Grazie
a
tutti per i bellissimi commenti!!!^^
Sono
contenta che la storia vi piaccia… e spero potrà
piacervi anche il seguito.
Anche perché, se così non sarà, mi
dovrò ritenere sconfitta come scrittrice.
U.U Ma
migliorerò, ve lo prometto! ç.ç
*sta facendo tutto lei*
Deliri a parte, veramente.. grazie a tutti per le bellissime recensioni!!^^
LadyT.. vedrai lati di me che non penseresti mai di conoscere! XD
Vi lascio questo primo chap! Spero vi piaccia!^^
Enjoy it!
Miky91CHAP
1
I
migliori momenti
dell'amore sono quelli di una quieta e dolce malinconia dove tu piangi
e non
sai di che, e quasi ti rassegni riposatamente a
una
sventura e non sai quale.
(Giacomo
Leopardi)
La
notte era
scesa.
Il giorno si
era concluso.
Il vento
soffiava freddo tra le persiane mentre, il picchiettare della pioggia,
difficilmente avrebbe permesso a Lisa Cuddy di riuscire a far
addormentare
Rachel.
La stringeva
al petto, cullandola dolcemente. Riusciva a percepire i suoi battiti,
il suo
respiro… così tenero e così dolce.
Da quanto
tempo desiderava stringere a se una bambina? Da quanto desiderava avere
una
bambina da allattare, da accudire, da amare….?
Tre anni.
E adesso,
finalmente, sua figlia era tra le sue braccia.
Tre anni di
desideri, speranze, e, inevitabilmente, anche sofferenze. Tutte cose
che però
aveva condiviso con una persona…. con lui.
Cuddy
sorrise vedendo Rachel fare un piccolo sbadiglio mentre, ormai
assonnata, si
rannicchiava ancor di più sul suo petto.
Erano
proprio quei piccoli gesti che le riempivano il cuore di gioia, che la
facevano
stare bene sia come donna che come madre.
Che le
facevano dimenticare tutto ciò che era successo in quel
periodo… anche se per
pochi attimi.
L’ospedale
ormai senza Gregory House era come un contenitore vuoto, o forse, lo
era
semplicemente lei.
I giorni
erano monotoni, infiniti nella loro limitatezza. Il tempo, ora dopo
ora,
sembrava non aver più voglia di fuggire.
Le mancavano
i suoi scherzi, i suoi giochi di potere, i loro battibecchi, i suoi
insulti
persino.
Le mancava
tutto di lui.
Alle volte
chiudeva gli occhi e lo immaginava irrompere nel suo ufficio con in
mano dei
documenti da firmare per chissà quale impossibile
operazione, altre invece, lo
immaginava giocherellare con quella pallina rossa e grigia che tanto
amava e
che tanto gli era utile per i casi più disperati.
Ma tutto questo,
lo sapeva, non sarebbe avvenuto…perché lui non
era più al suo fianco.
Chiuse gli
occhi, cercando di ricacciar indietro quei tristi pensieri, legati poi
a dei
stupidi sentimenti di un amore impossibile.
Un amore che
lascia la sua impronta solo nella sofferenza.
Sospirò
debolmente, notando che adesso Rachel si era completamente addormentata.
“Buona notte
piccola.” le sussurrò, dandole un bacio sulla
fronte e deponendola nella culla.
Si
diresse
in cucina, mettendo sul fuoco un po’ d’acqua.
Erano le
21:00... e tuttavia non aveva cenato.
Indossava
ancora il tailleur che aveva messo per andare a lavoro e, adesso,
ciò di cui
aveva veramente bisogno era un bel bagno caldo.
Ma
l’improvviso picchettare alla porta le fece svanire ogni
speranza di un po’ di
relax.
Eppure, per
quanto stanca potesse essere, non appena aprì la porta e
vide James Wilson di
fronte a se, il suo volto si illuminò, ringraziando il cielo
che l’oncologo
fosse riuscito a trovare il tempo di venirla a trovare.
“Wilson!-
esclamò contenta – Vieni entra o ti
bagni.”
“Ciao
Cuddy…” l’oncologo seguì il
consiglio, entrando velocemente per evitare la
pioggia.
Cuddy gli
sfilò via il giaccone, attaccandolo
all’appendiabiti “Pensavo di vederti domani
a lavoro.”
“Ti avevo
detto che se ce la facevo passavo.”
Lei annuì,
facendo accomodare l’oncologo nel salone e, non appena vide
che si era
sistemato nel divanetto, iniziò:
“Com’è andata?”
Wilson
scosse il capo sospirando, mentre dal suo sguardo traspariva stanchezza
“Non
riesco più a stabilire un dialogo con lui.”
“Ma sta bene
almeno?” domandò preoccupata la dottoressa,
sedendosi al suo fianco.
“Ho parlato
con i suoi medici e mi hanno detto che hanno provato a fargli un
po’ di test di
routine… per confermare che si ratta di un problema
mentale.”
“Che
imbecilli.” sbotto Lisa seccata.
“Scoperto
che non aveva nulla di fisico, sono passati ad analizzare il problema
mentale.
L’hanno sottoposto a vari test sulla concentrazione, altri
sul linguaggio…
tutto negativo. Secondo ciò che fino adesso hanno fatto,
House è in piena
salute mentale.” concluse Wilson con rassegnazione, come se
cercasse di auto
convincersene.
Cuddy
abbassò lo sguardo “Almeno non è
schizofrenia.”
“Qualcosa
deve essere. Non posso pensarlo chiuso là dentro senza che
possa ricevere un
aiuto vero e proprio.”
“E lui… come
sta? Avete parlato?”
“È
frustato.- Wilson si portò una mano sugli occhi, facendo
tornare i pensieri a
quel che era accaduto quel pomeriggio – Non sopporta
più la mia presenza. È
arrivato al punto da cacciarmi via perché gli avevo chiesto
se c’erano
progressi. –fece una pausa, inumidendosi le labbra - Lo sto
perdendo… e non
sono capace di evitarlo.”
“Non è colpa
tua.” lo consolò Cuddy, non riuscendo
più a trattenere un’espressione di tristezza.
Wilson annuì
amaramente “Intanto sarà meglio evitare di andare
da lui per un po’. È
arrabbiato, frustrato, e soffre a causa delle allucinazioni. Se torno
da lui
gli farei ancora del male.”
Il pentolino
che pochi attimi prima Cuddy aveva messo sul fuoco iniziò a
fischiare
improvvisamente, costringendo la dottoressa ad andare a spegnere il
fornello.
Solo ora
Wilson stava notando l’abbigliamento elegante di Cuddy e,
guardando l’ora,
aveva capito che probabilmente la dottoressa non aveva avuto nemmeno il
tempo
di cambiarsi o di mangiare. Si alzò, pensando che
probabilmente era meglio
andar via… del resto ciò che le doveva dire
gliel’aveva detto. E poi anche lei
meritava un po’ di riposo.
“Sarà meglio
che vada.” urlò dal salotto, mettendosi in piedi e
prendendosi la propria
giacca.
Lisa lo
raggiunse nel corridoio qualche secondo dopo “Se
vuoi… posso andare io a
trovare House.” sussurrò.
“No.”
“Wilson…
sono due mesi che è lì dentro e io non sono
mai..”
“Ed è meglio
cosi.” esclamò l’oncologo, andando per
aprire la porta.
“Dannazione,
mi vuoi spiegare il perché!? - sbottò Cuddy,
strappandogli di mano la giacca e
costringendolo a guardarla in faccia – Mi hai detto di non
telefonargli, di non
farmi sentire… mi hai detto di non andarlo a trovare e che
mi avresti portato
tu sue notizie. Ho fatto come dicevi perché mi
fidavo…ma se adesso tu non ci
vai, se adesso non potrò sapere come sta, come pensi mi
debba comportare io!?
Dammi solo una ragione per lasciarlo marcire là dentro in
solitudine!”
Wilson abbassò lo sguardo, riflettendo sul da farsi.
Cosa avrebbe
dovuto dirle?!
‘No, non ci andare,
perché se ti vedesse starebbe
peggio? Perché
in realtà ciò che l’ha
portato a tutto questo è stato il credere di averti
amato?!’
“La cosa
migliore al momento è lasciare che i medici facciano il
proprio lavoro. – si
limitò a dire dopo un attimo di riflessione – Se
tu ci andassi, House starebbe
peggio perché capirebbe quanto gli manca la sua vita.
È per questo che io non
ci andrò più. Non voglio farlo soffrire
più di quanto già non soffra. – fece
una pausa, guardandola negli occhi – E poi… non
penso gli farebbe piacere farsi
vedere da te ridotto in quelle condizioni.”
Cuddy esitò
un attimo poi, stanca, gli porse la giacca “Ok... anche se
non penso sia una
soluzione tutto questo.”
“Diamogli
tempo. – le rispose l’oncologo, indossando
l’indumento – Spero solo che vada
tutto bene.”
“Spero solo
che tu non ti sbagli.” puntualizzò Cuddy.
Wilson annuì
colpevole, conscio che, nonostante la sofferenza che questa decisione
stava
procurando sia a Cuddy che ad House, tutto questo era la cosa migliore.
“Lo spero
anche io.” concluse, uscendo di casa e lasciando la
dottoressa immobile davanti
la porta.
Cuddy fissò
il freddo legno del portone oltre il quale immaginava la figura di
Wilson
allontanarsi.
Vide anche
un’altra figura allontanarsi… non dalla sua casa
ma da lei, e non era di certo
Wilson.
Rimase
immobile mentre le lacrime scesero silenziose sulle sue guance.
Che Wilson
le stesse nascondendo qualcosa era palese quanto il colore marrone del
cioccolato… ma la cosa che più le faceva rabbia
era che, ne era certa, in
qualche modo rientrava con House.
E il dolore
di non poter conoscere la verità, il dolore di non poterlo
vedere, di non
potergli stare accanto… la fecero immediatamente scoppiare
in un pianto dirotto
che difficilmente, quella sera, si sarebbe arrestato.
To be continued…