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Autore: KukakuShiba    27/02/2017    16 recensioni
DESTIEL teen AU
Il mondo del giovane Dean Winchester incontrerà inevitabilmente quello di Castiel Novak, nuovo vicino di casa, affetto da un handicap invisibile. Insieme, i due impareranno qualcosa di prezioso sull'amicizia, sull'amore e sulla vita.
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Fanart di Naenihl

 
CAPITOLO VENTUNO
 
“Nulla è permanente,
tranne che il cambiamento”
 
Eraclito
 
 
 
“Allora, chi presenta il caso?”
Un ragazzo alzò la mano, facendo a gara con altri coetanei accanto a lui, per farsi notare di più.
“Tu” – disse l’uomo che aveva posto la domanda, indicandolo con un cenno del capo.
Il ragazzo sorrise soddisfatto, sotto lo sguardo astioso degli altri, per poi abbassare gli occhi sul proprio palmare e schiarirsi la voce.
“Castiel Novak, maschio, diciassette anni. Affetto da sordità bilaterale profonda dall’età di undici anni, a seguito di una meningite di natura infettiva. È qui per applicazione chirurgica dell’impianto cocleare. La TAC e la risonanza magnetica non hanno mostrato alterazioni significative che possano impedire l’intervento. All’esame generale il paziente versa in buono stato di salute, l’emocromo e il profilo biochimico sono nella norma”.
“Molto bene” – annuì l’uomo, prima di voltarsi leggermente.
“Allora, Castiel” – proseguì poi, sorridendo – “Come ti ho spiegato nell’ultima visita, l’intervento è diviso in due parti: il fissaggio del ricevitore sull’osso temporale e l’inserimento degli elettrodi a livello del timpano”.
Castiel era seduto sul letto della sua camera d’ospedale, con lo sguardo fisso sull’uomo di fronte a lui. Amelia e James erano in piedi, accanto al figlio. Castiel annuì, puntando poi gli occhi sulle persone che si trovavano alle spalle del chirurgo. Erano cinque ragazzi, più o meno coetanei di Balth, intenti a prendere appunti sui loro palmari.
Il dottore si accorse della perplessità sul volto del suo giovane paziente e sorrise ancora. Si avvicinò al letto, richiamando così la sua attenzione.
“Sono innocui” – disse, facendo un cenno dietro di lui.
Castiel abbozzò un sorriso.
“Sono i miei specializzandi” – spiegò l’uomo – “E uno di loro mi assisterà durante l’intervento”.
Il ragazzo dagli occhi blu riservò un ultimo sguardo a quei ragazzi e annuì di nuovo.
“Mi scusi, dottore” – intervenne Amelia – “Durante la visita ci aveva parlato di alcuni problemi…”
“Sì, è vero” – ammise il medico – “E riguardavano il livello di ossificazione del labirinto, ma dalla TAC abbiamo visto che non dovrebbero esserci problemi per l’infissione degli elettrodi”.
“Quanto durerà l’intervento?” – chiese la donna, pur consapevole di aver già fatto quella domanda più volte in quelle ultime settimane.
“Circa tre ore”.
Amelia trattenne piano il respiro.
“E lui…” – esitò poi – “Quando potrà…”
“Castiel rimarrà qui in ospedale per almeno tre giorni dopo l’intervento. E una volta dimesso dovrà fare dei controlli, per valutare la guarigione della ferita chirurgica” – disse il medico – “Ci vedremo spesso” – aggiunse, sorridendo al ragazzo.
Castiel ricambiò il sorriso.
“E se tutto procede bene, attiveremo l’impianto dopo due o tre settimane” – continuò l’altro – “Castiel dovrà sottoporsi a delle sessioni, così l’apparecchio potrà essere attivato in modo graduale e su tutti i canali. Ma questo lo vedremo più avanti, per ora concentriamoci su una cosa per volta”.
“Ho capito, grazie…” – annuì Amelia.
“Bene, se non ci sono altre domande, vado a continuare il mio giro visite” – disse l’uomo – “Ci vediamo domattina, Castiel”.
Il medico fece per andarsene, ma poi si girò di nuovo verso il ragazzo, tornando sui suoi passi.
“Ah, mi sono raccomandato con le infermiere di farti un bel taglio” – aggiunse scherzoso, indicando i capelli del giovane con un dito.
Castiel si portò una mano dietro l’orecchio e sorrise timidamente.
 
“James”.
Terminato il colloquio con il chirurgo, James era uscito dalla stanza dove il figlio era ricoverato da quella mattina. La moglie, invece, era rimasta ancora qualche minuto con Castiel. Quando la donna era uscita dalla camera, aveva visto il marito nella grande sala d’attesa antistante, con una spalla appoggiata al muro e le braccia incrociate al petto.
Al richiamo di Amelia, l’uomo alzò lo sguardo.
“Non hai detto nulla, là dentro” – disse lei, avvicinandosi.
James la guardò con i suoi occhi blu, così simili a quelli di Castiel, e rimase in silenzio.
“James” – lo richiamò la donna, preoccupata.
“Scusa” – mormorò lui – “È che…sta accadendo tutto così in fretta”.
Lo sguardo dell’uomo si perse nel vuoto, mentre la sua memoria richiamava alla mente tutto quello che era accaduto nelle ultime settimane.
Nei giorni seguenti al suo sfogo di quella sera, l’atteggiamento di Castiel aveva subito un cambiamento. Il ragazzo, infatti, si era pian piano riavvicinato alla sua famiglia, dapprima con piccoli gesti, come sedersi a tavola con loro durante i pasti, e poi con un coinvolgimento nella vita familiare via via maggiore. I genitori e il fratello avevano stabilito, di comune accordo, di mantenere un comportamento del tutto normale di fronte al ragazzo, lasciando che fosse sempre lui a fare la prima mossa, e ad andare loro incontro. Nell’animo, però, tutti provavano un sollievo e una soddisfazione incredibile nel vedere l’altro tornare a fare la maggior parte delle cose che faceva prima. Castiel, infatti, aveva deciso di riprendere le lezioni con Naomi e di recuperare il tempo perso, in previsione dell’imminente diploma. Inoltre, aveva accettato di uscire qualche volta con il fratello e, in alcune occasioni particolari, anche con la madre. Ma, indubbiamente, il momento di maggiore impatto emotivo per la famiglia Novak era stato quando, un giorno, Castiel aveva confidato ai genitori e al fratello di voler fare l’impianto cocleare, chiedendo il loro aiuto. Richiesta che, tra l’altro, aveva scaldato il cuore di tutti, soprattutto quello di Amelia. Nelle settimane successive, Castiel e i signori Novak avevano consultato uno specialista, che aveva fornito loro tutte le indicazioni del caso, spiegando quali sarebbero state le fasi da affrontare e rispondendo alle domande del ragazzo. In seguito, Castiel si era dovuto sottoporre ad una serie di esami, per verificare la sua idoneità all’intervento. Una volta appurato che fosse tutto nella norma, era stato fissato il giorno dell’operazione.
Amelia sospirò piano.
“Non fraintendermi” – intervenne subito James – “Sono contento che abbia deciso di farlo, e che abbia voluto il nostro aiuto, ma…” – si interruppe lui.
La donna posò una mano sul suo braccio, accarezzandolo dolcemente.
“Ho paura…” – ammise l’uomo, flebile.
Amelia si avvicinò di più e abbracciò il marito, che la strinse a sé, nascondendo il viso sulla sua spalla.
“Lo so, tesoro” – mormorò lei – “Ho paura anch’io…”
 
 
°°°
 
 
Dean era sdraiato sul letto, con le braccia incrociate al petto e con gli occhi fissi sul soffitto. Uno spicchio di luce faceva capolino tra le tende della finestra e si allungava sull’intonaco bianco, colorandolo di un tenue arancione. Il pomeriggio volgeva al termine, dando così il suo addio ad un’altra giornata.
Da quando aveva fatto ritorno a casa, dopo la notte trascorsa fuori, i giorni del giovane Winchester erano stati scanditi da una rigida routine, messa appunto dai genitori. Infatti, dopo la bravata del figlio, John e Mary avevano stabilito una specie di punizione, fatta di regole da seguire e rispettare, sia fuori che dentro casa. E questo perché, sebbene il ritorno del figlio incolume fosse stato per loro una fonte di sollievo, nonché la fine di un incubo durato più di otto ore, i due ritenevano che il ragazzo dovesse comunque riflettere sul suo comportamento.
Nelle settimane successive, l’atteggiamento di Dean si era sensibilmente modificato. A quei giorni in cui il ragazzo non riusciva a contenere la sua rabbia, infatti, erano seguiti momenti in cui si mostrava apatico e chiuso nei suoi pensieri. La mancanza di Castiel era una presenza costante nella sua quotidianità, con la differenza che, se prima era una fonte di dolore, da cacciare via il più lontano possibile, adesso invece era quasi una compagnia, seppur malinconica e triste.
Dean batté le palpebre, richiamato da un rumore secco e improvviso, che spezzò la quiete intorno a lui.
“Avanti” – disse, resosi conto che qualcuno aveva bussato alla porta della camera.
Un viso conosciuto fece capolino dalla porta socchiusa.
“Disturbo?” – chiese dolcemente Mary.
“No” – rispose Dean, mettendosi seduto.
La donna entrò nella stanza e si avvicinò al letto, soffermandosi a guardare il figlio, senza dire nulla.
“Posso?” – disse poi, facendo un cenno del capo verso il materasso.
Il ragazzo annuì, spostandosi di lato per lasciare alla madre lo spazio per sedersi. Mary prese posto sul bordo e si guardò distrattamente in giro.
“Hai finito i compiti?” – domandò.
“Sì…”
La signora Winchester indugiò, portandosi una ciocca di capelli dietro le orecchie e sospirando piano.
“Dean” – lo richiamò.
Il figlio incrociò i suoi occhi, in attesa.
“Vorrei parlare un po’ con te” – continuò lei.
Il ragazzo si limitò ad osservarla e ad annuire, rimanendo in silenzio.
Mary ricambiò il suo sguardo, prendendosi ancora un momento.
“Ho visto Castiel l’altro giorno” – esordì poi.
Dean spalancò gli occhi, mentre il viso perdeva rapidamente colore.
“Stava salendo in macchina con i suoi genitori” – continuò lei.
Il ragazzo sentì improvvisamente la gola secca e deglutì, a vuoto.
Mary posò una mano sulle lenzuola, lasciando che le dita giocassero con le piccole pieghe del tessuto.
“Sai, quando l’ho visto, ho pensato che è da parecchio che non viene qui” – proseguì.
Dean aprì la bocca, per poi richiuderla subito, incapace di articolare qualsiasi cosa che assomigliasse vagamente a delle parole.
La madre si sistemò meglio sul materasso, ruotando leggermente il busto, in modo da incontrare facilmente il volto del figlio con il proprio.
“Dean, guarda che lo so”.
Gli occhi del giovane Winchester si spalancarono ancora di più e il ragazzo trattenne il fiato, mentre il cuore correva così veloce che, per un momento, sembrò uscire dal petto. Per qualche istante la sua mente fu soffocata da una miriade di domande che si rincorrevano tra loro, generando una confusione tale da stordirlo. Perché la madre aveva tirato fuori il nome di Castiel, così, all’improvviso? E cosa voleva dire con quel lo so? Cosa sapeva, esattamente? Che Castiel era il motivo per cui si trovava in quello stato da settimane? E se sì, a cosa si riferiva, di preciso? A quella parvenza di semplice amicizia, che lui e il moro avevano fatto credere a tutti, oppure a qualcos’altro? Davvero Mary aveva capito? E come? Forse lei aveva parlato con Castiel e lui le aveva riferito tutto? Impossibile, Castiel non lo avrebbe mai fatto. Tra l’altro, la madre lo aveva visto…come le era sembrato? Stava bene? E dove st-
“Dean”.
“C-cosa?”
La voce uscì dalla sua gola più stridula di quanto avesse voluto, come se si stesse arrampicando su una superficie simile al vetro, per poi scivolare giù miseramente.
“Lo so” – ripeté Mary – “Di te e Castiel”.
Dean sentì lo stomaco contorcersi in una morsa e artigliò le lenzuola tra le dita, cercando di mantenere il controllo della situazione. D’istinto si umettò le labbra, cercando di guadagnare tempo, ma più rimaneva in silenzio, più era difficile controbattere in maniera valida.
“I-In che senso?” – disse infine, non riuscendo a trovare di meglio.
Mary sospirò.
“Hai capito benissimo in che senso”.
Il ragazzo distolse lo sguardo, facendolo vagare nel vuoto, terrorizzato. Cosa doveva fare? Negare? La madre sembrava così sicura…in che modo avrebbe potuto farla ricredere? O, invece, avrebbe dovuto ammettere tutto? Ma lei come l’avrebbe presa? A guardarla così Mary non sembrava turbata o in preda a qualche emozione particolare…ma poi? Se lo avesse ammesso, cosa sarebbe successo? La donna lo avrebbe detto anche al padre?
Improvvisamente, Dean si sentì sopraffatto al solo pensiero di dover affrontare tutto quello, come se la rottura con Castiel e la mancanza del ragazzo con gli occhi blu non lo avessero debilitato abbastanza. Dean percepì le poche forze rimaste abbandonarlo completamente, lasciandolo svuotato e incapace di reagire. E fu in quel momento che, semplicemente, si arrese.
“Come l’hai capito?” – mormorò, flebile
Mary socchiuse di poco gli occhi e arricciò le labbra, trattenendo un sorriso.
“Diciamo che lo sospettavo da un po’”.
Dean aggrottò la fronte, perplesso. In tutti quei mesi passati insieme, lui e Castiel erano stati molto attenti a non dare troppo nell’occhio, almeno quando erano insieme nelle rispettive case, soprattutto dopo essere stati scoperti in quel modo da Sam. Pertanto in quel momento Dean non riusciva a capacitarsi come la donna avesse potuto anche solo sospettarlo.
La signora Winchester lesse la confusione nei lineamenti del figlio e allargò il sorriso.
“Ho visto come ti guardava” – spiegò allora – “E come lo guardavi tu”.
Dean schiuse leggermente la bocca.
“Il modo in cui vi sorridevate” – continuò lei, spostando gli occhi sullo spazio circostante, come se quel gesto l’aiutasse a ricordare – “E il modo in cui stavate vicini”.
Dean abbassò lo sguardo, stropicciandosi le mani, a disagio. Le parole della madre si trasformarono in piccoli flash nella sua mente, che pungolarono il suo animo già fortemente provato.
“E poi c’è stata quella volta” – aggiunse la donna.
Il ragazzo fece scattare lo sguardo sulla madre, colpito da quell’affermazione.
“Q-quale volta?”
“Quando Castiel ha avuto una vertigine, qui a casa nostra”.
Dean corrugò le sopracciglia.
“E tu lo hai baciato sulla fronte” – sorrise lei.
Dean fu investito da un calore improvviso, che lo fece arrossire. Ricordava bene quella volta: l’agitazione provata per aver visto l’altro a terra; il modo in cui lo aveva stretto a sé, in attesa che la vertigine passasse; le sue labbra che si posavano sulla fronte di Castiel in un gesto amorevole e così spontaneo, da fargli dimenticare persino la presenza della madre.
“A dire il vero, però, non ne ero così sicura” – continuò Mary, richiamandolo dai suoi pensieri – “Credo di averlo capito per davvero solo quella sera, quando…” – esitò – “Quando ti ho chiesto se c’era di mezzo una ragazza…”
Dean rimase in silenzio.
“Non so come spiegarlo” – gesticolò lei – “Mi hai guardato in un modo che…” – sospirò stancamente.
Il ragazzo si limitò ad ascoltare, senza dire nulla.
“E quando ho visto Castiel, l’altro giorno…ho avuto la conferma che cercavo”.
 
“Mi dispiace” – sussurrò Dean, tenendo lo sguardo basso.
Mary inclinò leggermente il viso.
“Per cosa?” – domandò poi.
“Io…” – tentennò il giovane – “Non sapevo di…voglio dire” – farfugliò – “Con un altro ragazzo…”
“Dean” – intervenne lei, vedendo l’altro in difficoltà – “Non ti devi scusare di nulla”.
Dean osservò la madre, stranito.
“Non nego di essere rimasta sorpresa” – ammise la donna – “Sì, insomma…sei stato con Lisa, e prima di lei hai avuto altre ragazze…e non ho mai pensato che…” – fece una pausa – “Che ti piacessero anche i ragazzi…”
Dean si mordicchiò l’interno della guancia, incrociando gli occhi della madre.
“Ti…ti dà fastidio?” – chiese, con un filo di voce.
“Oh cielo, Dean” – sospirò lei – “Certo che no”.
Il ragazzo fece per dire qualcosa, ma si fermò.
Mary rimase ad osservarlo, in attesa.
“E papà?” – riuscì poi a dire l’altro, quasi in un sussurro.
“Papà, cosa?”
“Lo sa?”
“No, credo di no”.
Dean abbassò un po’ le sopracciglia.
“Glielo dirai?”
La madre batté le palpebre un paio di volte.
“Non spetta a me farlo”.
 
“Cos’è successo con Castiel?” – chiese Mary, dopo un po’.
Dean serrò le palpebre, nel vano tentativo di sfuggire a quella domanda, ma soprattutto a quel ricordo, ancora troppo vivido e doloroso.
Ad un tratto, un tocco lieve e tiepido gli fece aprire gli occhi. Mary aveva posato una mano sulla sua guancia e lo stava guardando, incitandolo silenziosamente a lasciarsi andare e a confidarsi con lei.
Dean ricambiò lo sguardo e dopo qualche secondo rilassò le spalle, in un sospiro che sapeva di rassegnazione.
In seguito, Dean raccontò alla madre di quei mesi passati con Castiel, sorvolando sui dettagli troppo intimi e personali, e concentrandosi invece sull’andamento della loro storia, soprattutto sul lento declino dell’ultimo periodo, prima della fine.
Mary rimase ad ascoltare il figlio senza dire nulla, nemmeno quando il ragazzo si prendeva delle pause, consapevole del fatto che quei silenzi servissero a Dean per raccogliere i pensieri e andare avanti.
“Mi dispiace” – disse infine, quando l’altro terminò di parlare.
Dean si passò una mano sul viso e annuì leggermente.
Per qualche minuto nessuno dei due proferì parola, lasciando così che la quiete della stanza cullasse e proteggesse quella connessione emotiva che si era creata tra loro.
“Posso farti una domanda?” – chiese poi la donna, quasi sottovoce, come se temesse di far scoppiare quel momento, fragile e delicato come una bolla di sapone.
Dean incrociò gli occhi di lei e fece un lieve cenno del capo.
“Tu credi che sia finita davvero?”
Le parole della madre arrivarono come uno schiaffo su una pelle già arrossata e sensibile, amplificando così il dolore già esistente. Dean fece una smorfia, visibilmente infastidito.
“Beh, mi ha lasciato” – sibilò, calcando il tono sulle ultime parole.
“Sì, lo so, ma mi chiedevo se non ci fosse ancora la possibilità di par-”
“Mi ha lasciato” – ripeté lui, sovrapponendo la sua voce a quella di lei – “Mi ha lasciato, nonostante io abbia fatto tutto per lui” – proseguì, con una sottile venatura di rancore nel tono – “Perché a me non è mai importato che fosse sordo, a me piace così com’è, e gliel’ho dimostrato non so quante volte, ma lu-”
“Lo so, tesoro, lo so” – lo interruppe Mary, prendendo le sue mani nelle proprie.
La donna strinse piano le labbra.
“Sai, credo che per Castiel sia stato molto difficile prendere questa decisione” – disse.
Dean si umettò le labbra.
“E non oso immaginare quanto deve essere dura per lui vivere con il suo problema ogni giorno, e continuare a scontrarsi con cose che gli ricordano sempre il suo handicap” – continuò lei.
“Lo so”.
“Lo sai per certo?”
Dean si morse un labbro.
“Hai mai provato a metterti nei suoi panni?”
Il ragazzo abbassò lo sguardo, a disagio. Lo aveva fatto, una volta sola, il giorno stesso in cui lo aveva conosciuto. Ma non c’era riuscito, non completamente almeno.
“Dean” – lo richiamò la madre – “Non è un rimprovero” – lo rassicurò – “È che…se certe cose non le provi sulla tua pelle, non puoi capire davvero”.
Dean sollevò lo sguardo e Mary poté vedere una leggera increspatura nel verde dei suoi occhi.
“Poteva dirmelo…” – smozzicò lui – “O poteva provare a spiegarmelo…”
“Tesoro” – sospirò lei – “Non è facile dire certe cose, perché si ha paura di quello che l’altra persona possa pensare”.
La donna fece una pausa.
“Soprattutto se questa persona è quella che amiamo”.
Dean rimase in silenzio, incapace di replicare.
Mary aspettò un attimo, prima di sporgersi in avanti e posare le labbra sulla fronte del figlio. Infine, si alzò dal letto e uscì dalla stanza, senza dire nulla.
E quando la porta si chiuse, Dean serrò le palpebre, lasciando che la mente si perdesse nei suoi pensieri.
 
Quella notte, Dean fece uno strano sogno.
Era la vigilia di Natale e la madre gli aveva affidato il compito di porre la decorazione a forma di angelo, alla quale lei teneva molto, sulla cima del loro albero. Dean era rimasto sorpreso di fronte alla richiesta della donna, perché solitamente era sempre stata lei a farlo. Ma un’altra cosa aveva colpito il giovane Winchester. Quando si era ritrovato tra le mani la decorazione, infatti, Dean si era reso conto che era diversa da quella che aveva sempre visto. E nel momento in cui l’aveva avvicinata al viso per osservarla meglio, Dean ne aveva compreso il motivo: quello che teneva in mano era sì un piccolo angelo, ma con i capelli neri e gli occhi blu.
 
 
°°°
 

Castiel fece scorrere il dito sul display del cellulare, soffermandosi sulle immagini. Ogni tanto pizzicava lo schermo con i polpastrelli, ingrandendo così il dettaglio di una figura.
I genitori erano rimasti con lui fino alle prime ore della sera, per poi tornare a casa. Una volta rimasto solo, nella sua camera d’ospedale, Castiel aveva sentito l’inquietudine crescere dentro di lui. Ben presto quella sensazione lo aveva spinto a scendere dal letto e ad avvicinarsi alla finestra, per poi scostare le veneziane e guardare la cittadina di Lawrence che veniva cullata dal buio, al di là del vetro. In seguito, aveva provato ad ingannare tale sensazione leggendo un libro che aveva portato con sé, ma invano, dal momento che non riusciva a concentrarsi. Infine, non sapendo più cosa fare, aveva preso in mano il telefono e iniziato a spulciare la galleria delle immagini. Le foto presenti erano quasi tutte di lui e di Dean: al parco, sulla pista di pattinaggio, nell’Impala, nelle rispettive camere, in giro con i gli amici. E in quel momento, Castiel aveva sentito l’inquietudine farsi meno pressante, come se la sola immagine di Dean sullo schermo la tenesse a distanza, facendogli da scudo.
Castiel indugiò sulla figura di Dean, ritratto mentre era appoggiato al cofano dell’Impala. Il ragazzo dagli occhi blu abbozzò un sorriso, al ricordo di quando aveva scattato quella foto.
All’improvviso un tocco leggero lo fece sussultare, costringendolo ad alzare la testa di scatto.
“Non riesci a dormire?” – chiese la donna di fronte a lui.
Il giovane batté le palpebre, realizzando un secondo dopo che si trattava di un’infermiera.
“No…” – ammise poi.
La donna sorrise, comprensiva.
“Dovresti riposare, domani è una giornata importante” – disse dolcemente.
Castiel si morse un labbro e abbassò gli occhi.
“Sei preoccupato per domani?” – chiese lei, richiamandolo con un altro tocco.
Il giovane incrociò i suoi occhi, esitando un attimo, e infine annuì.
“È normale, è pur sempre un intervento” – lo tranquillizzò lei.
 
“È un tuo amico?” – domandò poi, guardando di sfuggita la foto di Dean sullo schermo del telefono.
Castiel oscurò il display con un gesto rapido.
“Sì…”
“Sarà contento per l’impianto” – sorrise lei.
Il ragazzo strinse forte il cellulare tra le mani.
“A dire il vero non lo sa…”
L’infermiera corrugò la fronte, perplessa.
“Non gliel’hai detto?”
“No…”
“E come mai?”
Castiel schiuse le labbra, ma non riuscì a dire nulla.
La donna lo osservò per un po’, in silenzio, notando il disagio trasparire dai suoi lineamenti.
“Va bene” – disse infine – “Coraggio, è tardi ed è ora di dormire”.
Il giovane annuì e appoggiò il telefono sul comodino, sistemandosi meglio sul letto.
“Buona notte, allora. E se hai bisogno di qualcosa, chiamami pure, ok?” – disse lei, indicando con l’indice il pulsante sulla sponda del letto, per poi spegnere la luce e uscire dalla camera.
Castiel rimase da solo, a fissare il vuoto nel buio, con i suoi pensieri.
L’indomani la sua vita sarebbe cambiata di nuovo, esattamente come era cambiata anni addietro dopo la malattia, con la differenza che, in quest’ultimo caso, il ragazzo non aveva potuto scegliere.
La decisione di fare l’intervento aveva richiesto tempo, ed era arrivata dopo una travagliata riflessione.
Quando si era svegliato, il giorno seguente allo sfogo, Castiel non era riuscito a capacitarsi di aver finalmente dato voce al suo desiderio di sentire. In tutti quegli anni non aveva mai fatto parola con la sua famiglia di quello che provava. E dopo averlo fatto, dopo aver lasciato fuoriuscire tutto come un fiume in piena, dentro di lui non era rimasto più nulla. Si era sentito completamente svuotato, ma stranamente quella sensazione non era stata per niente spiacevole, anzi. Tutta la rabbia e la frustrazione, che erano state fomentate da quel desiderio, erano scomparse, lasciando una quiete quasi surreale. E in questa tranquillità, Castiel era riuscito a vedere i danni che il caos e la confusione, così caratteristici del suo desiderio, avevano lasciato al loro passaggio: la rinuncia alla scuola e al diploma, l’aver tenuto a distanza e ferito la sua famiglia, l’aver allontanato Dean… Le parole che il fratello gli aveva rivolto la sera prima avevano fatto presa su di lui, facendo emergere prepotentemente un senso di colpa nei confronti dei genitori, soprattutto della madre. Senso di colpa che lo aveva costretto a rimanere nella sua camera per tutto il giorno, ma che, alla fine, lo aveva anche spinto ad uscirne verso sera. Quando si era timidamente affacciato in sala da pranzo, il ragazzo aveva incontrato lo sguardo della madre, che gli aveva sorriso, come se niente fosse. E in quell’istante, Castiel aveva intravisto l’amore che la sua famiglia provava per lui, nonostante il suo atteggiamento l’avesse fatta soffrire, nonostante lui l’avesse accusata di non capire come si sentiva. In realtà, Castiel sapeva che la sua famiglia lo amava, da sempre, ma aveva lasciato che la sua sordità gli impedisse di vedere l’entità di quell’amore e di capirlo a fondo, proprio come aveva fatto con l’amore che Dean gli aveva sempre dimostrato. E questo perché era proprio Castiel il primo a non amarsi.
Nei giorni successivi, quella nuova consapevolezza gli aveva tenuto compagnia, insieme a quello che il fratello gli aveva detto. Ogni volta che poteva, Castiel rifletteva su sé stesso, focalizzando la sua attenzione su tutti gli aspetti che facevano parte di lui e che contribuivano a renderlo quello che era: il suo non amarsi, il suo non accettarsi così com’era, il desiderio di sentire, la sua paura. Tutte queste parti avevano le loro ragioni e le reclamavano a gran voce e, inizialmente, per Castiel era stato impossibile anche il solo pensare di metterle d’accordo tra loro, come gli aveva suggerito Balth. In mezzo a tutto questo, il pensiero di Dean era sempre presente. Castiel aveva promesso al fratello che avrebbe pensato a cosa fare e, in effetti, il ragazzo dagli occhi blu non aveva fatto altro. Castiel si era domandato più volte se fosse giusto tornare da Dean, come se niente fosse, dopo tutto quello che gli aveva fatto, ma la possibilità di riavere Dean di nuovo nella sua vita scalpitava dentro di lui, sollecitandolo ad andare dall’altro e chiedergli di tornare a stare insieme. Contemporaneamente, però, qualcosa lo bloccava: la paura. Una paura che si rifletteva, in egual misura, nelle due possibili conseguenze che la decisone di andare da Dean avrebbe comportato.
Cosa sarebbe successo, se Dean non lo avesse perdonato? Castiel sapeva di averlo ferito, e tanto. Aveva visto trasparire il suo dolore dalle parole che si erano formate sulle sue labbra, nel verde dei suoi occhi, e lo aveva percepito dalla tensione del suo corpo in quell’ultimo abbraccio. E sapeva che non si sarebbe mai dato pace per questo, riconoscendo quindi a Dean il diritto di rifiutare la sua richiesta, sebbene questo per Castiel avrebbe significato vivere nel rimorso e nel rimpianto di averlo perso per sempre.
Cosa sarebbe successo, invece, se Dean lo avesse perdonato, riprendendolo con sé? Castiel ne sarebbe stato felice e sicuramente anche Dean e, per i primi tempi, entrambi sarebbero stati totalmente presi l’uno dall’altro, spinti a colmare la mancanza reciproca che si era accumulata dopo il loro allontanamento. Ma poi? Sarebbero riusciti a far funzionare le cose? O invece, andando avanti, sarebbero pian piano caduti nelle vecchie abitudini e nei soliti errori? Ogni volta che Castiel si spingeva con il pensiero fino a questo punto, si fermava, lasciando che fosse la consapevolezza di non amarsi, che lo seguiva in questi momenti di riflessione, a prenderlo per mano e a mostrargli la strada. Non poteva tornare da Dean, non così com’era, perché farlo avrebbe significato continuare a non vedere e a non capire l’amore che il giovane Winchester provava per lui. Per poterlo fare, per poter accettare e godere appieno dell’amore di Dean, insieme a quello della sua famiglia, Castiel doveva prima imparare ad amare se stesso: doveva accettarsi per quello che era, e cioè un ragazzo colpito da una grave malattia, le cui conseguenze lo avevano segnato per sempre; doveva scendere a patti con l’idea che non avrebbe ma potuto tornare ad essere la persona di prima; ma doveva anche riconoscere che, volendo, avrebbe potuto avvicinarsi anche di poco alla normalità tanto agognata, soddisfando in parte il suo desiderio di sentire di nuovo e migliorando la sua vita.
E così, partendo da qui, Castiel aveva fatto piccoli passi, attraverso i quali era riuscito pian piano a prendere in considerazione ogni singola parte di sé e ad intrecciarla con le altre, persino la paura, costruendo così il cammino che lo aveva portato, infine, a decidere di fare qualcosa per sé, in una concreta dimostrazione della sua volontà di amarsi di più: l’intervento per l’impianto cocleare.
Castiel sospirò, girandosi su un fianco. Per qualche secondo osservò il comodino lì vicino, esitando, e poi allungò il braccio, prendendo il telefono. Con un rapido gesto, sbloccò lo schermo, strizzando le palpebre di fronte alla luminosità del display, per poi accedere alla galleria delle foto. Ne selezionò una di lui e Dean insieme e l’aprì, rimanendo a fissarla a lungo. Infine, socchiuse gli occhi, scivolando piano nel sonno.
 
Quella notte, Castiel sognò di sentire una voce che lo chiamava e che ripeteva il suo nome più e più volte. Il ragazzo non capiva da dove provenisse quella voce, né tantomeno sapeva a chi appartenesse, ma al solo pensiero che potesse essere quella di Dean, il suo cuore aveva iniziato a battere forte.
 
 
°°°
 
 
“Ci siamo, allora” – disse Balthazar, stringendo la mano del fratello.
La luce del mattino filtrava attraverso le veneziane, confondendosi con quella artificiale della stanza d’ospedale. Castiel era sdraiato sul letto, in attesa che gli infermieri venissero a prenderlo da un momento all’altro, per portarlo nella sala premedicazione e dare così inizio all’intervento. Il maggiore aveva chiesto ai genitori di rimanere solo con il più piccolo, e si era seduto sul bordo del letto, prendendosi un attimo prima di parlare.
Castiel ricambiò la stretta e sorrise.
“Sì”.
“Sono contento che tu abbia deciso di fare qualcosa” – disse Balth, accennando ad un sorriso – “E a dire il vero speravo che tu decidessi di fare questo” – aggiunse, abbassando lo sguardo.
Castiel osservò attentamente il maggiore, un po’ confuso. Le parole che il fratello gli aveva appena rivolto, stridevano con i lineamenti tesi del suo volto e con la stretta della sua mano, che si era fatta più salda, come se l’altro avesse paura di lasciarla.
“Balth” – lo richiamò il minore.
Il più grande sollevò piano le palpebre.
“Che succede?” – chiese il ragazzo con gli occhi blu.
Balth incrociò il suo sguardo per un secondo e sospirò.
“Ho paura…” – ammise infine.
Castiel schiuse le labbra, un po’ sorpreso.
“L’ultima volta che sei stato in un ospedale tu…”
“Balth…”
“Ho rischiato di perdere il mio fratellino” – disse il maggiore, mentre le labbra tremavano leggermente e gli occhi diventavano lucidi.
Castiel si sistemò meglio sul letto, mettendosi seduto, e strinse forte la mano dell’altro.
“Non vado da nessuna parte, Balthe” – lo rassicurò.
Balthazar si passò la mano libera sul viso.
“Guai a te se…” – tentò, non riuscendo poi a proseguire.
Il più piccolo si sporse in avanti e abbracciò il fratello, che si lasciò andare, appoggiando la testa sulla spalla dell’altro.
“È strano” – disse poi Balthe, scostandosi leggermente e guardando negli occhi il più piccolo.
“Cosa?” – domandò Castiel, inclinando il viso.
“Per una volta sei tu a consolare me”.
Castiel batté le palpebre un paio di volte, e poi sorrise.
 
“E per quanto riguarda Dean?” – riprese Balth, dopo un po’ – “Hai deciso cosa fare?”
Castiel abbassò lo sguardo, senza rispondere.
Il fratello posò una mano sulla sua guancia, richiamandolo.
“Ci hai almeno pensato come mi avevi promesso?”
Castiel annuì.
“E cosa hai deciso?”
Il silenzio del più piccolo fu eloquente.
Il maggiore sospirò.
“Cassie, perché ho l’impressione che questo non sia veramente quello che vuoi?”
Il ragazzo dagli occhi blu non disse nulla.
“Cas-”
“Io vorrei sentire la voce di Dean” – disse all’improvviso l’altro, interrompendolo.
Balth si limitò a guardarlo, in attesa.
“Vorrei sentire quando dice il mio nome, e non leggerlo sulle sue labbra e basta”.
Castiel fece una pausa.
“Ma...non posso farlo” – continuò – “Non adesso”.
 
“È solo che…” – farfugliò poi, stringendo le lenzuola tra le dita – “È solo che mi manca…”
Balth fece per dire qualcosa, ma fu distratto da un rumore alle sue spalle.
“Siamo pronti” – disse un infermiere, entrando nella stanza e trascinando con sé un letto su ruote, aiutato da un collega.
Balthe si rimise in piedi, spostandosi, per permettere ai due di fare il loro lavoro.
L’uomo che era entrato per primo abbassò le sponde del letto e aiutò Castiel a spostarsi nell’altro. Prese poi una cuffia di cotone azzurra dalla tasca e gliela fece indossare, mentre il secondo uomo regolava l’inclinazione dello schienale.
Castiel si sdraiò sul letto, appoggiando la testa sul cuscino.
Balth si avvicinò, prendendo nuovamente la mano del più piccolo.
Il ragazzo dagli occhi blu abbozzò un sorriso.
“Ci vediamo più tardi”.
“Ok…” – rispose l’altro, sforzandosi di ricambiare il sorriso.
I due infermieri iniziarono a spostare il letto verso l’uscita della camera.
Balthazar, invece, tenne la mano del fratello fino all’ultimo, per poi lasciarla andare.
 
 
°°°
 
 
Le veneziane della stanza erano socchiuse, in modo da lasciare l’ambiente in una quieta penombra.
Castiel si mosse lievemente sul letto, mugolando un lamento.
Finita l’operazione, il ragazzo era stato portato in sala risveglio e, dopo un po’, nella sua camera. Il medico aveva detto ai signori Novak che probabilmente il giovane avrebbe sonnecchiato per il resto della giornata, smaltendo così l’anestesia a poco a poco.
Amelia era in piedi accanto al letto e scostò con le dita una ciocca di capelli, sfuggita al bendaggio, dalla fronte del figlio, sorridendo leggermente. James, invece, si era offerto di andare a prender un caffè per lui e la moglie.
“Come va?” – chiese Balhtazar, entrando nella stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
“Ogni tanto si lamenta” – rispose lei, senza distogliere gli occhi dal più piccolo.
Il maggiore annuì in silenzio e si sedette sulla poltroncina lì accanto, digitando qualcosa sullo schermo del cellulare.
Castiel si mosse ancora, facendo frusciare le coperte, mentre le labbra si aprivano per poi chiudersi di nuovo in borbottii sommessi.
“D-Dean…”
Balthazar sollevò il viso di scatto e, per qualche secondo, rimase sena respiro. Guardò la madre, cercando di intravedere una reazione sul suo volto, ma Amelia continuò ad accarezzare la fronte di Castiel, come se nulla fosse. Il più grande indugiò con gli occhi sulla madre ancora un attimo, per poi tornare a guardare il display del telefono.
La stanza rimase nel silenzio più assoluto per qualche minuto.
“È lui, vero?” – chiese Amelia, all’improvviso.
Il maggiore di irrigidì, esitando nel rispondere.
“C-Chi?”
“Dean” – disse semplicemente lei – “È di lui che stava parlando quella sera, vero?”
Blathazar deglutì un paio di volte.
La donna sollevò leggermente il viso, incontrando quello dell’altro.
“Quando ha detto che non riesce a ricambiare il suo amore” – continuò.
Il ragazzo si sistemò meglio sulla poltroncina, a disagio.
“Balth” – lo richiamò lei, sospirando – “Non mi metterò a fare una scenata, se è di questo che hai paura”.
“Mamma…”
“Voglio…” – si interruppe la donna – “Voglio solo saperlo.”
Il più grande indugiò, rigirandosi il cellulare tra le mani.
“Sì…” – ammise infine.
 
“Cos’è successo con Dean?” – chiese lei.
Balthazar si grattò piano la nuca.
“È complicato…”
La donna tornò a guardare il più piccolo.
“Possiamo fare qualcosa?”
“Non lo so…”
Amelia accarezzò la guancia di Castiel con il dorso della mano.
“Vorrei solo che fosse felice…”
Il maggiore si soffermò a guardare il fratello che dormiva, stirando le labbra.
“Anche io…”
 
 
°°°
 
 
Come da previsione, Castiel rimase ricoverato in ospedale per tre giorni. Durante la degenza, passò il tempo leggendo qualche libro che il fratello gli aveva portato da casa o facendo delle passeggiate con la madre, nel parco sul retro dell’ospedale. Il pensiero di Dean era sempre presente, tutto il giorno, diventando però più intenso alla sera, quando Castiel si ritrovava a guardare le foto di lui e del biondo sul cellulare, e a sospirare.
Dopo le dimissioni, le giornate di Castiel furono scandite da una pigra quotidianità, fatta di lezioni con Naomi, compiti da svolgere e test da preparare, e controlli in ospedale.
Durante questo periodo, l’animo di Castiel fu sopraffatto da tutta una serie di emozioni e sentimenti che imperversavano in lui, e che venivano amplificate dall’attesa. Il giorno dell’attivazione dell’impianto, infatti, sembrava non arrivare mai, e a Castiel, quelle due settimane che lo separavano dalla possibilità di sentire di nuovo, parvero un’eternità. Il che, in effetti, sembrò strano persino a lui. In fondo, due settimane erano un’inezia, se paragonate a tutti quegli anni passati a rifiutare l’intervento e covare il desiderio di normalità. Senza rendersene conto, Castiel esorcizzò l’attesa iniziando a fantasticare con la mente su cosa sarebbe successo quel giorno. Le speranze e le aspettative per quel momento sembravano un’altalena, capace sì di spingerlo verso un rassicurante ottimismo, ma anche in grado di farlo scivolare nell’incertezza e nella negatività. E quando ciò accadeva, la paura si faceva strada in lui, artigliandolo e graffiandolo con dubbi pungenti. E se non avesse funzionato? Se quello fatto finora fosse stato tutto inutile? Cosa avrebbe fatto? E soprattutto, sarebbe riuscito a superarlo?
 
Castiel si guardò in giro, incuriosito e intimidito allo stesso tempo. Si trovava in una stanza, seduto su una comoda sedia. Di fronte a lui, un uomo era concentrato davanti al monitor del laptop, mentre muoveva le dita sulla tastiera.
Il giorno dell’attivazione era finalmente arrivato. La notte precedente il ragazzo aveva faticato a prendere sonno e, al mattino, l’agitazione si era fatta sentire, prepotente, stringendogli lo stomaco e impedendogli persino di fare colazione.
L’uomo smise di picchiettare sui tasti e si voltò, sorridendo.
“Ci siamo quasi” – disse.
Castiel ricambiò il sorriso e annuì.
Amelia era seduta lì vicino, accanto al figlio. Per la prima sessione di attivazione avevano consigliato la presenza di una, al massimo due persone accanto al paziente.
“Ok, prima di iniziare devo spiegarti alcune cose” – disse il tecnico – “L’obbiettivo di oggi è trovare un livello di volume che sia per te confortevole, così possiamo impostare il programma sonoro”.
Castiel annuì di nuovo.
“Ovviamente il volume può essere modificato nel tempo” – specificò l’altro.
Il giovane fece un cenno di sì col capo.
“Allora, quando accenderò l’impianto, quello che sentirai dipenderà da diverse cose. Nel tuo caso soprattutto dal tempo che è passato da quando sei diventato sordo fino ad oggi” – continuò l’uomo – “Quindi potrai anche non sentire dei veri e propri suoni, ma solo rumori confusi e indistinti”.
Castiel abbassò le sopracciglia, visibilmente deluso.
“Non ti preoccupare” – sorrise l’uomo – “È normale, il tuo cervello è stato privato di suoni per moltissimo tempo e deve imparare di nuovo ad identificare i singoli suoni che provengono dall’ambiente circostante. Bisogna solo avere pazienza e vedrai che con il tempo tutto inizierà ad avere un senso”.
Il ragazzo dagli occhi blu abbozzò un sorriso.
“Sai, alcune persone riconoscono il parlato fin da subito e, anche in questi casi, possono percepirlo un po’ meccanico, quasi artificiale, oppure sentirlo esattamente come se lo ricordavano. Ogni persona è a sé e possiamo dire con certezza cosa sentirà solo dopo l’attivazione”.
“Ok…”
Il tecnico si voltò e aprì un cassetto della scrivania, prendendo un libretto.
“Questo è per te” – disse, consegnandolo a Castiel – “Ti ho già spiegato come indossare il processore e come caricare le batterie con il kit che ti ho dato prima, ma se sei in difficoltà leggi questa guida, almeno per i primi tempi. Poi ti verrà naturale farlo. E ricordati di tenerlo acceso durante la maggior parte delle ore in cui sei sveglio, mentre dovrai proprio spegnerlo quando dormi e quando sei in acqua”.
“Grazie” – rispose il giovane, prendendo in mano il libretto.
“Hai uno smartphone?” – chiese poi il tecnico.
“Sì”.
“Perfetto, dopo l’attivazione ti farò scaricare l’applicazione che ti servirà per alzare o abbassare il volume a tuo piacimento”.
“Va bene”.
“Credo di averti detto tutto, direi che possiamo cominciare” – disse l’altro, sorridendo e rivolgendo uno sguardo ad Amelia.
La donna ricambiò il sorriso, emozionata ma allo stesso tempo spaventata, perché tutto questo avrebbe cambiato la vita del figlio e la loro, di nuovo, anche se questa volta in meglio.
Il tecnico accese il processore, connettendolo al sistema di programmazione del suo computer per poi posizionare l’antenna sull’impianto. Infine, rivolse la sua attenzione sul monitor, digitando qualcosa sulla tastiera.
“Ok, ho impostato il volume ad una frequenza di base. Riesci a sentire qualcosa?”
Castiel socchiuse gli occhi, inclinando leggermente la testa, per poi scrollarla, facendo cenno di no.
“E così?” – riprese l’altro, dopo qualche secondo.
Il giovane rimase in attesa e, all’improvviso, spalancò gli occhi.
Da quell’espressione, il tecnico capì che erano sulla strada giusta, e sorrise.
“Castiel, dimmi cosa senti” – disse dolcemente lui.
Il ragazzo guardò l’altro e schiuse le labbra. Aveva sentito un rumore molto simile ad un bip e subito dopo un suono. Ma non era un suono nitido, anzi, decisamente disturbato, eppure Castiel l’aveva sentito e lo aveva ricondotto alla voce dell’uomo di fronte a lui.
“Io…” – iniziò, per poi interrompersi subito.
Il suono della sua voce gli arrivò preceduto da una vibrazione leggera e accompagnato da picchi acuti che ne sfalsarono la comprensione. Castiel serrò le palpebre per qualche secondo, facendo una smorfia, per poi sollevarle, sgomento.
“È tutto confuso…” – mormorò, portandosi una mano alla tempia – “È come se tutto si ripetesse di continuo, ancora e ancora”.
“È una cosa normale, Castiel. Siamo solo all’inizio” – spiegò il tecnico.
Castiel digrignò i denti, cercando di concentrarsi sui movimenti delle labbra dell’uomo, ma era dannatamente difficile. La voce dell’altro arrivava acuta, quasi lacerante, per poi distorcersi, come se fosse una lama che entrava nella testa, anzi, come se fosse una lama che nasceva direttamente nel suo cervello. Il ragazzo dagli occhi blu si sistemò meglio sulla sedia, visibilmente agitato.
“Non riesco a capire nulla, c’è solo rumore e basta…mi sembra di impazzire”.
“Castiel, non ti preoccupare” – intervenne l’uomo, rassicurandolo – “Ti ho già detto che è una cosa normale e che è successa a molti altri miei pazienti. Dobbiamo riscrivere il tuo vocabolario sonoro, e lo faremo insieme, ad ogni seduta, ok?”
Il giovane abbassò le spalle, affranto. Non si aspettava di certo di sentire tutto e subito, e nemmeno nel migliore dei modi, ma neanche questa specie di giungla che continuava ad urlare nella sua testa. Tuttavia, Castiel decise di non farsi prendere dallo sconforto e di porre fiducia nel tecnico e in quello che gli aveva detto.
L’uomo fece poi un cenno ad Amelia, invitando la donna a parlare e a far sentire la propria voce al figlio. Lei esitò un attimo, stropicciandosi nervosamente le mani. Aveva atteso questo momento per tanto, troppo tempo, perdendo a poco a poco la speranza con il passare degli anni. E in quell’istante si sentì smarrita, al punto tale da non sapere neanche cosa dire. Perciò decise di chiudere gli occhi e di fare un profondo respiro, per poi riaprirli.
“Castiel” – disse infine.
Il ragazzo dagli occhi blu inclinò leggermente il viso, stringendo gli angoli delle palpebre. Ciò che riuscì a percepire fu solo quello che la donna emise nella prima frazione di secondo, sotto forma di uno sfrigolio continuo, che degradava sempre più verso l’alto, e poi più nulla.
Castiel serrò le mani in un pugno, cercando di non scoraggiarsi. Recuperare la sua memoria uditiva era una questione di tempo e l’unica cosa che poteva fare era armarsi di tanta pazienza e andare avanti.
Infine, rivolse un lieve sorriso alla madre.
“Continua a parlare”.
 
 
°°°
 

“Dean, mi stai ascoltando?” – lo richiamò Benny.
Le lezioni erano appena finite e gli studenti della Free State si accalcavano verso l’uscita della scuola, accompagnati da un vociare che si rincorreva per i corridoi, per poi disperdersi chissà dove.
Dean e Benny, con al seguito Charlie e Chuck, avevano appena attraversato il cortile interno e si stavano dirigendo verso l’atrio principale.
“Uhm?” – mugugnò il biondo, distratto.
Benny si voltò leggermente, guardando di sfuggita Charlie, intenta a digitare qualcosa sul cellulare.
“Parlavo di venerdì sera. Vieni a vedere la partita?” – riprese Benny.
“No, non credo” – rispose piatto l’altro.
“Sei ancora in punizione?”
“Sì”.
“E non puoi chiedere un permesso ai tuoi? È la semifinale, se vinciamo ques-”
“Non mi interessa” – lo liquidò Dean, scrollando le spalle.
Benny tacque, grattandosi il mento e girandosi di nuovo verso Charlie che, stavolta, rispose al suo sguardo.
“Ok, come vuoi, amico”.
I ragazzi percorsero l’atrio e uscirono definitivamente dall’edificio scolastico, ritrovandosi così nel piazzale antistante.
All’improvviso Dean si fermò, costringendo anche gli altri a fare altrettanto. Il ragazzo rimase immobile, con lo sguardo fisso su un punto davanti a sé. A pochi metri di distanza un altro ragazzo, con le mani in tasca, si guardava in giro, come se fosse alla ricerca di qualcuno. Il giovane Winchester serrò la mascella, stringendo la mano sulla spallina dello zaino. E nel momento stesso in cui Dean realizzò chi fosse, l’altro incrociò i suoi occhi: era Balthazar.
Il maggiore dei Novak si mosse, avanzando verso di lui. Istintivamente, Dean arretrò di un passo, come se fosse pronto a scappare da un momento all’altro da Balthazar e da tutti i ricordi che inconsciamente si portava dietro.
“Dean” – lo richiamò Balth, una volta vicino.
“Che vuoi?” – sibilò Dean, rendendosi poi conto di quanto sua risposta fosse risultata più aggressiva di quanto volesse.
L’altro rimase in silenzio, limitandosi a guardarlo negli occhi.
“Ho bisogno di parlarti” – disse poi.
Dean si umettò le labbra.
“Di cosa?”
“Di mio fratello”.
Dean si irrigidì.
“Perché?”
Balthazar non rispose.
“Io e tuo fratello non stiamo più insieme” – sottolineò Dean, sentendo il dolore vibrare dentro di lui ad ogni parola pronunciata.
“Sì, lo so” – sospirò l’altro, per poi fare una pausa.
“E so anche che si è pentito” – continuò.
Dean si sentì scuotere leggermente da un fremito, di cui il ragazzo riconobbe subito l’origine. Era la parte di lui che sentiva la mancanza di Castiel e che, al solo sentire quelle parole, aveva iniziato a sfarfallare dolcemente. Quel fremito però durò quanto un battito di ciglia, subito soffocato da un sottile velo di tensione, che si era presentato nel momento in cui aveva visto Balthazar.
“Te l’ho ha detto lui?”
“Non ce n’è stato bisogno”.
Dean si mordicchiò l’interno della guancia, prendendosi del tempo. La tensione che stava crescendo dentro di lui lo sollecitava ad andarsene e ad allontanarsi da quella situazione. Ma la parte che sentiva la mancanza di Castiel, invece, lo richiamava, pregandolo di rimanere.
“Balth, che ci fai qui? Cosa vuoi?”
Balth guardò di sfuggita i ragazzi alle spalle di Dean, per poi tornare a incrociare lo sguardo dell’altro.
“Vorrei che tu incontrassi mio fratello”.
Dean spalancò gli occhi, in un’espressione di sorpresa e terrore allo stesso tempo.
“Vorrei che voi due parlaste e che tu gli dessi un’altra possibilità” – aggiunse Balth.
Il cuore di Dean cominciò a galoppare forte nel petto, riverberando fino alle tempie, che iniziarono a pulsare in sincrono. Di contro, il ragazzo strinse la mano in un pugno, per tenere a freno quella folle corsa.
“Perché dovrei farlo?” – domandò.
“Perché lo vuoi anche tu”.
Il giovane Winchester lo guardò, adombrandosi.
“E questo chi lo dice, tu?” – replicò.
“Mi stai dicendo che non è vero?” – ribatté l’altro.
Dean serrò la mascella e distolse lo sguardo.
“Perché non è venuto lui?” – smozzicò, tenendo lo sguardo altrove – “Se davvero si è pentito”.
Baltahazar esitò, passandosi una mano sulla nuca.
“Perché lui non sa niente” – ammise.
Gli occhi di Dean saettarono di nuovo verso di lui.
“È una mia iniziativa” – aggiunse l’altro.
Dean fissò il maggiore dei Novak per qualche istante, immobile.
“Fammi capire bene” – disse poi – “Tu sei venuto qui, a chiedermi di incontrare tuo fratello e di dargli un’altra possibilità, ma lui non ne sa niente”.
“Sì, è così”.
Dean scrollò piano la testa, sbuffando in una risata amara.
“E cosa ti fa pensare che lui voglia questo?”
“Perché conosco mio fratello”.
Dean deglutì rumorosamente, lasciando che i suoi occhi vagassero nel vuoto. Dentro di lui, la tensione e la mancanza di Castiel facevano a gara per prevalere l’una sull’altra, senza risultati, perché la lotta indugiava in un concitato testa a testa, e sembrava che nessuna delle due parti volesse mollare. Dean si sentì schiacciato tra questi estremi, al punto tale da non capire più nulla.
 
“È finita, Dean”
 
La tensione avanzò, prepotente, rifilando una disonesta stoccata all’avversaria, facendola così cadere in ginocchio.
 
“È finita!”
 
Il colpo fatale arrivò, secco, sibilando come una frustata. Dean percepì qualcosa scivolare verso il basso, al punto tale da non sentirla più, mentre la tensione si diramava, prendendo possesso di tutto il suo corpo e la sua mente.
“No”.
La voce uscì dalla sua bocca, tesa, quasi con un spasmo, come se fosse rimasta incastrata in gola e avesse dovuto graffiarne le pareti per venire fuori.
“Dean…” – tentò Balth, invano.
Il giovane Winchester, infatti, si voltò di scatto e fece per allontanarsi, ma Benny gli si parò di fronte, bloccandolo. Dean incrociò lo sguardo dell’amico e corrugò la fonte, confuso, mentre Benny ricambiava il suo sguardo, rimanendo fermo. Il biondo fece un altro tentativo, spostandosi un po’ di lato, con l’intento di superare l’altro, ma di nuovo Benny scivolò verso di lui, impedendogli di avanzare.
“Ma che diavolo…” – smozzicò Dean, provando a spingersi ancora in avanti, invano.
Dean si passò una mano sul viso, nervoso.
“Benny, spostati”.
“No”.
Il ragazzo serrò la mascella, di fronte a quel diniego.
“Benny” – lo ammonì poi.
L’amico scrollò la testa.
“Maledizione, Benny! Lasciami passare!”
“No, Dean, non ti lascio passare” – rispose il giovane, per poi riservare un’occhiata fugace al fratello di Castiel – “Devi ascoltare quello che Balthazar ha da dirti”.
Dean sollevò le sopracciglia.
“Non può dirmi niente di quello che so già” – disse, facendo poi un passo in avanti, con lo scopo di cogliere di sorpresa l’altro.
Benny però non si lasciò ingannare e si mosse a sua volta, bloccandogli il passaggio.
“Oh, al diavolo!” – ringhiò in risposta Dean, girandosi bruscamente, per tentare un’altra via di fuga.
Tuttavia, il ragazzo fu costretto a fermarsi, di fronte ad un’altra persona che gli sbarrava la strada: Chuck.
“Seriamente?” – sibilò, rivolgendo uno sguardo minaccioso all’amico.
Chuck non rispose, limitandosi a guardarlo.
Dean fece schioccare la lingua, seccato per quel chiaro tentativo di sfida. Poi si voltò lentamente verso Charlie, incrociando i suoi occhi.
“Mi vuoi fermare anche tu?” – chiese, avanzando di un passo.
La ragazza vacillò per un istante.
“Sì, se è necessario” – rispose poi, risoluta.
Il giovane Winchester scrollò la testa, stizzito.
“Cosa diavolo vuol dire questo?” – soffiò, guardando gli amici uno ad uno.
“Dean, ti prego, Balth deve dirti una cosa importante” – tentò Charlie.
Il biondo aggrottò la fronte.
“E tu che ne sai di cosa mi deve dire?”
Charlie fissò un punto indistinto oltre le spalle di Dean e si morse un labbro.
Dean seguì la direzione del suo sguardo, fino ad incrociare quello di Balthazar. E in quel momento la consapevolezza lo colpì, come uno schiaffo inaspettato. Il ragazzo rimase stordito un istante, ma la tensione recuperò subito terreno, riprendendo ben presto il comando.
Con uno scatto tornò a guardare Charlie, risentito.
“Voi eravate d’accordo con lui” – disse, digrignando i denti.
“Dean…”
“Sapevate che sarebbe venuto oggi” – continuò il ragazzo, ignorando il richiamo di lei.
“E non mi avete detto niente” – proseguì, puntando gli occhi su Benny.
“Sono stato io” – intervenne Balth – “Ho chiesto io di non dirti niente”.
Dean fece saettare lo sguardo su di lui.
“Tu?” – domandò, stranito.
“Sì” – rispose l’altro – “Ho preso il numero di Charlie dal telefono di Cassie, e l’ho contattata”.
“Perché?” – chiese Dean, infastidito – “Non potevi venire da me e basta?”
In un primo momento Balth non rispose.
“Ci avevo pensato, a dire il vero” – ammise poi – “Ma sapevo che non avrebbe funzionato”.
Dean non si mosse e si limitò a fissarlo negli occhi.
“Tutto questo è ridicolo” – smozzicò in seguito, passandosi una mano sul viso.
“Dean, ascoltami, devo dir-”
“No!” – sbottò il biondo, alzando una mano verso di lui – “Non voglio nemmeno ascoltarti! Non ho intenzione di stare qui a-”
Lo ha fatto, Dean!” – lo interruppe Balth, sovrastando la sua voce.
Il giovane Winchester batté due volte le palpebre, preso in contropiede da quelle parole per lui prive di significato, e poi schiuse le labbra, come per dire qualcosa, ma senza riuscirvi.
Balthazar lesse la confusione nei suoi lineamenti contratti e nella sua postura rigida, come se il ragazzo fosse imprigionato nel dilemma di chiedere qualcosa oppure no. Il maggiore dei Novak ne approfittò e fece un passo verso di lui.
“Mio fratello ha fatto l’intervento per l’impianto cocleare”.
Il giovane Winchester smise di respirare per qualche secondo. All’improvviso, tutto intorno a lui divenne sfuocato, mentre ogni percezione sembrava allontanarsi, diventando sempre più distante e lasciando il ragazzo solo con i suoi pensieri. Era vero quello che aveva detto Balthazar? Davvero Castiel si era sottoposto all’intervento? Ma com’era possibile? Dean sapeva che, pur avendone avuto la possibilità, Castiel si era sempre rifiutato di farlo, e da quando lo conosceva il moro non aveva mai accennato alla volontà di compiere un passo simile. Ad un tratto, nella mente di Dean presero forma immagini del ragazzo con gli occhi blu in un letto d’ospedale e quella sola fantasia fu capace quasi di annientarlo.
“Dean”.
La voce di Balthazar lo richiamò prepotentemente alla realtà, restituendogli le percezioni tutte insieme. Dean incrociò il suo sguardo, senza dire nulla.
“Ha funzionato, Cassie può sentire di nuovo”.
Dean continuò a guardarlo, incapace di parlare.
Balth sospirò, piano.
“E io so che tutto questo lo ha fatto per te”.
Il biondo spalancò gli occhi.
“P-per me?” – riuscì a dire.
Balth annuì.
“Ne dubitavi, forse?” – chiese poi, abbozzando un sorriso.
 
“Tu sei diverso”
 
Dean deglutì a fatica. No, non ne dubitava. Più volte, in passato, Castiel si era spinto a fare cose incredibili per lui, partendo dall’usare nuovamente la propria voce, fino al mettere costantemente alla prova i limiti del proprio handicap, pur di non essere un peso per lui.
 
“A me non è mai pesato”
“Ma pesa a me”
 
Dean strinse i pugni, come se cercasse di appigliarsi a qualcosa, per non lasciarsi trascinare di nuovo con la mente a quel giorno, quando Castiel aveva deciso di porre fine alla loro storia. A Dean sembrò di respirare la stessa aria, di percepire i medesimi raggi di sole sulla pelle, di sentire ancora la voce di Castiel giustificare quell’assurda decisione…
 
“Ti importa di me?”
 
…di avvertire quel bruciante bisogno di sapere cosa l’altro provasse veramente per lui.
 
“…sto facendo questo proprio per te”
 
La risposta che gli aveva dato Castiel non lo aveva soddisfatto per niente; anzi, se possibile, lo aveva indisposto ancora di più, portandolo ad accusare l’altro di farlo solo per sé stesso.
 
“E io so che tutto questo lo ha fatto per te”
 
Dean sapeva che Balth gli aveva detto la verità, tuttavia le sue parole stridevano con la realtà dei fatti, quella realtà con cui Dean si era ritrovato a fare i conti in ogni momento da quel terribile giorno: Castiel lo aveva lasciato, e Dean non faceva più parte della sua vita. E allora perché? Perché arrivare a decidere di sottoporsi ad un intervento per lui, nonostante non stessero più insieme?
 
“ti amo”
“mi dispiace”
 
Dean serrò la mascella, irrigidendosi. Che diavolo di senso aveva, dal momento che, tra l’altro, Castiel non aveva neanche ricambiato i suoi sentimenti?
 
“…sto facendo questo proprio per te”
“E io so che tutto questo lo ha fatto per te”
 
Dean era disorientato, non riusciva a seguire il filo dei suoi pensieri e questo perché la sua mente non riusciva a processare tutti gli elementi in suo possesso, secondo la propria logica.
Il giovane Winchester tornò a guardare Balthazar come se, facendolo, lo aiutasse a trovare una risposta alle sue domande.
Balth ricambiò lo sguardo, studiando l’altro e interpretando il suo silenzio come la giusta reazione a quella notizia così importante. Dean era visibilmente scosso, e questo era comprensibile. Tuttavia il maggiore dei Novak riuscì anche ad intravedere altro nella confusione e nello smarrimento con cui Dean lo guardava. E in quel momento Balthazar capì fino a che punto Castiel avesse tagliato fuori Dean. Balth indugiò, indeciso se rivelare a Dean quello che aveva sempre albergato nell’animo del fratello e che aveva visto la luce solo da poco. Per un attimo, la determinazione di Balthazar vacillò, di fronte alle possibili conseguenze che quella confessione avrebbe portato, ma arrivati a quel punto, se voleva davvero avere un minimo di possibilità di riuscire nel suo intento, avrebbe dovuto giocarsi tutto.
“Castiel voleva sentire di nuovo”.
Le parole di Balthazar schioccarono nell’aria, raggiungendo Dean e insinuandosi dentro di lui, sotto la sua pelle, nei suoi polmoni, nella sua testa, e ferendolo in ogni modo possibile. Castiel voleva sentire di nuovo. E questo Dean non lo sapeva. Certo, avrebbe dovuto immaginarlo, ma in ogni caso Castiel non glielo aveva mai detto.
 
“E io so che tutto questo lo ha fatto per te”
 
Se veramente Castiel lo aveva fatto per lui, perché non dirglielo? Perché non provare neanche a parlarne con lui? Perché, invece, lo aveva lasciato, non prendendo nemmeno in considerazione l’idea di affrontare la cosa insieme?
 
“Poteva dirmelo…”
“O poteva provare a spiegarmelo…”
 
Dean era consapevole che il moro non parlasse facilmente della propria sordità e, quello che aveva appreso, lo sapeva perché aveva messo Castiel alle strette. Eppure, nonostante tutto, il ragazzo dagli occhi blu era riuscito a tenerlo all’oscuro di una cosa così importante. Perché?
 
“ti amo”
“mi dispiace”
 
Dean sentì una fitta al petto, che gli tolse il respiro. Forse era proprio per questo che non l’aveva mai fatto. Dal momento che non ricambiava i suoi sentimenti, non aveva ritenuto necessario confidargli il suo desiderio di voler sentire di nuovo.
 
“E io so che tutto questo lo ha fatto per te”
 
Di nuovo, perché? Perché farlo per lui? Castiel non lo amava, quindi tutto ciò non aveva senso.
Dean spostò il peso del corpo da un piede all’altro, iniziando ad innervosirsi.
Balthazar continuò a guardarlo, dispiaciuto per l’impatto che le sue parole avevano avuto sul giovane, e una piccola parte di lui maledì mentalmente la cocciutaggine del fratello, perché non aveva fatto altro che rendere le cose più difficili.
“Sai” – disse allora, cercando di mitigare la situazione – “Castiel mi ha detto che vuole sentire la tua voce”.
In quell’istante, qualcosa dentro Dean esplose, generando un calore che risalì dalle viscere per poi espandersi nel petto e arrampicarsi fino alla gola, stringendola forte e facendolo annaspare. Il ragazzo non riusciva più a pensare, la sua mente era un groviglio di pensieri senza capo né coda, che si intrecciavano e si stringevano tra loro, soffocandolo. Dean perse rapidamente il controllo del proprio corpo, che si mosse d’istinto, spingendolo a voltarsi e ad allontanarsi di qualche passo da Balth. Quando si trovò di fronte Benny, Dean si fermò, rimanendo immobile e con gli occhi persi nel vuoto. A Benny bastò una manciata di secondi per capire che Dean era in difficoltà e che costringerlo a stare lì non avrebbe portato a niente. Pertanto, si scostò leggermente di lato, lasciandogli libero il passaggio. Dean si mosse e, senza dire nulla, riprese a camminare, allontanandosi definitivamente.
“Benny!” – lo ammonì Charlie, allargando le braccia – “Eravamo d’accordo di non lasciarlo andare via!”
Benny osservò di sfuggita la ragazza che lo guardava con la fronte aggrottata e poi si voltò verso la direzione intrapresa da Dean, sospirando.
“Ci penso io” – si limitò a dire, prima di allontanarsi a sua volta e seguire l’amico.
 
“Mi dispiace” – pigolò Charlie, attirando l’attenzione di Balthazar – “Credevo davvero che avrebbe funzionato”.
Il maggiore dei Novak abbozzò un sorriso.
“Non ti preoccupare” – la tranquillizzò – “Almeno sono riuscito a dirgli la cosa più importante”.
Charlie sbuffò piano.
“Certe volte Dean è così testardo…”
Balthazar allargò il sorriso.
“Beh, Cassie non è da meno”.
La giovane si morse un labbro.
“Come sta?” – chiese, flebile.
Balth si pizzicò il mento con le dita.
“Sta bene” – rispose – “Anche se…” – esitò, guardando il punto in cui era scomparso Dean – “…potrebbe stare meglio”.
 
“Grazie” – disse Balth – “Per tutto quello che avete fatto e per avermi aiutato”.
Charlie si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e sorrise timidamente.
“Figurati…spero solo che sia servito a qualcosa”.
“Lo spero anche io”.
 
“Ah, Charlie…” – la richiamò l’altro.
“Uhm…?”
“Sei un’ottima amica. Quel testone di mio fratello è davvero fortunato. E anche Dean”.
 
 
°°°
 
“Dean!”
Benny aumentò il passo, deciso a raggiungere l’amico che, di fronte a lui, continuava ad ignorare i suoi richiami e a mettere più distanza possibile tra loro. Con la coda dell’occhio Benny intravide il parcheggio della scuola poco distante e l’Impala, che spiccava sul piazzale, in quanto una delle poche macchine rimaste. Doveva affrettarsi o Dean sarebbe salito in macchina, andandosene, e allora sì che sarebbe stato impossibile raggiungerlo. Con uno scatto Benny iniziò a correre, coprendo così i metri che lo speravano da Dean. Quando fu abbastanza vicino, allungò un braccio e afferrò la spalla dell’altro. Dean non si voltò nemmeno, anzi, cerco di opporre resistenza e di divincolarsi dalla presa di Benny.
“Dean!”
Il giovane Winchester non rispose e continuò ad avanzare, trascinando l’amico con sé.
“Dean, fermati!”
“Lasciami stare!” – ringhiò in risposta il biondo.
Benny usò più forza, trattenendo il ragazzo quel tanto che bastò per superarlo del tutto e pararsi di fronte a lui, fermandolo.
“Cazzo, Dean, fermati un attimo!”
“Si può sapere cosa diavolo vuoi?” – sputò fuori l’altro, facendo un passo minaccioso in avanti – “Non ti è bastato incastrarmi lì con Balth e farmi fare la figura del coglione?”
“Non hai fatto la figura del coglione” – replicò deciso Benny.
“Sì, certo, come no!”
“E non mi scuserò per aver cercato di aiutarti” – precisò l’amico.
Dean distolse lo sguardo, portandolo altrove.
Per qualche secondo nessuno dei due proferì parola.
“Dai” – sospirò Benny, rompendo il silenzio che si era creato tra loro – “Vieni con me”.
 
“Perché siamo qui?” – chiese Dean, infastidito.
I due ragazzi erano seduti ad un tavolino, uno di fronte all’altro, mentre intorno a loro il locale in cui si trovavano era tranquillo e immerso in una piacevole quiete, cullata da una leggera musica in filodiffusione.
Dopo averlo raggiunto e avergli detto di seguirlo, Benny aveva letteralmente trascinato Dean in una caffetteria, vincendo la resistenza di quest’ultimo, che aveva provato ad opporsi in tutti i modi all’iniziativa dell’amico.
Dall’incontro con Balthazar, infatti, Dean era uscito spossato e con uno stato d’animo che nemmeno lui riusciva a classificare. Troppe emozioni vorticavano dentro di lui, senza che il ragazzo riuscisse a tenerle a bada. Pertanto, l’unica cosa che avrebbe voluto fare in quel momento era tornare a casa e chiudersi in camera, lontano da tutto e da tutti.
“Ti va una crostata?” – disse Benny, sfogliando il menù e ignorando completamente la domanda dell’altro.
“Mi prendi per il culo?” – sputò fuori Dean, risentito.
Benny sollevò gli occhi, incrociando quelli del biondo.
“No”.
A quella risposta, Dean si alzò di scatto facendo strisciare rumorosamente la sedia contro il pavimento.
“Dean” – sospirò Benny, posando il menù sul tavolo – “Siediti”.
Il ragazzo rimase in piedi, a fissare l’amico.
“Dean” – lo richiamò di nuovo l’altro, accompagnando le parole con un gesto del capo in direzione della sedia.
Dean si mordicchiò l’interno della guancia e alzò gli occhi al cielo, sbuffando, per poi lasciarsi cadere malamente sul proprio posto.
“Voglio sapere perché siamo qui” – disse, incrociando le braccia al petto.
Benny si scostò piano dal tavolo fino a toccare lo schienale della sedia con le spalle.
“Per parlare un po’”.
“Non c’è niente di cui parlare” – ribatté prontamente Dean.
Benny allungò una mano sul tavolo e iniziò a picchiettare distrattamente l’indice sulla superficie.
“Non ti ricordi che posto è questo?” – chiese poi, sollevando lo sguardo verso l’amico.
“Dovrei?” – replicò l’altro.
“Beh, sì”.
Dean socchiuse gli occhi, in attesa.
Benny trattenne a stento un piccolo sorriso.
“È qui che mi hai detto di aver baciato Castiel, la prima volta”.
Dean spalancò gli occhi e schiuse le labbra, mentre le braccia scivolavano piano, sciogliendosi dal loro incrocio e cadendo stancamente sulle gambe. Il giovane Winchester esitò un attimo e poi si guardò in giro, smarrito.
“Sai, avevi quella faccia lì anche l’altra volta…”
Dean incrociò lo sguardo dell’amico, per poi abbassarlo.
“Perché anche quella volta non sapevi cosa fare” – continuò l’altro.
Il biondo rimase con lo sguardo abbassato, giocherellando nervosamente con le dita.
Benny lo osservò per qualche istante, e poi si sistemò meglio sulla sedia, avvicinandosi e appoggiando i gomiti sul tavolo.
“Anche se in realtà questa volta non c’è poi molto da pensarci su”.
Dean sollevò le palpebre e aggrottò la fronte, con aria interrogativa.
“Voglio dire” – aggiunse Benny – “Tu sei ancora innamorato di Castiel, giusto?”
Il giovane si umettò le labbra, esitando, e infine annuì.
“E vorresti tornare con lui” – affermò l’altro, sicuro.
Dean deglutì rumorosamente. La parte di lui che sentiva la mancanza di Castiel fece una capriola al solo pensiero, ma Dean cercò di ignorarne gli effetti.
“N-no”.
Benny sollevò le sopracciglia, facendo chiaramente intendere che non ci credeva affatto.
Il giovane Winchester si mordicchiò una guancia.
“Non lo so”.
“Dean” – lo riprese l’altro.
“Ok, ok” – disse, sollevando le braccia – “Sì. Contento?”
Benny arricciò le labbra in un ghigno compiaciuto.
“Beh, amico, la fortuna è dalla tua parte. Puoi farlo”.
Dean distolse lo sguardo, facendolo vagare nel vuoto, risentito per la troppa semplicità con cui Benny vedeva la situazione. Benny si limitò a guardarlo. Era certo che Dean avesse qualcosa da dire, ma non voleva forzarlo e così decise di aspettare e di rispettare i suoi tempi.
“Lui mi ha lasciato” – mormorò Dean, all’improvviso, con aria assente.
Benny si grattò il mento, prendendosi un momento.
“È vero” – rispose infine – “Ma è anche vero che si è pentito di averlo fatto”.
“Hai sentito quello che ha detto suo fratello, no?” – disse ancora, dopo una pausa.
Dean si mosse sulla sedia, visibilmente a disagio, senza dire nulla.
“Non sei contento che Castiel possa sentire di nuovo?”
“Certo che sono contento” – replicò il biondo, risentito per l’insinuazione dell’altro.
“E allora?”
“È che…” – si interruppe l'altro, facendo ballare nervosamente il piede su e giù – “Non capisco…”
“Cosa non capisci?”
“Tutto quanto... visto che mi ha lasciato, perché suo fratello dice che lo ha fatto per me?”
“Dea-”
“Che senso ha? Tra l'altro, lui non mi ha neanche mai detto di voler sentire di nuovo!”
“Quindi è questo il problema?”
“Sì!” – rispose deciso – “No…” – farfugliò poi, in difficoltà.
Benny si portò una mano sul viso, sicuro che ci fosse dell’altro e così decise di intervenire.
“Dean” – lo richiamò – “Avanti, sputa il rospo. Qual è il problema?”
Dean serrò la mascella, indurendo i lineamenti del viso, per poi incontrare gli occhi azzurri dell’amico.
“Non ha risposto al mio ti amo” – sussurrò, flebile.
Benny sollevò le sopracciglia, sorpreso. Infine sospirò, sorridendogli.
“E tu credi che questo adesso abbia importanza?”
Il biondo lo guardò, confuso e smarrito allo stesso tempo.
“Cazzo, Dean, ma ti rendi conto di quello che ha fatto Castiel? Un intervento è…è una cosa grossa” – gesticolò il ragazzo – “Quando Charlie me lo ha detto non ci potevo credere” – ammise – “E lo ha fatto per te, perché vuole sentire la tua voce. Questo non ti dice niente?”
Benny fece una pausa.
“Se questo non è un ti amo, non so proprio cosa sia”.
Le labbra di Dean tremarono leggermente.
“Ehi” – riprese l’altro – “Lo so che quando Castiel ti ha lasciato, per te è stato un inferno, e lo è anche adesso…”
Il biondo fece una smorfia, distogliendo lo sguardo.
“Ma ora hai la possibilità di buttarti tutto quanto alle spalle e di tornare di nuovo con lui”.
Il giovane Winchester non rispose.
“Dean, non lasciare che il tuo stupido orgoglio ti impedisca di avere quello che vuoi veramente”.
Dean serrò le palpebre e sollevò le braccia, piegandosi leggermente in avanti, per poi portarsi le mani al viso e coprirsi gli occhi.
Benny rimase a guardarlo, in silenzio. Ormai aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per far capire all’amico quale fosse la direzione giusta da prendere. E da lì in avanti la decisione, se intraprendere quella direzione e meno, sarebbe dipesa solo ed esclusivamente da Dean.
 
 
°°°
 

Dean si chiuse la porta della sua camera alle spalle, abbandonando malamente lo zaino a terra, per poi trascinarsi fino al letto e lasciarsi cadere sul materasso.
 
“Mio fratello ha fatto l’intervento per l’impianto cocleare”
“E io so che tutto questo lo ha fatto per te”
 
Il ragazzo chiuse gli occhi, sospirando stancamente.
 
“E io so che tutto questo lo ha fatto per te”
 
Dean fece una smorfia e affondò il viso contro le lenzuola, mugolando un lamento. Da quando aveva lasciato la caffetteria, le parole che Balthazar gli aveva detto continuavano a tormentarlo, senza dargli un attimo di tregua.
 
“Castiel voleva sentire di nuovo”
 
Dean artigliò la stoffa delle lenzuola, stringendola forte tra le dita.
 
“Castiel mi ha detto che vuole sentire la tua voce”
 
Il giovane rotolò sul fianco e con un colpo di reni si mise seduto, sbuffando. All’improvviso, con la coda dell’occhio, vide il cassetto del comodino lì di fianco e si mordicchiò l’interno della guancia.
 
“Ha funzionato, Cassie può sentire di nuovo”
 
Dean si passò una mano sul viso e si allungò, quel tanto che bastava per aprire il cassetto e tirarne fuori un oggetto. Il ragazzo se lo rigirò tra le dita con delicatezza, come se stesse maneggiando qualcosa di prezioso. E in un certo senso era così, perché quello che aveva tra le mani era il block notes di Castiel, anzi no, la voce di Castiel, che il ragazzo dagli occhi blu aveva deciso di donargli a Natale.
 
“E non oso immaginare quanto deve essere dura per lui vivere con il suo problema ogni giorno…”
 
Dean socchiuse le palpebre per un istante.
 
“Poteva dirmelo…”
“O poteva provare a spiegarmelo…”
 
Il giovane serrò le dita attorno al block notes, dimenticandosi per un attimo il suo valore.
 
“Non è facile dire certe cose, perché sia ha paura di quello che l’altra persona possa pensare”
“Soprattutto se questa persona è quella che amiamo”
 
Dean rilasciò la tensione, accarezzando la copertina del taccuino.
 
“Tu sei diverso”
 
Un dolce tepore scaldò il petto del ragazzo, facendogli chiudere gli occhi e permettendogli così di cullarlo.
 
“…sto facendo questo proprio per te”
“E io so che tutto questo lo ha fatto per te”
“Cazzo, Dean, ma ti rendi conto di quello che ha fatto Castiel?”
“Castiel mi ha detto che vuole sentire la tua voce”
“E lo ha fatto per te, perché vuole sentire la tua voce. Questo non ti dice niente?”
“Se questo non è un ti amo, non so proprio cosa sia”
 
Dean riaprì gli occhi e schiuse le labbra. Eccolo lì il filo dei suoi pensieri che lui non riusciva a seguire e che provava a rincorrere ostinatamente con la logica della mente, quando invece avrebbe dovuto farlo con quella del cuore, per avere la risposta che cercava. E in quel momento, di fronte a quella risposta Dean non poté fare a meno di sorridere, mentre la parte di lui che sentiva la mancanza di Castiel vibrò dolcemente, soddisfatta di essere stata finalmente ascoltata.
 
 
°°°


“Siamo arrivati” – disse Balthazar, spegnendo il motore dell’auto.
“Ripetimi perché siamo qui” – replicò Dean, senza distogliere lo sguardo dal finestrino.
Al di là del vetro, una composizione di edifici in mattoncini rossi si estendeva per un lungo tratto, abbracciata da un ampio parcheggio, suddiviso in settori. Numerosi cartelli, disseminati lungo tutto il perimetro, riportavano le indicazioni sulla direzione da intraprendere, in base alle esigenze dell’utenza. Gli occhi di Dean si soffermarono su un cartello lì vicino e sulla scritta bianca che spiccava ancora di più, sotto la luce del sole: LAWRENCE MEMORIAL HOSPITAL.
“Te l’ho già detto, Dean. Mio fratello ha una seduta con il tecnico tra poco. Di solito ci siamo io o mia madre con lui, ma oggi ci sarai tu” – spiegò Balth, dando una rapida occhiata all’orologio – “E se non ci sbrighiamo, rischiamo di fare tardi” – aggiunse poi, mettendo mano alla maniglia dello sportello per aprirlo.
“Ok, ma perché devo vederlo proprio qui?” – lo richiamò Dean, girandosi verso di lui – “Voglio dire, non era più semplice, chessò, incontrarlo a casa vostra?”
Balth si grattò piano la nuca.
“È vero, ma…questa è stata un’idea di Charlie” – ammise.
Dean corrugò la fronte.
“Co-Charlie? Che c’entra Charlie?”
“Mi ha praticamente supplicato di fare questa cosa” – si giustificò l’altro, con un’alzata di spalle.
Dean si passò una mano sul viso, scrollando poi la testa. Ora ci si metteva pure Charlie a complicare le cose, come se quello che stava per fare non fosse già abbastanza difficile.
Dopo aver fatto chiarezza dentro di sé, infatti, Dean aveva accettato la proposta di Balthe di rivedere Castiel e di parlare con lui, con lo scopo di concedere alla loro storia un’altra possibilità. Pertanto, il giovane Winchester si era messo in contatto con Charlie, dal momento che lei era già in possesso del numero di Balthazar. Tuttavia, Dean non avrebbe mai pensato che l’amica si spingesse al punto tale da addirittura organizzare questo incontro, o forse avrebbe dovuto immaginarlo, dato che la capacità di impicciarsi in cose non sue della giovane era pari solo alla sua esuberanza.
Dean accennò un lieve sorriso pensando a lei. Era un’impicciona, era vero, ma era tutto merito suo se Dean era riuscito a capire cosa provasse per Castiel, dopo averlo baciato la prima volta.
“Devo ammettere però che in questo modo l’effetto sorpresa è assicurato” – disse Balthe, interrompendo i pensieri di Dean – “Cassie non crederà ai suoi occhi quando ti vedrà”.
Dean si irrigidì, distogliendo lo sguardo e portandolo davanti a sé, oltre il parabrezza.
Da quando aveva deciso di compiere quel passo, non c’era stato un solo momento in cui Dean non fosse stato pungolato dai dubbi e dalle incertezze. Come l’avrebbe presa Cas? Dal momento che non sapeva nulla, come avrebbe reagito? Sarebbe stato contento oppure no? Lo avrebbe voluto lì? O lo avrebbe allontanato?
E lui, invece? Come avrebbe reagito nel vedere il ragazzo dagli occhi blu, dopo tutto quel tempo? A dire il vero, una parte di lui fremeva, non vedeva l’ora di incontrarlo e voleva solo scendere dalla macchina e iniziare a correre per raggiungerlo prima possibile. Un’altra parte, però, voleva rimanere lì nell’abitacolo e aspettare, perché la paura di rivedere il viso dell’altro, i suoi occhi, e di sentire la sua voce era tanta. Dean aveva immaginato molte volte di rivederlo, di stringerlo di nuovo a sé, di baciarlo…e di non lasciarlo andare via mai più. Ma ora, di fronte alla concreta possibilità di farlo per davvero, il timore si era insinuato in lui, sottile, sussurrando subdolamente, quel tanto che bastava per farlo vacillare.
“Dean?” – lo richiamò Balth – “Che succede?”
Dean non si mosse e tenne lo sguardo oltre il vetro, sull’edificio di fronte a loro. Lì dentro c’era Cas e in quel momento il biondo lo sentiva vicino più che mai. E questo era strano, perché Castiel abitava a pochi metri di distanza da lui, ma da quando lo aveva lasciato, quel poco spazio tra le loro case era stato sufficiente affinché Dean sentisse l’altro ancora più lontano.
“E se non mi volesse vedere?” – mormorò poi.
Il maggiore dei Novak sospirò.
“Questo è impossibile” – disse – “E lo sai anche tu”.
Dean si umettò le labbra.
“Ne sei sicuro?”
“Sì, ne sono sicuro”.
“E se si arrabbiasse perché non sapeva niente?”
“Non credo che lo farà”.
Dean inarcò un sopracciglio, dubbioso.
“L’ultima volta che ho nascosto qualcosa a tuo fratello non mi ha parlato per giorni”.
Balth sorrise leggermente.
“Correrò il rischio”.
 
Un suono metallico anticipò l’apertura delle porte dell’ascensore, segnalando così l’arrivo al piano scelto. Dean seguì Balthazar lungo il corridoio, guardandosi intorno, curioso e stranito allo stesso tempo. Il corridoio era pressoché deserto e i loro passi riecheggiavano nella quiete di quel momento. Quando arrivarono in uno spazio più ampio, Dean intravide Amelia, seduta su una delle sedie a disposizione, e si irrigidì, rallentando il passo. Sapeva che anche lei era lì, ma in un certo senso vederla direttamente lo destabilizzava.
La donna sollevò lo sguardo dalla rivista che stava leggendo e sorrise, per poi alzarsi e venir loro incontro.
“È già dentro?” – chiese il figlio, facendo un cenno del capo in direzione di una porta lì vicino.
“Sì, è appena entrato” – confermò lei.
“Hai parlato con il tecnico?”
“Sì, l’ho già avvisato, non c’è nessun problema” – lo rassicurò l’altra.
“Dean” – sorrise poi la donna, in direzione del giovane.
Il ragazzo deglutì a fatica.
“S-salve…”
All’improvviso Amelia fece un passo in avanti verso di lui e lo abbracciò. Dean trattenne il respiro, impreparato ad un gesto simile, mentre il cuore batteva talmente forte che per un attimo ebbe paura che l’altra lo sentisse.
“Grazie” – mormorò la donna, sciogliendo l’abbraccio – “Per essere qui…e per tutto quanto”.
Dean non riuscì a dire nulla, spiazzato dalle parole della donna e si limitò ad annuire.
“Dean” – lo richiamò Balth – “Sei pronto?”
Il biondo diede un’occhiata alla porta lì accanto, umettandosi le labbra.
“Sì”.
 
Dean osservò la porta davanti a sé, l’ultimo ostacolo che lo separava da Castiel. Il suo cuore era ormai completamente fuori controllo e martellava ad un ritmo tale da stordirlo. Il giovane alzò una mano, puntando le nocche contro la superficie della porta, esitando un attimo. Chiuse gli occhi, facendo un profondo respiro, e infine si decise a bussare.
“Avanti” – rispose una voce dall’interno.
Dean abbassò la maniglia e socchiuse la porta. La stanza era piuttosto piccola e semplice, con una scrivania come unico mobilio che spiccava al centro. E poi Dean lo vide. Castiel. Il giovane era seduto vicino alla scrivania e lo stava guardando con un’espressione che l’altro non seppe interpretare. All’improvviso, tutto intorno a Dean sparì e rimase solo il ragazzo dagli occhi blu, solo lui. Il giovane Winchester sentì le dita fremere all’unisono con i battiti del suo cuore: Cas, il suo Cas, era lì a pochi passi.
“Tu devi essere Dean” – disse l’uomo seduto alla scrivania, davanti ad un laptop aperto.
Dean batté due volte le palpebre, richiamato bruscamente alla realtà e incrociò lo sguardo del tecnico, per poi annuire.
“Vieni, siediti” – lo invitò l’altro, mostrandogli un posto a sedere davanti a quello occupato da Castiel – “Stavamo per iniziare”.
Il ragazzo si chiuse la porta alle spalle e si avvicinò, sedendosi con cautela, mentre Castiel continuava a guardarlo. Quando Dean si trovò faccia a faccia con lui, si soffermò sui suoi occhi, meravigliandosi del loro blu, come la prima volta che li aveva visti. Il suo sguardo scivolò poi sulle sue labbra, che Dean aveva assaggiato infinite volte, stupendosi sempre del loro sapore. E infine la sua attenzione venne catturata dalle sue mani, così vicine che a Dean sarebbe bastato allungare le proprie per prenderle e stringerle nelle sue, in quel gesto così intimo e familiare che aveva imparato ad apprezzare sin dall’inizio della loro storia.
Castiel non riusciva a distogliere gli occhi da Dean, mentre il suo cuore era sul punto di impazzire.
Nello stesso momento in cui lo aveva visto varcare la soglia della stanza, Castiel aveva smesso di respirare e il suo corpo aveva iniziato a tremare, scuotendolo nel profondo. Perché Dean era lì? E come sapeva dove trovarlo? Ma allora, se era lì, voleva dire che sapeva tutto? E chi glielo aveva riferito? La madre? O forse...Balth. Il nome del fratello aveva attraversato la sua mente come una meteora, lasciando dietro di sé una scia di incredulità e di ammirazione: Balth lo stava aiutando, ancora una volta. Ma allora, se Dean era lì, cosa significava? Che lo aveva perdonato? O era venuto solo in veste di amico? Castiel aveva seguito poi Dean con lo sguardo, mentre l’altro si avvicinava e prendeva posto davanti a lui. E quando se l’era trovato di fronte, tutte le domande che gli affollavano la mente erano impallidite, fino a sbiadire completamente e a perdersi via. Dean era lì ed era reale. Non era una delle tante foto su cui si soffermava più volte nell’arco della giornata per lenire la sua mancanza. Era vero, i suoi occhi verdi erano veri, così come le sue lentiggini, su cui Castiel aveva indugiato spesso, o la curvatura della mascella, che aveva accarezzato con la punta delle dita ogni volta che ne aveva avuto l’occasione. Dean era lì e se solo avesse allungato un braccio, avrebbe potuto toccarlo, sentire il suo calore, per poi perdersi tra le sue braccia e abbandonarsi completamente a lui.
“Possiamo iniziare, se volete”.
Le parole del tecnico si frapposero tra loro, rompendo quel silenzio statico che si era venuto a creare.
“Dean” – lo richiamò l’uomo, attirando la sua attenzione – “A te l’onore” – disse poi, incitandolo a dire qualcosa.
Dean schiuse le labbra e tornò a guardare Castiel. C’erano tante cose che avrebbe voluto dirgli e a cui aveva pensato da quando aveva deciso di incontrarlo. Ma in quel momento Dean non riusciva a trovare niente, o quantomeno nulla che ritenesse valido per quell’istante. Sarebbe stata la prima volta che Castiel avrebbe sentito la sua voce e Dean voleva che fosse speciale. Il giovane Winchester si umettò le labbra, in difficoltà. Cosa poteva dirgli? Ciao? Come stai? Ehi, Cas? Cosa?
 
“Dillo ancora”
“Cosa?”
“Il mio nome”
 
Dean sentì il cuore sfarfallare e sorrise timidamente.
“Cas…”
Castiel spalancò gli occhi. La voce di Dean gli arrivò bassa, come se stesse risalendo da un luogo lontano e profondo, ma era anche calda, confortevole, rassicurante. Il ragazzo aveva ancora difficoltà nel distinguere una vocale da una consonante, tuttavia a lui non importava, perché l’unica cosa che contava in quel momento era la voce di Dean. All’improvviso quello spazio vuoto, che percepiva dentro di sé, si riempì e quella sagoma bianca, che faceva parte di lui, rifletté migliaia di colori…il nome di Castiel ricevette il soffio della vita sulle labbra di Dean. Gli occhi di Castiel si inumidirono velocemente e il ragazzo lasciò che le lacrime gli rigassero il viso. Finalmente riusciva ad associare un suono a quelle iridi verdi. Finalmente poteva sentire la voce del ragazzo di cui era innamorato.
Infine, Castiel sorrise.
“Ciao, Dean”.
 
 
 
 
 
~ L’Angolo Dell’Autrice Disadattata ~
 
Ciao a tutti!
Ed eccoci qui! Finalmente sono riuscita a completare il capitolo finale e a pubblicarlo! *sta piangendo*
Vi chiedo scusa per avervi fatto aspettare, ma la stesura del capitolo mi ha fatto un po’ penare. Tra l’altro è risultato più lungo di quanto mi aspettassi, ma l’idea di dividerlo in due parti era impensabile.
Come avete letto Castiel, dopo una travagliata riflessione su sé stesso, è giunto alla decisione di fare l’impianto cocleare e in questa decisione la figura di Dean è stato indubbiamente un elemento determinante. Come determinante è stato l’intervento di Balthazar, che ha agito in prima persona per smuovere un po’ le cose tra quei due. Incredibili sono stati anche Charlie, Chuck e soprattutto Benny, che si è impegnato per far capire a quel testone di Dean cosa fosse importante. L’atteggiamento di Dean di fronte alla richiesta di Balthazar può essere sembrata contraddittoria, visto quanto ha sofferto la separazione da Castiel. Ma è proprio perché ha sofferto così tanto che in lui è scattato una specie di rifiuto, che gli impediva di vedere come stavano realmente le cose, e cioè che Castiel lo ama e glielo ha dimostrato a modo suo.
Per quanto riguarda l'impianto cocleare volevo specificare alcune cose. Prima di tutto non è un orecchio nuovo, pertanto l'entità del suono non sarà mai come quella che percepisce un orecchio. Un'altra cosa è che l'infissione dell'impianto richiede un intervento molto invasivo e che purtroppo non sempre dà i risultati sperati, perchè potrebbe anche non funzionare. Ovviamente per motivi narrativi ho scelto la prima opzione, ma è bene ricordarsi che non tutte le persone sono fortunate come Castiel. Infine ci tenevo a dire che tutte le sensazioni percepite da Castiel durante l'attivazione dell'impianto sono vere, in quanto testimonianze dirette di adulti che hanno potuto sperimentare questa esperienza.
E che dire di queste madri che hanno intuito tutto, anche se ognuna con tempi diversi...
Allora, che ne pensate? Vi è piaciuto? Non vi è piaciuto? E la parte finale? Ditemi tutto, sono curiosa di conoscere le vostre reazioni a riguardo! Vi ricordo che è previsto un epilogo, ancora in fase di scrittura, ma sono a buon punto, quindi dovrei riuscire a pubblicarlo regolarmente lunedì prossimo *ora se l’è tirata, se lo sente*
Bene bene, questo è tutto! Vi lascio con l’angolo fan art!
Alla prossima!
Sara
 
 
 
~ Varie ed eventuali ~
 
Fan art everywhere!

                                                          


                                            


 
   
 
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