How could you tell me that it's fate
«Forse che la tua giovinezza sta arrivando agli sgoccioli, padre?»
«Di questo passo, ciò che arriverà agli sgoccioli sarà il mio patrimonio e la tua voglia di scherzare.»
«E chi scherza?»
«Smettetela di litigare, voi due» sbottò Lily.
Justine s'imbronciò. Anche Dorian s'imbronciò, ma solo metaforicamente, perchè se lo avesse fatto davvero sarebbe stato un po' screditante.
«Si può sapere chi ha iniziato?» li apostrofò Lily, ridendo sotto i baffi. Quel pomeriggio non li aveva accompagnati nel consueto giro in carrozza in città, tienila d'occhio, aveva raccomandato a Dorian. E come si fa a perdersi una sanguisuga simile? avrebbe voluto ribattere Dorian.
«Un gioielliere mi ha scambiata per sua figlia» spiegò Justine, con un sorrisetto derisorio.
«Era abbastanza anziano e il suo monocolo sudicio, effettivamente» precisò Dorian fra i denti.
Ci erano stati, in oreficeria, per comprare l'ennesima collana esattamente uguale all'intrico di monili incrostati di pietre che ormai infestava i fondi dei suoi portagioie. Questa montatura mi mancava, aveva detto Justine, sfidandolo ad opporsi, perchè in realtà intendeva dire guarda, posso spendere i tuoi soldi e tu non puoi fare proprio niente per impedirlo.
«Avresti dovuto vedere la sua faccia. Sembrava che stesse sniffando un ratto morto» aggiunse la ragazzina rivolta a Lily, confidenziale, coinvolgendola nel proprio sberleffo.
A suo merito bisognava ammettere che, come pochi altri prima di lei, Justine aveva inteso che il modo per togliere momentaneamente il controllo della situazione a Dorian -ed avere l'ultima parola nel discorso- era espugnare la sua cortesia, lasciarlo esposto e corrucciato, senza l'estetica della sua convenzionalità.
Anche le labbra di Lily s'incurvarono. «In fondo non avete temperamenti così diversi. La nostra bambina tira fuori la fanciulla di sedici anni che c'è in te, mio caro.»
Quella non era la loro bambina e lui non era il suo caro, ma ci sarebbe stato modo di puntualizzarlo in seguito. Per ora Dorian si limitò, piccato, a commentare: «Se intendete coalizzarvi, fate pure, signore. Immagino sia un istinto naturale.»
Lily le comprava i nastri della lunghezza giusta, li misurava sul suo avambraccio e glie li gonfiava dietro la nuca, lambiva il suo sonno con le ciglia spiandola dormire, per controllare che il suo respiro intiepidisse il cuscino, come una neonata. Si appropriava di quella carne indigente, un riflesso da madre orfana, da randagia che raspa nelle discariche e si prende quello che c'è, gli scarti delle vite degli altri. Dorian non voleva scarti. Non c'erano i buchi di quella fame misera nel suo stomaco.
«Non serve scaldarsi tanto. Siamo la famiglia più squilibrata di cui abbia mai sentito, ma siamo pur sempre una famiglia» rammentò Lily, ancora un po' sull'onda di quel gioco in cui teneva per la parte dileggiatrice. «Fate pace. Dalle un bacio» insinuò ancora con voce leggera, appuntita.
«Sì, Dorian, facciamo pace.» Il volto di Justine era all'improvviso freddo, quasi austero. Dorian studiò entrambe, l'una accanto all'altra -la regina e la primogenita, la loro ridicola, adamantina regalità- e si accostò alla più piccola, al suo seno asserragliato nel bustino, a quel troppo di lei confinato in una pelle cremosa e inadeguata, guance piene, labbra grosse, faccia tonda, e sopra gli occhi limpidi, indignati, imperiosamente accesi. Le diede un bacio casto sulla fronte, di estrema eleganza.
«Giuda Iscariota non avrebbe saputo fare di meglio» sibilò lei, senza stupore.
«Messalina forse sì.»
Justine non gli diede ascolto. «Si dice che siamo noi stessi a creare i nostri migliori nemici.»
E a quella Dorian sorrise, e stavolta di cuore, perchè Justine non solo non era all'altezza di essere un nemico per lui, ma nemmeno di vincere la paura per scoprire il suo segreto, o di apparire in un ritratto per essere ricordata da qualcuno. Era una lattante sporca con il trucco troppo calcato sui bordi dei lineamenti per tenerla insieme. L'unica residenza eterna di quella precaria congruenza di cocci sarebbe stata la memoria di Dorian, galleria immensa, e forse per questo poco selettiva. Ci sarebbe sempre stata una cornice per lei nell'antro del suo nemico.
«Talvolta siamo anche noi stessi per negligenza a procurarci il raffreddore» rilevò lui, serafico. Justine lo dardeggiò con lo sguardo, un sussulto nel petto.
«E la prossima volta non farti pregare così tanto per un regalo, papino. Mi piacciono le sorprese.»
La sera prima di accompagnare sua madre alla rovina, Dorian le avrebbe fatto una carezza tra i capelli, con una mano piatta che già constatava l'irriducibilità del suo destino, la mestizia e mansuetudine inerte del congedo. E avrebbe sorriso dell'espressione turbata sul suo viso, e avrebbe capito che aveva capito. Era una meretrice di poco prestigio, ma una lince per gli indizi, con un fiuto sicuro, una lettrice di terra smossa, gli occhi cangianti come il colore del crepuscolo, come va il sole, con una fatalità senza fuga nell'ossatura forte, nella pelle che vibrava, e negli occhi fermi, aperti. Era la figlia impetuosa e impotente della sua immortalità, l'ennesimo aborto spontaneo del suo suolo infertile. Era un prototipo, ma anche qualcosa che, nel bene e nel male, non avrebbe potuto -saputo- ripetersi, portandosi via il segreto di come togliere a Dorian la parola e il monocolo sudicio dell'uomo che lo aveva visto privo di solitudine.