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Autore: Therru    01/02/2017    2 recensioni
Poteva dire di sapere tutto di Bokuto.
Sapeva cosa lo rendeva felice e cosa lo buttava giù; sapeva quando era più probabile che rispondesse ai suoi messaggi la domenica mattina (tra le 10 e le 11), sapeva ogni quanto ricomprava il gel, sapeva in quale momento della giornata gli piacesse mangiare dolci.
Sapeva tutte queste cose, ma non per via di un'ossessione o di una semplice curiosità: era nella sua natura. Akaashi osservava, calcolava, memorizzava. Lo faceva in campo quanto nella vita. E Bokuto... beh, semplicemente Akaashi aveva molte più occasioni di osservare lui che chiunque altro.
(One-shot dedicata alla mia adorabile "Bokuto" personale. E' estremamente semplice, spero che il mio impegno nell'averla scritta compensi... Grazie a chi vorrà darci un'occhiata!)
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Keiji Akaashi, Koutaro Bokuto
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Poteva dire di sapere tutto di Bokuto.
Sapeva cosa lo rendeva felice e cosa lo buttava giù; sapeva quando era più probabile che rispondesse ai suoi messaggi la domenica mattina (tra le 10 e le 11), sapeva ogni quanto ricomprava il gel, sapeva in quale momento della giornata gli piacesse mangiare dolci.
Sapeva tutte queste cose, ma non per via di un'ossessione o di una semplice curiosità: era nella sua natura. Akaashi osservava, calcolava, memorizzava. Lo faceva in campo quanto nella vita. E Bokuto... beh, semplicemente Akaashi aveva molte più occasioni di osservare lui che chiunque altro.
Per molti versi si poteva dire che Bokuto fosse un libro aperto: il suo stato d'animo era sempre trasparente, non si faceva problemi a mascherare i propri desideri, né a parlare di sé (né a volerne sapere di più sugli altri, del resto).
Ma Akaashi sapeva anche che non era tutto qui. Qualcosa in Bokuto lo affascinava: il fatto che, per quanto trasparente e semplice potesse apparire, qualcosa in lui non emergeva, e forse nemmeno per sua volontà. Anzi, probabilmente nemmeno lui sapeva di avere qualcosa di nascosto, ed era quel qualcosa a ossessionare Akaashi, da un po' di tempo.
Qualcosa distraeva Bokuto. Qualcosa lo faceva svegliare un'ora e mezza prima, le domeniche degli ultimi mesi. Qualcosa gli aveva fatto consumare più velocemente i tubetti di gel. Qualcosa lo spingeva a mangiare nervosamente a orari improponibili.
Qualcosa, quel giorno, gli fece calcolare male la battuta e lo fece cascare a terra tenendosi le dita della mano destra, ringhiando con una smorfia di dolore.
-Ahi...!
Akaashi fece un cenno ai ragazzi del club dall'altra parte della rete, mentre si affrettava a raggiungere Bokuto, ancora seduto a terra intento a stringersi le dita.
-Fammi vedere, Bokuto.
Il ragazzo alzò lo sguardo verso di lui, il labbro inferiore sporto all'infuori e le sopracciglia contratte in un'espressione dolorante.

-Sto benone, Akaashi...
Il moro sospirò. Quel cocciuto orgoglio da capitano faceva a pugni con il suo infantile bisogno di attenzioni.

-No, non è vero. Alzati, ti accompagno in infermeria.

Bokuto si alzò, stavolta senza lamentele, sotto lo sguardo dei compagni di squadra.
-E' solo una piccola storta, eh. Non osate fare punti senza di me, perché tornerò a giocare subito!
Akaashi sospirò. Un bambino.


Camminando con Akaashi lungo il corridoio, il capitano si attardò qualche istante per esaminarsi le dita: l'unghia dell'anulare si era spezzata e il dito era leggermente storto verso il medio. Qualche goccia di sangue cominciò a sgorgare da sotto l'unghia rotta.
“Merda...”
Bokuto si portò il dito alla bocca per leccare via il sangue e cercare di calmare il dolore. Il suo sguardo si spostò dalla mano al ragazzo che camminava a pochi passi da lui.
Era sempre stato così magro, Akaashi? Con quella vita stretta e quelle gambe snelle? La sua nuca era sempre stata così... così...
Non sapeva bene come descriverla, ma non riusciva a smettere di guardarla. Sembrava liscia ed era perfettamente collegata alla schiena. I ciuffi mori vi ricadevano leggermente arruffati, come le piumette dietro la testa di un uccellino (solo che il collo di Akaashi era decisamente più lungo e slanciato).
Non si era mai trattenuto dall'esprimere la sua genuina invidia per i capelli di Akaashi, sempre così puliti, e disordinati in quel modo che Bokuto trovava sinceramente fico. Ma non si era mai soffermato su quanto l'attaccatura sulla nuca fosse... interessante. Sulla destra, formava una specie di vortice, che si perse ad osservare.
Quando l'amico si voltò per aspettarlo, Bokuto si ritrovò a sperare di non essere arrossito.

 

-Senti ancora male? Stavi sanguinando, no?
Akaashi rovistò nell'armadietto, estraendo disinfettante, cerotti e garze adesive.
-Uh... fa male solo se provo a muoverlo.
Bokuto si lasciò cadere su una sedia di plastica, stirando le braccia e le gambe.
-Uff, Akaashi...! Proprio mentre ero esaltato al massimo!
-Ringrazia che non è successo durante una partita vera. Almeno ti servirà per stare più attento, la prossima volta.
“Perché so che sei distratto”.
In tutta risposta, Bokuto sbuffò dalle narici.
-Non è questo che dovresti dire. Dovresti dire “non è niente, Bokuto, si sistemerà in un attimo e tornerai subito a fare schiacciate da record”.
Akaashi si sedette accanto a lui, in mano un batuffolo di cotone imbevuto di disinfettante. Lo fissò a lungo, severamente, prima di dire: -Non è niente, Bokuto, si sistemerà in un attimo e tornerai subito a fare schiacciate...
Gli prese la mano nella propria e tamponò attentamente l'unghia rotta con il cotone.
-...moderatamente impressionanti.

-Akaashi!
Il moro non riuscì a trattenere un sorriso divertito, mentre prendeva la garza adesiva per fasciare insieme il medio e l'anulare. L'altro si morse le labbra per trattenere un lamento, ma ovviamente Akaashi se ne accorse, perché non si lasciava mai sfuggire nulla per quanto riguardava Bokuto. Sapeva che provava dolore, sapeva che gli dispiaceva aver abbandonato i compagni di squadra, nonostante fosse solo una partita di allenamento all'interno del club. Sapeva che non voleva mostrarsi vulnerabile, a lui meno che a tutti.

Sapeva che lo stava osservando. Sapeva che i suoi occhi seguivano ogni movimento delle sue dita lunghe e affusolate. A confonto, quelle di Bokuto apparivano quasi tozze – a questi, almeno, ma non ad Akaashi. Di rimando, lui osservava le sue dita forti, che avrebbero potuto tanto distruggere quanto proteggere qualcosa. Inconsciamente, rallentava sempre di più i movimenti delle dita, per dargli il tempo di osservare.
Inconsciamente, perché il suo battito incessante ed inspiegabile gli impediva di pensare, di calcolare, di analizzare la situazione. E questo lo mandava nel panico. Lui, Akaashi, nel panico. Non l'avrebbe mai ammesso a se stesso.

-Grazie, Akaashi.
Bokuto scattò in piedi, esaminandosi le dita fasciate.
-Cerca di non muoverle troppo- disse il moro di rimando, mettendo via garze e disinfettante. Rimase girato di schiena, le mani sulle maniglie dell'armadietto.
-...e di non farti male di nuovo.
-Ti preoccupi? Finalmente sei un po' gentile con me, Akaashi!
Rimase interdetto quando l'amico si voltò a guardarlo. Non era esattamente un'occhiataccia: sembrava quasi... deluso? Bokuto non seppe decifrare il suo sguardo tagliente e magnetico, ma sentì distintamente il tuffo al cuore che gli provocò. Un lievissimo senso di colpa. Un'improvvisa voglia di ringraziare come Dio comanda quel ragazzo, che – se ne rendeva conto – era sempre così comprensivo con lui.
E poi successe una cosa che non si sarebbe mai aspettato: l'angolo delle labbra di Akaashi si sollevò leggermente, rivelando un sorriso sarcastico, intrigato, che raramente gli aveva visto fare. Un secondo tuffo al cuore, che stavolta lo impietrì completamente.
Akaashi gli passò vicino per dirigersi verso la porta, dandogli un pugno scherzoso sulla spalla.
-Non hai bisogno che io sia sempre gentile con te. Muoviti, dai.
Il capitano si attardò qualche secondo, sbattendo gli occhi, cercando di elaborare le parole dell'altro.
Aveva bisogno che Akaashi fosse gentile con lui? Forse sì. Gli piaceva che lo fosse. Ma voleva davvero che Akaashi si prendesse la briga di essere gentile con lui? Gli amici hanno bisogno di essere “gentili”?
Forse no. Era questo che l'amico stava cercando di dirgli? Che fra di loro era tutto a posto anche quando Akaashi perdeva la pazienza? Che contava su di lui perché sapeva che era forte? Questo pensiero lo riscaldava.
“Uff, Akaashi è sempre così difficile...” si disse, prima di incamminarsi a sua volta lungo il corridoio.
In tutta quella confusione, Bokuto avrebbe voluto baciarlo.
Ma questo Akaashi non lo sapeva.
 

Non gli era bastato il consueto allenamento, ovviamente. Bokuto si tratteneva quasi sempre un po' di più per allenarsi da solo, o – spesso e volentieri – in compagnia di Akaashi: ma negli ultimi tempi questo succedeva ogni volta, e Bokuto non si accontentava di 30, 40 minuti in più. Negli ultimi tempi usciva dalla palestra almeno un'ora più tardi.
Akaashi non lo dava a vedere, ma era preoccupato. Non tanto per la mostruosa quantità di tempo che Bokuto passava in palestra (anche se lo incuriosiva, come tutte le altre strane abitudini che il capitano aveva preso ultimamente) ma perché sembrava che tutto l'allenamento in più non desse i suoi frutti. E Bokuto era palesemente sconcentrato.
Mancò due delle alzate del vice, quella sera, quando tutti se n'erano andati già da un po'. Altre le mandò fuori dal campo, altre furono troppo lunghe, o troppo corte, altre finirono contro la rete. E quelle che andavano a segno, beh, non lo soddisfavano.
Akaashi sentiva di dover fare qualcosa, ma non capendo l'origine del malessere dell'amico, non sapeva come agire. Lo osservò, tutta la sera, come sempre. Lo studiò con molta più attenzione del solito.

Alzò la palla un'altra volta. Si concentrò sul corpo di Bokuto, sul suo braccio, sulla sua espressione prima, durante e dopo la battuta.
E fu a quel punto che se ne accorse.
Bokuto non guardava la palla. Appena girava di poco la testa per seguirne la traiettoria, i suoi occhi si fermavano su Akaashi. E lì rimanevano, per quei pochi decimi di secondo, finché la palla non toccava la sua mano, sorprendendolo – o non passava dall'altra parte, cosicché la sua mano sferzava l'aria.

Akaashi rimase immobile, le braccia ancora a mezz'aria. Il tonfo della palla che rimbalzava a terra, fuori dalla linea del campo, fu l'unico rumore nell'atmosfera pesante che si era creata improvvisamente.
Non gli ci volle molto per fare due più due.
Come se stesse riavvolgendo un nastro, Akaashi ripensò a tutte le schiacciate che aveva visto fare a Bokuto negli ultimi tempi: la sua memoria gli permise di ricordare qualche dettaglio – la posizione del capitano prima della battuta, impeccabile; la sua bocca contratta in una smorfia concentrata, ma tradita dai suoi occhi. Distratti. Da Akaashi. Voleva scoprire il mistero dietro allo strano comportamento di Bokuto? Eccolo lì. Per quanto fosse assurdo, non c'era altra spiegazione.
Nel silenzio agghiacciante della palestra – solo il respiro ansimante e affaticato di Bokuto in sottofondo – il moro provò a ragionare su quella conclusione strampalata, ma il fischio nelle orecchie e il cuore che gli martellava in petto lo mettevano in seria difficoltà.

Akaashi non era stupido, ma in quel momento si sentì un completo idiota. La sua logica infallibile aveva fatto cilecca per un bel po' di tempo. E il suo cuore aveva provato a dargli dei segnali che lui, fedele al ragionamento matematico, aveva deliberatamente ignorato – come poche ore prima, mentre fasciava le dita a Bokuto.

Buffo, il collegamento tra questi due organi: spesso, il cuore suggerisce al cervello immagini che sembrano totalmente casuali, e a cui quest'ultimo si rifiuta di trovare un senso, finché questo non gli si palesa davanti. E a quel punto il cuore dice “te l'avevo detto”.

Così, Akaashi rivide Bokuto chiamarlo la domenica mattina alle 8 e mezza, per chiedergli se voleva andare con lui a correre. Lo risentì chiedergli “Akaashi, ti sembra che siano fuori posto?” indicando i propri capelli e spremendo il tubetto di gel per farne uscire il più possibile. Ripensò alla sua proposta di andare a mangiare un gelato alle 6 di sera.
Alzò lo sguardo verso di lui, teso, sudato, spettinato, il respiro affannoso e le mani appoggiate alle ginocchia. Lo sguardo perso, quasi sconvolto.

Si avvicinò a lui senza pensarci troppo. Aveva il cervello annebbiato, in ogni caso, e il suo battito si stava facendo decisamente invadente.

-Tutto bene?
Bokuto non rispose. Mantenne lo sguardo fisso davanti a sé, riprendendo fiato.
-Senti, forse è meglio se ti fermi, per oggi.
-No. Ancora una.
Akaashi sospirò.
-Bokuto, sei stanco e distratto. Continuare per forza ti farà solo innervosire di più.
-Non sono distratto.

-Lo sei.

Bokuto si raddrizzò, stiracchiandosi la schiena. Recuperò la palla e lanciò ad Akaashi un'occhiata da bambino offeso.

-Sai sempre tutto tu, Akaashi...
Il suo tono di scherno lo sorprese. Strinse i pugni, sentendo la pazienza esaurirsi.

-...Senti, Bokuto, mi sono accorto che qualcosa non va, non sono stupido. E neanche tu. Quindi vedi di...
...Lo stava ascoltando o no? Si rigirava la palla tra le mani, tenendo lo sguardo basso, le sopracciglia corrugate. Le labbra erano ancora arricciate in una smorfia offesa.

Il suo sguardo si spostò di nuovo su Akaashi, ma stavolta lo fece vacillare. Era davvero Bokuto, quello? Con quello sguardo serissimo, penetrante e... adulto?

Il moro sbatté le palpebre, alzando un sopracciglio. Aprì le labbra, ma la sua bocca era asciutta.

-...Bokuto, se hai qualcosa da dirmi...
-E va bene, mi piaci, l'ho detto.


Bokuto distolse lo sguardo da lui e tornò a far rigirare la palla. Quando la lasciò cadere per terra, si accorse di quanto stesse tremando.
-...Oddio, l'ho detto davvero.
Certo, pensava che Akaashi l'avrebbe scoperto prima o poi, era troppo sveglio. Ma non... così. Non pensava che avrebbe dovuto dirglielo, ecco.
“Stai calmo. Stai calmo.” Il battito incessante nel suo petto e nella sua testa non sembrava ascoltarlo. “E se ridesse di me? Potrebbe odiarmi. Potrebbe dirmi che sono un idiota e non parlarmi più. Ancora peggio, potrebbe non crederci”.

Si voltò lentamente verso Akaashi, e gli sembrò quasi di vedere i propri occhi nei suoi: non l'aveva mai visto con un'espressione tanto stupita. La bocca era la solita linea inespressiva, ma gli occhi... gli sembrò strano che gli occhi sottili e allungati di Akaashi potessero strabuzzarsi a tal punto.

-Uhm... va tutto bene? Non ti...
Si interruppe per giocherellare nervosamente con il dito fasciato.
-Non mi odi, vero, Akaashi?
Gli occhi dell'amico si spalancarono ancora di più. Dentro di sé, Bokuto pensò ad un gufo.
-Certo che no, scemo.
Akaashi rilassò le spalle e si grattò la nuca. Sorrise leggermente a quella domanda tanto assurda. Odiare Bokuto? Si chiese se fosse umanamente possibile.

-Non dirmi che non te n'eri accorto.

-...No. L'ho sospettato, poco fa, ma prima non me n'ero accorto, no.

-Meno male che non eri stupido.
Il moro sollevò un sopracciglio, incrociando le braccia.

-Eddai, Akaashi, scherzo. Comunque... è da mesi che ti spoglio con gli occhi, come hai fatto a...

Alla parola “spoglio” Akaashi aprì la bocca per interromperlo, ma si ritrovò di nuovo a non emettere alcun suono. Vedendolo paonazzo, Bokuto avvampò a sua volta, rendendosi conto di essere stato forse un po' troppo diretto.

-Ah... no, cioè, non volevo-

E non ebbe il tempo di continuare, perché in tempo zero si ritrovò con le labbra incollate a quelle di Akaashi e il viso tra le sue mani.
Il moro non aveva trovato altro modo per sfogarsi: per liberare il sentimento che cresceva dentro di lui da quando Bokuto lo cercava la domenica mattina presto, da quando gli chiedeva dei propri capelli e ammirava i suoi, da quando aveva cominciato a ingozzarsi fuori dai pasti. Quel senso di calda vicinanza, di lusinga, di tenera apprensione. Il fatto che le stranezze di Bokuto traessero origine da lui lo faceva sentire in colpa, ma allo stesso tempo, in fondo, lo adorava. E adorava sentire di poterlo ricambiare.
Adorava sentirsi a proprio agio, lì, con le labbra dolcemente premute contro le sue. Adorò sentire le braccia di Bokuto che lo avvolgevano protettive, e allo stesso tempo bisognose di un appiglio.

In risposta, Akaashi approfondì il bacio, senza timore, e allacciò le braccia intorno al suo collo. Nella sua testa, un calore estremamente piacevole, leggero.

Quello scemo. Lo faceva spazientire, innervosire, esasperare; ma nessun'altro sapeva farlo rilassare, sorridere, ridere. Non riusciva a immaginarsi, senza Bokuto.

Il bacio fu lungo, timido. Quando si staccarono mantennero le guance premute l'una contro l'altra per un po', riprendendo fiato, per poi guardarsi negli occhi, straniti e luminosi.

 

Bokuto scostò lo sguardo, le orecchie e la fronte lievemente arrossate.

-...Non ti spogliavo con gli occhi. Ti guardo, ogni tanto. Spesso. E ho visto che sei dimagrito, sicuro di mangiare abbastanza?

-Sì, Bokuto.
Bambino capriccioso e mamma chioccia insieme. Quel ragazzo era veramente qualcosa di incredibile.
Era incredibile anche quanto si sentisse a suo agio lì, tra le sue braccia forti e calorose. Le conosceva, le aveva guardate spesso, come le sue spalle, la sua schiena, per capire se la sua postura per la battuta fosse giusta, per determinare dove fosse meglio massaggiarlo un po' quando aveva male ai muscoli – gesto per cui, nonostante le battutine dei compagni di squadra, Akaashi non si era mai fatto problemi. Non si era mai chiesto perché osservare Bokuto fosse così interessante. Ora, da interessante, era diventato piacevole.
-…Anch'io ti guardo, a volte.

Bokuto strabuzzò gli occhi per un secondo di fronte all'espressione pacata e per niente imbarazzata dell'altro. Non gli ci volle molto per rilassarsi, assottigliare lo sguardo e gonfiare il petto, sogghignando.

-Ah sì? Ti godi la mercanzia?

-Bokuto.

L'occhiataccia del moro non ebbe l'effetto desiderato: il gufo non riuscì a fare a meno di ridacchiare, estasiato. Senza pensarci, portò una mano al viso di quello che ora considerava decisamente più di un amico: Akaashi, il suo Akaashi. La persona che lo capiva meglio di chiunque altro; l'unico capace – anche se non sempre – di tenerlo in riga, e Bokuto era felice che fosse lui. La sua ammirazione per Akaashi non minava l'affetto che provava nei suoi confronti. Lo aveva baciato e lo stringeva a sé, e ancora non riusciva a crederci.

-Mi hai baciato, puoi chiamarmi per nome, sai?
L'altro alzò un sopracciglio: educato e formale com'era, forse non aveva preso in considerazione questa possibilità. Per lui era difficile considerarsi “al pari” di Bokuto.
Scrollò le spalle.

-Uh... va bene.

-E io posso chiamarti Keiji?
Bokuto aveva avvicinato il viso al suo con un sorriso entusiasta; Akaashi si sentì arrossire.
-Suppongo di sì.

L'altro si sporse in avanti rapidamente, dandogli un affettuoso bacio a stampo. E poi un altro, e un altro ancora. Keiji si ritrovò a sorridere sulle sue labbra, ricambiando la stretta forte delle sue mani.

 

L'orologio appeso al muro della palestra rintoccò pesantemente l'ora. Si era fatto buio.
-Forse è il caso di andare a farci la doccia.

Bokuto si limitò ad annuire, senza togliersi dalla faccia il sorriso ebete che non lo aveva lasciato per gli ultimi 10 minuti. Prese Akaashi per mano senza esitare: il moro non poté fare a meno di ricambiare con tenerezza.

Percorsero i primi passi in silenzio, esplorandosi a vicenda le dita, le linee del palmo. Bokuto lo aspettava da un po'; Akaashi si accorse di non essere mai stato così bene.

Bokuto ruppe il silenzio voltandosi verso l'altro di scatto, come se si fosse improvvisamente ricordato qualcosa.

-Hey, sono il tuo ragazzo, vero?

 

Il profumo di mandorle gli riempì le narici e non riuscì a evitare di voltarsi verso Akaashi. Con gli occhi chiusi e la testa reclinata all'indietro si massaggiava attentamente i capelli scuri, mentre l'acqua della doccia gli scorreva lungo il petto.

Bokuto deglutì e dovette sforzarsi di scostare lo sguardo. Fino ad allora era riuscito a mantenere una poker face decente e a lavarsi dando le spalle al moro: ma ora che Keiji era il suo ragazzo – era così strano pensarlo, ma lo faceva sentire così orgoglioso – non aveva più motivo di limitarsi.
O almeno, così aveva creduto prima di entrare in doccia: una volta che il suo sguardo si era posato sul corpo dell'altro, si era reso conto che forse avrebbe dovuto pensarci due volte.
Era il suo ragazzo, certo, quindi aveva il diritto di guardarlo; ma si erano soltanto baciati, e stavano insieme da... venti minuti? Diciotto? Quando sarebbe stato il momento giusto per poter guardare Akaashi senza sentirsi invadente? Come si faceva a uscire da quel paradosso?
Bokuto appoggiò la fronte contro la parete calda e bagnata, lasciando che il getto gli colpisse la schiena. Non era abituato a pensare troppo. Pensare lo incasinava. Si sentiva stanco.

Voleva parlare ad Akaashi, ma cosa poteva dirgli?

-Hai un pettine, per caso?
La voce del moro interruppe i suoi pensieri, dandogli sollievo. Ma sentire la sua voce lo fece voltare, e voltandosi lo vide.
Era abbastanza vicino a lui da vedere le linee delle ossa e dei muscoli, e abbastanza lontano da vedere il suo corpo fino a metà coscia senza abbassare gli occhi. Akaashi era di schiena, si stava ancora massaggiando i capelli con il balsamo. Le sue spalle compivano piccoli movimenti circolari, lasciando vedere a tratti le linee delle scapole. La spina dorsale scendeva flessuosa fino alle natiche – Gesù, le sue natiche. Quelle adorabili fossette all'altezza del sacro. Quei fianchi stretti e lisci.

Forse bastò quello a fargli sentire un fastidioso calore nell'addome, o forse Bokuto era in quello stato da quando Akaashi si era spogliato davanti a lui: cosa certa era che nessuno dei due se n'era reso conto. E quando Bokuto se ne accorse e tentò di coprirsi con una mano, fu troppo tardi.

 

Non udendo risposta, Akaashi si girò per ripetere la domanda: dalle sue labbra dischiuse uscì solo un flebile “ah” di stupore.
Sentì la curiosità e il senso del pudore fare a pugni: quando si voltò, fu più che altro per nascondere il rossore che l'aveva macchiato fino alle orecchie.
“Pensa. Pensa”. Cosa c'era, da pensare? La situazione era tanto nuova quanto irrazionale. Non c'era niente di sbagliato. E poi, se ora davvero stavano insieme, qualcosa del genere sarebbe comunque successo prima o poi, no?
-Aakashi...

La voce esitante di Bokuto lo fece sentire appeso a un filo.

-...Aakashi, mi dispiace. Ti ho messo in imbarazzo, scusa.

Con la coda dell'occhio, il moro lo vide girare i tacchi e avviarsi verso lo spogliatoio. Cos'è, aveva davvero intenzione di andare a occuparsene da solo? Probabilmente si sarebbe chiuso in bagno e non sarebbe più uscito. Ah, no. Questo non glielo poteva permettere.
Lo bloccò prendendogli il polso. Dopo qualche secondo di esitazione, riuscì ad avvicinarsi a lui e a posargli una mano sulla spalla.
-Chiamami per nome. Sono il tuo ragazzo.

 

Bokuto vacillò quando lo sguardo di Akaashi, serissimo, si ancorò al suo: ma quello che successe dopo gli fece quasi venire un infarto.
Senza preavviso, senza un accenno di perplessità, Keiji lo sfiorò. Piano, all'inizio, come se una farfalla si fosse posata proprio lì; poi, la sua mano divenne più curiosa, e lasciò intendere di non essere del tutto innocente.
Il capitano dovette aggrapparsi alle spalle dell'altro per non perdere l'equilibrio; dovette serrare le labbra per trattenere gli ansiti.

A mente annebbiata riusciva a pensare solo una cosa: Keiji, Keiji, Keiji.
Dal canto suo, Akaashi aveva proprio smesso di pensare. Ragionevolmente, aveva capito che in quella situazione non sarebbe stato possibile.
Sospirò di sorpresa quando Bokuto lo spinse dolcemente contro la parete, tenendo le mani strette intorno alle sue braccia. Le sue dita lo serravano, ma senza essere invasive o violente; il suo respiro si mescolava con quello del moro, rosso in viso. La curiosità portò Keiji ad assaporare il suo fiato, posando le labbra aperte su quelle del compagno. Dopo qualche secondo approfondì il bacio: si sentì svenire quando Bokuto gemette lievemente nella sua bocca.
-Aspetta- intimò quest'ultimo, staccandosi. Si fermò un attimo a contemplare gli occhi verde bosco del suo Keiji, in quel momento languidi e impazienti.
Gli scostò dolcemente la mano da sé, per intrecciare le dita con le sue e fargli appoggiare il dorso della mano al muro; con l'altra mano esplorò Keiji. Si beò per qualche istante degli occhi semiaperti del bel moro, della sua bocca dischiusa da cui scivolavano sospiri languidi.
Si avvicinò a lui quel tanto che bastava per far toccare i sessi; allargò la presa della mano per assicurarsi che entrambi potessero sentire appieno quel momento. Presto, nessuno dei due seppe più di chi erano quegli ansiti pacati, ma sempre più intensi.

Akaashi aprì gli occhi a fatica: non riuscì a spiegarsi il sorriso che gli sfuggì vedendo il viso rosso e rilassato di Bokuto. La sua mano andò a scostargli dalla fronte i capelli bagnati, approfittandone per accarezzargli la fronte imperlata di gocce d'acqua e sudore. Strinse le dita nei capelli del compagno, di tanto in tanto strofinando i polpastrelli sulla cute.
Lo vide mordersi un labbro, per la fatica o forse per il piacere: Dio, vederlo così fu inaspettatamente piacevole. Era bello, ora Akaashi se ne rendeva conto appieno. E quell'espressione ebbe un effetto non irrilevante su di lui, che sentì il calore al basso ventre aumentare. Si allungò spontaneamente per lasciargli un bacio rapido all'angolo della bocca, come per incoraggiarlo.
Non voleva che si fermasse. Avrebbe potuto continuare per sempre, e Akaashi l'avrebbe guardato per sempre. Del resto, ormai era suo. O quasi.

Un brivido lo attraversò quando passò l'ultima frontiera che – per il momento – lo divideva dall'altro: si allungò di nuovo e accostò le labbra al suo orecchio.

-Koutarou.

Aveva cercato di controllare il tono della voce, ma i gemiti l'avevano distorto, trasformandolo in una nota acuta: fu troppo per l'interessato, che premette con forza il bacino contro quello di Keiji, liberandosi con un gemito soffocato. Il moro vide distintamente i muscoli delle sue braccia e dell'addome tendersi, le sue spalle forti fremere: visualizzò la scena nella sua mente almeno altre due volte.
Bokuto sentì le ginocchia cedere e appoggiò una mano alla spalla di Akaashi per non cadere. Contò i respiri riprendendo fiato. Uno – l'ho fatto con Keiji – due – cioè, non proprio, ma non importa – tre – oddio, lo sto ancora toccando.

Un bacio sulla fronte lo fece cascare dalle nuvole.
-Tutto bene?

Il suo corpo rispose per lui. Raddrizzò le spalle e riprese a muovere la mano, più intensamente di prima. L'improvvisa espressione di sorpresa e lascivia che si dipinse sul viso di Akaashi sarebbe bastata a farlo venire di nuovo in tempo zero.

Imitò il suo gesto di prima, andando ad accarezzargli i capelli umidi. Lo guardò e si fece guardare: lo sguardo dell'altro non vacillò neanche una volta. Bokuto credette di vedere un sorriso malizioso, per un secondo. Era la cosa più incantevole che avesse mai visto.

-Sei bellissimo, Keiji.
E fu allora che Akaashi avvampò, sentì la testa alleggerirsi, si aggrappò con forza alle spalle di Bokuto e non riuscì a trattenere i gemiti. Uno, due, tre, quattro gemiti acuti, quasi miagolii: Bokuto perse il conto, ma li ascoltò tutti, sciogliendosi al movimento del bacino di Keiji contro il proprio.

Solo quando si assicurò che Akaashi si fosse ripreso dall'orgasmo, lasciò la presa, lavò la mano sotto il getto e lo strinse a sé, in un abbraccio caldo e protettivo.

-Sembri un gattino quando vieni.

Un morsetto provocatorio sulla spalla non fece ritirare a Koutarou quello che aveva detto, anzi, lo fece ridacchiare divertito.
-Scemo- aggiunse Akaashi, vedendo che il suo gesto non aveva suscitato la reazione sperata.

-Mmh... dillo di nuovo- ridacchiò l'altro, lasciando un bacio affettuoso sulla guancia del compagno. Akaashi girò il viso nella sua direzione, premendo una mano sulla sua nuca per impedirgli di andare via: fu un bacio lento, rilassato.

-Scemo- ripeté Keiji sulle labbra dell'altro, stavolta con un sorriso intenerito.

-Come farò a non eccitarmi quando me lo dirai in campo?- si lamentò Bokuto, strusciando il viso contro il suo; il moro gli diede un buffetto sulla nuca, ma non riuscì a smettere di sorridere.

Ripeté mentalmente il suo nome: Koutarou. Suonava bene, gli faceva bene dirlo. Non pensava davvero di arrivare a chiamarlo per nome, un giorno.

Con questa pace nella mente, girò di nuovo il voltò verso il suo. Gli scostò dalla fronte i capelli bagnati. Gli passò una mano tra i ciuffi per lisciarli all'indietro.

-Forse è meglio andare.
Il gufo si lamentò di nuovo, strofinando il naso sul suo.

-Io starei così con te per sempre...

-...Vieni da me per stasera, allora.

Akaashi rise dentro di sé all'espressione imbarazzata e semisconvolta di Bokuto. Non era mai capitato che il moro esprimesse in modo così genuino i propri desideri - anzi, Bokuto per un po' aveva faticato a credere che ne avesse. Akaashi ne era cosciente, e si grattò la nuca, risentendo dell'atmosfera imbarazzata.

-Non intendo... insomma, se pensi sia meglio di no, è lo stes-

Stavolta fu Koutarou a interromperlo con un bacio. Il getto della doccia si interruppe, e si per un po' si sentirono soltanto dei battiti confusi.

-Mi trasferirei da te, se potessi.
-Scemo.

 

La mano di Bokuto non lasciò la sua nemmeno per un secondo da quando uscirono dalla palestra. Sentirlo vicino lo riscaldava. Gli sembrò di non sentire il freddo, e che il buio fosse più accogliente del solito.
 

 

  
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