But
nobody came -
{And
if I hurted you, tell me, what would
you do? Would you still love me?}
Una
lama di luce
tagliava l’oscurità della stanza, indecisa e
tremolante.
Era una stanza grande, ben arredata, la stanza di un adulto felice, di
un
adulto che aveva trovato il suo piccolo ritaglio di paradiso nel mondo.
Anche
se era uno spicchio di mondo senza la luce del sole e senza la
libertà, lui era
felice.
Asgore Dreemurr era amato da tutti. Era saggio, era forte, sapeva cosa
voleva
dire vivere; guidava gli altri e custodiva la sua piccola famiglia
piena di
calore e affetto. Guardava i suoi due figli con gli occhi che qualsiasi
bambino
avrebbe bramato di avere addosso, con un amore che nessuno avrebbe
potuto
calcolare.
Asgore era al buio, steso sul suo grande letto di legno massiccio, e
tremava
forte, del tutto incosciente e preda di quei tremori bollenti e
dolorosi. Certi
fiori sapevano essere letali in quantità elevate, ma anche
qualche petalo fatto
cadere per sbaglio poteva compromettere molto la salute.
Toriel aveva chiamato il medico di famiglia, aveva preparato impacchi
di
ghiaccio al suo amato marito, aveva fatto di tutto per alleviare il suo
dolore.
“Non possiamo fare altro.” Aveva sentenziato a un
certo punto il medico, da
dietro i suoi occhialetti rotondi: “Ma non preoccupatevi,
Maestà: il re ha una
corporatura robusta, supererà senza dubbio la notte e poi
sarà fuori pericolo.”
Era notte inoltrata, ormai. Tutti erano a letto e Asgore era solo nella
sua
stanza, lottando contro il veleno che lo faceva tremare come un bambino
e
annaspare in silenzio nel buio.
Asriel aveva pianto tutto il giorno, sarebbe rimasto al capezzale del
padre
tutta la notte se Toriel non l’avesse preso in braccio e
portato nella sua
stanza con carezze e rassicurazioni.
“E’ colpa nostra.” Aveva pianto il
piccolo principe, la voce spezzata dai sensi
di colpa.
Ora Asriel dormiva sogni agitati nella sua camera, senza che la
preoccupazione
lo lasciasse in pace neanche nel sonno. “E’ un
figlio così devoto.” Avrebbero
detto tutti, inteneriti dalla sua ansia.
Chara non aveva pianto, quel giorno. Non aveva chiesto scusa, non era
rimasta
più di qualche minuto nella camera di Asgore, non si era
aggrappata al camice
del medico implorando di fare qualcosa per lui. No, non aveva fatto
nulla di
tutto questo.
Lei voleva bene ad Asgore, gli voleva bene davvero. Lui era il padre
che aveva
sempre sognato e desiderato, avrebbe fatto di tutto per compiacerlo.
Però era
scoppiata a ridere vedendo che non riusciva più a respirare
dopo aver
assaggiato la loro torta, aveva sghignazzato vedendolo annaspare di
dolore nel
letto sotto le cure del medico.
Chara non riusciva a dormire, quella notte. E stava in piedi sulla
soglia della
camera di Asgore, guardava il buio cercando i contorni della sua
figura, così
placida e segretamente sofferente.
Non si sentiva in colpa, minimamente. Non capiva.
Le piccole mani erano aggrappate allo stipite della porta e i suoi
occhi grandi
e rossi come il sangue scandagliavano l’oscurità
senza temerla. Tutti i
bambini hanno paura del buio, ma lei
no.
In verità, era affascinata da quello che era
successo. Era affascinata da
quanto poco ci volesse per ferire mortalmente qualcuno, anche
senza volerlo. Se senza cattive intenzioni avevano fatto
questo… Cosa avrebbero potuto fare desiderando di ferire?
Chara non era una bambina cattiva. Le piaceva giocare con gli altri
bambini, le
piaceva disegnare e farsi raccontare le favole prima di andare a
dormire.
Voleva bene a mamma e papà e ogni mattina dava un bacio e un
abbraccio a
entrambi, per iniziare bene la giornata. “Lei non
è diversa dagli altri
bambini.” Avrebbero detto tutti.
Lei non voleva fare del male ai suoi genitori. Non avrebbe mai voluto
uccidere
Asgore…
Però pensarlo le mandava un brivido strano lungo la schiena.
Qualcosa di caldo e umido, qualcosa che sapeva di aspettativa e paura
insieme,
che aveva in sé timore ed esaltazione e desiderio, tanto
desiderio.
Chara guardò la figura distesa di Asgore, così
immobile da sembrare che non
respirasse neppure.
E se fosse così?
Qualcosa di incomprensibile le tagliò il respiro a
quel pensiero.
Se fosse
così? Se non respirasse più? Se
fosse morto e fosse colpa mia?
Non sapeva come la faceva sentire quel pensiero. Non faceva
poi così male,
non le faceva venire voglia di piangere. Non sembrava una grande
tragedia, in
fondo. Non sembrava nulla di che.
Chara provò paura.
Si sentiva… Così cattiva. E non riusciva a
pentirsene.
-Piccola mia?-
Chara sussultò, voltandosi di scatto verso il corridoio.
Toriel le veniva incontro nella sua vestaglia da notte, dolce
preoccupazione
sul volto. Le accarezzò la testa quando le fu accanto e
Chara non provò nulla.
-Non riesci a dormire?- Le sussurrò l’adulta,
passandole dolcemente le dita fra
i capelli spettinati.
Chara abbassò il viso e non rispose, spostando nuovamente lo
sguardo
all’interno della stanza.
Toriel le sorrise comprensiva, continuando ad accarezzarla: -Non
è colpa tua,
bambina mia. Papà si riprenderà presto, non
tormentarti. E’ stato solo un
incidente.-
La bambina sospirò piano e puntò lo sguardo sul
pavimento. I suoi occhi erano
strani, al buio.
-Mamma?-
Quella parola aveva
sempre un gusto così
strano, sulle sue labbra.
-Sì, amore mio?-
Chara esitò. Si sentiva strana. Alzò lo sguardo
sull’adulta, su quel mostro che
le aveva dato molto più amore di quanto qualunque umano
avesse mai fatto. Si
chiedeva se quell’affetto sarebbe rimasto immutato, se si
fosse comportata
male. Si chiedeva se Toriel avrebbe avuto paura, sapendo cosa stava
pensando.
I suoi occhi vermigli affondarono in quelli calmi e dolci di Toriel e
la
bambina scoprì di star tremando.
-Mamma… Tu… Mi odieresti mai?- Proferì
infine, sentendosi sempre più dominata
da quella sensazione strana e incomprensibile. Si chiese se
l’avrebbe mai
guardata con occhi diversi, con paura, magari. Si chiese come
l’avrebbe
guardata se avesse ucciso Asgore.
Toriel sospirò sorpresa e si chinò a prenderla in
braccio prima di risponderle.
Chara si nascose nel suo petto, scoprendo di avere il respiro
affannoso. Chissà
se l’avrebbe mai presa in braccio, se avesse ucciso qualcuno.
-Piccola mia, no, no, non ti odierei mai. Tu sei mia figlia, non potrei
mai
odiarti o farti del male. E neanche papà ti odia, nessuno ti
incolpa di quello
che è successo.- La strinse come se fosse la cosa
più preziosa al mondo, con
dolcezza, con l’amore vero e puro che solo una madre
può possedere.
Chara non provò niente.
E se fra tutti uccidesse proprio lei, proprio Toriel, proprio sua
madre? Si
chiese come avrebbe reagito vedendo sua figlia ucciderla. Tremava
sempre di
più.
-Mamma… Mi perdoneresti? Se ti facessi del male mi
perdoneresti?-
Pensò di farlo davvero e non le fece paura. Pensò
di prendere di nuovo quei
fiori, di farne cadere molti di più nell’impasto
della torta, di mettercene un
intero prato. Pensò di uccidere tutta la sua famiglia, anche
Asgore, anche
Asriel.
Pensò di uccidere l’intero Underground, che
l’aveva accolta come una di loro.
Si chiese se l’avrebbero odiata tutti, se l’avesse
fatto. Si chiese se Toriel
avrebbe risposto diversamente, se avesse avuto delle colpe sulla
coscienza.
-Sì, bambina mia. Non faresti mai del male a qualcuno
intenzionalmente, no? Ti
perdonerei tutto, piccola. Tu non sei cattiva… Io lo so.-
Chara non provò niente.
Se ti uccidessi mi
vorresti bene
comunque, mamma?
Non glielo chiese mai.
Gli
occhi di
Toriel erano spalancati di stupore, le braccia ancora aperte per
coprire il
passaggio.
La guardava con la bocca schiusa di sorpresa e incredulità.
Il coltello era sporco di sangue e la ferita sul suo petto era troppo
profonda.
Era stata così veloce che Toriel non si era neanche resa
conto di quel che
succedeva; era stata così inaspettata che Toriel non si era
neanche preparata a
difendersi.
Guardava negli occhi la bambina, mentre il suo corpo caracollava
instabile.
Quella piccola umana che somigliava così tanto a sua figlia,
quella piccola
umana che sembrava così indifesa e sperduta...
Perché ora brandiva un coltello sporco di sangue? Sporco del
suo sangue?
Cercò i suoi occhi, cercò la timida innocenza
della prima volta che li aveva
guardati. Cercò quel delicato castano dolce e ingenuo,
quello sguardo sperduto
da proteggere.
Trovò iridi rosse come il sangue che la fissavano affamate,
pretenziose di una
reazione, iridi capaci di brillare al buio, di ridere davanti al dolore
altrui
– ma anche di abbassarsi con vergogna davanti a una colpa,
Toriel lo sapeva.
Toriel conosceva quegli occhi.
Non si chiese se fosse davvero lei, non si chiese come avesse fatto a
tornare.
Provò solo paura davanti a quello sguardo perverso troppo
lontano da quello
della sua bambina e ancora di più provò sgomento
nel constatare che non aveva
nulla di davvero diverso.
Era semplicemente lei, com’era sempre stata, come
l’aveva sempre amata.
Ho… Sempre
amato un mostro del genere?
-T… Tu… Mi odi davvero così tanto?-
Crollò a terra come una bambola rotta, un giocattolo vecchio
che non piace più.
La bambina dagli occhi di sangue, la sua bambina, incombeva su di lei e
sorrideva.
“Avevi detto che mi avresti perdonata.
Avevi detto che non mi avresti odiata.
Avevi detto che nessuno l’avrebbe fatto.
… Perché mi hai mentito, mamma?
Perché ora hai paura di me?”
Il tempo
andò avanti e gli omicidi con
lui.
Gli occhi di Chara si fecero sempre più rossi, sempre
più spenti e più folli.
Le Genocide Route si accumulavano una dopo l’altra e la
stessa scena
l’accoglieva ogni volta, lo stesso sguardo spaventato, la
stessa bugia.
Chara li uccideva tutti ogni volta, uno dopo l’altro.
Diventava sempre di più
cattiva e disperata un omicidio dopo l’altro e la bambina che
chiedeva
rassicurazioni alla mamma spariva ogni giorno di più. Chara
si stava corrodendo
dentro e nessuno lo capì mai.
Tutti si chiesero perché proprio lei avesse iniziato ad
uccidere coloro che
l’avevano accolta con l’amore di una famiglia.
Tutti dissero che era cattiva,
che era folle, che era un mostro.
Chara stava cercando qualcuno che non la guardasse con odio.
Stava cercando qualcuno il cui amore non sarebbe mutato neanche dopo
aver
compiuto le peggiori oscenità.
Stava cercando qualcuno che l’amasse. Stava cercando qualcuno
che non sarebbe
andato via.
Fece terra bruciata intorno a sé e non rimase che polvere.
A lei era rivolto solamente odio. E pian piano Chara
disimparò qualsiasi altra
emozione a parte quella. Disimparò qualsiasi speranza e si
affidò dalla disperazione.
Si dimenticò cosa stesse cercando nella sua furiosa smania
di uccidere.
Si dimenticò di essere stata una figlia, una sorella,
un’amica, una bambina,
prima di un’assassina.
Si dimenticò di se stessa e indossò il suo ruolo
come una vera pelle.
In fondo, dentro di sé, continuò a cercare
qualcuno che la guardasse in modo
diverso.
But
nobody came.