Non esiste separazione definitiva finché
esiste il ricordo.
Isabel Allende, Paula
“Sei
tornato.”
La
voce alle sue spalle non lo sorprende, eppure una parte di lui – una debole e sciocca
che era convinto di avere estirpato da ragazzo – ha un sussulto interiore
quando si volta per incrociare gli occhi limpidi di Molly Hooper. Lei lo scruta
con un’ombra di rimprovero che neppure la sua espressione pacata riesce a
ingentilire.
Sherlock
memorizza con un’occhiata avida l’aspetto di lei, immobile e saldato nell’obitorio
in un momento di perfezione come quello di un dipinto. Avanza come un
predatore, la circonda, occupando il suo spazio vitale con la condiscendenza e
la prepotenza che per anni è stata abituale ai loro rapporti. Ciò nonostante c’è
una nota inedita e nuova nel modo in cui lei si sottrae alla sua presenza,
arbitraria nelle sue rimostranze, nella furia che emana e che si dipana da lei,
nociva e vischiosa come veleno.
Sherlock
piega la testa di lato e il suo sguardo si sfalda in mille crepe ai bordi della
bocca pragmatica, degli occhi chiari che indugiano come un’imposizione sulla
figura minuta di lei per vedere e non osservare.
“Sono tornato perché posso.”
Molly
fa una smorfia contrita, china il capo. La cortina dei suoi capelli sciolti e
ondulati gli nasconde alla vista il volto che neppure il ricordo del reale riesce
a sfumare. Indelebile. Molly Hooper è un marchio indelebile, si riscopre suo
malgrado intento a pensare. E come potrebbe essere altrimenti?
“Non
dovresti essere qui.”
Ha
deposto le armi e ciò nonostante… ciò nonostante il cessate il fuoco di Molly è
una vittoria vuota. La rassegnazione nella sua fronte accigliata, la
desolazione impressa nelle sue spalle afflosciate, il dispiacere palpabile sono
immagini troppo vivide perché lui non ne senta un’immediata risonanza, un
contraccolpo da qualche parte in alto nel torace, come l’eco di un’antica
sinfonia suonata da terzi.
Con
un sospiro che sembra privarlo di ogni energia in esubero, poggia la fronte
contro quella di lei. La sente irrigidirsi. L’odore familiare della sua pelle –
uva e formaldeide - lo avvolge con la stessa sensazione confortevole che ha
sempre provato a Baker Street. Una vita diversa, un uomo diverso, in una storia
che non lo vede più protagonista e a cui altri hanno messo la parola fine in
sua vece.
“Non
dovrei?” chiede e con le dita le scosta gentilmente una ciocca di capelli dietro
l’orecchio.
“Sai
che è sbagliato,” lei bisbiglia di rimando, mordendosi il labbro inferiore. “Cosa
direbbe tuo fratello se ci trovasse così?”
“Fortuna
vuole che Mycroft abbia sentito il bisogno di confinare la sua presenza
ingombrante nella stanza 110 del terzo piano.”
Il
suo sorriso da canaglia non basta a intenerirla. Molly si scosta con un’aria
incredula. “Hai davvero rinchiuso tuo
fratello nel reparto dei casi irrisolti?”
Lui
rotea gli occhi. “Non è un reparto,” sottolinea con tono petulante. Per l’amor
di Dio! Si tratta di un numero assolutamente esiguo di scaffali con i rari –
dieci, venti, cinquanta al massimo –
casi ai quali si è trovato nell’incapacità di trovare una spiegazione logica.
Chiamarlo reparto è una gonfiatura della realtà dei fatti.
La
risata divertita di Molly lo ripaga all’istante di quel breve interludio di
malumore. “Come preferisci.” Quando lei, sempre ridendo, si allunga sulle punte
per gettargli le braccia al collo, la tristezza è uno spettro lontano.
Finché esiste il ricordo.
Non
sono che briciole. Eppure qualsiasi affamato dopo un lungo digiuno riuscirebbe
a saziarsi con molto meno. Questa è una bugia. Nessuna persona dotata di un
barlume d’intelligenza accetterebbe mai una simile tesi. Un tempo anche per lui
sarebbe stato così, ma quel tempo sembra affievolirsi nelle luci languide del
crepuscolo, nei giochi di chiaroscuro che si rincorrono gioiosamente sul viso
di Molly Hooper. Un viso giovane, invariato, incontaminato dal tempo e dalle
sue menzogne insidiose.
La
mano di Molly scivola nella sua con una facilità disarmante. I suoi occhi
paiono avere accolto il flusso turbolento dei pensieri che sta covando e sono
venati d’improvvisa consapevolezza.
“Che
giorno è?”
Sherlock
tace. Fissa le loro mani intrecciate e poggiate sul davanzale della finestra a
cui sono affacciati. Il sole sta tramontando, tappezzando d’arancio le pareti
della sua stanza d’infanzia, soffondendo di malinconia i rumori e i colori del
paesaggio esterno: un pomeriggio estivo, il latrato di un cane e gli schiamazzi
di un bambino che non esiste più.
“Sherlock,
che giorno è oggi?”
La
gentile insistenza con cui lei lo sta pregando è un dolore vecchio e amico.
Serra
gli occhi per evitare il ricordo che lei ha rievocato, ma ogni sforzo è
inutile. Ricorda le urla e il successivo silenzio, l’impotenza, il senso di
vuoto, l’abisso di una perdita che, non importa quanti anni siano trascorsi da quando
è accaduto, rimane incolmabile.
Le
lacrime che Molly sta piangendo sono le sue. Lei è una parte di lui, la migliore,
perciò osservarla è osservare una parte di sé, è come rimirarsi nel riflesso di
uno specchio.
“Oggi
è il giorno in cui sei morta.”
E’ il giorno in cui ti
ho persa.
“Raccontami,”
lei dice, sfiorandogli la guancia. “Aiutami a ricordare.”
Lui
vorrebbe evitare di soddisfare la sua richiesta, allontanarsi, ma questo
equivarrebbe anche a privarsi della sua compagnia, evitare un contatto da cui,
non importa se vero oppure no, non è ancora pronto a liberarsi. Indugia nel
calore fittizio della mano di lei, nell’amore fiero e feroce che intravede nei
suoi occhi.
“Perché
sei qui?”
Che
domanda. Non è ovvio il motivo? “Sono qui perché non posso dimenticare.”
“Dimenticare
cosa?”
Che
è tutta colpa sua, dimenticare la sua idiozia, la sua arroganza, la sua eclatante
ottusità. Dimenticare lei.
Con
il polpastrello accarezza la curva sottile del suo polso, accoglie con sollievo
il battito forsennato del sangue nelle vene. Anche qui, dove tutto è fermo a
memorie cristallizzate, dove ogni cosa e persona non subisce gli inevitabili
mutamenti o deterioramenti del caso, la sua mente non concepisce l’idea che lei
non sia viva. Ogni suo respiro ne è una conferma.
“Come
sono morta?”
“Per
un mio errore.”
“No,
Sherlock.” L’impazienza di lei è evidente. “Come?”
“Perché
sono stato debole.”
Molly
sbuffa. “Non ti ho chiesto perché, ma come e anche se fosse dubito che quella
sarebbe la causa.”
Le
sopracciglia di lei si scontrano in un acciglio irremovibile. Vuole la verità.
Non accetterà altro. E sia, dunque.
“Un
colpo di pistola.” La sua voce non è secca né priva di intonazione, al contrario
vibra di collera e risentimento.
“Uno
solo?”
“Alla
nuca,” lui spiega stentoreo e con il pollice le mostra il punto esatto in cui
il proiettile ha perforato la pelle. Non le racconta della piccola pozza di
sangue che le aveva imbrattato i capelli e il colletto del camice da
laboratorio, della luce spenta nelle sue orbite spalancate e fisse al soffitto.
Non serve perché Molly sa già tutto questo, sono particolari che ha appreso per
averli analizzati sulle facce dei suoi pazienti centinaia di volte.
“Doveva
avere una buona mira allora.”
La
battuta non ha l’effetto sperato. “A distanza ravvicinata chiunque ha una buona
mira.”
Il
sorriso di Molly non è scalfito dalla mancanza di reazione. La sua allegria ha
qualcosa di stonato, è fuoriposto eppure ha perfettamente senso. D’altronde perché
dovrebbe essere impaurita? Quando mai la morte ha esercitato un potere di
qualsiasi tipo su di lei? Ha generato curiosità, interesse, tristezza, ma mai
amarezza o angoscia. Soltanto una volta, in un caso senza eguali.
“Quando
è successo? Quanto tempo è trascorso?”
Sherlock
si rifugia nel silenzio come se fosse la sua trincea, ostinato.
“Rispondi
alla domanda, Sherlock.”
“Che
importanza può avere?”
“Tutto
ciò che conta,” è la risposta di lei.
Perché
mentire? A che pro? “Dieci anni.”
“Dieci
anni,” lei ripete in un sussurro sbigottito, portandosi una mano al cuore. Il
suo viso esprime mille emozioni e il loro peso lo accartoccia come un pezzo di
carta che sta bruciando. Il tramonto ha raggiunto le sue tinte più fosche e
sanguigne, una brezza leggera fa muovere le tende bianche verso l’interno, rialza
gli schizzi di disegno sparsi sulla scrivania. Molly si abbraccia il busto come
se il vento che le soffia addosso fosse pregno di neve e non della calura del
giorno morente. Trascorre un lasso di tempo che pare eterno prima che lei gli
rivolga di nuovo la parola.
“Hai
mentito.”
Lui
aggrotta la fronte. “Non l’ho fatto.”
Molly
gli rivolge un sorriso di puro sconforto. “Hai detto che sei qui perché non
puoi dimenticare, ma non è vero. Sei qui perché l’hai già fatto, hai già dimenticato.
Io sono morta. Sono morta, Sherlock e non c’è niente che possa riportarmi
indietro. Non sono reale. Sono solo –”
“Un
ricordo,” la interrompe, comprendendo appieno il significato delle sue
affermazioni.
“Non
si vive di soli ricordi,” lei gli poggia le mani ai lati del collo e lo scruta
con una dolcezza ineffabile.
“Si
può invece.” Come credi che sia
sopravvissuto fino ad oggi?
Si
piega in avanti per strapparle un ultimo bacio in una stanza invasa dai profumi
della sera incombente, dal frinire delle cicale, dalla risata del bambino che è
stato, dalle reminiscenze di un periodo in cui non conosceva altro che non
fosse l’inconsapevole beatitudine e spensieratezza di uno stato di grazia rarissimo:
felicità pura, ideale. Dove altro avrebbe potuto portarla se non lì, a
condividere quei momenti?
Quando
riapre gli occhi è in un salotto vuoto e solitario e lo sguardo che incrocia
nello specchio sopra il camino appartiene a un vecchio scorbutico con un
segreto.
Il
segreto, ben custodito nelle macerie dell'uomo di un tempo, è
che finché difenderà il ricordo del passato, una
parte di lei vivrà e così facendo anche ciò che
resta del suo cuore.
N/A:
Scritta
di getto dopo l’abbuffata di quest’oggi. Una angst che, spero incrociando le
dita, vi piaccia e non mi faccia detestare troppo perché ho ucciso Molly.
Scrivere
in questo fandom, non importa quanto tempo sia trascorso dall’ultima volta o
quanto tu ti senta arrugginita, è come tornare a casa dopo un lungo periodo in
cui si è stati lontani.
Ne
approfitto per regalare un abbraccio particolare alle splendide persone
che lo
arricchiscono e che, non importa quanto incostante io sia diventata nel
rispondere alle recensioni o nel pubblicare (forze di causa maggiore:
ovvero le solite cose barbose della vita xD), mi regalano sempre un
sorriso di gioia e orgoglio quando leggo i loro commenti, quando
esprimono le
loro opinioni sui personaggi che amiamo e che mi danno il bentornato
con lo
stesso calore di sempre. Ringrazio tutti e vi auguro un Natale (anche
se in
ritardo) strepitoso e, nel caso in cui non dovessimo leggerci prima, un
Anno
Nuovo pieno di scene sherlolly ;)
P.s.:
quasi non credo a quello che sto scrivendo, ma manca meno di una settimana al
Grande Giorno e l’ansia cresce a dismisura, fomentata dalle foto promozionali,
le recensioni e i teaser trailer. Avete visto quanto è bella la nostra Molly? E Mary?