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Autore: geal righ    29/12/2016    0 recensioni
[Heaven’s Door Yaoi GDR]
[Heaven’s Door Yaoi GDR][Heaven’s Door Yaoi GDR][Heaven’s Door Yaoi GDR][Heaven’s Door Yaoi GDR][...] "ho deciso di partire. lascio Londra."
"ah. davvero? beh, sono sicuro che ti troverai bene ovunque andrai, e che non ti sarà difficile trovare lavoro vista la tua esperienza."
"già. beh... allora ci sentiamo eh. stammi bene, Cedric."
"anche tu, Calintz."
"non guardare! non guardare!" disse il Corvo.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lime, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Passai tutto il giorno in camera mia e, se per l'inizio della mattinata avevo voglia solo di piangere, avevo passato il resto del pomeriggio e della sera a lavorare al computer e con la tavoletta grafica. Il pensiero che non ci fosse tea in casa mi rasserenava e m'innervosiva al tempo stesso.
Mia madre tornò nel pomeriggio inoltrato, ma io non le risposi, in un primo momento. Mi sentii aprire solo la porta della stanza dopo un po', spalancandola. [Cedric, non c'è più tea!]
Se me l'avesse detto anche solo il giorno prima, immagino che sarei entrato in crisi o mi sarei messo a ridere -anche perché, sicuramente, avrei saputo che era stato semplicemente spostato. [sì, l'ho buttato.] non avevo mai distolto lo sguardo dallo schermo, mentre continuavo a lavorare. La coda contro le gambe era una coccola, un contatto che, per quanto mi mandasse ancora più calore del normale, non riuscivo a rinunciarci. Averla là, vicino a me, mi faceva sentire a tratti protetto e coperto - come se una semplice coda potesse gettarmi addosso chissà quale copertura.
[perché?] per quanto non la guardavo, sentivo perfettamente mia madre avvicinarsi e posizionarsi dietro di me per vedere i miei lavori: era una cosa che si divertiva a fare e diceva che la rilassava, sia quando lo facevo io che quando lo faceva papà. [erano invecchiati e s'erano rovinati.] fu solo per un istante, ma mi parve che non stessi più parlando del tea. Cosa s'era rovinato, in fin dei conti? Avevo appena collegato che, per tutta la giornata, non m'ero mai girato ad osservare la stanza, neanche per sbaglio. E m'ero reso conto che non l'avevo fatto per paura di ritrovarmi il fantasma del ragazzo dai capelli blu notte che m'era sempre stato attorno da fin quando avessi memoria. L'unica differenza è che avrei saputo che era solo la mia immaginazione e che quel ragazzo non abitava neanche più nella casa vicino la mia. La cosa mi colpì con un dolore lancinante al petto.
Mia madre credo che avesse capito qualcosa perché, l'unica cosa che mi ricordo prima che mi si annebbiasse la vista per colpa delle lacrime, furono solo le sue braccia attorno al mio collo, a stringermi. Ed avevo un tremendo bisogno di quell'abbraccio, per quanto non glielo dissi mai e per quanto non la ringraziai mai. Per quanto avessi bisogno di stare solo, avevo ancora più voglia di qualcuno che potesse leggermi letteralmente dentro senza il bisogno di comunicare o aprire bocca. [se si conservano bene le cose è difficile che si rovinino - e tu le sai conservare bene le cose, Ced. Devi solo ricordarti come si fa.] non mi diede il tempo di replicare perché andò quasi immediatamente fuori. Io non smisi di osservare lo schermo del computer. [tu lo sapevi?] non specificai - non ce n'era bisogno. [sì. Victoria me l'aveva detto già qualche mese fa, di quest'idea. Cal ci aveva chiesto di non dirti nulla e che ci avrebbe pensato lui.] ci fu qualche attimo di silenzio, mentre metabolizzavo la cosa. [mi dispiace che se ne sia andato.] continuai a non parlare. Lo sapevo cosa c'era, alla base di quel dispiacere - per quanto fosse dispiaciuta per il fatto che Calintz non ci fosse più, il suo dispiacere era ben più ampio e mi raggiungeva perfettamente. L'unica cosa che feci fu mugugnare appena per concordare, poi riprendere a disegnare nel mentre che la porta della mia stanza si chiudeva, isolandomi di nuovo.
La cosa strana fu che non riuscivo ad avercela con mia madre e mio padre, per non avermelo detto. E, per quanto fossi deluso dal fatto che Calintz mi avesse dato così poco preavviso, non riuscivo ad avercela realmente neanche con lui. Semplicemente, non potevo.
Quel giorno, il tea non mi mancò affatto.
 
I giorni successivi, furono i peggiori.
Il mio carattere aveva avuto un picco impressionante e mi rendevo conto che anche semplici comportamenti mi davanti assolutamente fastidio. Non volevo vedere nessuno e m'ero reso conto di non andare in foresta da un tempo sempre più lungo - se dovevo trasformarmi, lo facevo direttamente dentro le mura di casa. Non avevo neanche voglia di uscire. L'unica cosa che facevo era lavorare e, ogni tanto, lo facevo così tanto da togliermi del tutto il sonno. Il tea continuava a non essere presente in alcun modo. Non avevo provato a contattare Calintz in alcun modo e lui aveva fatto la stessa cosa con me; a parte questo, sapevo più o meno che stava cercando di ambientarsi e tutto quello che lo riguardava perché mia madre me ne parlava anche senza che io chiedessi. Questa era una di quelle cose che m'infastidiva e mi tranquillizzava al tempo stesso perché era un continuo ricordarmi che lui non era più a Londra. D'altro canto, era anche un modo per sentirmi più vicino a lui.
Era il giorno prima del mio compleanno quando mia madre mi chiese cosa volevo fare. Io, in tutta onestà, m'ero scordato che stava per arrivare - ed il ricordarmelo fu un ennesimo pugno in piena faccia. Non tanto perché non avrei passato il compleanno con lui, quanto il ricordo di ciò che custodiva, il mio compleanno. Avevo lottato anni per non rovinare niente, cercare di non distruggere quella piccola e preziosa palla di cristallo che era il nostro rapporto. Come ero riuscito ad arrivare comunque a questo punto? Mi aveva spinto la paura di... cosa, rimanere solo per tutta la vita se avessi fatto la scelta sbagliata? [lavoro, no?] fu la mia risposta immediata. Mia madre si lamentò sul fatto che non potessi lavorare anche il giorno del mio compleanno, ma fu mio padre a zittirla, senza troppa delicatezza. [ma lascialo lavorare, se vuole.] non lo ringraziai mai a voce, ma ne fui tremendamente grato. Poi, arrivò la domanda del [vuoi qualcosa in particolare?] e fu allora che scelsi che era meglio evitare in tutti i modi di pensare a Calintz nei miei spazi. [sì. Voglio riarredare la mia stanza.] non mi si fraintenda, non volevo cancellare tutto quello che c'era stato. Ma decisi anche che non valeva la pena dannarsi per cambiare qualcosa che non sarebbe mai più potuto essere cambiato - era meglio andare avanti.
 
Il giorno del mio compleanno, lo passai tutto il tempo a lavorare. Mio padre mi passò tutti gli appuntamenti così da tenermi più impegnato possibile - e ci riuscii, almeno fino a quando non tornai a casa. Dopo il classico bagno, andai in sala e trovai mia madre al telefono. Non ci misi molto a riconoscere, dall'altro lato della cornetta, la voce di Calintz. Ricordo ancora l'agitazione e l'ansia dei primi momenti, tanto quanto il dolore e la gioia di poter avere un frammento di qualcosa che gli appartenesse. Riuscii a sentire anche perfettamente il suo [ah, poi lo chiamo io a Cedric, più tardi. Ora sono di fretta.] fu allora che capii che era inutile mantenere quella gioia. Quando mia madre chiuse la chiamata, mi disse un semplice [ha detto che ti richiama.] era speranzosa e mi sorrideva raggiante. Lo so che stava sperando, in quel momento "le cose si aggiusteranno presto, vedrai". Ma entrambi sapevamo la verità e, chi ebbe il coraggio di dirla, fui io. [...no, non lo farà.] non mi resi neanche conto quanto quella verità facesse male. Mi rifugiai in una camera che era già iniziata ad essere smantellata.
 
I lavori per la stanza non ci misero poi così tanto. I miei non volevano che stessi senza un appoggio ed avevo già in mente cosa utilizzare, più o meno. Alcuni mobili vennero comprati nuovi, altri riutilizzati. Quando finimmo, mi sembrò di aver cancellato una parte della mia vita - ed ancora oggi non saprei se quel pensiero mi faceva sentire sollevato o tremendamente angosciato. Discussi un po' con mia madre per un po', riguardo la faccenda di Calintz. Lei insisteva che io gli scrivessi almeno per chiedere come se la passava, io ero fermo nella convinzione che, il primo a dover scrivere, fosse lui. In realtà non pensavo ad una cosa del genere per orgoglio o altro, ma immaginavo che, così come io avessi bisogno di tempo per accettare tutta la situazione, lo stesso fosse per lui. Che poi non capivo neanche perché lo pensavo. Era stato lui a scegliere di andarsene, di lasciare tutto ciò che aveva e di lasciarmi indietro. Perché doveva aver bisogno di tempo? L'unica cosa che sapevo è che l'istinto mi diceva quella cosa - e, a volte, bisogna affidarsi solo a quello.
Fatto sta che, circa allo scoccare delle due settimane da quando Calintz se n'era andato, gli scrissi. Niente di che, giusto come stava e se si fosse ambientato bene. La risposta a quel messaggio non arrivò mai - e credo che entrai solo allora nella consapevolezza che, di fondo, Calintz non mi voleva più nella sua vita.
In quel momento mi sono davvero reso conto di quanto facesse male la sua assenza nella mia vita. E del fatto che, in un modo o nell'altro, sarei dovuto andare avanti senza di lui, per la prima volta in tutta la mia vita.
Quattro giorni dopo, andai a comprare il tea nuovo.
Per il primo periodo che tornai a bere tea, mi tornò sempre in mente il sapore di quella tazza amara. Inghiottii e seppellii quel sapore.
 
Tutto il mese di luglio fu una sorta di transizione.
Calintz continuava a non farsi sentire e quel messaggio che gli avevo mandato era rimasto là, in un limbo dove non sapevo assolutamente nulla. Le uniche notizie che continuavo a ricevere erano attraverso mia madre, così come sapevo del fatto che, spesso, chiedeva di me sia a lei che a Victoria.
E' sempre stato un comportamento che non mi sono mai riuscito a spiegare, quello. Perché chiedere ad altri di me e non interessarsi personalmente? Ammetto che la cosa mi lasciava con l'amaro in bocca, tutte le volte. Erano comportamenti tipici suoi, ma che mi facevano mandare il sangue al cervello perché non avevano assolutamente logica. Ed io, nella mia posizione, non riuscivo neanche a codificarli in alcuna maniera.
Era un modo per chiedermi qualcosa? Per interessarsi perché era preoccupato? Un modo per dimostrare il suo interesse ed il suo affetto nei miei confronti? Se con le parole e con gli altri si dimostrava in un modo, con gli atteggiamenti dimostrava l'esatto opposto. Era una cosa che non riuscivo a capire in alcuna maniera.
Ripresi ad uscire più assiduamente solo a metà di luglio e ripresi anche con alcune delle mie vecchie abitudini. Mi sembrava il modo migliore per non pensare a lui.
E per qualche momento era pure vero.
Poi, arrivava il dopo. La pausa dall'amplesso e vedevo il ragazzo o la ragazza di turno là, distesi, che fossero dormienti o rilassati. Quei momenti erano una fucilata, tutte le volte. Coi polmoni pieni dell'odore di quella persona, mi rendevo conto di cercare delle note, in quella fragranza, che potessero avvicinarsi a quelle dell'odore di Calintz. Sfioravo la loro pelle nella speranza che avesse una consistenza simile alla sua. Non sopportavo i loro gemiti perché mi aspettavo, da un momento all'altro, di sentire solo i suoi.
E poi loro riaprivano gli occhi. Ed io non riuscivo a trovare quei due occhi blu e viola a fissarmi.
Ogni volta, era la salvezza e la distruzione. Non riuscivo a sentirmi mai appagato perché non potevano appagarmi.
 
Ebbi notizie da lui, per la prima volta, agli inizi di agosto.
Il lavoro stava andando bene ed avevo iniziato un po' ad uscire - cose minime, principalmente per svagarmi un pochino. In realtà, quando mi scrisse non mi trovavo neanche in Inghilterra, ma avevo raggiunto mia madre in Norvegia alcune settimane prima del solito. Lì avevo sotto mano un ragazzino, probabilmente degli ultimi anni del Liceo - non mi ero neanche informato più di tanto. Credo che l'avessi scelto di proposito, in quel modo: fisicamente gli assomigliava molto e tanto mi bastava. Caratterialmente, era un moccioso scialbo e senza una reale sostanza. Semplice carne da macello.
Quando mi scrisse, era piena notte ed io ero fuori. Vicino a casa dei miei nonni, c'era un fiordo ed il sole di mezzanotte lo illuminava in maniera meravigliosa. Si fece sentire su Skype ed il messaggio era molto simile a quello che gli avevo scritto io, quasi un mese prima - mi chiedeva come stessi. Fu un attimo, un solo attimo nella quale in quei mesi in cui ero stato totalmente da solo e totalmente distanti da lui furono eliminati, in un colpo solo. Un solo attimo in cui la consapevolezza di non poterlo avere vicino svanì nel nulla e, forse, una parte di me si illuse che, magari, sarebbe potuto tornare tutto come prima. La prima cosa che feci non fu rispondere al suo messaggio, ma avviare immediatamente la chiamata di Skype dal cellulare. quando decise di rispondere alla chiamata, non gli lasciai neanche il tempo di parlare [ehi, va tutto bene? E' successo qualcosa?] mi sembrava ovvio chiederglielo. Aveva passato quasi un mese e mezzo senza farsi sentire e, sinceramente, mi aspettavo che mi contattasse solamente in caso di necessità. Non feci neppure caso al fatto che il mio tono di voce fosse allarmato o meno. [no, io... non ci sentivamo da un po' e volevo sapere come te la passassi.] mi rendo ancora conto di quanto mi abbia fatto sciogliere il cuore, quando ho sentito la sua voce. E' stata come una boccata d'ossigeno nuova, rinnovata. Parlammo per una mezz'oretta abbondante - in Norvegia erano le 3 di notte circa, a differenza di Narita. Calintz disse che aveva notato che ero ancora online e c'aveva provato.
[Calintz...] fu quasi allo scadere della chiamata che mi ritrovai a chiamarlo - me ne resi conto dopo averlo fatto. Stavo pensando a quanto mi mancasse e, in quel momento, mentre gli stavo parlando, m'ero reso conto di non volere solo la sua voce, per respirare. Avevo bisogno proprio di lui. E mi resi conto di non poterglielo dire. [...sono felice di averti sentito. Dovresti tornare a farti sentire più spesso.] annegai tutto nei meandri del mio cuore. Tutto quello che volevo dirgli, come mi sentivo. Seppellii tutto perché non vedevo il senso, di farli riemergere. [ha fatto piacere anche a me.]
Quando chiusi la chiamata, mi resi conto di quanto m'ero illuso appena avevo letto il suo messaggio. Non poteva tornare tutto come prima - era impossibile. Anche una mente controllata, a volte, si lascia strozzare dalle speranze.
 
Nel periodo di tempo successivo, io e Calintz tornammo a dei contatti quasi classici, se non fosse per il fattore distanza. Ci sentivamo più o meno tutti i giorni, che fosse al telefono o per messaggi. C'eravamo abituati più o meno tutt'e due alla non presenza l'uno e dell'altro nei luoghi dove vivevamo, ma, per quanto non ce lo dicessimo mai apertamente, era chiaro che per entrambi era la stessa cosa: distanti potevano esserci pure meno drammi, ma era un qualcosa di così superficiale, il non poterci assaporare appieno, che ci lasciava sempre perennemente insoddisfatti. Trovai conferma nella cosa in una tarda sera, ad ottobre. Stavo facendo di nuovo le ore piccole - ormai era un classico - e Calintz mi chiamò.
Parlammo per un po' del più e del meno fino a quando non sentì la sua proposta [perché non vieni qui, a Natale?] ammetto che mi lasciò leggermente sorpreso la cosa, in un primo momento. C'era voluto un po' prima che io e Cal tornassimo a parlare con naturalezza, sia al telefono che tramite messaggi - soprattutto per il primo mese e mezzo, era come se s'era costruito un muro, tra di noi. C'erano argomenti che non volevamo affrontare ed altri che non potevano essere affrontati: spesso Cal dimostrava dei forti sensi di colpa quando mi scappava di dirgli del lavoro che stavo facendo allo studio, dei turni di lavoro che mi tenevano impegnato tutto il giorno o cose del genere. Questo lo chiudeva ancora di più e quindi ho iniziato solo ad evitare di dirlo.
Il fatto che Calintz mi chiedesse di passare il Natale da lui era, al tempo stesso, una piccola gioia. Non ci vedevamo da ormai quasi quattro mesi e presto sarebbero aumentati - l'idea di poter passare del tempo con lui mi scaldava il cuore. [posso provare a chiedere ai miei, magari ti faccio sapere meglio più avanti, ma in generale cerco di venire.] era ovvio che avrei cercato di venire.
Poi, c'è stato quel momento in cui è sembrato che quel muro non ci fosse mai stato. [mi manchi.]
Lì, mi si è svuotato tutto il mondo. Quello che più mi mandava alla testa, di Calintz, sia in senso positivo che negativo, era che semplicemente, le cose, le faceva. E sentirgli dire quelle parole significava che sì, le stava pensando davvero. Credo fosse stato il mio colpo di grazia. [mi manchi anche tu, mostriciattolo.] ci misi un po' prima di rispondere e, ripensandoci, non ricordo neanche se mi sono pentito o meno di averlo detto. Era un venire allo scoperto così ampio che mi faceva paura.
La chiamata durò poco, dopo quello scambio, perché s'intromise un'altra voce. L'unica cosa che capii è che conosceva Calintz, abbastanza bene.
Pure a chiamata chiusa, anche senza essermi goduto del tutto la sua reazione, a me bastava. Mi bastava sapere che gli mancavo.
 
Le cose hanno iniziato ad assumere una piega strana dopo un servizio fotografico,nell'agenzia delle nostre madri. Ricordo che la mia mi aveva chiesto di posare per un servizio in stile goth ed io avevo accettato a scatola chiusa - c'ero abituato e non era proprio una cosa che mi dava così fastidio. Mi ero ritrovato a fare coppia con Rebecca, una modella dell'agenzia che m'ero portata a letto un paio di volte - niente di serio, ma lei si lasciava prendere molto spesso dalla sindrome della crocerossina e cercava di curare tutti i casi più disperati (e, per lei, i casi disperati erano coloro che non volevano una relazione seria). Quindi era piuttosto facile rigirarsela e farla cadere in un letto. Bellissima, la classica bambola che ti fa girare la testa quando passa per strada, ma di un'ingenuità atroce.
Durante una delle varie pause, ricordo che mi chiese a bruciapelo. [perché non fai il modello? Staresti così bene, sei adatto.] non era la prima volta che me l'avevano detto ed era forse l'ennesima a cui andavo a rispondere. [perché non è quello che voglio fare.] la sua espressione perplessa, non mi convinse troppo.  [come modello potresti fare molto più successo e potresti migliorare molto di più.] prima di rispondere, mi tolsi la maschera che stavo indossando -, ma non ebbi tempo di rispondere perché, in quella conversazione, si mise in mezzo un'altra voce. [migliorerà soprattutto come tatuatore. Sarà uno dei migliori.] quando mi girai, trovai il viso di mia madre che sorrideva con una fierezza sconfinata e che fronteggiava a testa alta la modella. Quella, era solo l'inizio della sua trappola - ed io ci caddi in pieno centro.
Riprendemmo il discorso in macchina, mentre tornavamo a casa. [Rebecca ha ragione però, sai? Avere successo come modello è molto più facile.] quando la guardai, immagino l'abbia fatto come se stessi fissando un alieno. Ma che diamine le saltava in mente? Prima mi sosteneva e poi diceva queste cose? [ed infatti sto lavorando come un dannato, allo studio ed anche a casa. Lo so che come tatuatore non avrò lo stesso successo che potrei avere nella tua agenzia.] l'argomento mi faceva innervosire, puntualmente. Nel periodo in cui andavo all'Accademia, questo discorso era uscito più e più volte, persino di fronte a Calintz nel tentativo di trovare un supporto in lui e che potesse convincermi. Per fortuna, Cal non s'era mai fatto piegare ed avevo trovato un appoggio solido su quell'argomento - e, per quanto avesse detto che la scelta finale fosse sempre e solo la mia, sapevo che anche mio padre aveva fatto la sua parte. [massì massì, lo so. Però tuo padre maneggia solo degli stili in particolare.] aveva ripreso mia madre, con tutta calma. [secondo me se vuoi davvero migliorare come tatuatore dovresti cambiare studio, almeno per un po'. Magari lasciare persino Londra e prendere un po' lo spunto di Calintz. Poi in futuro puoi anche tornare e prendere tutto tu in gestione, chi lo sa.] e, per quanto avessimo affrontato più volte discorsi simili, non era mai arrivata a farmi delle proposte del genere. Rimasi in silenzio per una buona manciata di secondi, rimuginando su quello che m'aveva appena detto. [lo sai che non posso lasciare Londra al momento.] le feci notare, più tardi. [papà ha bisogno d'aiuto per lo studio e se lo lasciassi pure io, mi ammazzerebbe.] l'unica cosa che mi disse mia madre, fu [se vuoi qualcosa, dovresti solo prenderla e non preoccuparti del resto. Pensa alla tua felicità una volta ogni tanto e non quella di chi ti sta attorno.]
Non ebbi il coraggio di risponderle.
 
La seconda volta che ci fu un discorso simile, ricordo che ero andato a trovare mia madre in agenzia - non ricordo cosa dovevo portarle e che s'era scordata a casa. Ovviamente, pensandoci ora lucidamente, mi rendo conto che m'aveva incastrato. La trovai nello studio di Victoria a parlare del più e del meno. Quando le salutai e passai quello che dovevo dare a mia madre, lei mi disse [ah sai? Calintz ha trovato lavoro come tatuatore a Narita.] in realtà non avevo ancora avuto novità, ma sapevo che Cal doveva andare a parlare col proprietario di uno studio che aveva bisogno di nuovo personale. [ah, l'hanno preso?] domandai verso Victoria, ma non ebbe neanche il tempo di parlare perché mia madre riprese, come una macchinetta. Ed è odiosa quando fa così, hai l'unica voglia di prendere una qualsiasi cosa e tapparle la bocca per ammutolirla e godersi un po' il silenzio. [già, dice che si trova tanto bene, là.]
Quando parlò Victoria, le cose precipitarono ancora di più. [è un peccato che non abbia trovato ancora nessun compagno, però. E' un ragazzo così bello ed ha così tante qualità, si merita qualcuno che sappia renderlo felice.] fu allora che riuscì a conquistarsi l'attenzione di entrambi e con un'unica frase ad effetto, un vero e proprio colpo basso. Immagino che il pensiero di entrambi fosse lo stesso "non ci posso credere che l'abbia detto". [insomma, va a letto con un mucchio di gente e non si decide a fare sul serio con nessuno. Non posso crederci di avere un figlio del genere.] Comprendevo il fatto che Victoria ci tenesse particolarmente alla sua felicità, dato che era suo figlio e tutto, ma non mi faceva comunque passare il nervosismo che mi sentivo addosso, a quella frase. Era come avere una doppia pelle creata da ortiche e da pensieri insostenibili. Mi sembrava assurdo che avesse potuto dire una cosa del genere. Poi, si rivolse direttamente a me. [Lo sapevi che a quanto pare c'è un ragazzo interessato a lui? Speriamo metta la testa a posto.] Il fatto che mi stesse dicendo direttamente quelle cose, a me, mi lasciò sconvolto. Non riuscivo a reagire in maniera naturale e non sapevo se prendermela principalmente con lei perché me l'avesse detto o col ragazzo in questione perché si fosse avvicinato a qualcosa che era una mia prerogativa. [...già.] fu tutto quello che riuscii a dire - una cosa stupidissima, insomma. Che poi, prerogativa di che? Calintz non era mio e non mi apparteneva affatto, così come non stavamo neppure assieme. In fin dei conti, era libero di fare quello che voleva. Era già successo qualcosa del genere, quando lui frequentava altre persone, ma allora era diverso: c'ero io vicino e, per quanto gli altri potessero sfiorarlo, lui sarebbe tornato sempre da me. Il pensiero che questa volta non potevo fare assolutamente nulla... mi ammazzava.
E fu solo dopo aver detto quell'ultima parola che mi resi conto dello sguardo che mi stava rivolgendo mia madre: da predatrice. Da chi stava pescando in un fiume congelato gli unici pesci rimasti in vita. Di chi sapeva di avere la vittoria in tasca perché l'aveva appena vista brillare. [ma dai, sicuramente troverà qualcuno. Non ti devi preoccupare, è normale.] non appena mia madre la rassicurò, io filai con un saluto rapido. Avevo il cuore in gola come chi aveva appena fronteggiato la morte e non se n'era neppure reso conto.
 
L'ultima sparata di mia madre, fu circa prima della metà di ottobre. Ammetto che avevo pensato all'idea di poter lasciare lo studio di mio padre e m'ero informato un po' anche sugli altri stati, a livello di tatuaggi. Il Giappone era quasi in cima alle classifiche, per un motivo o per un altro. Ovviamente, non avevo ancora accennato nulla a mio padre.
Quel giorno mia madre entrò in camera per portarmi il tea ed avevo alcune finestre aperte proprio riguardo questi argomenti. Rimase qualche secondo buono ad osservare prima d'attaccare bottone. [hai già iniziato a vedere qualche meta? Il Giappone mi avevi detto che era ben aggiornato al riguardo, no?]
Ed aveva ragione. Lo stile giapponese era davvero usato per i tatuaggi di tutto il mondo e poterlo padroneggiare sarebbe stato un bel passo avanti, per me. [lo so, ma a quel punto dovrei scegliere anche la città.] rimase un po' a guardare la pagina, appoggiata contro l'armadio del letto. Poi, se ne uscì solo con un suggerimento. [va a Narita.]
non so se mi mise più agitazione il fatto che avesse suggerito quel posto o che l'avesse semplicemente nominato. Rimasi a guardarla per un po' in uno stato di totale perplessità, fino a decidermi. [a Narita c'è Calintz, mamma. Sembrerebbe che lo stia seguendo.] lei si mise a ridere e mi accarezzò la coda. [e ti darebbe così fastidio, se fosse così?]
Mentre lasciava la mia stanza, pensai a quella domanda fino a non essere riuscito a trovare una risposta. No, non m'importava. Fu allora che mi resi conto che, senza neanche rendermene conto, avevo già scelto tutto ciò che volevo.
 
Quando parlai a mio padre e mia madre di volermi trasferire a Narita, era metà ottobre superato.
Calintz non sapeva nulla, né dell'idea di voler lasciare in generale Londra né di volermi trasferire in Giappone.
Quando dissi ai miei genitori che avevo finalmente scelto, mio padre non fu d'accordo: il lavoro ne avrebbe sicuramente risentito e non mi trovava pronto a trasferirmi all'estero. Mia madre mi guardò per tutto il tempo come se volesse studiarmi. Non capì mai perché mi guardava così, se era perché aveva capito le mie reali intenzioni o se mi stava studiando solo per cercare di capire se ero sicuro di ciò che stavo facendo. Non parlò per un bel po', lasciando me e mio padre alle nostre classiche discussioni e guerre fredde continue. Quando finalmente si decise, era passata più di una mezz'ora abbondante. [mandiamolo.] fu l'unica cosa che disse a mio padre, in un primo momento. [se è serio, cercherà subito un lavoro. Gli chiederemo di farci sapere lo stipendio, ogni mese, per vedere anche come si mantiene. Se entro un mese non riuscirà a fare nulla, tornerà qui a Londra, no?] ci volle un po' per convincere mio padre.
Ricordo che quando alla fine fummo tutti d'accordo, l'unica cosa che fece mia madre fu prendere il computer ed il cellulare, passandomi entrambi. [chiama Victoria e prendi il biglietto.] la sua unica motivazione fu [quando scegli di fare qualcosa, falla subito prima che cambi idea. Non potrai più tornare indietro, così.]
Calintz non venne avvisato di niente, mai.
   
 
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