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Autore: GiuliaStark    08/02/2017    0 recensioni
Elris è una mezzelfo,ha 3500 anni ed ha visto molte battaglie,ora l'unica cosa che vuole è vivere in tranquillità e solitudine il resto della sua immortalità; ma un giorno un vecchio amico dal passato viene a bussare alla sua porta trascinandola nuovamente tra avventure e pericoli che potrebbero sfociare in una nuova guerra e lei vincolata ad una vecchia promessa non può evitare di accettare. Così si metterà in viaggio con una compagnia formata da 13 Nani,uno Hobbit ed uno stregone; ma il viaggio risveglierà in lei antichi orrori che credeva vinti per sempre,incubi che saprà lasciarsi per sempre alle spalle solo se permetterà a se stessa di aprire il suo cuore all'amore...
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gandalf, Kili, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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POV THORIN

[FLASHBACK, ANNO 2741, TERZA ERA, VILLAGGIO DI BREA]

Per settimane avevo vagato nelle Terre Selvagge senza tregua inseguendo quella che era solo una misera voce sulla ricomparsa di mio padre in quei territori. Ero stanco e provato, non solo fisicamente ma anche emotivamente; darmi troppa speranza mi aveva scottato. Non si avevano più notizie di Thràin dalla sanguinosa battaglia di Azanulbizar e per questo lo davano tutti per morto. Tutti tranne me. Sentivo che era vivo, qualcosa in me teneva accesa quella fiamma di speranza da quasi sessant’anni ad oggi e niente e nessuno l’avrebbe spenta; non avrei avuto pace fino al mio ultimo respiro. La notte era buia, il cielo era coperto da nubi nere e pesanti che minacciavano un forte temporale. Guardai in alto e tra i fitti profili scuri delle nuvole intravidi un pallido spiraglio di Luna. Mi fermai per qualche secondo ad osservarla come rapito dalla sua inestimabile bellezza; essa faceva appena capolino, timida, nascondendosi agli occhi di tutti, regnando lassù nell’ombra infinita e scura della notte. Era così magnetica e bella che per qualche istante mi ricordò qualcuno. Scacciai subito quel pensiero dalla mente e ripresi il mio cammino lungo lo stretto sentiero che costeggiava una piccola collinetta ricoperta da teneri fili d’erba verde ancora umidi di rugiada. Non c’era nessuno a quest’ora nei dintorni e il silenzio era interrotto solo dal brucare degli animali e dal suono di qualche uccellino notturno in lontananza. Tutto taceva in netto contrasto con il rumore dei miei pensieri. Mentre proseguivo sulla via, l’orizzonte si illuminò del bagliore di un tuono e il fragore che ne seguì squarciò la quiete della sera, per poi perdersi in lontananza nell’eco della vallata. Le gocce di pioggia iniziarono a cadere di lì a poco sempre più fitte andando a creare un acquazzone degno del suo nome; mi tirai su il cappuccio del mantello con un movimento secco e, dopo aver rivolto un ultimo sguardo al cielo, ripresi per la mia strada. Quando arrivai nel villaggio di Brea pioveva a dirotto già da un paio d’ore; camminavo per le stradine fangose a testa bassa cercando di dare il meno possibile nell’occhio e guardandomi intorno di tanto in tanto. Entrai nella locanda del Puledro Impennato per cercare un riparo per la notte e mi fermai per qualche secondo in un angolo ad osservare: l’interno era pieno di viandanti e gente del luogo, Uomini ed Hobbit, che ridevano e bevevano allegramente tanto che il loro frastuono copriva quasi lo scrosciare incessante della pioggia. La locanda era accogliente e calda; la sala principale era occupata da tavolini e sedie in legno sicuramente in una quantità maggiore di quella consentita dall’ampiezza della stanza. Sul lato sinistro era collocato il bancone ad angolo, mentre in quello di destra un grande camino riscaldava l’ambiente ed irradiava una calda e piacevole luce dorata che, insieme alle lanterne appese alle massicce travi in legno e le candele, illuminavano l’ambiente. Mi sedetti ad un tavolo appartato ed abbastanza in ombra ordinando qualcosa da mangiare accompagnato da un boccale di birra, proprio quello che ci voleva dopo un intera giornata di cammino. Alzai gli occhi dal piatto per qualche istante richiamato dalla sensazione di essere osservato ed incontrai gli sguardi minacciosi di un paio di uomini appostati nella penombra accanto la finestra dall’altro lato della stanza; abbassai la testa facendo finta di nulla e avvicinai lentamente la mano alla spada preparandomi ad un eventuale assalto. Non feci in tempo a sfiorare l’elsa che una voce mi colse di sorpresa:
- Ti dispiace se mi unisco a te? – disse un vecchio interamente vestito di grigio e dalla folta barba del medesimo colore – Dovrei presentarmi, io sono Gandalf, Gandalf il Grigio – sorrise leggermente mentre si accomodava sullo sgabello di fronte a me.
- Lo so chi sei – risposi allontanando la mano dalla spada e guardando di sfuggita alle spalle dello Stregone.
- Bene – congiunse le mani sporgendosi leggermente verso di me – Questa è una bella coincidenza – esordì in tono basso ma profondo – Cosa porta Thorin Scudodiquercia a Brea? –
Continuavo a lanciare sguardi furtivi attorno a me non sapendo se fosse abbastanza sicuro parlare qui dentro, poi posai nuovamente lo sguardo su Gandalf percependo la sua impazienza nel conoscere il motivo che mi aveva portato a sostare qui e, dopo aver guardato un ultima volta alle sue spalle, mi decisi a parlare:
- Ho avuto notizie che mio padre è stato visto vagare nelle Terre Selvagge vicino ad Umland – sospirai appena socchiudendo gli occhi per poi piantarli nuovamente in quelli dello Stregone – Ci sono andato – feci una breve pausa; dire quelle parole era peggio che essere trafitti da mille lame – Non c’era traccia di lui -
- Ah, Thràin – annuì scettico e pensieroso.
 Alzai di scatto lo sguardo su di lui ed aggrottai le sopracciglia profondamente infastidito ed offeso dal suo tono e dalla sua espressione che lasciava trapelare perfettamente un profondo dissenso:
- Tu sei come gli altri, credi che sia morto – dissi duramente.
- Io non c’ero alla battaglia di Moria – rispose in sua difesa.
- No, ma io c’ero – esordii pensieroso mentre nella mente scorrevano le immagini di quel giorno che sarebbe rimasto impresso per sempre a fuoco nella mia memoria – Mio nonno, Thròr, fu trucidato. Mio padre caricò attraverso la Porta dei Rivi Tenebrosi, ma non fece mai ritorno – la voce mi morì in gola e socchiusi gli occhi per un breve istante – Thràin se n’è andato mi avevano detto, egli è uno dei caduti – alzai nuovamente lo sguardo – Ma alla fine della battaglia cercai tra i trucidati, fino all’ultimo cadavere – feci una breve pausa – Mio padre non era tra i morti –
Gandalf sospirò ed alzò le sopracciglia pensieroso:
- Thorin, è passato molto tempo da quando non si hanno che voci su Thràin –
- È ancora vivo, io ne sono sicuro – esclamai a bassa voce con fermezza sostenendo lo sguardo dello Stregone.
Gandalf mi guardò pensieroso socchiudendo leggermente gli occhi semi nascosti dalle folte sopracciglia grigie. Sentivo che stava per chiedermi qualcosa, qualcosa che, a giudicare dalla sua espressione, non mi sarebbe piaciuta molto:
- Ed Elris? Dov’è? Cosa ne pensa lei al riguardo? – chiese con una certa cautela.
Mi irrigidii di colpo. Non sentivo pronunciare quel nome da tanti, forse anche troppi, anni. Rimase lì, velato, sottile quasi come una brezza leggera a galleggiare nell’aria; sembrava che potessi vederlo, toccarlo e gustarne il sapore. Elris. Il dolce suono che emanava il suo nome quando veniva pronunciato era ammaliante più di una vecchia nenia magica. Ti rapiva e rendeva schiavo. Mi rendeva schiavo. Quel nome era la chiave che apriva la spessa serratura del mio cuore e dava la libertà ai sentimenti ed ai ricordi di venir fuori, selvaggi e scalpitanti, tornando a far breccia in me. Non potevo permettermi una debolezza simile, non più almeno. La persona che portava quel nome era oramai molto lontana, forse miglia e miglia chissà dove in questa vasta e oscura Terra e non l’avrei mai più rivista fino alla fine dei miei giorni:
- Ciò che pensa quella Mezzelfo non è affar mio ormai da molti anni – risposi in tono secco e duro cercando di nascondere la mia espressione bevendo dal boccale un lungo sorso di birra.
- Eppure ti fa ancora effetto sentir pronunciare il suo nome – esordì lo stregone prendendomi in contropiede.
Tenevo lo sguardo fisso sul piatto semivuoto osservando il mio indefinito riflesso nell’argento opaco e da quattro soldi annerito dal tempo. Strinsi leggermente la mano a pugno cercando di non far capire allo Stregone di aver colto nel segno, anche se non escludevo affatto che avesse tirato appositamente fuori il discorso:
- Ti sbagli Stregone – alzai lo sguardo – Non ho più niente da spartire con lei, né ora né mai – dissi a denti stretti mentre osservavo con circospezione Gandalf.
- Se è questo ciò che desideri – scossi la testa impercettibilmente anche se sapevo che Gandalf lo aveva notato lo stesso – Allora Thorin, dimmi – continuò dopo una breve pausa – L’anello, quello che tuo nonno portava, uno dei Sette dati ai Signori dei Nani molto tempo fa, che fine ha fatto? – domandò con spiccata curiosità.
- Lo diede a mio padre prima che andassero in battaglia – risposi leggermente confuso da quella domanda.
- Quindi non lo portava quando è… – lasciò la frase in sospeso indugiando per qualche secondo – Quando è andato disperso? – annuii certo della mia risposta – È tutto allora – sospirò lo Stregone.
Presi un altro sorso di birra dal boccale indeciso se porre o meno quella domanda alla quale cercavo soluzione da molto tempo, poi decisi che era giunto il momento di trovare finalmente delle risposte e ricomporre i frammenti degli ultimi giorni di mio padre:
- So che mio padre venne a trovarti prima della battaglia di Moria – Gandalf alzò lo sguardo su di me.
- Oh si, venne – annuì – Il Drago si era preso Erebor, molte furono le vittime del suo fuoco quel lontano giorno, e Thràin sospettava già da qualche tempo che Moria fosse stata invasa dagli Orchi. Venne da me in cerca di consiglio, di un modo per salvare ciò che rimaneva della sua gente e della sua famiglia – puntò lo sguardo su di me.
 – Che cosa gli dicesti? – domandai desideroso di sapere.
- Lo spronai a marciare su Erebor, a radunare i Sette Eserciti dei Nani per distruggere il Drago e riprendersi la Montagna Solitaria – disse con convinzione – E direi lo stesso a te – fece una breve pausa, poi riprese ancor più determinato – Riprenditi la tua terra natia –
- È quello che avrei fatto anni orsono se Elris non me lo avesse impedito negandomi il suo aiuto – risposi in tono secco e mandando giù un altro sorso di birra – La pregai di aiutarmi ma fu irremovibile, non sentì ragioni -
- Elris era terrorizzata di perderti Thorin, e tu dovresti saperlo bene – disse con una punta di malinconia nella voce – Sai di quale terrore sono fatti i suoi incubi, quanti visi di caduti tra i suoi cari le vanno a far visita nelle ore più buie della sera. Non voleva che tu fossi uno di quelli -
Conoscevo fin troppo bene quello di cui parlava Gandalf. Avevo passato intere notti ad Erebor affianco a lei vegliandola, cercando di fare del mio meglio nel tener lontani quegli orrori che la tormentavano da secoli fino alla pazzia. Le avevo dato tutto me stesso e lei, infine, mi voltò le spalle:
- Non spettava a lei questa decisione – dissi in tono severo aggrottando le sopracciglia.
- Forse no, ma ti ricordo qual era il suo prezzo da pagare se ti avesse aiutato – ci fu un breve momento di silenzio quanto bastava per farmi alzare lo sguardo su di lui – Se avesse acconsentito, se avesse marciato su Erebor con te assieme al suo esercito, arrivato quel fatidico momento, l’avresti fermata? Avresti rinunciato all’impresa per salvarla? –
Non dissi nulla. Non perché non ne avessi il coraggio o perché mi vergognassi della risposta; tante volte mi ero interrogato su quella stessa domanda e altrettante volte non avevo trovato risposta alcuna. Cosa avrei fatto? Erebor era la mia patria, la mia casa; Elris la donna che amavo e trovare un compromesso era praticamente impossibile. Alla fine decisi che era inutile porsi un quesito simile, ormai Elris era il passato, un passato lontano, morto e sepolto che non sarebbe più tornato:
- Non è una coincidenza questo incontro, vero Gandalf? – cambiai discorso ed evitando così la sua domanda.
- No, non lo è – scosse la testa più per la rassegnazione al mio silenzio che per conferma alle sue parole – La Montagna Solitaria mi preoccupa Thorin – disse in tono grave – Quel Drago è stato lì troppo a lungo, presto o tardi menti più oscure si dirigeranno verso Erebor – si guardò circospetto attorno – Mi sono imbattuto in sgradevoli personaggi mentre percorrevo il Verde Cammino, mi hanno scambiato per un vagabondo –
- Immagino che se ne siano pentiti – risposi con una nota di ironia.
- Uno di loro portava un messaggio – tirò fuori un pezzo di stoffa rovinato e lo aprì sul tavolo – È lingua nera questa – aggiunse indicando le scritture incomprensibili che vi erano sopra – Una promessa di pagamento –
- Per cosa? – domandai ad un tratto allarmato non solo dalle sue parole, ma anche dallo strano movimento che si stava creando attorno a noi.
- La tua testa – disse lo Stregone con uno sguardo impenetrabile facendomi trasalire appena – Qualcuno ti vuole morto Thorin non puoi più aspettare – distolsi lo sguardo – Tu sei l’erede di Dúrin – esclamò pur sempre mantenendo un tono non troppo alto – Mobilita gli eserciti dei Nani, insieme avete la forza e la potenza di riconquistare Erebor. Convoca in assemblea le sette famiglie dei Nani, pretendi che rispettino il voto –
- Gli eserciti fecero quel voto a colui che maneggia il gioiello del Re – risposi, certo che quello che aveva detto lo Stregone fosse del tutto privo di senso – L’Arkengemma è l’unica cosa che li terrà uniti e nel caso tu l’abbia dimenticato quel gioiello è stato rubato da Smaug -
- E se io ti dessi una mano a recuperarlo? – fece un sorriso d’intesa.
- Come? – rimasi senza parole – L’Arkengemma giace a mezzo mondo da qui, sepolta sotto le zampe di un Drago sputafuoco –
- Si, infatti – annuì Gandalf con decisione – Ed è per questo che ci serve uno scassinatore –

[FINE FLASHBACK]


12 MESI DOPO…


POV BILBO

Eravamo riusciti a scampare ad Azog ed il suo branco di Orchi e Mannari grazie all’aiuto delle Aquile che, dopo averci trasportato in volo, ci adagiarono su un alto spuntone di roccia che sorgeva nel mezzo di una lussureggiante radura boschiva. La vallata sottostante si estendeva a perdita d’occhio, fino all’orizzonte, dove spiccava alta e maestosa la Montagna Solitaria. Proprio in quel momento, mentre ci stavamo gustando la vittoria ed il paesaggio, accadde l’inaspettato. Nessuno di noi durante lo scontro nella foresta in fiamme si era accorto che Elris era stata gravemente ferita dagli Orchi. Le frecce che la colpirono erano intrise di un potente veleno che nel giro di poco tempo iniziò a circolarle nel sangue infettandolo; solo quando crollò svenuta sotto i nostri occhi ci rendemmo conto della gravità della situazione. Dwalin, Fili, Kili, Nori e Gloin si misero subito all’opera per costruirle una lettiga che avrebbe facilitato il trasporto del suo corpo inerme. Aveva la febbre alta ormai da qualche giorno e nonostante gli sforzi di tutti per cercare di abbassarla non vi era alcun miglioramento, anzi, aveva perfino iniziato a delirare nel suo stato di semi incoscienza. Ci eravamo alternati a vegliarla per notti intere, nascondendoci dagli Orchi in grotte incavate nella pietra e rientranze del terreno colme di terra e radici, pregando che ce la facesse a superare ogni nuovo giorno. Potevo leggere perfettamente la scura preoccupazione che segnava il volto di Gandalf perché era la stessa che gravava sulle espressioni di tutti; anche Thorin, che cercava di mantenere un atteggiamento distaccato e freddo, era visibilmente turbato dalle condizioni di Elris. Il fianco roccioso della montagna lungo la quale ci eravamo arrampicati offriva una copertura migliore grazie alle alte rocce frastagliate dei crinali. Ci fermammo per qualche istante a riposare e mentre Bifur, Bofur, Fili e Dwalin poggiavano delicatamente la lettiga di Elris a terra, io mi acquattai ai piedi di un grande masso e mi sporsi leggermente in avanti per controllore la posizione degli Orchi che seguivano le nostre tracce da giorni. Azog ed il suo gruppo erano sulla vetta di fronte a meno di qualche chilometro di distanza; i Mannari fiutavano l’aria in cerca di qualche nostra straccia, ma fortunatamente il vento soffiava nella direzione opposta mantenendo lontano il nostro odore. L’Orco pallido si guardava attorno aguzzando lo sguardo e scrutando tra le vette seminascoste dalla nebbia; quando si voltò nella mia direzione, con un movimento repentino, mi abbassai tornando a nascondermi contro la fredda pietra. Contai fino a dieci poi, timidamente, mi affacciai di nuovo solo che stavolta notai qualcosa di completamente diverso. Non sapevo con certezza che animale fosse; la fredda luce dell’alba lo teneva ancora in ombra, ma era davvero enorme. La creatura si alzò su due zampe arrampicandosi su una punta rocciosa e un tiepido raggio di sole lo investì in pieno mostrandolo in tutta la sua imponenza. L’animale si rivelò essere un grande orso dal manto più nero delle notta più oscura; non aveva la stazza di un comune orso, anzi, lo superava minimo di due o tre volte. Non avevo mai visto una cosa simile, nemmeno tra i libri a casa Baggins. Mi staccai dalla roccia e tornai dagli altri in punta di piedi per riferir loro cosa avevo visto, ma prima di poter aprire bocca una scena catturò la mia attenzione. La lettiga di Elris era stata poggiata nella penombra creata da un’alta roccia appuntita e lì, accovacciato accanto a lei, c’era Kili che le teneva la mano nella sua e le bagnava la fronte con un panno umido, nel vano tentativo di abbassarle la febbre. Muoveva le labbra e ogni tanto faceva dei piccoli sorrisi, segno che stava parlando con lei, ma da questa distanza non riuscivo a distinguere le parole:
- Quanto è vicino il branco? – mi domandò Thorin avvicinandosi assieme agli altri.
- Troppo vicino – scossi la testa – Un paio di leghe, non di più – mi voltai di scatto guardando alle mie spalle, poi nuovamente verso la Compagnia – Ma questa non è la peggiore –
- I Mannari ci hanno fiutato? – domandò Dwalin.
- Non ancora, ma lo faranno – parlavo in fretta per l’agitazione e guardavo Gandalf negli occhi – Abbiamo un altro problema –
- Ti hanno visto? – domandò lo Stregone con una nota di preoccupazione nella voce.
- No, non è questo – chiusi gli occhi e scossi con decisione la testa.
- Che vi avevo detto? – esclamò rivolto agli altri soddisfatto e compiaciuto – Silenzioso come un topo, perfetto per fare lo Scassinatore – annuí sorridendo seguito dal consenso degli altri.
- Volete darmi ascolto!? – esclamai alzando le braccia al cielo e richiamando la loro attenzione – Sto cercando di dirvi che c’è qualcos’altro là fuori – dissi indicando dietro di me.
- Quale forma ha assunto? – Domandò Gandalf aggrottando le sopracciglia – Quella di un orso? –
- Si! – mi girai di scatto annuendo con vigore – Si, ma grosso, molto più grosso –
- Tu sapevi di questa bestia? – chiese Bofur a Gandalf – Io dico di fare dietrofront –
- Ed essere travolti da un branco di Orchi? – tuonò Thorin.
- Ragazzi! – esclamò Kili d’un tratto balzando in piedi e correndo verso di noi.
Ci voltammo tutti nella sua direzione, aveva il respiro accelerato, lo sguardo impaurito e febbricitante ed avrei potuto giurare che stava anche tremando. Feci un passo verso di lui temendo il peggio e con voce incerta parlai:
- Cosa… cosa succede? –
- Elris – sussurrò con voce leggermente spezzata – Sta peggiorando a vista d’occhio, trema, suda freddo e respira a malapena – deglutì pesantemente – Se non troviamo un modo per curarla la perderemo – pronunciò quelle ultime parole con un sussurro appena accennato.
- Gandalf! – esclamò Fili – Non possiamo lasciarla morire così! –
Lui annuì appena perso nei suoi pensieri ed intento a trovare un modo per salvare la nostra amica. Sembrò che fosse passata un’eternità quando finalmente iniziò a parlare:
- C’è una casa – iniziò – Non è molto lontana da qui, dove noi potremmo trovare rifugio – disse pensieroso.
- Di chi è questa casa? Amico o nemico? – domandò Thorin con un’espressione cupa sul volto.
- Nessuno dei due – sospirò – Lui ci aiuterà o ci ucciderà –
- Che scelta abbiamo? –
- Se vogliamo salvare Elris, nessuna – rispose Gandalf con un’espressione greve a segnargli il volto.
Dwalin, Gloin, Fili e Bifur presero la lettiga dove era adagiata Elris e se la caricarono in spalla con cautela, poi iniziammo a correre dietro a Gandalf che ci apriva la strada. Percorremmo il crinale con non poca fatica, cercando di sviare i massi e la ghiaia per non scivolare e cadere giù nel vuoto; la barella di Elris sobbalzava pericolosamente rischiando di farla cadere a terra, ma Kili era perennemente accanto ad essa per evitarlo. Continuammo a scendere nascondendoci come potevamo dagli Orchi, che continuavano a correrci dietro, e dall’enorme orso nero che avevo intravisto non molto tempo fa:
- Fermi! – annunciò Thorin mentre si era fermato a scrutare qualcosa alla nostra destra.
- Cosa succede? – domandai facendomi avanti per raggiungerlo.
- I Mannari – sussurrò voltandosi verso di me con uno sguardo impenetrabile; inarcai le sopracciglia e lo spronai a parlare – Hanno fiutato l’odore del sangue di Elris – sgranai leggermente gli occhi e indirizzai lo sguardo nella direzione che Thorin era intento a scrutare.
- Come lo sai? Ne sei sicuro? – domandai con un misto di ansia e paura crescenti mentre continuavo a far guizzare lo sguardo tra Thorin e le vette innevate.
- Il vento sta cambiando direzione, se non lo hanno ancora fatto succederà presto – sguainò la spada – Proseguiamo – fece un cenno alla Compagnia – Mettete la lettiga di Elris al centro, tutti gli altri attorno – rivolse un ultimo sguardo al panorama montuoso e poi sussurrò a malapena delle parole che mi colpirono, ma che al tempo stesso mi scaldarono il cuore – Dobbiamo proteggerla, devo proteggerla -
Riprendemmo la nostra folle corsa fino a giungere dall’altro lato della montagna. Nel frattempo, ad Est, il sole si stava alzando alto nel cielo ancora parzialmente nascosto dalle cime dei monti. La luce iniziò a rompere le catene del buio rischiarando la vallata sottostante e irradiandola di un bagliore dorato che faceva scintillare la vasta distesa di erba giallognola che si estendeva a perdita d’occhio. La sfumatura rosata dell’alba era ormai sparita e anche le nuvole avevano cambiato il loro colore da un pallido color arancio ad un bianco opaco che risaltava in netto contrasto con l’azzurro del cielo. La pianura sulla quale eravamo giunti si estendeva ad Ovest per un paio di leghe e si apriva in un enorme e fitto manto dorato punteggiato qua e là da piccole piante di lavanda che profumavano l’aria. Una folata di vento scompigliò l’estremità dei fili erbosi facendoli oscillare dolcemente in un movimento lento ed armonioso, quasi come se fosse una danza. La piacevole musica creata dai fruscii, unita al dolce odore di lavanda, facevano di questo posto un luogo incantevole. Elris lo avrebbe apprezzato di sicuro se fosse stata sveglia. La brezza della mattina mi riportò alla realtà risvegliandomi dal mio momentaneo stato di estraneazione dal mondo e sbattendomi in faccia la precaria situazione in cui ci trovavamo. Non sapevo quale fosse il piano di Gandalf, né dove stessimo andando, ma speravo davvero con tutto il cuore che per il bene di tutti ci avrebbe garantito la salvezza. Elris mi preoccupava davvero molto. Non avevo mai visto nessuno così debole e fragile, e vedere lei che, fin da quando l’avevo conosciuta a casa Baggins, era sempre apparsa così forte e intoccabile era quasi surreale. Speravo che resistesse quanto bastava per ritenerci davvero al sicuro, ma il suo pallore così marcato aumentava la mia ansia e la pena che provavo nel vedere lo sguardo sofferente di Kili e Thorin. Continuavamo a correre tra l’erba dorata e morbida finché non iniziò a diradarsi dando spazio ad un boschetto sorto su una discesa scoscesa e rocciosa. Ci infilammo al suo interno sempre con Gandalf che apriva la fila, seguito da Gloin, Fili, Bifur e Dwalin che tenevano ben salda in spalla la lettiga con Elris mentre noi altri li seguivamo cercando di proteggerli da eventuali attacchi:
- Forza, correte! – esclamò Thorin.
- Per di qua, svelti! – gridò Gandalf indicandoci la via con il bastone.
I Mannari e gli Orchi li avevamo persi di vista, ma c’era qualcos’altro che al momento ci stava inseguendo, qualcosa di molto più grosso e potenzialmente più distruttivo e pericoloso di Azog ed il suo seguito. L’enorme orso nero ci correva dietro emanando dei versi rabbiosi e bestiali che mi facevano accapponare la pelle e tremare di paura. Aumentammo il passo saltando di roccia in roccia sulla ripida discesa, spinti ad andare sempre più veloci per paura di essere presi dalla bestia dietro di noi che si spingeva sempre più alla carica con l’unico intento di ucciderci. Mi voltai per un breve attimo senza fermarmi e lo vidi non molto distante da noi, con le fauci spalancate e gli aguzzi denti in bella vista pronti a dilaniarci. Era ancora più spaventoso nella sua unica e maestosa bellezza, ancora più enorme di quando lo avevo intravisto sulla montagna. Al suo passaggio le sue enormi zampe travolgevano i cespugli e il suo possente corpo smuoveva pericolosamente gli alberi creando un frastuono di foglie e fruscii, quasi come se un forte vento li stesse scuotendo dalle radici alla chioma. Era una vera e propria forza della natura. Il boschetto non era molto vasto, così in poco tempo ci ritrovammo nuovamente all’aperto ed esposti, troppo esposti. Stavo per cedere allo sconforto, quando in lontananza vidi un enorme ed alto steccato in legno: dovevamo essere finalmente giunti a destinazione. L’allegria del momento durò ben poco perché l’orso nero era sempre più vicino e spaventoso mentre usciva con un balzo da un fitto groviglio di alberi. Tutta la Compagnia iniziò a correre a perdifiato attraversando la radura semicircolare in cui eravamo spuntati, con l’unico di arrivare il prima possibile in quel rifugio che Gandalf riteneva sicuro:
- La casa, eccola, svelti! – continuava ad incoraggiarci lo Stregone.
In un ultimo sforzo sovraumano riuscimmo ad arrivare allo steccato ed entrare in un vasto e lussureggiante giardino, ricco di piante ben curate e alberi alti dalla chioma rigogliosa che lo lasciavano per la gran parte in una fresca e piacevole ombra. Eravamo riusciti ad entrare tutti, cosa più importante, Elris era ancora sulla lettiga e ben protetta dai Nani che si erano stretti in cerchio attorno a lei. L’orso continuava a correre nella nostra direzione, sempre più infuriato, sempre più vicino:
- Forza, aprite quella porta! – urlò Thorin mentre teneva lo sguardo puntato verso l’animale.
Tutti si ammucchiarono contro di essa cercando di aprirne gli alti e possenti battenti chiusi da un massiccio chiavistello in legno. Quando finalmente riuscimmo a spalancarli ci riversammo tutti all’interno di quella che sembrava una enorme ed attrezzata stalla. Appena furono tutti al suo interno ci precipitammo a richiuderne le porte proprio nel momento in cui l’orso tentò di entrare. Feci un passo indietro colto da un improvviso brivido di terrore; da vicino era ancora più grosso, minaccioso e letale di quanto potesse apparire a prima vista. Le sue fauci aperte lasciavano uscire versi animaleschi da brivido e gli occhi marroni scuri brillavano di una rabbia ed un fervore incontrollabili, mentre con la testa cercava di entrare spingendo la porta verso l’interno. Ci addossammo tutti contro l’entrata facendo leva sulle nostre ultime forze e, con l’ennesima spinta, riuscimmo a chiudere la porta lasciando fuori l’orso. In quell’istante tirai un grosso sospiro di sollievo che non mi ero nemmeno accorto di trattenere:
- Quello cos’è?! – esclamò Ori.
- Il nostro anfitrione – disse Gandalf con una calma surreale – Il suo nome è Beorn ed è un mutatore di pelle – continuò rivolgendo lo sguardo verso la porta con fare pensieroso – A volte è un enorme orso nero, altre è un omone grande e forte – prese un gran respiro e continuò guardando sia noi che l’ambiente circostante – L’orso è imprevedibile, ma con l’uomo ci si può ragionare – fece una breve pausa aggrottando le sopracciglia – Tuttavia non è che faccia i salti di gioia per i Nani –
- Indorargli la pillola non servirà a molto Mithrandir –
Una sussurro appena accennato ed una voce roca e spezzata fece breccia nel silenzio che era calato tra noi; mi voltai di scatto e ritrovai Elris con gli occhi semi dischiusi mentre cercava di tirarsi su poggiandosi sul gomito destro e facendo leva per sedersi. Fu una sorpresa, anzi, un completo shock vederla sveglia e reattiva dopo giorni e giorni di sola paura e silenzio. Sorrisi leggermente sperando che questo suo improvviso miglioramento fosse un buon segno della sua guarigione, ma a giudicare dall’espressione scura di Gandalf iniziai a temere il peggio:
- Elris! – esclamarono tutti in coro e con un sorriso stampato sui loro volti.
- Ragazza mia, sta giù e non muoverti, lasciami controllare –
Lo Stregone le si avvicinò con cautela ed iniziò ad esaminare le sue ferite diventando sempre più pallido e preoccupato mano a mano che osservava quei fori grondanti di sangue. Quello sulla spalla aveva i contorni delineati con tante piccole venuzze scure che le si irradiavano per tutta la spalla e salivano e scendevano sia verso il collo che verso il torace, creando come una specie di fitta rete di ragnatele:
- Sto bene Mithrandir – sussurrò lei a malapena mentre soccombeva al suo stato rimanendo distesa.
- Non ho alcun dubbio amica mia – disse Gandalf con un sorriso appena accennato.
Elris fece un mesto sorriso e nel giro di pochi secondi tornò a chiudere gli occhi lasciandosi ingoiare nuovamente dalle tenebre. Lo Stregone si allontanò da lei e corrugò le sopracciglia mentre faceva guizzare lo sguardo da una parte all’altra della stalla. Volevo chiedergli che cosa stesse succedendo e se davvero la nostra amica stesse bene, ma la sua espressione così impenetrabile mi mise in difficoltà spingendo a domandarmi se ci stesse nascondendo qualcosa sulle sue condizioni. Mi avvicinai con determinazione a lui, deciso che preferivo sentire la verità piuttosto di un illusoria bugia:
- Gandalf – lo chiamai, ma era talmente preso e perso in quello che stava facendo che non se ne accorse nemmeno – Gandalf! – alzai la voce per attirare la sua attenzione e, finalmente, si voltò.
- Mastro Baggins, cosa c’è? -
- Voglio sapere di Elris, come sta? – lo guardai negli occhi e prima che potesse rispondere aggiunsi – E voglio la verità – sottolineai.
Gandalf sospirò e si allontanò leggermente dal resto del gruppo per non farsi sentire, lo seguii e, dopo essermi dato una rapida occhiata alle spalle, tornai a guardarlo aspettando le risposte che cercavo:
- È molto grave, non posso negarlo, il veleno presto raggiungerà il cuore e gli altri organi vitali provocandole una morte lenta e dolorosa – sgranai gli occhi incredulo a quelle rivelazioni.
- Ma… ma prima si è svegliata – balbettai in un sussurro – Non dovrebbe essere un buon segno? – dissi con un tono supplichevole e disperato, sperando che dopotutto Gandalf avesse dato ragione ai miei pensieri.
- Non lo so caro Bilbo, forse si, o forse no – sospirò e fece una piccola pausa – Elris è molto forte, ma altrettanto lo è il veleno che le circola in corpo. L’unica cosa che posso dire ora è che i Valar siano con lei -
- Dobbiamo salvarla Gandalf – sussurrai in un tono abbastanza disperato e scuotendo la testa non riuscendo ancora a capacitarmi che la possibilità che non ce la facesse era lì, sempre più vicina, sempre più reale.
- Lo faremo mio caro Hobbit- annuii leggermente - Ora mettetevi a dormire tutti voi - esordì lo Stregone – Sarete più al sicuro qui –
- Dormire? – esclamò Fili contrariato – Dobbiamo curare Elris, non supererà la notte! -
- Fiducia giovane Nano, Elris ce la farà – guardò di sfuggita fuori dalla finestra - Non è sicuro uscire ora – e con quelle parole il discorso fu chiuso.
Sistemammo i nostri giacigli in mezzo alla paglia e nel giro di un ora tutta la Compagnia cadde in un sonno profondo. D’altro canto io invece non riuscivo a chiudere occhio. Gli avvenimenti dei giorni scorsi continuavano ad attraversarmi la mente senza tregua. L’esperienza che avevo vissuto nelle gallerie degli Orchi sotto la Montagna mi aveva portato a scoprire un lato di me che non credevo potesse esistere: il coraggio. Quella strana creatura che avevo incontrato laggiù mi aveva affascinato e impaurito al tempo stesso. Cos’era? Chi era? Ma soprattutto, perché viveva laggiù lontano dal mondo? Infilai involontariamente la mano nella tasca e tirai fuori un anello d’oro puro e brillante. Lo guardavo con interesse ed una punta di un sentimento che si avvicinava molto al possesso; era davvero bellissimo ed era mio. Alquanto bizzarro era il modo in cui questo tesoro funzionasse facendoti diventare completamente invisibile a tutti, una qualità più che utile in un viaggio colmo di pericoli come questo. Continuavo ad ammirarlo, osservando ogni minimo cambiamento del suo colore dovuto ai raggi della Luna che entravano dalla finestra ed illuminavo di una leggera e fredda luce bianca la stalla. Ne ero completamente incantato, come rapito dalla sua estrema e senza eguali bellezza. Non avevo mai visto un gioiello così ammaliante tanto da rapire la mente ed il cuore di qualcuno. Doveva essere un anello molto speciale per esercitare un tale potere. Un rumore nella stalla attirò la mia attenzione e, senza neanche pensarci, rimisi subito l’anello nella tasca interna della mia ormai logora giacca in velluto rosso e chiusi gli occhi facendo finta di dormire, ma tendendo le orecchie ben aperte. I passi scricchiolavano leggermente sulla paglia più secca e si avvicinavano lentamente alle mie spalle, poi tutto ad un tratto si fermarono e un ombra si proiettò sulla parete dinnanzi a me. Nella penombra della stalla non riuscivo a distinguere di chi fosse quella scura figura, solo quando sentii il suo flebile sussurro chiamare il nome di Elris lo riconobbi: Kili. Avevo notato fin dal primo momento come il giovane principe fosse rimasto folgorato dalla bellezza eterea dell’Elfa, ed i suoi gesti e le sue parole non facevano che darmene conferma. Elris era una persona molto sola, con un passato vasto e pieno di sofferenza a gravare sulle sue spalle ed ero più che certo che si meritasse di essere felice. Sperai solamente che saremmo arrivati tutti sani e salvi al termine di questa impresa. Mi girai tirandomi su a sedere ed osservai la scena sentendomi uno spettatore un po’ troppo indiscreto: Kili era seduto di fianco la barella con le ginocchia strette al petto e lo sguardo fisso ed assorto su di lei. Potevo percepire fin da questa distanza la sua crescente preoccupazione per le condizioni della nostra amica, e come dargli torto? Era spaventoso veder soffrire qualcuno a cui si teneva e non poter fare assolutamente nulla per farlo stare meglio. Mi alzai cercando di fare il meno rumore possibile e, in punta di piedi, mi avvicinai lentamente a Kili finché non gli arrivai di fronte:
- Ehi – sussurrai.
Il Nano alzò lo sguardo su di me leggermente sorpreso dal vedermi davanti a lui; sorrisi leggermente e lui ricambiò con la mia stessa malinconia sul volto, poi tornò a guardare Elris che dormiva scossa da leggeri fremiti e mugolii:
- Posso sedermi? – domandai con gentilezza indicando lo spazio di fronte a lui. Kili non rispose, annuì solamente sempre con lo sguardo fisso su di lei.
- Sta peggiorando di ora in ora – sussurrò con una voce leggermente spezzata – Se continua così non supererà la notte –
Quelle parole mi colpirono in pieno come un fulmine a ciel sereno lasciandomi completamente senza parole. Guardai anche io verso di lei e notai che effettivamente il suo colorito si faceva sempre più bianco e malaticcio. Presi un bel respiro e cercai di calmare la preoccupazione che mi attanagliava il petto e mi rivolsi di nuovo a Kili cercando di confortarlo in qualche modo, sperando di essere d’aiuto:
- Sono convinto che ce la farà – gli poggiai una mano sulla spalla e lui si voltò verso di me – Gandalf ha ragione, Elris è molto forte, ne ha passate tante e supererà anche questa, vedrai – sorrisi cercando di trasmettere anche a lui un po’ di speranza.
- Spero tu abbia ragione Mastro Baggins, davvero – sussurrò guardandomi con una ferma convinzione nello sguardo.
- Andrà bene – annuii con fermezza riferendomi più a me stesso che a lui.
Ci furono degli attimi di silenzio durante i quali entrambi avevamo spostato lo sguardo per vegliare la nostra amica. La febbre era iniziata a salire, così presi un pezzo di stoffa bagnandola con un po’ dell’acqua che mi era rimasta nella borraccia e gliela misi sulla fronte bollente come un braciere:
- Io la amo – sussurrò così piano Kili che per un attimo credetti di averlo immaginato – Davvero tanto – aggiunse poco dopo.
Sorrisi tra me e me sorpreso per la dolcezza delle parole del giovane Nano. Era davvero sorprendente come contro ogni aspettativa e, nel bel mezzo di una situazione rischiosa come questa, potesse nascere un sentimento così bello e puro come l’amore:
- Si vede sai? – sorrisi e feci una piccola risata.
- Davvero? – rispose lui leggermente allarmato.
- Si, si – annuii con vigore – Oh, ma sta tranquillo, non è una cosa brutta, anzi! – lo rassicurai notando la sua espressione.
- Ne sei sicuro? – sussurrò con una certa timidezza.
- Assolutamente si! – esclamai a bassa voce – Amico mio, l’amore è un sentimento davvero straordinario, non esiste eguali – Kili fece un piccolo sorriso e spostò una ciocca di capelli dal volto di Elris con fare pensieroso.
- Lei lo sa? – gli domandai con cautela.
- Si – annuì appena – Mi è sfuggito involontariamente e credo di averla terrorizzata – fece una piccola risata mentre continuava ad accarezzarla.
 – C’è qualcosa che ti turba, non è vero? – domandai con gentilezza cercando il suo sguardo che però restava incollato sull’Elfa.
- Si, Bilbo – sospirò – Hai indovinato –
- E di cosa si stratta? Se posso chiedere –
- Non so se lei possa ricambiarmi – disse in un sussurro appena accennato.
- Perché pensi questo? – domandai aggrottando le sopracciglia.
- Perché lei è così perfetta, e bellissima e surreale ed io – fece una piccola risata amara – Io non sono nessuno –
- Oh no, non dire così – scossi la testa – Elris ci tiene moltissimo a te, non c’è alcun dubbio – Kili annuì appena – C’è dell’altro, o sbaglio? – annuì nuovamente.
- Elris ha dei trascorsi con mio zio – bisbigliò – Me lo raccontò lei mentre eravamo in quella casa Elfica -
- Oh – sbattei le palpebre sorpreso da quella rivelazione. Beh, dopotutto, si notava che tra i due c’era un non so che di strano, ed ora avevo finalmente capito di cosa si trattava. Ero rimasto senza parole e non sapevo cosa rispondere. Effettivamente questo poteva complicare non poco le cose, soprattutto tra Kili e Thorin – Ma si tratta di molto tempo fa immagino, no? – domandai cercando di sollevare il morale al giovane Nano.
- Si – sussurrò annuendo – Ma se quei sentimenti non si fossero mai spenti? – alzò lo sguardo su di me – So per certo che Elris non è indifferente a Thorin, anche se lui fa del tutto per nasconderlo – abbassò lo sguardo e iniziò a giocherellare con qualche filo di paglia – Voglio molto bene a mio zio, è grazie a lui che oggi sono così – lasciò la frase in sospeso.
- Ma…? – lo spronai a continuare – Sono più che sicuro ci sia un ma di mezzo – Kili fece una piccola risata.
- Thorin è la mia famiglia, è stato un padre per me e mio fratello, ma d’altra parte amo Elris più di me stesso – annuii comprendendo la sua paura.
- Io non sono nella testa né di Elris, né tantomeno di Thorin, ma lei prova qualcosa per te – dissi in tono serio e pacato – Non so di che genere di sentimento si tratti, ma non le sei affatto indifferente – terminai con un leggero sorriso.
- Come fai a dirlo? – sussurrò con un’espressione rassegnata sul volto.
- Diciamo che ho imparato a conoscerla un pochino – feci una leggera risata.
- Eppure mi tiene lontano - sospirò – Da quando le ho confessato i miei sentimenti è sfuggente – abbassò lo sguardo – Prima di cadere nella trappola dei Goblin ci siamo avvicinati un po’, ma poi è tornata sulle sue – terminò con un sussurro.
- Credo che abbia paura – tornò a guardarmi – Ha un passato difficile e burrascoso che l’ha segnata profondamente ed ora, che credeva di aver raggiunto un equilibrio, ha paura che tutto le venga portato via – sospirai e la guardai – Non posso darle torto –
- Voglio renderla felice – sussurrò flebilmente.
- Sono più che sicuro che tu possa farlo – annuii con convinzione mentre gli davo un’amichevole pacca sulla spalla.
- Ha rischiato la sua vita per salvarlo – sussurrò.
- Sono sicuro che lo avrebbe fatto per chiunque di noi – Kili annuì e tornò a guardare Elris ancora una volta.
Restammo lì seduti per un’altra mezzora, poi riuscii finalmente a convincere Kili a tornare nel suo giaciglio a riposare un po’. Ne aveva un gran bisogno; il suo volto era davvero provato, non solo dall’estenuante giornata, ma anche dalle condizioni di Elris. La mattina dopo fui svegliato dal ronzio delle api che svolazzavano sulla mia testa e dalla tiepida luce del sole che si era alzato nel cielo già da qualche ora. I raggi che filtravano illuminavano la stalla e la scaldavano di un piacevole tepore tipico di fine autunno. Voltandomi mi accorsi che il resto della Compagnia era già in piedi raggruppata di fronte le possenti porte in legno, così mi alzai anche io stropicciandomi gli occhi e stiracchiando i muscoli e li raggiunsi:
- Dovevamo darcela a gambe levate, filarcela dal retro – sentii dire a Nori mentre mi facevo più vicino.
- Io non scappo di fronte a nessuna bestia o altro e soprattutto non lascio morire i miei amici – esclamò Dwalin contrariato.
- Non serve a nulla litigare, non attraverseremo le Terre Selvagge senza l’aiuto di Beorn – disse Gandalf – Saremo catturati ancora prima di arrivare alla Foresta ed è l’unico che sa come curare Elris – si voltò verso di me – Bilbo, eccoti qua! – poi riprese a parlare rivolto a tutti – Ora questo richiederà una gestione delicata, dobbiamo agire con molta prudenza. L’ultima persona che lo ha spaventato è stata ridotta a brandelli – a quelle parole calò il silenzio – Io andrò per primo e tu Bilbo, verrai con me –
- È una buona idea? – domandai leggermente titubante.
- Si – annuì lo Stregone – Voi altri restate qui e non comparite fino al mio segnale – li raccomandò.
- Bene, aspettiamo il segnale – annuì Bofur.
- E niente mosse improvvise o rumori forti e non stategli addosso, uscite soltanto in coppia – fece per andare ma poi si fermò e si girò nuovamente – Oh, Bombur, tu è meglio se esci da solo – lui annuì pensieroso mentre sgranocchiava una carota.
Quando uscimmo nel giardino una forte ed abbagliante luce mi colpì in pieno volto, socchiusi gli occhi per ripararmi la vista e solo in quel momento mi accorsi della bellezza del paesaggio che avevamo attorno. Ci trovavamo in una radura semicircolare protetta da una catena di monti non molto lontani che ne seguivano il perimetro per intero andando a creare una specie di territorio protetto e segreto al resto del mondo. L’erba che cresceva qui era rigogliosa e dipinta da varie sfumature di verde che risplendevano sotto il sole e tra di essa spuntava, ogni tanto qua e là, qualche fiore selvatico dai colori vivaci. Man mano che avanzavamo nel giardino, notai in lontananza una figura. Era un uomo alto, molto alto, e possente ed era intento a tagliare la legna con un enorme e minacciosa ascia. Mi voltai verso Gandalf e notai la sua espressione preoccupata:
- Sei agitato? – gli domandai.
- Agitato? – si voltò a guardarmi come se avessi detto la cosa più assurda del mondo mentre continuava ad avanzare – Agitato, che sciocchezza – borbottò tra se e se. Continuammo ad avvicinarci, poi, arrivati ad una certa distanza, ci fermammo – Buongiorno! – disse con un tono cordiale, ma l’uomo non sembrò aver sentito – Buongiorno – ripeté Gandalf a voce più alta.
Beorn interruppe il suo lavoro e si voltò con un gesto repentino. Vederlo da vicino faceva lo stesso effetto che vedere l’orso. Era davvero alto, possente e muscoloso. Aveva dei lineamenti selvaggi che ricordavano la sua natura animale; gli occhi erano gli stessi solo che in questa circostanza  invece di essere minacciosi avevano assunto un’espressione vigile e attenta. I lunghi capelli castani erano tirati indietro sulla testa e scendevano giù lungo la schiena dandogli un aspetto ancor più animalesco, mentre sul davanti gli incorniciavano il viso unendosi a delle folte e lunghe basette a punta. Ora capivo il motivo della prudenza di Gandalf:
- Chi sei tu? – domandò Beorn con una voce profonda e graffiante.
- Io sono Gandalf, Gandalf il Grigio –
- Mai sentito nominare – rispose in tono secco mettendo in difficoltà lo Stregone.
- Sono un Mago – disse – Avrai sentito parlare del mio collega Radagast il Bruno, risiede al confine Sud di Bosco Atro –
- Che cosa vuoi? –
- Beh semplicemente ringraziarti per la tua ospitalità – annuì Gandalf con un sorriso – Avrai notato che abbiamo trovato riparo nel tuo alloggio qui, ieri sera – indicò la stalla dietro di noi.
Improvvisamente abbassò lo sguardo su di me e trasalii leggermente impaurito ed intimorito dalla natura animalesca di Beorn:
- Chi è questo piccoletto!? – domandò stringendo l’ascia tra le mani.
- Oh beh, lui sarebbe Mastro Baggins della Contea – mi annunciò Gandalf mentre mi posava una mano sulla spalla.
- Non è un Nano, vero?! – ringhiò leggermente l’uomo mentre stringeva ancora di più l’ascia e continuava ad osservarmi.
- Ma no, no – Gandalf scosse la testa – Lui è un Hobbit di buon famiglia e di impeccabile reputazione – mi voltai leggermente verso di lui e gli sorrisi.
- Un Mezzuomo ed un Mago – ci guardava circospetto – Come mai siete qui? – domandò.
- Oh beh, il fatto è che abbiamo avuto una brutta esperienza con gli Orchi sulle Montagne –
- Perché vi siete avvicinati agli Orchi? – chiese riducendo gli occhi a due fessure – Cosa stupida da fare – ruggì.
- Hai assolutamente ragione – annuì Gandalf con vigore.
All’improvviso Beorn si mise sull’attenti e strinse l’ascia con forza fino a far diventare bianche le nocche, aguzzò gli occhi e scoprì i denti in un ringhio. Per un momento temetti che si fosse trasformato nuovamente in quell’enorme orso nero. Io e Gandalf ci voltammo per vedere cosa avesse turbato Beorn fino a quel punto e in quel preciso istante Dwalin e Balin comparvero mentre scendevano le scale poste sul retro della stalla:
- Dwalin e Balin – annunciò il primo con leggero imbarazzo mentre facevano un piccolo inchino.
- Devo confessare che parecchi del nostro gruppo sono in effetti Nani – intervení Gandalf nascondendo con una piccola risata il nervosismo.
- Tu chiami due parecchi? – lo accusò Beorn con un certo scetticismo nella voce.
- Ora che la metti così loro potrebbero essere più di due – disse lo Stregone con incertezza temendo una reazione poco piacevole da parte del suo interlocutore; poi come se in quel momento la situazione non fosse già precaria, Gloin e Oin uscirono e si posizionarono accanto a Dwalin e Balin – Oh, eccome altri due della nostra allegra truppa – esclamò sempre più incerto e in difficoltà.
- E tu chiami sei una truppa? – lo ammonì Beorn – Cosa siete, un circo ambulante? –
I Nani continuarono ad uscire facendo sobbalzare Beorn ogni volta e trasalire Gandalf; era quasi una situazione comica. Non capitava tutti i giorni di vedere uno Stregone così in difficoltà nel presentare una combriccola di Nani a qualcuno e dovevo essere sincero, nonostante tutto, trattenevo a stento le risate:
- Oh ecco, Fili e Kili – fece una risatina nervosa guardando Beorn, poi si voltò nuovamente verso la stalla – E, ehm, si, Nori, Bofur, Bifur e… - sospirò pesantemente ormai rassegnato - Bombur – terminò voltandosi ancora verso l’uomo.
- Non c’è altro? – borbottò severamente – Ce ne sono altri? –
In quel preciso istante si affacciò Thorin sull’uscio della stalla e Beorn si trasformò completamente cambiando espressione. Sapeva chi era:
- Beorn, mi dispiace recarti questo disturbo, ma c’è qualcos’altro di cui devo metterti al corrente –
- E sarebbe? –
- Rammenti Amdir, figlio dei primi Elfi e Re del Reame Elfico nel Grande Nord? – domandò Gandalf cortesemente.
- Aiutò molti Mutapelle durante la Guerra contro gli Orchi – rispose solennemente.
- Si! – esclamò – Si, esatto, proprio lui –
- Perché mi domandi di lui Mago? – socchiuse gli occhi riducendole a due fessure – Che io sappia è morto molti anni fa in battaglia –
- Si, con mio profondo rammarico, ma sua figlia è qui, nella tua stalla – fece una piccola pausa – Non più di una settimana fa, mentre eravamo nei boschi alle pendici delle Montagne Nebbiose, siamo stati attaccati da un branco di Orchi guidati da Azog il Profanatore e lei è rimasta gravemente ferita da due frecce nere –
Beorn non rispose, invece si precipitò nella stalla facendosi largo tra i Nani. Io e Gandalf lo seguimmo, così come tutta la Compagnia ed appena entrati lo trovammo inginocchiato al capezzale di Elris. D’un tratto si voltò verso di noi ancora con quello sguardo a metà tra sospettoso ed allarmato, come se non riuscisse ad abituarsi alla nostra presenza:
- Non le resta molto tempo – disse in tono schietto mentre si alzava e veniva verso di noi.
- Puoi aiutarla? – domandai.
- Si, posso, spero solo che non sia tardi – e con quelle parole lasciò la stalla.
La paura tornò ad impossessarsi non solo di me, ma anche di tutti gli altri che iniziarono a scambiarsi sguardi preoccupati. Guardai verso Elris e notai con mio profondo dolore che il suo respiro si era abbassato notevolmente. Se Beorn non fosse riuscito a salvarla l’avremmo persa per sempre. Kili era pallido almeno quanto lei. Dopo la scorsa notte potevo perfettamente immaginare cosa gli stesse passando per la testa in questi istanti e capivo il suo stato d’animo fortemente turbato:
- Uscite, tutti – tuonò la voce di Beorn non appena rientrò nella stalla.
- No! – esclamò Kili facendosi avanti nonostante il fratello cercasse di tenerlo calmo – Io non me ne vado –
- Farai meglio a darmi ascolto Nano – rispose il Mutapelle con una forzata calma.
- Io… - fece per parlare di nuovo quando fu interrotto bruscamente da Thorin.
- Kili! – lo richiamò – Fa ciò che dice! –
Mi scambiai un rapido sguardo con Gandalf e mi avvicinai al giovane principe poggiandogli una mano sulla spalla:
- Andiamo a prendere una boccata d’aria, ci farà bene –
Kili annuì appena ed uscì assieme a me seguito da tutti gli altri. Thorin fu l’ultimo a lasciare la stalla chiudendosi la porta alle spalle e lasciando così la nostra amica sola con Beorn. Ci sistemammo tutti sulla morbida erba ancora bagnata di rugiada ed aspettammo. Non sapevo che ore fossero, né il modo in cui il tempo stesse passando. Sembrava tutto così fermo e statico, come se il mondo si fosse fermato e noi eravamo finiti in un limbo fuori dal tempo. La dolce e fresca brezza scuoteva le chiome degli alberi staccando, di tanto in tanto, qualche foglia che volteggiava delicatamente nell’aria andando a formare tanti piccoli ghirigori immaginari mentre continuava a vorticare su se stessa prima di posarsi delicatamente a terra tra gli alti ciuffi verdognoli. Mi sedetti poggiando la schiena al massiccio tronco di un alto albero e iniziai a giocherellare con qualche ciuffo d’erba, quando in mezzo alla terra ed alle foglie trovai una gradita e inaspettata sorpresa. Una piccola e lucente ghianda brillava di uno spiccato color marrone chiaro distinguendosi in mezzo al verde del prato, doveva essere sicuramente caduta dall’albero. La raccolsi ed iniziai a rigirarmela tra le dita osservandola con un leggero sorriso sul volto e in quell’istante un pensiero mi balenò in testa: l’avrei piantata nel mio giardino di ritorno a Casa Baggins. Un piccolo souvenir di questo angolo di paradiso. Sorrisi ancora una volta tra me e me e misi il piccolo frutto nella tasca interna della mia giacca pensando ancora alla brillante idea che avevo avuto poco fa; ero sicuro che l’albero sarebbe cresciuto alto e forte e sarebbe stato l’invidia di tutta la Contea. Feci una leggera risata. Questa piccola ghianda però aveva un significato molto più profondo per me. Rappresentava questo viaggio, le nostre fatiche, le vittorie e le sofferenze e quando il germoglio sarebbe cresciuto avrebbe dimostrato che la vita continuava, che ero stato fortunato non solo a tornare a casa, ma soprattutto a prendere parte a questa avventura e conoscere tante persone davvero fantastiche. Sarebbe stata la mia memoria, ed ogni volta che avrei guardato l’albero mi sarei ricordato dell’esperienza che mi aveva cambiato la vita. Il tempo continuava a scorrere, ormai doveva essere quasi mezzodì, ma ancora non avevamo alcuna notizia di Elris. Non sapevo se fosse un cattivo segno o meno il fatto che stesse passando una gran quantità di tempo, ma, dentro di me, continuavo a sperare nel meglio. Non ero nessuno per dirlo, ma Elris si meritava di vivere, forse più di tutti noi messi assieme. Mentre continuavo ad essere assorto nei miei pensieri mi accorsi che d’un tratto le voci di tutti si erano fermate ed uno strano silenzio era calato su di noi; alzai lo sguardo e vidi Beorn uscire dalla stalla con passo fiero e deciso. Mi alzai e mi avvicinai assieme agli altri; dovevo ammetterlo, ero completamente in panico da non riuscire ad emettere nemmeno un suono e potevo scommettere che anche il resto dei miei compagni era nella mia stessa situazione. Il primo a farsi avanti non appena Beorn si avvicinò abbastanza fu Gandalf che si sorreggeva al suo bastone, come se cercasse di trarre da esso la forza per porre quella fatidica domanda:
- Lei… - iniziò con una forte incertezza nella voce, ancor più marcata di quando dovette annunciare i Nani – Elris, sta… bene? –
Ci fu un momento di silenzio che sembrò durare per sempre durante il quale Beorn ci scrutò tutti, uno ad uno; poi lasciò andare un lungo respiro rilassando le spalle:
- È salva –
E detto questo si allontanò.
 

  
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