pronunciò una parola ma si portò vicino alla ragazza che già aveva indietreggiato sfoderando la spada in guardia.

“Stark, mi auguro che la compagnia possa allietarti.” le sorrise sottilmente scendendo i gradini e con un ultimo sguardo al suo godé dell'incertezza che riuscì a carpire.

Abbandonò la sala del trono appena sentì il primo scontro sferragliante di spade.

 

 

 

 

**

 

 

 

 

Quell'essere che la stava osservando non era umano. L'aveva capito subito percependone l'odore. Non era odore di uomo, non era odore di vita. Quella cosa era morta ma camminava davanti a lei come una marionetta senza fili.

Sfoderò la spada alta distanziandosi da lui. Non aveva espressione o meglio, non aveva anima che potesse permettergliene una. Allora le venne in mente una sola domanda. Come uccidere una cosa che è già morta?

Negli anni aveva affrontato demoni ben più pericolosi e grossi di quello che ora la stava sfidando ma era da molto, da quando aveva rimesso piede nel continente, ripreso possesso della sua vera identità, che non la sentiva. La paura. Quella che spingeva gli uomini a scappare, a tradire, a cercare diversivi. Quella che immobilizzava rendendoli inermi di fronte al destino, la stessa che aveva bloccato Meryn Trant poco prima di morire.

Controllò il respiro, pensando più in fretta che poté osservando Ser Gregor sguainare la spada.

Non esiste il coraggio senza paura. Diceva sempre suo padre e chissà come, dopo anni passati a vivere e sopravvivere, solo ora ne concepì realmente il senso. Solo ora con Giuramento e il suo acciaio di Valyria sola senza nessun altro, né Spettro, né Aerys, né il suo esercito, nessuno a frapporsi tra lei e quel gigante.

Lo sentì muovesi sotto il metallo dell'armatura e fare un passo avanti verso di lei. La spada del suo avversario calò senza indugio alcuno, senza che ci fosse un pensiero razionale a compiere quel dato movimento.

Arya rispose come meglio poté, con quelle sue braccia esili facendo affidamento sulla resistenza. Perché lei non era forte, non lo era mai stata, ma se c'era una cosa che sapeva e che l'aveva sempre salvata era che lei era agile, veloce e sicuramente con un essere privo di pensieri o di mente come quello, avrebbe potuto essere più intelligente.

Il peso con cui gravava la Montagna con la sua arma contro la sua la costrinse ad un certo punto a scansarsi per evitare di esserne schiacciata. Reagì subito colpendolo al fianco, tirando un grido di sfogo. Ma niente, come se avesse preso con la spada una roccia, così lui non si mosse. Vide arrivarle un'altra sferzata dall'alto e il suo corpo si mosse ancora prima dell'arrivo del pensiero scansandolo, percepì solo il vento tagliente colpirle la faccia.

Non ebbe tempo di riprendersi, e nemmeno di riprendere il fiato e ricomporre i pensieri, che quel mostro la colpì di nuovo, questa volta parò a fatica e sentì il braccio ripiegarsi verso di lei con debolezza.

Cadde all'indietro contro la sua schiena, la sua armatura vibrò all'urto. Ma ancora, neanche il tempo di riaprire gli occhi dopo il breve impatto che sempre l'avversario, provò a colpirla. Svelta rotolò di lato e ancora più volte, ma un colpo andò quasi a segno. La spalla destra subì un tagliò profondo.

Un urlo le partì dalla bocca, giusto il tempo di riuscire con l'altra mano sinistra e Giuramento a spostargli il braccio. Si liberò dalla presa tornando a rotolare fino a che gli si trovò abbastanza lontana da permettersi di rialzarsi. Lungo il braccio scese un luminoso e abbondante rivolo di sangue sgocciolando per terra.

Non era colpendolo fino allo sfinimento che avrebbe prevalso, nemmeno ora che la spalla aveva ceduto al dolore. Era come abbattersi contro la pietra. Non era scappando che sarebbe riuscita a vivere. Osserva. Non aveva molte zone scoperte dall'armatura. Solo il collo e le caviglie. Ma raggiungere uno di quei due punti sarebbe stato un suicidio, sarebbe stato come buttarsi tra le braccia della morte, senza reagire.

Le fiaccole brillavano senza sosta lungo il salone divenuto ora lo scenario della sua battaglia decisiva e sotto la loro luce l'acciaio di Valyria della sua spada splendeva accecante.

Un pensiero la trafisse. Era una piccola minuscola idea ma illuminava la sua mente come un enorme fuoco. La luce delle fiaccole, non sarà difficile.

Sarebbe bastato premerle contro il pavimento per poterle spegnerle. Il buio avrebbe dominato e lei avrebbe avuto un'arma potente a suo favore. Erano tre per ogni lato, ma molto distanti tra di loro, le studiò velocemente, pensando al percorso più rapido da fare, mentre ser Gregor, la raggiungeva a grandi passi.

Le prime di cui occuparsi erano sicuramente quelle alle spalle della Montagna. Quindi veloce, sgusciando come una donnola evitò un altro colpo di spada dal nemico e si ritrovò dietro di lui in un attimo.

Corse verso la prima sulla sua sinistra, con la spalla che ad ogni movimento perdeva sempre più sangue e con il dolore che cercava di rallentarla. Non ci sei, non sei il mio ostacolo. Il dolore per una ferita era sopportabile, e doveva esserlo perché lei potesse sopravvivere. Rinfoderò la spada e agilmente saltò non appena si ritrovò sotto la colonna, prendendo con la mano la fiaccola. Constatò con amarezza come Ser Gregor potesse essere molto veloce nonostante la stazza e il peso della sua armatura perché fu un attimo che se lo ritrovò a due passi. Lo allontanò agitandogli il fuoco davanti e riuscì così a creare un po' di distanza. Lo scansò di nuovo e sempre con la torcia accesa raggiunse la seconda dall'altra parte. Prima di poterla afferrare premette la prima contro il pavimento estinguendola, e così potè agguantare l'altra.

Fece così anche le volte successive, spegnendole e allontanando l'uomo quando gli era possibile. Ma il giochino durò solo fino all'ultima delle torce. Nella mente del suo nemico infatti sembrava essersi aperto un piccolo spiraglio di consapevolezza, e sembrava così essersi reso conto della trappola a cui stava per andare in contro.

Così Arya si ritrovò a doverlo affrontare con in mano una fiaccola e con l'altra la sua spada. La fatica ormai stava per prendere possesso del suo corpo, e il dolore della ferita riaffiorava ad ogni colpo che cercava di scansare. Fino a che non finì nuovamente con la schiena per terra, un affondo violento dalla Montagna aveva urtato pesantemente contro Giuramento e si sentì sbalzata oltre il suo volere pochi metri più indietro.

Non doveva perdere quell'occasione. Una caduta non doveva significare per forza di cose una sconfitta, perciò con la prontezza di cui era capace, si accovacciò in ginocchio premendo la torcia contro il pavimento.

Ser Gregor che la sovrastava ancora con la sua spada possente fu l'ultima cosa visibile. Tutto divenne buio e nell'oscurità tutto si fermò. Non sentì arrivarle addosso il colpo e non percepì alcuna mossa dal suo nemico. Che fosse rimasto paralizzato per l'improvvisa assenza di luce?

Si rialzò lentamente silenziosa trattenendo perfino il suo respiro, per timore che potesse sentirla in qualche modo. Con passo felpato si mosse quando ecco che Ser Gregor cominciò ad agitarsi. Sentiva la sua armatura sferragliare e i fendenti della spada tagliare l'aria con violenza. Lui non ci vedeva più, non l'avrebbe più sentita. Ma lei era cresciuta come assassina dell'ombra, e come guerriera aveva imparato dalla sua cecità per anni. Si portò dietro di lui, sapendo perfettamente dove si trovasse la sua schiena, e mente la Montagna continuava ad accanirsi contro il nero del buio, lei gli si arrampicò nelle spalle.

La sentì sopra di lui e come un cavallo selvaggio cominciò a sgroppare impazzito cercando di disarcionarla. Arya era decisa a porre fine a quella battaglia, così ancor prima che potesse capire che poteva benissimo riuscire ad afferrarla con le mani per le gambe, gli infilzò il collo con tutta la forza che teneva in riserva e subito avvertì lo spruzzo di sangue addosso. Si paralizzò per un secondo, sentendo sulla sua pelle, non il suo tipico calore vischioso, ma il freddo.

Nemmeno per quel motivo, ser Gregor poteva essere considerato vivo. Scese immediatamente dopo, sentendolo cedere alla gravità del suo peso e urtare con un forte rumore il pavimento.

Era un mostro, un uomo forse, ma privo di anima, e per quanto definito inattaccabile, nessun essere avrebbe mai potuto resistere ad un colpo così feroce al collo.

Ascoltò soddisfatta gli ultimi grugniti di una vita non vita che se ne andava, gli unici versi che avrebbe potuto mai emettere.

Senza più fiato né forze, seguì il suono dei suoi passi fino a dietro il trono. Tastò con la mano la porta, e aprendola la colpì la luce che seppur debole, la accecò per un istante dal corridoio. Adesso sarebbe stata solo per lei.

Cersei.

 

 

 

 

Le scale della fortezza rossa erano ripide e strette. Percorrerle tutte le costò un'enorme forza di volontà. Era stremata e tutto quello che avrebbe voluto in quel momento era accasciarsi a terra e chiudere gli occhi, abbandonarsi al piacere di un lungo sonno riposante, dopo tutta quella guerra. Ma ciò che le impediva di farlo era quel tarlo di nome Cersei Lannister, a cui non avrebbe concesso un altro minuto di vita.

Niente più chiacchiere, solo la sua spada che finalmente poneva fine alla sua vendetta.

Non sarebbe più riuscita ad incantarla ancora con le sue miserabili parole di rabbia, nemmeno se avesse pregato in ginocchio la sua pietà, cosa che da una certa prospettiva sarebbe stata deludente.

Era da anni che non percorreva le mura di quel castello, eppure la sua memoria, anche nella più esile forza di concentrazione riuscì a condurla attraverso i suoi corridoi labirintici, fino a che con un cuore che inizió a ribattere per l'eccitazione, arrivò dinnanzi alle stanze della regina. Sapeva che si sarebbe trovata lì. Troppo orgogliosa per nascondersi nei sotterranei, troppo testarda per scappare via. Poggiò la mano sulla porta, delicatamente, come se nella sua mente si fosse creato un certo rispetto per quel momento.

Il legno massiccio scricchiolò tradendola, così che una volta apertesi la stanza ai suoi occhi, Cersei sapeva già del suo arrivo. La vide lì alla finestra con un bicchiere in mano, si mosse appena, porgendole uno sguardo di stupore e allo stesso tempo di consapevolezza. Come se avesse sempre sospettato che in fondo ce l'avrebbe fatta a raggiungerla. Non le rivolse la ben che minima parola, nel mentre che Arya varcò la soglia entrando nella sua camera.

Fu un suo ultimo sguardo di sfida, a far emergere nella ragazza lupo un certo senso di stima. Quella era una donna da cui non avrebbe mai voluto prendere esempio, eppure si rese conto che era esattamente come lei. Una sopravvissuta. La osservò per un breve istante, pronta ad avvicinarcisi per ucciderla, ma Cersei la precedette con i movimenti.

Fu tutto così veloce ma allo stesso instante fu come se fosse stata spettatrice di una scena a rallentatore. La regina estratto dalla sua manica una boccetta contenente un liquido chiaro e puro. Aveva versato tutto il contenuto in un bicchiere di vino e in un sorso lo aveva ingurgitato.

NO!” fu l'unica parola che uscì ad Arya, gridandogliela contro, mentre la osservava cadere a terra.

La raggiunse con il fiato pesante, abbandonando la spada. Con la mano le prese il volto, girandolo verso di lei. Ma i suoi occhi ormai anche se spalancati erano spenti, il suo respiro non la smuoveva più. Cersei Lannister aveva deciso di avvelenarsi, piuttosto che lasciarsi uccidere dalla ragazza.

Alla fine aveva vinto lei.

Sul suo viso affiorarono con prepotenza calde lacrime amare, lavandole il rosso del sangue ormai rappreso. Cersei, la regina. Pensò. “Cersei, la regina.” sussurrò per l'ultima volta nella sua preghiera e si accasciò di lato, stremata, distrutta, abbandonando le forze, lasciando che gli occhi potessero chiudersi.

 

 

Fu Aerys a ritrovarla così, ricoperta di sangue, distesa a terra, all'alba del nuovo giorno. Per un attimo pensò di averla definitivamente persa, poi avvicinandosi con fretta e timore, il suo animo si tranquillizzò. Vide il suo volto disteso in una serenità sconosciuta, e sentì il suo respiro muoversi delicatamente.

Stava dormendo nella sua nuova pace.

 

 

 

 

 

**Note dell'autrice:

Mi odiate, lo so. Anche se a Natale dobbiamo essere tutti più buoni :D

Invece di mettermi a guardare maratone di film natalizi stamani mi sono decisa a finire il capitolo. Così mi levo la paura di trovare qualche messaggio minatorio da parte vostra ogni volta che controllo la mia pagina :P. si scherza eh!!

Allora non voglio dire molto su questo capitolo, perché penso parli da solo. Io non amo Cersei, ma come Arya in un certo senso la rispetto e ho voluto darle una fine dignitosa. Come solo lei poteva permettersi.

Ho notato che negli ultimi capitoli scrivo molto nelle note e quindi per questo non voglio essere prolissa, vi lascio così.

 

Ringrazio infinitamente tutti per la vostra estrema pazienza, ma devo confessare che avevo poca voglia di scrivere e quando manca la voglia, inutile buttare giù roba a casaccio.

Ringrazio Vivienne Bowen per aver iniziato a seguire la storia!

Buone feste, buon Natale, buon anno!! **

  
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