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Autore: decimetri    16/02/2017    1 recensioni
Dove Yamaguchi non si piace, non si piace per niente, e Tsukishima prova a fargli cambiare idea.
[TsukkiYama piena di Fluff, 2427 parole]
Genere: Fluff, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kei Tsukishima, Tadashi Yamaguchi
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Per tutte le volte che
 
Anche se non si guardava allo specchio, anche se aveva coperto tutto ciò che potesse riflettere la sua immagine con stracci di vari colori e dimensioni, continuava a vedersi ovunque.
Aveva smesso di passare per le strade dei negozi, nei tragitti da casa a scuola per le troppe vetrine che ornavano le vie.
Camminava per chilometri, piuttosto che prendere l’autobus, in cui bastava un attimo di buio per far sì che scorgesse la sua immagine su un qualche finestrino pulito male.
Si odiava, si odiava per il suo aspetto, in primo piano, per le sue mille lentiggini che in Giappone erano così inusuali. Si odiava per i suoi occhi che non avevano niente di originale, che passavano inosservati. Si odiava per i suoi capelli così disordinati e di un colore così morto. Non gli piaceva niente, neanche il suo fisico, troppo asciutto, senza quel filo di muscoli che rendevano sexy i suoi compagni di squadra.
Ma più di tutto odiava la sua testa, la voce che continuava a dirgli che stava sbagliando qualcosa, che doveva dimagrire ancora, mangiare meno, che doveva studiare di più perché era troppo stupido, che non aveva mezzo amico serio e che era tutta colpa sua.
Solo uno, era solo uno lo specchio in cui si piaceva vedersi riflesso, in cui non si trovava per niente brutto, ma ultimamente aveva paura ad incontrare ciò che ci stava dietro, e quindi aveva abbandonato anche quella magra consolazione che erano gli occhiali di Kei.
Ci vieni oggi all’allenamento? Il messaggio è proprio da parte di Tsukishima, e Tadashi prima di avvicinarsi al telefono si assicuri che emetta una luce abbastanza luminosa da non permettere alla sua immagine di riflettersi.
Non lo so, ho ancora un po’ di febbre. Ormai è una settimana che non si presenta alle lezioni o ai vari allenamenti, gli sembra sempre d’essere osservato, per non parlare di quando lo interrogano ed è costretto ad alzarsi davanti a tutta la classe per rispondere a qualche domanda. Ma Tadashi è stupido, e puntualmente balbetta frasi sconnesse fino a quando il docente si stufa e chiama qualcun altro al suo posto.
Smettila di dire cazzate. O ricominci a venire a scuola o giuro che ti passo a prendere io in moto.
No, questo non può permetterglielo. In due sulla sua moto, vorrebbe dire attaccarsi al suo corpo e di certo non vuole che il suo migliore amico venga toccato dal fallimento umano quale è lui.
Va bene, ci vediamo in palestra digita veloce, tanto ormai per le lezioni è troppo tardi. Lega i capelli in un codino e si infila una felpa nera col cappuccio. Il minimo che può fare se vuole uscire è coprirsi il più possibile.
Per fortuna hanno spostato gli allenamenti a sera tardi ed il buio gli è alleato. Meno luce c’è, più è difficile vederlo.
Arriva in palestra con un pezzo di musica in italiano che gli urla dritto nelle orecchie. Non capisce niente di quello che il cantante dice, ma gli sembra estremamente dolce e, almeno quando lo ascolta, la voce sta zitta per qualche minuto. Si pianta un sorrisone in faccia ed entra, puntando dritto agli spogliatoi. Ha fatto in modo di arrivare qualche minuto prima per evitare d’esser visto dai sui compagni di squadra.
Si stupisce abbastanza, quando, entrando, nota la figura alta e dinoccolata del suo amico d’infanzia, intento a leggere qualche manuale di psicologia sulla panchina.
Solleva appena lo sguardo quando lo vede, poi riprende a leggere, nascondendo sotto all’enorme volume un mezzo sorriso soddisfatto.
Tadashi va letteralmente in panico. Lo specchio enorme, che ricopre un’intera parete, sembra ridere di lui, ora non può rinchiudersi in bagno a mettersi la divisa senza destare qualche sospetto. Lentamente inizia a spogliarsi, guardando solo il pavimento.
I jeans larghi e scuri ci mettono troppo tempo a scivolare lungo le sue gambe, rivelando una pelle coperta di puntini, delle cosce troppo magre e delle caviglie che sembrano così fragili da essere sul punto di spezzarsi. Sa che il suo amico lo sta fissando, sente il suo sguardo bruciargli sulla schiena, eppure si impone di non reagire. Apre la borsa e ne tira fuori i pantaloncini da sport. Troppo corti, troppo attillati. Sente le lacrime bruciargli gli occhi ma si impone di continuare. Li infila e si toglie la felpa nera. Passa involontariamente una mano sul suo petto e riesce a contare le costole, sporgenti, una ad una. Sa che anche la spina dorsale è estremamente visibile e spera con tutto se stesso che l’altro non lo stia ancora fissando.
La maglia della divisa sembra più piccola, copre meno pelle e lascia scoperte le sue braccia esageratamente lunghe.
Quando poi si gira, per sedersi a sua volta ed infilare le scarpe, non può fare a meno d’afferrare il riflesso della sua immagine nell’enorme specchio dello spogliatoio. Quasi piange. Non può uscire così, è impresentabile. Sembra un cartone animato, può quasi vedere il grasso fuoriuscire dalla maglietta. I pantaloncini sono così corti, su di lui, che sembrano delle mutande.
Non può farlo, non può, non può.
Chiude gli occhi perché la sente arrivare, la vocina nella sua testa che era riuscito a tenere a bada per tutto il giorno.
“Tutto bene?” La voce non proviene dalla sua testa, però, ma dalla figura che di fronte a lui lo osserva con un sopracciglio alzato.
“Tutto benissimo.” Si costringe a rispondere con il suo solito sorriso falso. Kei lo osserva per qualche secondo ancora, prima di sollevare le spalle e ricominciare a leggere.
Infila velocemente le scarpe e subito dopo la grande felpa nera che aveva portato con sé, almeno fino all’inizio dell’allenamento non ha intenzione di restare completamente nudo.
Tira fuori il cellulare dalla tasca, infila una cuffietta sola e fa ripartire la sua canzone. Si ripromette di imparare quel minimo di italiano sufficiente per tradurla.
 
Per tutte le volte che,
Mi chiedi scusa e scusa più non è
Ma trovi sempre, il modo di farmi sembrare
Il simbolo del male.
 
Piano piano lo spogliatoio si riempie, lo vedono tutti, lo fissano, lo salutano ma ne è sicuro, appena sarà uscito inizieranno a parlare male di lui. Quando iniziano a spogliarsi, decide di uscire da lì. Non può reggere il confronto con quei ragazzi. Per fortuna, Kei non lo segue.
L’allenamento è meno terribile di come se lo aspettasse. Dice che non sta ancora tanto bene e preferisce osservare più che agire. Li vede saltare e schiacciare con una disinvoltura ed una grazia che a lui non appartengono e ne è geloso. Quando Kei salta, poi, è impareggiabile.
Non è come Hinata, che stupisce per l’altezza della sua elevazione, no, affatto, lui sembra salire un gradino invisibile, sembra che stia sfiorando un granello di polline, prima che la palla si diriga nell’altra metà campo ad una velocità impressionante. Durante quell’ora e mezza cambia la sua posizione poche volte, e quando lo fa è solo per allontanarsi dai compagni di squadra.
Quando il coach poi li rimanda negli spogliatoi, inizia il vero incubo: si cambia evitando di sollevare lo sguardo dalla panchina ed è il primo a lasciare quel luogo, vuole solo correre a casa e arrotolarsi nelle sue coperte quando il suo corpo viene affiancato da quello del migliore amico.
“Sto da te, per stanotte, i miei sono usciti con mio fratello per il weekend e non ho le chiavi.”
“Non so se è una buona idea. Non vorrei contagiarti.” Se venisse davvero a casa sua, se vedesse tutti gli specchi coperti, tutte le tende tirate, probabilmente scapperebbe a gambe levate, dandogli del pazzo.
“Stai tranquillo, ho dei buoni anticorpi.”
“E i miei non sono in casa, mia madre ha il turno di notte, e…”
“Yamaguchi, se non mi vuoi basta dirlo.”
“No, non è questo, è solo che…”
“Allora non vedo problemi.” Chiude la conversazione, mettendosi le cuffie e seguendo l’altro fino alla sua abitazione.
 
Non si ricordava che quell’appartamento fosse così scuro. Tadashi lo fa sedere sul divano in soggiorno e si dirige di corsa verso la sua stanza. Deve scoprire tutto, e farlo in fretta.
Per prima cosa apre le tende, la sua immagine è leggermente distorta, quindi quando la vocina gli ricorda quanto faccia schifo si limita a dare la colpa a quello. Poi gli specchi. Sono passati mesi da quando si è ritrovato a fissarsi negli occhi, attraverso quei vetri. Cerca di pensare a quella figura come a qualcosa di estraneo, qualcosa che non lo riguarda. Quando finisce, è più sudato che a fine dell’allenamento. Ritorna dal suo amico e decidono di ordinare una pizza. La pizza fa ingrassare, Tadashi, non hai visto quanto sono grosse le tue cosce, in spogliatoio? Se la mangi, le tue lentiggini finiranno per allargarsi fino a diventare macchie, e allora sì che sembrerai una mucca. Ritorna la voce, ma ormai è troppo tardi e hanno già ordinato.
“Ti va di guardare un film?” Chiede il biondo.
“Certo, scegli tu.” No no no un film no, non vuole avere a che fare con altri schermi.
Alla fine arriva la loro cena e si siedono sul divano a guardare un qualche episodio di Glee per passare il tempo. O meglio, Yamaguchi guarda la TV, mentre Kei guarda lui.
Finiscono di mangiare e decidono di prepararsi per la notte. Mentre percorrono il corridoio, però, Tsukishima lo afferra per un polso e lo trascina in camera sua.
Non sa bene come, ma finisce proprio davanti al grande specchio che sta all’interno dell’armadio, l’amico fermo dietro di lui. Fissa il pavimento, sperando che quel momento di disagio finisca presto.
“Guardati.” La voce dell’altro è un sussurro quasi impercettibile che giunge al suo timpano, dietro di esso, però, riesce a percepire la sua forte determinazione e, a malincuore, ricambia lo sguardo del ragazzo dall’altra parte del vetro. Le mani di Kei si posano leggere sui suoi capelli, e li accarezzano piano, fino a togliere l’elastico e a farglieli ricadere dolcemente ai lati del viso. “Sono perennemente in disordine.” Sussurra ancora il ragazzo dietro di lui “ti invidio tantissimo, sai? Solo tu puoi stare bene con un taglio del genere.”
Le carezze dell’amico scendono, sfiorano le sue orecchie e i suoi polpastrelli circondano un paio di volte i suoi occhi, soffermandosi sulle profonde occhiaie.
“Dovresti dormire di più, hai degli occhi così grandi e luminosi, ma queste” dice passando le dite sui solchi scuri “non li risaltano per niente.” Le sue mani, poi proseguono, si soffermano sul collo dove si sta formando un’evidente pelle d’oca, percorrono poi tutta la spina dorsale e gli sollevano lentamente la maglietta, fino a sfilargliela dalla testa. Tadashi si costringe a mantenere il suo sguardo solo sugli occhi, non vuole vedersi, non vuole che Kei lo veda, sente le lacrime che gli pungono ai lati degli occhi, ma si costringe a non piangere. Le mani dell’amico si posano sollo stomaco, riescono a coprirgli la pancia quasi per intero.
“Sei dimagrito molto, ultimamente, e mangi poco” i suoi tocchi delicati si spostano lentamente sulla sua schiena, li sente salire fino a fermarsi alle sue spalle “Mi è sempre piaciuta la tua schiena, le tue forme in generale. La larghezza simmetrica, perfetta delle tue spalle” ora non le trattiene più le lacrime, Kei non sa niente, lo sta solo prendendo in giro. Lui è brutto. Stupido. Inutile.
Le mani dell’altro tornano sul viso, gli asciugano le lacrime mentre riprende a parlargli a bassa voce nell’orecchio:
“E queste lentiggini, Tadashi, le tue lentiggini saranno la mia morte” dice, mentre gli accarezza le guance.
“Sei bello, sei così bello da far male, sei bello quando sorridi, con le rughette d’espressione ai lati dei tuoi occhi e sei bello quando piangi, con le guance rosse e le lacrime a solcarti il viso.”
Fa fatica, a rispondergli, e quando lo fa il suo è solo un sussurro “Smettila di prendermi in giro, ti prego.”
Un lampo di rabbia appare nello sguardo del più alto, che lo fa voltare di scatto e lo fissa dritto negli occhi:
“Lo so che non ti piaci, non sono un idiota e l’ho capito da tempo che qualcosa non andava, ma non dubitare delle mie parole. Non ti ho mai mentito, mai. Anche se ti comporti in modo patetico o mi fai arrabbiare io ti ho sempre detto la verità e non dubitarne.” Lo odia, lo odia in questo momento, lo odia perché sa che non dice sul serio. Ma annuisce, perché è l’unica cosa che riesce a fare.
“Allora dillo” sussurra ancora Tsukishima.
“Cosa?”
“Che sei bello” questo non può farlo. Resta in silenzio e sente che l’altro si è fatto più vicino quando sente il suo respiro a diretto contatto con l’orecchio: “Dillo” non è una domanda, è un ordine.
“S-sono bello” le parole suonano insicure, fuori posto.
“Più forte.”
“Sono bello” ci mette tutta la determinazione che ha nel suo corpo.
“Ancora una volta.” Le mani dell’altro hanno iniziato a sfiorargli dolcemente le spalle.
“Sono bello” è così distratto da quei tocchi e le parole escono quasi involontarie, in un sospiro.
“E ora stai zitto.” Dice Kei, prima di baciarlo.
 
Ma poi c’è una volta in cui
Scatta qualcosa fuori e dentro noi
E tutto il resto è piccolo come uno spillo.
Impercettibile.
 
Spalanca gli occhi prima di rendersi conto che si, lo sta baciando, lo sta baciando sul serio. Non sa in quale momento preciso ricomincia a piangere, ma sente le mani del biondo asciugargli le lacrime e allora gli circonda il collo col braccia, non sa quanto durerà, tanto vale goderselo.
 
Così potente questo amore che,
Ci difendiamo,
Con tutta la forza.
Ma non basta quasi mai.
 
Non sa per quanto tempo restano così, ma quando si staccano, Kei lo abbraccia e gli sussurra un “Non dubitare più di te, che mi piaci così come sei.” Che quasi crede, che ci sia qualche speranza anche per lui, il colpo di grazia arriva con un’ultima frase, che gli riempie il cuore di emozioni contrastanti:
“Non sai da quanto volevo farlo.”
 
Come se un giorno freddo in pieno inverno,
Non avessimo poi tanto freddo perché noi,
Coperti sotto il mare,
A far l’amore.
Ma ormai siamo irraggiungibili.
 
 
Angolino autrice :3
Ehi, torno con una nuova YamaTsukki perché dai, sono troppo belli e come si fa a non scrivere di loro?
Fa abbastanza schifo, lo so, ma è stata un’ispirazione improvvisa causatami dal festival di San Remo (quello del 2010, specifichiamo, quest’anno non mi è piaciuto gnaw)
Se avete letto fino alla fine, e ora siete qui, fatemi sapere cosa ne pensate!
Un bacione,
Kat c:
   
 
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