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Autore: Cry_Amleto_    03/01/2017    0 recensioni
[One-shots] [Stony!Tony Stark! Steve Rogers!]
Il dolore, la sofferenza, non è semplice mancanza di pace e serenità. No. Il dolore è quel mostro da cui tutti cercano inutilmente di scappare; è quel mostro che quando ti afferra mira dritto al cuore
senza però ucciderti; è quel mostro che assume l'aspetto delle persona che ami, o della tua immagine riflessa nello specchio. E non chiede scusa, il dolore, mai. Non chiede scusa, perché sa che le scuse non servirebbero. Ma avvolte il dolore è l'unica via, l'unica strada per raggiungere la tanto agognata pace, la tanto rincorsa felicità. Quindi stringi i denti, perché quando hai toccato il fondo del baratro puoi soltanto risalire.
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Raccolota di One Shot, dove potete trovare la Stony o i suoi singoli componenti in tutte le salse, AU comprese. Buona lettura, e che possa la buona sorte essere sempre a vostro favore *alza tre dita in segno di solidarietà*
Genere: Angst, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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[Stony! PostCivilWar]

Bianca. 
Era bianca la neve che lentamente scendeva, ricoprendo i palazzi di Manhattan.
Respirò a pieni polmoni quell'aria pungente, chiudendo brevemente gli occhi.
Era tornato, era tornato a casa.
Bucky era salvo, al sicuro, benché in quel momento fosse in una cella di ibernazione. E lui, dopo un lungo periodo di confusione dovuto al ritrovarsi – come mai prima di allora – completamente solo e allo sbaraglio, aveva capito che non gli rimaneva altro che tornare a casa. Non gli rimaneva altro che tornare a casa e chiedere scusa.

Erano passati 18 mesi dall'ultima volta che aveva messo piede in quella caotica città. Con un sorrisetto appena accennato, abbracciò con lo sguardo tutto ciò che lo circondava, seguendo poi brevemente con gli occhi la lenta caduta delle candida neve. 
Fece un alto respiro profondo, questa volta volto ad infondergli coraggio, poi girò l'angolo.

Rimase impietrito sul posto, gli occhi sgranati.
Il cuore gli rimase in gola, mentre il suo respiro si tramutava in un gemito sorpreso.
L'Avengers Tower, colei che un tempo aveva funto da Faro della Salvezza, colei intorno alla quale l'intera Manhattan sembrava essersi modellata, era spenta, dimessa. I vetri della Tower erano resi opachi dalla mancanza di manutenzione, il metallo esterno sembrava sempre più corroso dalla ruggine, l'intera struttura emanava abbandono.
Colui che era stato Captain America, si portò una mano alla bocca, un espressione di sgomento che ben presto gli accartocciò i tratti.
Fece scivolare lentamente la mano, mormorando a fior di labbra uno sgomentato "Cosa è successo?".

Trascorse le seguenti settimane a cercare di mettersi in contatto con i membri di ciò che restava della squadra, non riuscendoci. L'unico che non cercò fu Tony Stark, Iron Man, l'uomo che gli aveva rubato il cuore, l'uomo che a lungo, ricambiato, aveva amato. L'uomo che aveva brutalmente tradito.
No, lui lo avrebbe rivisto per ultimo. Gli avrebbe chiesto scusa, anche mettendosi in ginocchio se fosse stato necessario. Lo avrebbe supplicato di perdonarlo, lo avrebbe supplicato di non odiarlo. Benché lo meritasse, oh se lo meritava.
Davanti al computer dell' Internet Point, chiuse brevemente gli occhi, cercando di scacciare le immagini del proprio scudo che lo colpiva ancora e ancora, fino a rompergli il reattore al centro del petto, spezzando definitivamente il cuore dell'inventore. E il proprio.

Riuscì in fine a trovare il nuovo indirizzo della signorina Potts, colei che aveva gestito la Stark Industries anche più dell'inventore. 
Dopo meno di un quarto d'ora, stava bussando alla sua porta.
Gli aprì la donna stessa.
Rimase impietrita per un po' davanti all'uscio della porta, sorpresa. Poi la sua espressione divenne glaciale.

«Cosa ci fa lei qui, Capitano?» la voce di Virginia Potts calcò sprezzante su quell'ultima parola.

Steve rimase un po' spiazzato da quel trattamento, ma mantenne la sua postura e la sua espressione sicura, benché i suoi occhi tradissero la sua colpevolezza.

«Io... Ho provato a raggiungere la Tower ma-» iniziò il Capitano subito dopo interrotto dalla donna.

«Gli Avengers non esistono più e con loro anche l'Avengers Tower ha perso la sua utilità.» disse secca la donna, poi, dopo un ulteriore attimo di esitazione, si fece da parte per lasciar entrare nell'appartamento colui che era stato la Sentinella della Libertà.

«Ho provato a contattare gli altri, ma nessuno risulta rintracciabile... Ho trovato solo lei, signorina Potts, ed è per questo che sono qui. Vorrei sapere cosa è successo dopo...» lasciò in sospeso la frase, il Capitano, incapace anche solo di pronunciare quelle due parole che sigillavano la sua colpa, il suo peccato.

«Vuole sapere cosa è successo dopo la Guerra Civile?» un sorrisetto amaro si aprì sul volto di Virginia Potts.

Pepper si appoggiò al tavolo della cucina, guardandolo dritto negli occhi.

«Hai provato a contattare Tony?» gli chiese.

Steve distolse lo sguardo, un espressione colpevole sul volto.

«Come immaginavo.» concluse la donna, il tono della voce amaro.

Si voltò verso il tavolo, per poi versare due bicchieri d'acqua. Ne offrì con un cenno uno al Capitano che le si avvicinò per prenderlo.

«È a Rikers Island, incarcerato come il peggiore dei criminali. E come tale verrà giustiziato.» gli sussurrò, mentre l'altro prendeva il bicchiere a pochi centimetri da lei. « Per colpa tua.»

Steve si impietrì, il bicchiere che lentamente gli scivolò dalle mani, come se fossero state private della loro forza. Aspettò che il suono dei vetri che si rompevano lo facesse svegliare dallo stato di shock in cui era scivolato, ma non ebbe neanche quel "conforto": la signorina Potts prese al volo il bicchiere, poggiandolo con forza sul tavolo.

«Qualcuno doveva pagare per tutte quelle vite strappate impunemente, la scelta era tra te e lui. E figurati se avrebbe mai permesso a qualcuno di toccare il suo Capitano.» il tono della donna si fece sempre più aspro e amaro, ma ormai Steve non ci faceva più caso.

Tony. Quello che a lungo era stato e per sempre sarebbe rimasto il suo Tony, stava per morire a causa sua. Stava per morire al posto suo.
Si passò una mano sul volto, l'altra chiusa a pugno che gli premeva contro l'anca, le labbra tese in una linea sottilissima, gli occhi che danzavano da un punto all'altro della stanza senza mai soffermarsi realmente su niente, prendendo in considerazione diverse ipotesi. In fine, dopo un paio di minuti, girò sui tacchi e fece per andarsene.

«Dove vai?» gli chiese Pepper.

«A consegnarmi al suo posto ovviamente. Sono io a dover pagare, lui non ha colpe se non quella di aver seguito gli ordini dettati dal governo...» disse in un sussurro Steve, fermandosi a pochi passi dall'uscio, senza voltarsi.

«Non puoi.» disse semplicemente la donna «Il patto è già stato stipulato: la sua vita e la sua società per la vita degli altri Avengers, tua e del tuo amichetto.» le sue labbra si inarcarono in un sorrisetto mesto «Tipico di Tony... Benché lo sapesse nascondere, è sempre stato il classico martire.»

Il Capitano si girò di scatto e la signorina Potts sgranò gli occhi incontrando lo sguardo dell'altro. Pepper lesse un tormento, un angoscia e un dolore, in quello sguardo, che non riuscì a sostenere oltre, distogliendo velocemente il proprio.

«Io... Non era questo quello che volevo. Volevo solo proteggere un amico... Io... Troverò una soluzione. Contatterò il governo e scambierò la mia immunità con la sua, loro vogliono solo un capro espiatorio non sarà troppo difficile convincerli.» disse il Capitano, un urgenza e una disperazione nella voce che la donna non avrebbe mai pensato che l'altro sarebbe stato in grado di provare.

«Steve...» disse gentilmente, avvicinandosi lentamente e posandogli una mano sul braccio muscoloso, cambiando repentinamente atteggiamento «Il Governo ha iniziando una propaganda contro Tony sei mesi fa e ora il mondo è convinto che sia una persona terribile, un assassino che si nasconde dietro un armatura. Il Governo non ti permetterà mai di prendere il suo posto, altrimenti perderebbe credibilità. E poi davvero pensi che Tony permetterebbe proprio a te di prendere il suo posto?»

Il tono della signorina Potts era gentile, quasi consolatorio, mentre si rendeva conto del proprio errore di considerazione: il Capitano teneva ancora all'inventore, forse quanto quest'ultimo teneva all'altro. 
In quei lunghi mesi era arrivata ad odiare l'ex Captain America, convinta che quest'ultimo si fosse lavato le mani di tutti i problemi che aveva creato. E invece eccolo lì, in casa sua, un uomo distrutto dal dolore.

«Non posso... Non posso lasciarglielo fare...» gemette piano il Capitano, alzando poi lo sguardo e incrociando quello dell'altra «Io...»

«Tu lo ami, non è così?» disse Pepper sorridendogli dolcemente «L'ho capito fin da subito. Litigavate come una vecchia coppia sposata.»

Il viso sbiancato di Steve riprese un po' di colore sulle guance.

«Per questo ti sto dicendo che non puoi farlo. Il governo ha distrutto con le sue menzogne tutto ciò che erano e rappresentavano Tony Stark e Iron Man. Anche se tu riuscissi a prendere il suo posto, Tony rimarrebbe in una situazione non preferibile alla morte. Quindi vivi, Capitano, e porta a termine quello che Tony ha iniziato. Salva il mondo.» concluse la signorina Potts, guardandolo negli occhi.

Occhi in cui Steve lesse il perdono. E la fiducia.

~o~

Sarebbe stata un esecuzione pubblica, un'esecuzione esemplare. Tutti lì, riuniti nella più grande piazza di Manhattan ad attendere che iniziasse lo "spettacolo". Sgomitò tra la folla, fino a raggiungere il palco, sorpassò la sicurezza stordendola, poi si diresse spedito dietro di esso. 
E lo vide.
Il volto scavato, la forma del pizzetto solitamente in perfetto ordine confusa nella barba disordinata, i capelli scompigliati come mai prima d'allora.
Ma per quanto il suo aspetto potesse essere disastrato, il suo sguardo era rimasto quello di sempre: magnetico, un po' arrogante, sprizzante di vita.
E ben presto quella vita avrebbe lasciato quegli occhi, rendendoli opachi e vitrei. Una morsa dolorosa gli strinse il costato, stritolandogli il cuore.

«Tony!» urlò, la disperazione e il dolore più inesprimibile che trasparivano dalla sua voce, correndogli incontro.

Gli uomini che lo stavano scortando si serrarono intorno a lui. Poi però un uomo in giacca e cravatta – un uomo del Governo probabilmente – lo guardò attentamente. Quando lo riconobbe, fece segno agli altri uomini di lasciarlo andare.

«5 minuti.» disse secco questo, per poi fare cenno agli altri di spostarsi in disparte. 
I due non sarebbero potuti fuggire da nessuna parte disarmati com'erano e in un edificio pieno di soldati scelti. E l'uomo del governo in questione non aveva dimenticato come Captain America aveva salvato sua figlia insieme ad un'altra cinquantina di persone, il giorno dell'attacco dei Chitauri.

«Tony...» questa volta quello del Capitano era un gemito.

Circondò il volto dell'altro con le proprie mani, prendendo poi ad accarezzargli gli zigomi. 
L'inventore gli sorrise dolcemente, cercando di abbracciarlo, i suoi movimenti impediti dalle mani legate.

«Dovrei essere io in catene... È tutta colpa mia... Mi dispiace così tanto...» continuò Steve, interrotto da Tony.

«Shh, Stevie. Va bene così. Una guerra si combatte in due, anch'io ho mietuto le mie vittime... La mia condizione non è assolutamente colpa tua. Sono stato io a proporre il patto al governo, per garantirvi l'immunità.» alzò le mani incatenate fino a raggiungere il volto dell'altro, che accarezzò dolcemente.
Poi alzò le braccia e fece passare le mani legate dietro il collo dell'altro, attirando le sue labbra contro le proprie. Il corpo del Capitano reagì immediatamente a quel contatto, e le braccia scivolarono intorno alla vita dell'altro, attirandolo a sé in una morsa soffocante.
Il loro bacio fu da prima timido, poi sempre più intenso, fino a diventare più struggente e doloroso di una crisi di pianto.

«Tony ti prego, non lo fare... Il mondo ha ancora bisogno di te, io ho ancora bisogno di te...» mormorò Steve contro le sue labbra, mentre le lacrime prendevano a solcargli il volto.

L'inventore di scostò appena, rivolgendogli un dolce sorriso mesto ed asciugandogli impacciatamente il volto.

«No, Capiscle, sono sempre stato io
ad aver avuto bisogno di te.» gli disse, in un basso mormorio, lasciandogli un tenero bacio sulla fronte.

Poi gli sorrise, l'inventore, le sue labbra si curvarono nel tipico sorrisetto alla Tony Stark, un sorrisetto che il Capitano non credeva avrebbe mai più rivisto.

«I 5 minuti sono finiti.» intervenne quindi uno degli uomini che stavano scortando Tony.

L'inventore annuì seccamente.

«Ti amo.» gli disse Steve frettolosamente, quasi come se temesse di non riuscire a dirglielo in tempo, quasi come se temesse che l'altro avesse potuto dimenticarlo.

L'inventore si girò un ultima volta verso di lui.
«Lo so.» disse sorridendogli.

Fu un sorriso, quello di Tony Stark, che comunicava perdono. Perdono per averlo tradito, perdono per aver combattuto uno contro l'altro, perdono per averlo indirettamente condannato a morte. E poi... Poi quel sorriso comunicava qualcosa che Steve Rogers non avrebbe mai voluto vedere su altre labbra: comunicava Amore. Amore, quello con la "A" maiuscola, quello che si incontra solo una volta nella vita, quello di cui non si può fare a meno. Amore, che non era nient'altro, ma molto di più.

~o~

«Anthony Edward Stark. Reato: omicidio di massa. Pena: Morte. » recitò un uomo su di una pedana, la voce insopportabilmente nasale, a sinistra del palco. 
Al centro di quest'ultimo, c'era Tony, in ginocchio, la maglietta strappata via scopriva il busto ricoperto di lividi e dalle costole visibili per la mal nutrizione – regalini del periodo passato in carcere probabilmente. Il suo sguardo nocciola, ancora uguale a se stesso persino in quel momento, non aveva lasciato neanche per un attimo quello cristallino dell'altro.
«L'imputato ha qualche ultima parola, prima che l'esecuzione abbia luogo?» chiese lo stesso uomo.

«Noi salveremo il mondo. Insieme.» 
Furono queste le ultime parole di Tony Stark, parole dirette a Steve Rogers, parole che non avrebbero mai abbandonato la mente di quest'ultimo.

Insieme.Era questa la promessa che Steve aveva fatto agli Avengers, a Tony, alla vigilia della battaglia contro Ultron. Avrebbero vinto o sarebbero caduti insieme. Eppure non aveva mantenuto quella promessa. Non lo aveva fatto, e ora Tony gliela stava ricordando, gli stava dando una possibilità di redenzione.
Un piccolo sorriso si allargò appena sul volto rigato dalle lacrime del biondo, e annuì appena in direzione dell'altro. Aveva capito, avrebbe mantenuto fede alla sua promessa.

Poi però l'inventore fu fatto alzare e portato in fondo al palco, contro la sua parete rigida.

Quando Tony fu poi fatto girare verso la folla, gli occhi del Genio e del Soldato si fusero nuovamente l'uno nell'altro. Per un ultima volta. Lo sguardo ambrato di Tony, rassicurante, addirittura sereno perché sapeva di aver compiuto la scelta giusta; lo sguardo limpido di Steve, che rispecchiava il dolore e il tormento che gli stavano dilaniando il cuore.

Uno.
Due.
Tre colpi di pistola in pieno petto.

Uno.
Due.
Tre.
Quattro secondi prima che il corpo di Anthony Edward Stark, colui che nelle veste di Iron man aveva salvato il mondo numerose volte, che aveva messo a rischio la vita per esso in innumerevoli occasioni, si accasciasse come una marionetta a cui erano stati staccati i fili nella pozza del suo stesso sangue.

Uno.
Due battiti di cuore, prima che avesse voce un urlo che sembrò scuotere Manhattan dalle fondamenta. Un urlo carico di dolore, di angoscia, di tormento, di agonia. L'urlo di una bestia morente.
L'urlo che scoppiò dal petto di Captain America, nel vedere Iron Man cadere al suolo sconfitto da nemici che non poteva vincere.

 

"Non doveva finire così"

 

 
   
 
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