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Autore: ScoSt1124    05/01/2017    5 recensioni
Era proprio in quella pigna che c’era qualcosa che non andava, quella mattina.
Era più che sicuro di essersi addormentato con quattro libri di fianco a lui, mentre ora ce ne erano cinque.
Sì, sicuro al cento per cento di non aver lasciato Io Robot sulla pigna, sicuro di non averlo mai letto e sicuro di non averlo mai avuto nella sua libreria.
Decise così di tirarlo su e aprire la prima pagina, dove vi trovò una scritta:
Ho notato che i gialli non ti piacciono molto; prova con la fantascienza.
“Nella vita, a differenza degli scacchi, il gioco continua dopo lo scacco matto”.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Sconosciuti (Ma non troppo) 

 

Stiles si era svegliato presto quella mattina. Come del resto da cinque giorni a quella parte. Era appena uscito dal coma e la convalescenza in ospedale era ancora lunga. 
Per la prima volta in vita sua non ci era finito per qualcosa che aveva combinato da solo. Di solito non ci finiva mai per cose gravi; la cosa più grave che aveva fatto era stata tagliarsi la testa contro un calorifero e quello - però - era dato dalla sua iperattività. 
Questa volta invece no. Non era stata colpa sua. 
Solo che quando faceva una cosa, la faceva per bene.  

Una settimana prima era stato investito. Nessuno era riuscito a capire chi fosse stato. O meglio così gli era stato detto. 
Suo padre era lo sceriffo, eppure non aveva trovato un colpevole. O forse era ciò che voleva fargli credere. Non ci credeva neanche lui a quella versione ma non voleva indagare fino a che non fosse tornato a casa; anche perché confinato in ospedale era un po' difficile fare qualcosa. E sinceramente lui non si ricordava molto dell'accaduto. 
Prima o poi avrebbe indagato come al suo solito. 
Tornando alla sua giornata tipo, si era svegliato presto. In ospedale non c'era molto da fare. Ad una certa ora andava a letto e alla fine si ritrovava sveglio a guardare il soffitto. 
Aveva una pigna di libri sul comodino.  
Già letti tutti.  
Anche se, forse, non era la definizione più adatta. Erano per la maggior parte gialli e, lui, dopo il primo capitolo riusciva già a capire chi fosse il colpevole. Riteneva che fosse inutile andare avanti con la lettura, per scoprire cose che sapeva già. 
Era proprio in quella pigna che c’era qualcosa che non andava, quella mattina.  
Era più che sicuro di essersi addormentato con quattro libri di fianco a lui, mentre ora ce ne erano cinque. 

, sicuro al cento per cento di non aver lasciato Io Robot sulla pigna, sicuro di non averlo mai letto e sicuro di non averlo mai avuto nella sua libreria. 
Decise così di tirarlo su e aprire la prima pagina, dove vi trovò una scritta: 
 

Ho notato che i gialli non ti piacciono molto; prova con la fantascienza. 
“Nella vita, a differenza degli scacchi, il gioco continua dopo lo scacco matto”. (Asimov) 

 

Oddio, quella cosa sì che era inquietante. No, lui non era una persona ansiosa, assolutamente no. 
A chi la voleva dar a bere? Si stava guardando attorno nella stanza per capire se ci fossero telecamere a spiarlo. No, meglio non pensarci. 
Si sarebbe informato. Avrebbe chiesto a Melissa, madre di Scott - suo migliore amico - che faceva l’infermiera lì, magari aveva visto qualcuno. Anche a suo padre, magari sapeva qualcosa in più di lui, anzi, quasi sicuramente.  

Aveva guardato la sveglia, - più che guardato, fissato - le sei. Odiava quell’ora della mattina. Non poteva fare nulla, se non fissare il soffitto bianco.. Non poteva parlare con nessuno, nessuno era sveglio e questo implicava anche che non poteva mandare messaggi; la colazione era tra due ore e l’unica cosa che poteva fare era leggere. 
Certo, quelle duecentonovantuno pagine erano davvero poche per tutte le ore della giornata. Però si accontentava di leggere mentre aspettava la colazione. Forse sarebbe durato più del previsto. 

Quando Melissa era entrata a portargli la colazione, era subito scattato, pronto a riempirla di domande. 

"Buongiorno Melissa"  

"Stiles, come mai così attivo questa mattina?" 

"Beh c'è il sole, mi pare sia un ottimo motivo per essere attivi." 

"Vuoi andare a fare una passeggiata? Vado a prendere la sedia?" 

"No, non mi va, non finché non lo farò con le mie gambe." Aveva detto guardando fuori dalla finestra. 

"Capisco, vedrai che andrà tutto bene." 

"Mh, mi fido di te." Aveva detto sorridendogli, prima di riprendere a parlare. "Comunque, per caso hai visto entrare qualcuno questa notte?" 

"No, perché?"  

"Nulla, stamattina ho trovato questo libro sul comodino. Sono sicuro che ieri non ci fosse. 

"Magari lo ha lasciato tuo padre e non te ne sei accorto." 

"Ma quella dentro non è la sua scrittura." 

"Mio caro Stiles, credo che tu abbia un ammiratore." 

"Chi vogliamo prendere in giro Melissa? Grazie lo stesso" 

"Fidati, se poi sarà così, non dire che non te l'avevo detto." Aveva detto uscendo dalla stanza, dopo avergli fatto l'occhiolino.  

Vedere la colazione era sempre un sogno, lui moriva letteralmente di fame, peccato che gli davano sempre poco da mangiare. Fortunatamente Scott gli portava le peggiori schifezze, almeno non moriva di fame. Dopo quasi due ore, finalmente stava passando qualcuno nel corridoio a cui avrebbe potuto chiedere. 

"Ehi tu!" Aveva urlato. 

Il ragazzo si era girato e lo aveva guardato in modo strano ed era tornato sulla sua strada. Stiles non lo avrebbe lasciato andare. 

"Sì, dico a te, giacchetta di pelle." Ok, da dove gli era uscito quel nome? Il ragazzo aveva aggrottato le sopracciglia e Stiles aveva continuato a parlare.  

"Per caso hai visto entrare qualcuno?" 

Aveva alzato le sopracciglia ma senza dire nulla. 
Cavolo, per caso faceva tutto con quelle? Ma Stiles non era uno che lasciava perdere facilmente. 

"Per caso nessuno ti ha insegnato a parlare?" Ok, forse questa era più pesante, ma alla fine, mica lo avrebbe rivisto. 

"Secondo te?" rispose seccato. 

"Ah ecco, credevo fossi muto. No, sai com'è..." 

"No, non lo so"  

"Si,  beh... Muovevi solo le sopracciglia!" 

"Succede."  

Perfetto, aveva trovato la persona più loquace del mondo a cui chiedere informazioni. 

"Vedo che sei di molte parole..." disse facendo un mezzo ghigno "Comunque, ti stavo chiedendo, hai per caso visto entrare qualcuno?" 

"No, sono appena arrivato " 

E se ne stava pure andando... 

"Perché te ne vai?" 

"Hai avuto la tua risposta." 

"Già, ma sai com'è, si può fare conversazione. Quella cosa che implica la parola e il relazionarsi con altri, non so se hai presente" disse sarcastico.  

"Mh. Certo" 

Ma se ne stava comunque andando di nuovo. 

"Dai, aspetta quindici minuti! Mi annoio da solo" 

"Leggi. Mi pare non ti manchino i libri"  

"Mh. Peccato che so già chi è il colpevole al primo capitolo." 

"Non mi pare che l'ultimo in cima abbia un colpevole" 

"Lo conosci?"  

"No, ho visto il film" 

Stiles aveva la sensazione che non fosse proprio la verità. 

"Dicono sia diverso dal libro." 

"Mh."  

"Già, beh se hai visto solo il film non puoi saperlo... È inutile che te lo dica..." 

"Se lo leggi e lo scopri, che dici?!" 

"Quanto sei scontroso... Come faccio a scoprirlo se non ho mai visto il film?"  

"Non mi riguarda." 

"Dai, ma  è così difficile farti dire due parole in più? Se parli di più risulta che io parli di meno, quindi per le tue orecchie conviene, no?"  

"Mh"

"Ci rinuncio!" 

No, un attimo! Lui non era uno che rinunciava facilmente. 

"Mi chiamo Stiles" 

"Che razza di nome è Stiles?" aveva detto aggrottando le sopracciglia. 

"Possibile che fai tutto con quelle? Comunque è un soprannome." 

"Mh."  

"Sei molto loquace devo dire." 

"Devo andare." 

Stiles non aveva fatto nemmeno in tempo ad aprire la bocca che il suo interlocutore se ne era già andato. 

"Aspett- non mi hai nemmeno detto come ti chiami... E ovviamente io sto già parlando da solo." 
 

Bene, a quanto pare la conversazione non era durata molto e lui non sapeva di nuovo cosa fare. 
Quanto odiava essere in camera da solo. 
Scott ovviamente andava solo di pomeriggio, la mattina era occupato a scuola per far si che Stiles non rimanesse indietro. Il padre, invece, andava durante le pause dai vari turni. Stiles e Scott non erano molto popolari, erano solo loro due, ma si bastavano a vicenda. Però, in quel momento, si annoiava terribilmente.  
Aveva preso il libro e aveva ripreso a leggere. 

Quando Scott era arrivato, Stiles aveva già finito di leggere il libro.  

“Ehi amico.” 

“Finalmente sei arrivato, mi stavo annoiando a morte” 

Stiles 

“Si, scusa. Non faccio battute del genere.” 

“Ok, oggi Harris ci ha fatto davvero penare. Da quando non ci sei tu è peggiorato.” 

“Non ha più nessuno con cui prendersela, povero Harris.” 

“Magari gli man…” 

Stiles si era accorto di non sentire più Scott parlare, o meglio, non ci stava facendo attenzione. Si era perso nei pensieri, fino a che Scott non gli aveva messo una mano sulla spalla.  

“Ehi, tutto ok?” 

“Si, mi ero un attimo perso. Stavi dicendo di Harris?” 

“Nulla di importante. Andrà tutto bene, vedrai. Stai pensando all’intervento?” 

“No… sì… anche. Stamattina ho trovato un libro sul comodino, ma non so chi me lo abbia lasciato.” 

 Wow amico, hai fatto colpo su qualcuno.” 

“Ma va, stavo solo cercando di capire!” 

Scott era rimasto quasi tutto il pomeriggio, fino a che non era arrivato lo Sceriffo.  
Aveva indagato anche con lui, ma non aveva ottenuto risposte soddisfacenti.  
Ne tanto meno ne aveva trovate riguardo l’incidente. Come tutte le sere suo padre si era addormentato lì e Stiles sorrideva ogni volta quando diceva mille volte che non era stanco e poi si appisolava sulla poltrona. 

La mattina seguente si era svegliato allo stesso modo del giorno prima. Con un libro in più sulla pigna. Lo aveva tirato su e aveva aperto la prima pagina. 
 

Ho visto che hai già finito il libro, non pensavo ci mettessi così poco. Mi prendo la libertà di lasciartene un altro. 
A noi occorre non essere lasciati in pace. Abbiamo bisogno di essere veramente tormentati una volta ogni tanto!” (Ray Bradbury)  

 

Come tu stai tormentando me? Aveva pensato Stiles. Non che gli dispiacesse, alla fine lo faceva distrarre, però il non sapere chi fosse lo stava facendo impazzire.  
Nessuno aveva visto nulla, come sempre. Aveva chiesto ad altre due infermiere, ma il tentativo era stato vano.  
Il padre si era svegliato e lo aveva salutato di corsa perché già era in ritardo.  

Ciò che, Stiles, non si aspettava, era di rivedere il ragazzo del giorno prima passare 

“Ehi” lo aveva chiamato. Insomma, era la seconda volta che passava di lì.  

“Che c’è?” 

La gentilezza non è di casa vero?” 

“Mi hai chiamato tu” 

Si, beh forse era meglio se non lo avessi fatto” 

“Già 

Stiles si era girato dall’altra parte. Il ragazzo se ne era andato, se non fosse che, mentre se ne andava, aveva ragionato sul fatto che se ne fosse andato via così. Per questo era tornato indietro.  

“Sono stato brusco.” 

“Già, puoi anche tornare da dove sei venuto.” 

“Mi hai chiamato prima, ora sono qui. Chiedi pure.” 

“Mi è passata la voglia, e poi non sono nessuno per chiederti di fermarti.” 

“Non se sono io quello che vuole fermarsi.” 

“Fai pure.” 

Il ragazzo si era seduto sulla poltrona ed era rimasto lì ad aspettare. Stiles era rimasto a guardare fuori dalla finestra fino a che non si era incuriosito per via del fatto che ancora non se ne fosse andato.  

“Pensavo te ne saresti andato dopo due minuti.” 

“A quanto pare no” 

Touche.” Aveva risposto Stiles guardandosi le mani. Poi si era ricordato del discorso sul libro del giorno prima. “Ho letto il libro, è diverso dal film.” 

“Tu come fai a saperlo? Mica avevi detto che non avevi visto il film?” aveva risposto il ragazzo.  

“Già, potrei aver mentito.” 

“C’era da aspettarselo.” 

“Ehi, che vuoi dire?” disse Stiles facendo l’offeso. 

“Ti chiami davvero Stiles?” 

“Se è per quello tu nemmeno me lo hai detto il nome.” 

“Lo prendo per un no.” 

Il ragazzo era uscito dalla camera di Stiles e aveva proseguito per la sua strada.  

“Ehi! Non mi hai detto il tuo nome nemmeno oggi! Pff chi ti capisce è bravo.” 

Stiles aveva tirato su il libro che aveva trovato quella mattina e aveva iniziato a leggere. 
Forse tutta quella fantascienza non era poi così male. L’unico problema era capire chi glieli lasciasse.  
Ripensandoci, Melissa non ne sapeva nulla come nemmeno le due infermiere della mattina. Scott non glieli aveva portati e nemmeno suo padre. Poi c’era il ragazzo che da due giorni passava davanti alla sua stanza. Perché mai avrebbe dovuto lasciargli libri? Nemmeno lo conosceva. 

"Melissa" l'aveva chiamata, avendola vista passare. 

"Sì?" 

"Per caso conosci quel ragazzo che passa, ogni giorno, davanti alla mia camera?" 

"Quale ragazzo?" 

"Nulla, lascia stare."  

C'era qualcosa, in Melissa, che non lo convinceva. Meglio farsene una ragione. Tanto, prima o poi, avrebbe scoperto chi gli lasciava libri. 
Quando quella sera il ragazzo era passato di nuovo di lì, Stiles gli aveva lanciato una felpa, con la speranza che si fermasse.  

"Sei serio?" Aveva risposto il ragazzo con un'espressione dura in viso. 

"Che c'è? Dovevo pur fermarti in qualche modo." 

"Ti bastava parlare." 

"Non dire cavolate, non mi avresti mai ascoltato." 

"In quel caso mi avresti seguito." 

"Si? E con cosa? Queste non funzionano." Disse indicandosi le gambe. 

"Scusa, io..."  

"Lascia perdere. Buonanotte." Lo aveva interrotto Stiles. 


Il ragazzo era uscito senza più dire nulla. Stiles aveva girato la testa. Tre giorni e sarebbe finito tutto, almeno ci sperava. A volte voleva semplicemente picchiare chi lo aveva investito, ma poi si ricordava che non poteva farlo, così lasciava perdere.   

Non aveva dormito bene quella notte. Si sentiva piuttosto agitato eppure non ne trovava il motivo, oltre l'imminente operazione. 
Di certo quella mattina non si aspettava di trovare il ragazzo misterioso davanti alla porta. La situazione dei libri era invariata. Quindi non poteva essere lui. 

"Che c'è?" Aveva chiesto Stiles. 

"Andiamo a fare un giro all'aria aperta." 

"Forse ti sei già dimenticato che le mie gambe sono in ferie?" 

"No, ma questo non vuol dire che non puoi uscire." 

"Ma non lo voglio fare, non se non posso farlo con le mie gambe." 

"Nemmeno se ti dicessi il mio nome?" 

Stiles a quella affermazione aveva strabuzzato gli occhi. 

"Davvero? Non è una scusa vero?" 

"Affatto." 

"Va bene. Chiama Melissa." 

"Posso farlo io." 

Stiles ci aveva pensato su un attimo, poi si era convinto e si era fatto aiutare dal ragazzo. Insomma, continuava a chiedersi perché avesse detto sì, però se a fine giornata avesse saputo come si chiamava, allora sarebbe servito a qualcosa. 

Non si ricordava che stare all'aperto era così bello. Sentire il caldo sulla pelle e quell'odore di primavera, era così bello. 

"Grazie" aveva detto Stiles all'improvviso. 

"Mh?" 

"È bello stare fuori. Non me lo ricordavo. L'unica cosa, potremmo stare lontani dalle macchine?" 

"Come mai?" 

"Sono stato investito. Non credo di aver un buon rapporto con le macchine, ora come ora." 

Il ragazzo aveva sussultato a quella risposta.  

“Si… tranquillo, stiamo nel parco.” 

“Quindi… sconosciuto, come mai vieni qui ogni giorno?” aveva chiesto Stiles 

A te?” 

“A me, cosa?” 

“Perché ti interessa?” 

“Non lo so, ti vedo tutti i giorni qui e mi chiedevo il perché.” 

“Faccio volontariato.” 

“Ah… Quindi anche l’essere qui con me, in questo momento, è per il volontariato?” disse un po’ amareggiato. 

Io… beh…” il ragazzo era stato colto alla sprovvista.  

“Lascia perdere” aveva detto Stiles con un’espressione delusa in volto. “Quindi, il tuo nome?” 

“Faccio volontariato, ma l’essere qui non significa…” Era stato interrotto di nuovo da Stiles 

“Alfred! Ancora? Ti avevo detto di lasciar perdere.” 

“Alfred? Davvero?” 

“Sì, sai, come il maggiordomo di Bruce Wayne” 

“Mi stai dicendo che io sarei il maggiordomo e tu Batman?” 

“Certo che sì, mio caro Alfri.” 

“Sorvolo sul soprannome.” 

“In qualche modo dovrò pur chiamarti, no?”  

Mh 

“Ma se tu mi dici il tuo, potremmo chiudere la questione.” 
 

Stiles ci aveva provato in tutti i modi a farsi dire il nome, ma era sempre riuscito a cambiare discorso. Con la scusa era persino riuscito a portarlo fuori dalla camera.  
A fine mattinata non era comunque riuscito a sapere il suo nome, quindi sarebbe rimasto comunque Alfred. 
Erano rientrati in camera ed era arrivata subito Melissa, la quale si era lasciata prendere e aveva sgridato entrambi per esser stati fuori tutto quel tempo. 
Il ragazzo era uscito dalla camera, salutando. 
Stiles aveva subito chiesto informazioni a Melissa.  

 “Sai come si chiama Alfred?” 

“Chi?” 

“Il ragazzo che è uscito.” 

“No, perché? 

“Non me l’ha ancora detto. Poi, insomma, hai visto che occhi?” 

Stiles, potrebbe essere mio figlio.” 

“Ma è oggettiva la cosa. Tranquilla, non lo dirò a papà” 

“Cosa c’entra John ora?” 

“Guardo solo l’evidente.” 

“Si, riposati che è meglio. Sei stato in giro troppo.” 

 “Colpa di Alfred, non vuole dirmi il suo nome.” 


Melissa aveva sorriso e aveva lasciato la camera. Stiles, invece, aveva tirato su il libro lasciato da un altro sconosciuto e aveva ripreso a leggere.  
Possibile che ultimamente volessero tutti lui?  

Melissa era uscita nel corridoio e aveva trovato il ragazzo rannicchiato in un angolo.  

“Derek!” 

Il ragazzo aveva tirato su gli occhi per vedere chi fosse.  

“Perché non glielo dici?” 

“No. Non ora, non prima dell’intervento.” Aveva detto, guardandola con gli occhi lucidi. 

“Derek, perché? Nessuno ti sta facendo pesare la cosa. Anche John ha capito e ti ha perdonato. Perché credi che lui non lo possa fare?” 

“Perché… se non camminerà più… sarà solo colpa mia.” Aveva detto facendo delle pause per trattenere i singhiozzi.  

“Ascoltami bene, lui camminerà di nuovo, c’è solo bisogno di tempo. L’intervento lo aiuterà solo ad accorciare i tempi. Ora vieni che ti offro qualcosa di caldo. 

Il ragazzo si era tirato in piedi e aveva abbracciato Melissa. La donna non se lo aspettava, ma aveva ricambiato. Aveva sussurrato anche un grazie al suo orecchio. 

“Prego, Alfred” 

Derek aveva semplicemente sorriso.  

“Credo che almeno il tuo nome dovresti dirglielo, per quanto mi faccia ridere Alfred, non si può sentire.” 

Derek si era tranquillizzato ed era tornato a casa. Il giorno dopo sarebbe tornato.  

Stiles aveva finito anche quel libro quella sera. Alla fine non gli importava più di tanto. L’operazione era vicina e la fisioterapia successiva non gli avrebbe lasciato un attimo di pausa. Se non fosse che, il giorno dopo, aveva trovato sul comodino, cinque fumetti di Batman. Sul primo c’era scritta un’altra frase, come quelle che c’erano sui libri. 

 

La vita continua. I tempi cambiano. E la gente cambia con loro. Il mondo è diventato più buio. Più buio fuori. E più buio dentro. Per sopravvivere, c'è chi deve essere più forte. E c'è chi... deve solo ricordarsi come era prima.” D.  

 

Chiaro segno che i libri glieli avesse lasciati Alfred. Quindi il suo nome iniziava con la D, bene, un punto in più da cui partire. Ora gli mancava il perché glieli lasciasse lì.  

Non aveva visto D. Alfred quel giorno, non si era chiesto il perché, sapeva che fare il volontariato non implicava essere lì tutti i giorni. Che poi, lì ci doveva essere stato per forza. Altrimenti aveva qualcuno che lo aiutava. Non ci stava capendo molto, ma sinceramente in quel momento aveva lasciato perdere e aveva preso a leggere. 

E il giorno seguente era arrivato troppo presto. Certo, lo aveva aspettato per un po', eppure in quel momento sperava non fosse arrivato.
Suo padre era arrivato presto quella mattina, ma ora si ritrovava in camera da solo, in quanto stava parlando con i medici. 
Avevano bussato alla porta. 

"Ehi, Dalfred!" 

"Dalfred?" Aveva chiesto perplesso. 

"Hai messo la tua iniziale nei fumetti." 

"Non so di cosa stai parlando." 

"Dei libri e dei fumetti che mi stai lasciando." 

"Se lo dici tu." 

"Dai, non puoi nascondere l'evidente." 

Stiles, intanto, stava cercando di capire cosa stavano dicendo al padre, quindi, di tanto in tanto, cercava di vedere fuori dalla stanza. Derek non poteva non notarlo, così aveva chiesto. 

"Che hai?" 

"Io... oggi mi opero, sto cercando di capire cosa dicono a mio padre." 

Derek non sapeva esattamente cosa dire. 

"Per..." Aveva detto indicando le gambe. 

"Già... quanti anni hai?" Aveva chiesto, all'improvviso, cambiando discorso. 

"Diciotto, perché me lo chiedi ora?" 

"Non so, mi sono reso conto che era un'altra cosa che non sapevo, oltre al nome. Io ne ho sedici." 

"Pesavo avessi scoperto che fosse Dalfred." 

"Idiota." Disse quasi ridendo. 

"Potrei davvero chiamarmi Dalfred." 


Stiles non era riuscito a rispondere. Il padre era entrato in camera dicendogli che tra mezz'ora sarebbe venuto il medico. Stiles non aveva ascoltato più di tanto, anzi si stava chiedendo come mai il padre non si fosse preoccupato della presenza di Dalfred in camera. Insomma, lui non l'aveva mai visto; almeno per quanto ne sapeva lui.  
Era stato riscosso dai suoi pensieri quando, il padre, gli aveva sventolato una mano davanti agli occhi. 

"Figliolo..." 

"Sì, scusa . Pensavo." 

"Andrà tutto bene." 

"Mh, lo so." 


Derek si era sentito abbastanza fuori posto, così, senza dire nulla, era uscito dalla camera. Stiles se ne era accorto e lo aveva richiamato. 

"Ehi Dalfred" 

Derek si era sporto appoggiando una mano allo stipite della porta. "Derek." Aveva detto. 
Stiles aveva sorriso. Dopo cinque giorni, sapeva il suo nome.  

"Ci vediamo quando torno?" 

"Chissà, potrei scappare ora che sai il mio nome." Aveva risposto, Derek, andando via. 

 
Il padre non aveva detto nulla e Stiles continuava a chiedersi il perché. Alla fine aveva lasciato perdere, anche perché era arrivato il medico. Gli aveva spiegato un po' di cose riguardo l'operazione e lui non aveva mai sperato così tanto, che fosse già finita. Suo padre sembrava più agitato di lui, o forse era, semplicemente, meno bravo a nasconderlo. 

L'intervento era durato un paio d'ore. Lo sceriffo si era ritrovato a parlare con Derek durante l'attesa. Scott si era un attimo perso, riguardo a chi fosse Derek, ma poi aveva collegato tutto. Probabilmente si era anche chiesto come mai, Stiles, ancora non ci fosse arrivato. 

"Ragazzo, andrà bene." 

"Lo dice solo per farmi sentire meno in colpa." Aveva risposto, Derek. 

"No, lo dico perché è tutto ciò che posso sperare." 

"Mi dispiace." Aveva detto abbassando lo sguardo. 

"Ne abbiamo già parlato e stai già scontando." 

"Mh, alla fine non mi dispiace il volontariato." 

"Perché non gliel'hai ancora detto?" 

"Non prima dell'intervento." 

"Ho accettato di non dirgli niente, perché lo facessi tu. Ma non far passare troppo tempo, peggioreresti solo la situazione. Tua sorella come sta?" 

"Già, troverò il momento giusto. Bene, sono io che mi sono fatto prendere dal panico." 

"È tutto normale. La prima volta che Stiles ha avuto l'influenza, dopo la morte di mia moglie, sono andato in crisi, non avevo la minima idea di cosa fare. Alla fine me l'ha dovuto dire lui stesso cosa fare e di stare tranquillo; io comunque non capivo nulla in quel momento. Avevo trentacinque anni, tu ne hai diciotto; è più normale nel tuo caso." 

"Già, però questo non cambia il fatto che sia Stiles a pagarne." 

 "Quando glielo dirai e nel caso non la prendesse bene, allora potrai piangerti addosso. Ora no." 

Derek aveva accettato, anche se non sapeva quando avrebbe avuto abbastanza coraggio per dirglielo. 
Quando si era risvegliato, c'erano solo suo padre e Scott in stanza. In compenso c'era un altro fumetto di Batman sul comodino. 
Il padre e Scott lo avevano riempito di domande su come si sentisse, fino a che, lui, non aveva risposto che andava tutto bene e che ancora non sentiva le gambe per via dell'anestesia. Entrambi si erano seduti e avevano aspettato. Scott era andato via con Melissa, non appena quest'ultima aveva finito il turno. Suo padre si era addormentato, come al solito, sulla poltrona e lui aveva tirato su il fumetto, solo per leggere cosa ci fosse scritto sulla prima pagina. Non sarebbe riuscito a leggerlo.
  
 

   "Per vincere la paura bisogna fare proprio le cose che ci fanno paura." D. 
 

Derek. 
Si era ricordato che, ora, sapeva il suo nome. 

 

*** 

 

Erano passati tre giorni dall'intervento. Stiles non aveva ancora visto Derek. La sensibilità nelle gambe c'era e lui aveva iniziato a fare fisioterapia.  
Derek era tornato il quarto giorno. Stiles gli aveva chiesto come mai fosse sparito e lui aveva semplicemente risposto che aveva da fare a casa. 
Quando il giorno seguente lo aveva accompagnato a fare fisioterapia, Derek era rimasto meravigliato dei progressi di Stiles. Riusciva a stare in piedi tenendosi ad una ringhiera, Derek si sentiva bene come se fosse lui stesso a fare quei progressi. Non sapeva come mai si sentiva così, ma forse riusciva ad alleviare tutti i pensieri che aveva e la faccia sorridente di Stiles, lo aiutava ancora di più. 
Stiles aveva fatto vedere i progressi anche al padre, quella sera, quando era arrivato. Quest'ultimo non era riuscito a trattenere qualche lacrima e Stiles, non sapeva perché, ma era ancora più felice. Quella giornata stava andando davvero bene e Derek, ancora una volta, non se l'era sentita di dirgli la verità. Ormai lo accompagnava tutte i giorni a fare fisioterapia. Era comunque lì per fare volontariato e trascorrere del tempo con Stiles, alla fine, non gli dispiaceva così tanto. 

Quando la settimana successiva, Stiles, era riuscito a fare il primo passo, Derek non si aspettava di certo quella reazione. E forse nemmeno Stiles. 
Derek era davanti a lui, che lo teneva per le braccia. Stiles aveva spostato, titubante, la gamba. Non credeva di riuscirci; per quello, quando era riuscito a completare l'azione, si era buttato tra le braccia di Derek e, preso dall'entusiasmo, l'aveva baciato. 
Quando si era staccato, era ancora entusiasta.  "Ce l'ho..." Finché non si era interrotto quando aveva realizzato quello che era successo. "Fatta. Io... scusa non..." Stiles non aveva finito la frase; Derek era rimasto pietrificato per qualche secondo, poi se ne era andato senza dire nulla. 
Stiles non ci era rimasto male, insomma, ormai conosceva, più o meno, il carattere di Derek e quel bacio aveva destabilizzato anche lui, figuriamoci Derek. 
Era tornato in camera e aveva smesso di pensarci solo quando si era addormentato. 

La mattina dopo Derek era arrivato in camera di Stiles intenzionato a dirgli tutto. Stiles non si era fatto pregare due volte, aveva accettato subito di andare fuori a fare un giro. 

"Senti, Stiles..." Derek aveva iniziato esitante e Stiles l'aveva fermato subito. 

"No, ascolta, io non volevo. Cioè, insomma, forse un po' sì, ma ieri mi sono fatto prendere dall'entusiasmo e..." 

"Aspetta, non è di quello che volevo parlarti. C'è una cosa che devo dirti." Aveva detto abbassando gli occhi. 

"Ah, io credevo che... Ok, scusa, dimmi. Sono tutt'orecchie." 

Derek aveva preso un respiro profondo "Sono stato io." Aveva detto tutto d'un fiato. 

"Volevi dirmi questo?" Aveva chiesto, Stiles, sorridendo prima di continuare. "Lo sapevo, dai, abbiamo parlato di Batman e il giorno dopo avevo cinque fumetti sul comodino e vorrei ricordarti che..." 

Non aveva finito nemmeno quella di frase. "No, Stiles. Non intendevo per quello. Quello lo sapevo che mi avevi già scoperto. Io... Sono stato io ad investirti. Io non ti ho visto, cioè non ero attento. Mi avevano chiamato dalla scuola di mia sorella dicendo che stava male ed era la prima volta che succedeva dopo che sono morti i miei genitori. Io ero in piena crisi, non capivo nulla e non ti ho visto attraversare e... 

Derek aveva preso una pausa, perché Stiles non aveva mosso ciglio. 

"Va via." 

"Stiles, io..." 

"Vai." Aveva ripetuto. 

"Ti riaccompagno dentro." 

"Non ce n'è bisogno. Me la cavo da solo. Vattene." 

Derek si sentiva come se avesse ricevuto una pugnalata allo stomaco. Certo, non si aspettava i salti di gioia, ma almeno voleva finire di spiegargli. Era rientrato in ospedale e aveva detto a Melissa di andare in giardino ad aiutarlo. 
Quando era arrivata aveva trovato Stiles a pensare.  

"Tu lo sapevi. Non è così?" 

"Sì, Stiles. Mi spiace." 

"Anche papà?" 

 "Sì. È stato Derek a chiamare i soccorsi, così come ha detto tutto a tuo padre il giorno stesso." 

"Quindi tutte le volte che vi ho chiesto se sapevate come si chiamasse, mi avete mentito." 

"Noi... sì" 

"Perfetto." Aveva detto amareggiato. 

Quando era arrivato in camera si era sdraiato girandosi dalla parte della finestra, senza guardare più la porta. Melissa aveva chiamato John, il quale era arrivato poco dopo. Era entrato nella camera e, Stiles, non si era girato. 

"Figliolo." Aveva chiamato facendo il giro del letto. "So che non ti abbiamo detto nulla e che sei arrabbiato. Però..." 

"Arrabbiato? Te l'ho chiesto migliaia di volte e nessuno mi ha mai detto nulla. Non hai pensato di dirmelo nemmeno quando hai visto che io e Derek stavamo diventando amici." 

"Non voleva che lo facessi. Voleva dirtelo lui, quando sarebbe stato pronto." 

"Dopo due settimane?" 

"Stava cercando di superare i sensi di colpa." 

"Quindi tanto valeva prendermi in giro tutto questo tempo." 

"No, non volevamo questo. Volevamo che ti concentrassi sull'intervento e sulla riabilitazione. Non volevamo mentirti." 

"A me non sembra così" 

"Ascolta, so che ormai le cose sono andate così, ma non rovinare tutto. Prova a pensare razionalmente. So che ora vedi solo la rabbia, ed è giusto così. Ti senti tradito, ma cercavamo solo il tuo bene, quello che poteva aiutarti di più a rimetterti in sesto." 

"Già. Ora voglio dormire." 

"Va bene. Io sarò qui, come sempre." 

Stiles aveva chiuso gli occhi; nonostante quello non aveva preso sonno subito, aveva continuato a pensare. A qualsiasi cosa. A quelle settimane, a quello che gli aveva detto Derek, a suo padre e a qualsiasi cosa che gli passasse per la testa in quel momento.  
Il giorno dopo aveva trovato un altro libro sul comodino. Derek era fuori dalla porta e quando lo aveva visto, aveva solo notato il padre che usciva per parlare con lui e si chiudeva la porta alle spalle.  
Era stato tentato di non aprire il libro. di non vedere ciò che gli aveva lasciato scritto. Ma, poi, era stato più forte di lui. Così lo aveva tirato su e lo aveva aperto.      
 

"Non guardare indietro 
Anche le cicatrici più profonde col tempo scompariranno." 

So di aver sbagliato a non dirtelo subito, ma lasciami spiegare. 
Derek 

 

Stiles lo aveva letto due o tre volte quel messaggio. Poi era rimasto a guardarlo per un po' di tempo. Quel giorno non era nemmeno andato a fare fisioterapia. Non aveva voglia di far nulla. Scott era andato lì nel pomeriggio, ma neanche lui era riuscito a migliorare la situazione.  
Aveva letto il libro, questo era abbastanza corto e gli era anche piaciuto a dire la verità. Ora, più che altro, gli sembrava di avere uno spacciatore di libri che glieli passava di nascosto.  
Era stato quando aveva letto la frase che, Derek, gli aveva lasciato dietro al libro, che aveva deciso di dargli un'altra possibilità il giorno dopo. 
 

 "A volte la cosa più difficile non è dimenticare, ma imparare a ricominciare da capo." 

 
Forse era davvero così. Forse era molto più difficile lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare. 
Quando aveva visto Derek alla porta della sua camera, aveva capito che era ancora più difficile. Gli aveva fatto gesto di entrare, altrimenti era sicuro che sarebbe rimasto lì per tutta la mattina. Non si era avvicinato più di tanto. 

"Stiles, io... so di aver sbagliato, ma credevo fosse la cosa più giusta per te. Non volevo turbarti prima dell'intervento e i sensi di colpa non mi hanno fatto parlare per la maggior parte del tempo. Poi quando mi hai baciato, ho capito che quella situazione non faceva bene né a me né a te. Così ho agito e ti ho detto tutto." 

"Lo so, l'ho visto in modo razionale e ho capito. O meglio mi sono sforzato. Poi devo dire che scegli sempre frasi che ti distruggono, da mettere nei libri. Se ci penso e ripenso, è come se mi fossero entrate dentro. Quindi... Piacere, Stiles! Tu?" 

Derek aveva sorriso "Derek. Ti va di uscire un po'?" 

"Assolutamente. Ho uno sconosciuto da imparare a conoscere." 

"Fammi indovinare... Si chiama Alfred?" Entrambi avevano iniziato a ridere. 

Non era stato poi così difficile, almeno con Derek. Il resto, sarebbe venuto da solo.
















Note: Ok, qualche premessa (Tralasciamo che è alla fine, la mia testa è montata al contrario): non ho assolutamente conoscenze mediche in questo campo, quindi tutte le tempistiche e le cose scritte non so quanto siano vicine alla realtà.
Questa storia era iniziata da un po', ma non l'avevo mai finita. Poi ho avuto la malsana idea di dirlo e qualcuno mi ha fatta andare avanti, quindi eccola qui. Le prime due citazioni nei libri, c'è scritto di chi sono; la terza e la quarta vengono dai fumetti di Batman; la penultima è tratta dalla traduzione di una canzone dei Rise Against e l'ultima è di Nicole Sobon. 
Vi ringrazio come sempre se avete deciso di leggere e di arrivare fino a qui. Se sopravvivo alla sessione invernale, ci vedremo tra qualche mese.
Grazie ancora e alla prossima.

   
 
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