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Autore: DoumekiChikara    06/03/2017    1 recensioni
Dalla Storia :" Blaine Anderson non era più se stesso.
Blaine Anderson non si sentiva più quello di una volta.
Blaine Anderson non sapeva più chi fosse.
Blaine Anderson non si sentiva più una persona piena di emozioni contrastanti e forti. No, il dolore aveva offuscato tutto il resto; il dolore aveva cancellato tutto il resto.
Ispirata al film Collateral Beauty
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Warblers/Usignoli | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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Note di una Pseudoautrice
Hi! *riemerge dalla sua tana*. Le note questa volta precedono la storia lo so… perdono! Ma sono tornata solo per mettere questa … cosa qui perché mi mancava il fandom e boh avevo scritto questa storia! Comunque siamo seri per un secondo. Questa storia affronta un argomento forte, il dolore per la perdita di un figlio e voglio mettere le mani avanti dicendo che non essendo madre non posso capirlo appieno. Se il modo in cui ne scrivo vi sembra offensivo o cosa vi prego di farmelo sapere che la tolgo subito. Ho iniziato a scriverla dopo aver visto il film che riprendo nel titolo, Collateral Beauty per l’appunto (di cui consiglio la visione), e ovviamente essendo una Klainer fin nel midollo, ho immaginato come avrebbero reagito se fosse capitato a loro, quindi la storia è chiaramente ispirata al film. Inoltre per me, come credo per molti, la scrittura è un modo per sfogarsi e processare i propri sentimenti e le proprie emozioni, quindi questa storia è nata anche da un mio bisogno di esorcizzare il mio dolore. L’ho scritta in pochissimo tempo ma solo ora trovo la forza di pubblicarla, perché avevo promesso a una lettrice che sarei tornata prima o poi e siccome non ho finito di scrivere nient’altro la scelta è ricaduta su questa. Le note stanno diventando più lunghe della storia. Grazie a chiunque si prenda la briga di leggerla fino in fondo.
Buona lettura J
Disclaimer: non mi appartengono né Glee e i suoi personaggi né Collateral Beauty e la sua sceneggiatura!

 
 
 
 
 
 

Collateral Beauty

 
Blaine Anderson non era più se stesso.
Blaine Anderson non si sentiva più quello di una volta.
Blaine Anderson non sapeva più chi fosse.
Blaine Anderson non si sentiva più una persona piena di emozioni contrastanti e forti. No, il dolore aveva offuscato tutto il resto; il dolore aveva cancellato tutto il resto.
Blaine Anderson era intrappolato in un corpo che non sentiva più suo.
Un misero involucro vuoto che si muoveva da solo.
Un morto ambulante.
Blaine non sapeva perché non lasciasse che quel corpo smettesse di ambulare.
Non ne aveva idea.
Eppure ogni giorno divenne uguale al precedente.
Erano passati tre anni, eppure niente era cambiato.
Il tempo non aveva facilitato le cose.
Il tempo non aveva facilitato niente.
Il dolore era ancora lì, pulsante come il primo giorno.
Gli toglieva il fiato ogni volta, ogni singolo secondo, tant’è che non sapeva nemmeno come riuscisse a respirare.
Tre anni e non aveva vissuto nemmeno un momento. Tre anni ed era tutto chiaro e vivido come se fosse successo un attimo fa.
“È in un posto migliore”.
Stronzate.
“È stato il volere del Signore, ha visto una splendida rosa e ha voluto coglierla per averla nel suo giardino”.
Stronzate spirituali, ancora peggio.
Non potevano seriamente rifilargli queste cazzate. A lui. Dopotutto quello che aveva passato durante la sua vita? A lui venivano a raccontare la favoletta di Dio, dopo che quello stesso Dio lo avrebbe fatto bruciare all’inferno per via di chi amava? Perché Dio doveva interessarsi della sua rosa? Dov’era Dio quando quei ragazzini pieni d’odio lo avevano massacrato di botte, solo per aver tenuto la mano di un altro ragazzo in pubblico? Dove era Dio quando altre persone piene di disprezzo e ignoranza gli avevano quasi portato via l’amore della sua vita? Dove era, eh? Dove?
 Blaine non lo sapeva e francamente non gli importava.
Sapeva solo che lei –
No.
Il tempo non era servito a niente.
*
“Da quanto va avanti?”
“Tre anni”
“Dovremmo fare qualcosa”
“Ha perso la figlia Wes! Cosa pensi di poter fare?”
“Nick sono passati tre anni!”
“Non sono cose che si superano…”
“Ha ragione, Wes… Non sarà più lo stesso…”
“Ma… ci deve essere qualcosa che possiamo fare, David! Non posso vedere uno dei miei migliori amici morire lentamente così… Lui era carismatico, creativo, amava la vita! Ora la disprezza…”
“Lo so…”
*
Nick si avvicinò alla porta come faceva quasi ogni sera da tre anni.
Bussò.
Silenzio.
“Blaine? Ti ho portato qualcosa da mangiare… è quella cosa straniera coi gamberetti e il riso che ti piace tanto… Blaine?”
Sospirò sconfitto come quasi ogni sera, da tre anni.
“Ti lascio tutto qui fuori ok? … Ci manchi Blaine… a tutti. Sai alla casa discografica dico… non è più lo stesso senza di te”
“Non aprirà…”
Nick sobbalzò spaventato e si girò verso la voce.
Un uomo tarchiato sulla cinquantina, lo squadrava mestamente: “Non mangerà… non ritira mai quello che gli porti… Non so nemmeno se esca da là, sa, mi deve anche dei soldi. Ma non ha più il telefono e non so come contattarlo…”
Nick guardò l’uomo, il padrone di casa di Blaine, da quel che poteva capire: “Ah, io… ok ehm... Quanto le deve? Posso farle un assegno”
“Grazie sì! E se posso… potrei avere anche i gamberetti? Sa, i peperoni dell’altra settimana erano deliziosi!”
Nick rimase con il libretto degli assegni fuori per metà dalla tasca interna della giacca e la penna, nell’altra mano stretta in una morsa ferrea.
Certe persone non si potevano proprio considerare umane.
*
“Rimane sempre nel suo appartamento. Se esce è perché va in bici fino al parchetto dei cani –“
“Ma non ha nessuno cane!”
“E poi passa in bici a Central Park e si ferma alla statua di Balto…”
“Come fai a sapere tutte queste cose?”
“Diciamo che ho ingaggiato una persona…”
“Hai fatto cosa!?”
“Tu sei pazzo! Ma che ti dice la testa?”
“Devo sapere cosa fare per aiutarlo!”
“Ha perso sua figlia lo capisci??”
“Si ma – ”
“Se osi dire che sono passati anni non hai mai capito niente di Blaine!”
“Wes! Nick! Calmatevi! Vi sembra normale quello che state facendo? Smettetela immediatamente! … ha scoperto dell’altro?”
“David!”
“Invia delle lettere…”
“A chi? A – ”
“No… più che altro a cosa…”
“Beh a cosa?”
“All’Amore… al Tempo… alla Morte…”
*
Blaine era seduto su quella panchina da minuti, forse ore, non lo sapeva più. Era abbastanza però da far sì che il freddo si intrufolasse dentro i vestiti, facendolo rabbrividire.
I cani che si rincorrevano nel recinto erano cambiati un numero indefinito di volte.
A un tratto una signora dai lunghi capelli argentati, su cui era adagiato uno strambo cappello blu, avvolta da un soprabito dello stesso colore, si sedette accanto a lui.
Blaine ritornò in un batter d’occhio nel suo mare grigio, ma la signora invece, parlò: “E così per te sarei una tigre di carta”.
Blaine sobbalzò, la guardò confuso. Non poteva aver detto quello che aveva detto…
“Mi scusi?” chiese guardingo.
“Tu mi hai definito ‘Tigre di carta’, mi hai anche detto che sono una pessima imprenditrice, perché non concludo i miei affari”
“Cosa?”
“È tutto scritto qui” disse con un sorriso disarmante mentre tirava fuori dalla borsetta, rigorosamente blu, un foglio di carta ripiegato.
Blaine continuava a guardarla confuso.
“Non è la tua lettera questa? Non l’hai scritta tu?”
“Sì ma… lei come – Lei chi è?” stava iniziando a innervosirsi, non era uno scherzo divertente.
“A chi hai scritto la lettera?”
Blaine scosse la testa.
“Avanti a chi hai scritto la lettera?”
“Ho…” Non poteva credere di star facendo il suo gioco “Ho scritto una lettera alla Morte”
Il sorriso della donna si fece quasi dolce “Molto piacere” disse allungando una mano “Altrettanto immagino”.
“No” Blaine scosse la testa e si alzò bruscamente dalla panchina. Doveva andarsene, allontanarsi da quella pazza.
“Aspetta! Sono qui perché mi hai scritto!” la signora gli si era affiancata di nuovo, Blaine aumentò il passo ma non servì a nulla.
“NO”
“Le persone scrivono in continuazione all’Universo in cerca di risposte. E quasi nessuno riceve risposte personali. Ma tu sì”
Blaine si fermò di colpo: “Ascolti” sussurrò duro “Non so chi lei sia e non so perché lo stia facendo… ma la smetta subito! Non mi interessa!”
“Nonna con chi sta parlando quel signore?” chiese un bambino che teneva la mano di sua nonna e lo guardava curioso.
“Con nessuno tesoro, deve essere nella sua testa” Sussurrò nemmeno troppo velatamente la donna avvicinando il piccolo alla sua gonna con fare protettivo mentre aumentava il passo.
Blaine si bloccò. Fissò la signora in blu spaventato.
No, non poteva non -  lui non era -.
Si allontanò da quella donna in blu il più velocemente possibile.
Questa volta la signora non lo seguì.
*
Non sapeva perché lo stesse facendo. Non sapeva perché stesse pedalando contromano in strada senza aver acceso i faretti e indossando vestiti scuri. Le macchine lo superavano all’ultimo strombazzando.
Non sapeva con certezza che cosa lo stesse spingendo a continuare a pedalare.
Forse per provare qualcosa. Per vedere se poteva ancora sentire qualcosa che non fosse quel vuoto. Quel pesante vuoto che lo stava inghiottendo pezzo per pezzo.
Forse perché stava davvero diventando pazzo.
Forse era per rivedere la Morte. Per vedere se era davvero una vecchia signora.
Forse per poter finalmente riabbracciare sua figlia.
*
Non era passato spesso in sala prove in quegli anni.
Solo quando il dolore si faceva pressante sul petto e rischiava di schiacciarlo, di farlo annegare. E allora per moltiplicarne l’intensità andava nello studio.
Chiudeva la porta e si avvicinava al piano.
Era un pianoforte a muro.
Lei adorava il piano.
Suonava la melodia che le aveva insegnato, quella che la faceva ridere.
“È una bella canzoncina”
Un suono stonato irruppe nella stanza.
Blaine, immobile con le mani tremanti sui tasti, sbatté le palpebre.
“Beh? Non ti volti nemmeno a guardare chi ti sta parlando? È così che fai? È molto maleducato! ... Ma d’altronde che mi aspettavo dalla persona che mi ha insultato?”
Blaine si girò allora.
Un ragazzino.
Quello che aveva davanti era un ragazzino, con lo sguardo spavaldo, i capelli sbarazzini, i vestiti larghi e grigi.
Blaine sbatté le palpebre rapidamente. Di nuovo. Non poteva accadere a lui, vero?
“D’altronde io non servo a niente… riduco soltanto tutto in polvere! Sono solo un tessuto morto no?”
“Chi sei? Cosa vuoi da me?” si alzò di scatto dallo sgabello del piano, i pugni che si chiudevano.
“Oh calmati! Non hai ancora capito chi sono?”
Blaine scosse la testa lentamente, sembrava riuscire solo a rispondere in questo modo ultimamente.
“Beh sono venuto a ridarti questa” il ragazzo gli porse una lettera. La sua lettera.
Blaine boccheggiò, gli mancava il fiato. Chi è che cercava di fargli uno scherzo così crudele? Non bastava tutto quello che stava passando?
“Dimmi chi sei?! Adesso”
“Sono il Tempo! E non mi è assolutamente piaciuto quello che hai scritto qui dentro!” Disse sventolandogli la lettera sotto il naso “Perché vedi, io non sono niente di tutto ciò che hai detto! Nessuno di voi d’altronde mi ha mai descritto per quello che sono -  beh forse Einstein ci è andato vicino, dicendo che sono un’illusione creata dagli essere umani – ma sto divagando non sono qui certo per dirti questo. No! Io sono qui per dirti che io sono un dono! Un dono! E tu lo stai sprecando!” in un gesto di foga per enfatizzare ciò che diceva buttò la lettera in faccia a Blaine. Il foglio di carta colpì leggera il naso dell’uomo e poi cadde dolcemente e lentamente sul pavimento.
Blaine tremava dalla rabbia. Le unghie che incidevano la carne tenera dei palmi. La mascella rigida. Gli occhi luccicanti e furiosi. Il sangue che pulsava nelle vene riducendo ogni cosa che lo circondava in questo. Il sordo tum tum del cuore che pulsava sangue sempre più velocemente.
“Blaine mi hanno detto che sei qui!” Nick entrò nella stanza, il tono speranzoso, ma il sorriso gli morì in gola quando vide il suo amico teso e tremante, che si era girato verso di lui. Rabbrividì. Quello sguardo era così non-Blaine. “Ehm io volevo solo – uh, dirti che c’è un incontro e hanno saputo che sei qui e vorrebbero che partecipassi… puoi dire di no! Non sentirti ehm obbligato… so che mi dirai di no! E l’ho detto agli altri ma hanno insistito…” Nick vide Blaine spostare lo sguardo velocemente, puntarlo vicino al piano e poi riposarlo su di lui. La rabbia era scemata da quegli enormi occhi ambra, ora c’era qualcosa che fece preoccupare Nick. Vi leggeva dentro confusione, paura, rassegnazione e poi il solito dolore sordo che ormai era una costante.
“Avanti chiediglielo! Chiedigli se riesce a vedermi… la risposta è no ma tu provaci!”
Blaine strinse gli occhi. Sparisci sparisci sparisci! Pensò. Aprì gli occhi e li fisso in quelli preoccupati del suo vecchio amico. Prese un profondo respiro. Poi un altro. Poi un altro ancora. Poi un altro finché i pugni non si aprirono e il battito cardiaco ritornò normale.
“No” mormorò a Nick, che annuì e gli lanciò un mezzo sorriso.
“Mi avevano chiesto di chiedertelo lo stesso” lo guardò ancora una volta poi annuì piano e chiuse la porta.
Blaine chiuse ancora gli occhi e fece un profondo respiro. Prese la lettera per terra e poi uscì da quella stanza. Senza voltarsi verso il piano.
*
L’inverno a New York era pungente.
Cominciava a farsi sentire prepotentemente. Blaine si strinse nel cappotto, cercando il coraggio di entrare, invece di guardare dalla finestra.
Stava davvero sfiorando il ridicolo. Diamine forse era davvero pazzo.
Una persona sana non sarebbe stata minuti a guardare dalla finestra un gruppo di persone sedute in cerchio.
Sembrava così caldo e confortante là dentro.
Indugiò ancora un poco. Lo sguardo che percorreva quei volti sconosciuti ma familiari. Perché tutti erano segnati dallo stesso dolore, che Blaine vedeva riflesso nei suoi occhi, ogni mattina, quando si guardava allo specchio.
Lo sguardo si posò su due occhi azzurri.
Sospirò, prese la sua bici, la rigirò affinché puntasse da dove era venuto e vi montò sopra, per poi iniziare a pedalare.
*
Non sapeva perché avesse scelto quel posto per mangiare.
O forse sì.
Una volta ci erano andati insieme. Tutti e tre. C’erano finiti per caso.  Stavano cercando rifugio dalla pioggia, perché suo marito odiava bagnarsi; tutto il contrario di Blaine che adorava la pioggia, il suo odore, il suo confortante ritmo, le pozzanghere, e aveva trasmesso questo suo amore anche a sua –
Strinse la forchetta più forte. Chiuse gli occhi per impedire alle lacrime di tradirlo.
Fu in quel momento che accadde.
Una giovane donna si sedette al suo tavolo. Proprio di fronte a lui.
Blaine riaprì gli occhi lentamente e appena vide il foglio che lei aveva adagiato sul tavolo, sbottò.
“Eh no, per favore, sto mangiando!” disse alzando gli occhi al cielo frustrato.
La donna lo guardò e bastò un attimo per far sì che i suoi occhi si riempissero di lacrime e con voce spezzata sussurrò “Mi dispiace”.
Blaine la fissò di rimando, stranito, non era questo che si aspettava.
La ragazza singhiozzò ancora sussurrando sempre ‘mi dispiace’, poi prese un profondo respiro e continuò “Ma non puoi dirmi addio! Non puoi semplicemente dirmi addio…” un altro singhiozzo “Non puoi perché io sono in tutte le cose. Io sono l’Amore non cercare di vivere senza di me!”
Blaine le lanciò uno sguardo di fuoco. Come osava. Come osavano tutti!
Sbatté i pugni sul tavolo, guadagnandosi un paio di occhiatacce. Si alzò, guardò male la ragazza che aveva gli occhi lucidi per un’ultima volta e poi uscì.
*
Prese un respiro.
Questa è la volta giusta. Andiamo.
Chiuse gli occhi e aprì la porta.
Tutte le teste nella stanza si girarono verso di lui. Anche quelli umidi di una mamma che aveva appena finito di parlare, il fazzoletto stretto tra le dita.
“Ciao. Sei qui per il gruppo di sostegno ‘Piccole Ali’?” una voce chiara e limpida, lo riscosse dal suo torpore. Occhi ambra si specchiarono in pozze azzurre. Blaine trattenne il respiro, la gola si chiuse, gli occhi si riempirono di lacrime. Annuì piano.
“Prego siediti” disse l’uomo dagli occhi azzurri con un sorriso gentile. Blaine eseguì.
“Come ti chiami?”
“Blaine” mormorò cacciando indietro le lacrime.
“Ciao Blaine, io sono Kurt. Vuoi dirci qualcosa? Perché sei qui?”
Blaine fissò l’uomo per qualche momento, scosse la testa perché se avesse provato a parlare era sicuro che sarebbe scoppiato a piangere.
“Ok, non preoccuparti.” Kurt gli sorrise comprensivo, poi si voltò verso la persona che aveva appena raccontato la sua storia “Grazie per aver condiviso, Marianne”.
L’incontro proseguì, storia dopo storia, ricordo dopo ricordo, Kurt ringraziava tutti. E ogni volta che chiedeva chi volesse condividere lanciava uno sguardo a Blaine, uno sguardo che il moro non riusciva mai a sostenere.
Quando l’incontro finì, Blaine fu il primo a lasciare la stanza. Camminò verso la bici e non si accorse di Kurt dietro di lui fino a che la sua voce non lo raggiunse “È per via del Natale?”. Blaine si girò e si ritrovò Kurt a due passi da lui. Troppo vicino.
“Come scusa?”
“Il Natale. È per questo che oggi sei entrato?”
Gli occhi di Blaine si spalancarono leggermente “Uh… no, non è per quello…”
“Ah, no? Lo chiedevo perché di solito è così… molti genitori sentono il bisogno di condividere sotto Natale…”
Blaine annuì, non sapendo che altro dire.
“Se non è per il Natale allora perché oggi hai deciso di entrare? Cosa è cambiato rispetto le altre volte?”
Kurt arrossì sotto lo sguardo di Blaine “Uh, sì, ti ho notato, sai davanti alla finestra qualche sera…”
Annuì di nuovo il moro, poi alzò lo sguardo su Kurt “Sto provando … sto provando a sistemarmi la testa”.
Questa volta fu Kurt ad annuire.
*
Ritornò agli incontri. Ma non parlò mai. Non ‘condivise’ mai.
Almeno non con gli altri.
“Fai parte del 79% vero?” aveva chiesto Kurt una sera mentre chiudeva la saletta, Blaine si era fermato per aiutarlo a sistemare le sedie e il resto.
“Il cosa?” chiese mentre si incamminavano sul marciapiede innevato.
“Il 79% delle coppie che divorzia dopo la perdita di un figlio… come me” specificò Kurt con gli occhi azzurri profondi.
Blaine annuì, lanciandogli un’occhiata di sfuggita.
Si fermarono davanti a una macchina. Kurt tirò fuori dalla tasca delle chiavi e prima di aprire l’auto si girò verso di lui e lo imprigionò con quegli occhi infuocati e determinati, quegli occhi blu che nascondevano un dolore troppo grande “Mia figlia si chiamava Tracy…” si vedeva che dire quelle parole gli costavano molto eppure non si fermò “È morta a causa di un tumore molto raro. Si chiama glioblastoma multiforme. GBM, abbreviato.” Aveva un mezzo sorriso sulle labbra e gli occhi lucidi “Aveva sei anni… Non so se fosse biologicamente mia o di mio marito, era nostra e basta. Assomigliava a entrambi comunque… e il tuo? Come si chiamava?”
Blaine mormorò un semplice “no” prima di voltarsi e coprirsi la bocca con una mano cercando di bloccare i singhiozzi. “Hey hey! Va bene! Non devi” Kurt gli appoggiò una mano sulla spalla e Blaine si sentì ancorato a terra. Si guardarono negli occhi a lungo prima di salutarsi.
*
“Ami ancora il tuo ex…?” gli chiese Kurt una sera, davanti a un caffè, una volta finito un incontro.
“Marito” gli suggerì Blaine, accorgendosi tardi che aveva appena fatto coming out con Kurt. Non che la sua sessualità non fosse nota a chi lo conosceva, ma aveva un sapore diverso svelare qualcosa di sé a Kurt.
Kurt gli sorrise attendendo una risposta.
“Io… non lo so” gli disse sincero dopo un attimo di esitazione. Kurt gli sorrise, di nuovo.
“Io sì. Amo ancora mio marito” lo guardò fiero dei propri sentimenti, Blaine distolse lo sguardo. Alle volte faceva davvero male.
“E sono sicuro che lui non abbia smesso di amarmi” a queste parole Blaine alzò gli occhi verso di lui.
“Sai perché?” chiese Kurt. Blaine rispose come gli riusciva meglio in quegli anni, semplicemente scosse la testa.
Kurt gli sorrise estrasse dal portafogli un cartoncino ripiegato “Me lo diede il giorno in cui firmammo le carte del divorzio”. Blaine prese il biglietto e lo lesse ad alta voce “Se solo potessimo…”
“…Essere di nuovo estranei” continuò l’altro. Si guardarono entrambi con gli occhi lucidi.
“Posso dirti una cosa” sussurrò Kurt.
“Certo” rispose altrettanto piano Blaine.
“Il giorno in cui dovevamo dire addio a Tracy, ero da solo fuori dalla sua stanza. Mio marito era nel parcheggio che cercava di calmare mio padre e mio cognato. Ma non ero solo seduto in quelle sedioline di plastica. No, vicino a me c’era una signora. Quella signora mi chiese per chi fossi lì. E io le dissi che ero lì per mia figlia. La signora si girò verso di me e mi disse: ‘La cosa importante è cogliere la bellezza collaterale che è il legame profondo con tutte le cose’. Disse proprio così. La bellezza collaterale”
Blaine lo guardò stranito, non era sicuro di aver capito appieno cosa Kurt gli volesse dire.
“Nemmeno io avevo capito all’inizio ma poi ci ho ripensato… devi solo saperla notare. Devi riuscire a notare la bellezza collaterale”.
*
“Grazie Alex… qualcun altro vuole condividere? … No? Allora direi che possiamo concludere qui. Ci vediamo la prossima settimana.”
E con queste parole di congedo tutti iniziarono ad alzarsi, e con mormorii si avviarono all’uscita.
Blaine rimase seduto però.
“Blaine?”
Al suono del suo nome il moro portò gli occhi in quelli azzurri di Kurt.  Kurt trattenne il fiato per un momento mentre analizzava l’emozioni che vorticavano nel mare d’ambra. Paura principalmente, non capiva se rivolta e se stesso o verso Kurt, inoltre era come se quegli enormi occhi lo stessero pregando di fare qualcosa, ma non sapeva cosa.
“Io… Io sto avendo delle conversazioni…” era solo un leggerissimo fiato, ma per Kurt rimbombò come un tuono.
“Ok” disse incoraggiante, con un sorriso dolce dipinto sulle labbra.
Blaine annuì lieve, prendendo tempo prima di continuare “Sto avendo delle conversazioni con –” si bloccò insicuro e guardò Kurt, poi si alzò dalla sedia e “No io non -  non mi crederesti…” si diresse verso la porta ma venne fermato dalla mano di Kurt avvinghiata al suo braccio.
“Blaine… vuoi avere una conversazione con me?”
Si persero l’uno negli occhi dell’altro per un po’, poi si sedettero sulle sedie di plastica che formavano ancora un cerchio.
“Puoi dirmi tutto Blaine, lo sai… Con chi stai avendo delle conversazioni?”
“No – non con chi. Con cosa…”
“Ok… allora con cosa stai avendo delle conversazioni?”
“Ecco io ho… Tu penserai che sono pazzo… ma io ho scritto delle lettere… delle lettere all’Amore, al Tempo e alla Morte. E loro – loro sono… ehm apparsi e mi hanno parlato…”
Kurt annuì, ma non diede segno di trovarlo strano.
“E tu cos’hai detto loro?”
“Niente, uh di lasciarmi in pace…”
“Dove sono apparsi? Quando eri a casa tua?”
“No… in pubblico. La morte è stata la prima: è venuta da me quando ero al parchetto dei cani”
“La Morte è una lei quindi?”
Blaine sbuffò una risata “A quanto pare sì… Una donna bianca anziana”
“Gli altri?”
E Blaine si aprì. Gli raccontò del Tempo, di quanto fosse spavaldo e sbruffone, proprio come un adolescente che crede di aver il controllo e potere su tutto e che non ha paura di niente; gli raccontò di quanto bella fosse Amore, di come non avesse smesso di piangere e di come fragile apparisse, nonostante la scintilla di fuoco che bruciava nei suo enormi occhi. Gli disse ciò che gli avevano detto, gli disse ciò che aveva scritto lui.
“Perché hai detto che la morte è un’imprenditrice che non conclude gli affari?”
Blaine si stropicciò le mani prima di rispondere “Quando … ho pregato… non Dio, non l’Universo… ho pregato la Morte; le ho chiesto di prendere me al suo posto… di lasciarla qui e prendere me…” la voce era un flebile sussurro. Kurt gli prese le mani tra le sue e le strinse in un gesto di conforto. Entrambi con le lacrime agli occhi e la gola chiusa.
“Devi parlare con loro, Blaine”
“Come?”
“Non puoi essere passivo. Devi parlare con loro. Sfidali se vuoi. Però reagisci, Blaine”
*
Dopo la conversazione con Kurt non si fecero vedere per una settimana.
Non li vedeva né li sentiva.
Fu un sollievo. Era come se tutto fosse tornato in quel limbo che era la sua vita da tre anni.
Ma fu solo una fugace illusione.
Stava tornando a casa in bici dopo essere stato al parco, quando all’improvviso sentì un peso dietro il suo mezzo; come se qualcuno si fosse aggrappato al portapacchi.
Si girò già con un insulto sulle labbra, ma quello che vide lo fece frenare di colpo, facendo così cadere a terra il Tempo. Lo skateboard – ovvio che andasse in giro su uno skateboard il ragazzino! – che si catapultava vicino alle ruote della bici.
Diamine.
“Cosa vuoi ancora?” gridò il moro gettando la bici sull’asfalto. Per fortuna non era una strada molto trafficata.
“Sono qui per dirti che c’è in gioco di più di quello che tu possa capire!” gli sputò tra i denti il giovane senza provare ad alzarsi.
“Lasciami stare!” urlò Blaine.
“Non posso! Fintanto che tu non capirai che mi stai sprecando! Io sono il Tempo! Sono un regalo! E tu lo butti via!!”
Blaine si avvicinò al ragazzo tanto da incombere su di lui, gli puntò un dito in faccia: “ Io non voglio il tuo regalo! Hai capito? Non me ne faccio niente! Non lo voglio!! Non lo merito! Lei meritava il tuo dono! LEI! Lei meritava tutto il tempo del mondo e invece me l’avete portata via! IO NON LO VOGLIO IL TUO DONO!” e con queste parole Blaine prese lo skate e lo scaraventò lontano. Creando una valvola di sfogo che non fosse prendere a pugni una fantasia.
Con il fiato grosso, diede un ultimo sguardo al ragazzo, poi prese la bici e si diresse a casa.
*
La seconda volta era in metro.
La Morte entrò quando mancavano poche fermata alla sua.
“Sei venuta a prendere me?” le chiese irrisorio con una punta di speranza nella voce.
“No, sono venuta a prendere il treno con te”
“Perché?”
“Per parlare”
“Non voglio stare ad ascoltare” iniziava ad irritarsi sempre di più “Cosa mai potresti dirmi? Non credo alle scempiaggini religiose! Non credo nell’inferno e nel paradiso, non credo nel Nirvana e tutto il resto! Non mi interessa se adesso è in un posto migliore, perché non sarebbe dovuta finirci in primo luogo! E sai cosa? Non potresti dirmi niente di nuovo… pensi che io non abbia mai letto cosa ne pensano i letterati? Scrivono tutti che non bisogna avere paura della morte, che fa parte di noi. Beh io non ho paura di te! Non ho paura di morire! Era lei che non doveva morire… ti avevo chiesto solo questo… perché hai preso lei? Perché?”
Non poteva sopportare un altro secondo in presenza di quella donna, per fortuna il treno si era fermato così uscì dalle porte automatiche, cercando di non notare le occhiate confuse e spaventate dirette nei suoi confronti.
*
Fuori dalla metro fu salutato dall’aria frizzante invernale.
Scacciò con furia le lacrime che si erano impigliate nelle ciglia. Tremava ancora per l’incontro con quella strana donna che credeva davvero di essere la Morte.
Ti ricordo che nessuno l’ha vista se non te questo non rende lei quella strana.
Scosse la testa per cacciare quella stupida vocina dalla testa. Grazie tante sapeva già di non stare bene.
Era così perso tra le voci nella sua testa, che non si accorse subito di due piedi che arrancavano per stare al passo con i suoi.
Blaine alzò gli occhi sulla persona accanto a sé e si fermò di colpo.
“Ecco! Ci mancavi solo tu all’appello! Che vuoi?”
La ragazza posò i suoi grandi occhioni lucidi su lui – no, seriamente, non smetteva mai di piangere?
“Perché ti ostini a non volermi nella tua vita?”
Blaine strinse i pugni, ma non rispose.
“L’amore è la ragione di tutte le cose! È in tutte le cose, le fa vivere! Devi riuscire a percepirlo!”
A quelle parole l’uomo non poté che rispondere: “Riuscire a percepirlo dici? L’ho fatto! Tutti i giorni ti percepivo! Io ti ho visto nei suoi occhi quando mi chiamava ‘papà’. Ti sentivo nella sua risata. Ti sentivo quando mi abbracciava e i suoi riccioli mi accarezzavano le guance. Eri nel suo profumo. Eri nella sua stretta quando le sue mani stringevano le mie! E tu mi hai spezzato il cuore!”
“Ero nelle sue risate come ora sono qui nella tua disperazione! L’amore non è sempre felicità, è anche dolore. L’amore è una delle passioni più forti. È la forza che dà vita a tutto, non puoi scegliere di vivere senza, perché non sarebbe vivere!”
“Forse non voglio più vivere… forse non voglio più vivere in un mondo senza di lei, senza i suoi occhi luminosi, senza le storie della buonanotte, senza i suoi sorrisi –“ si fermò perché le lacrime lo stavano soffocando. Ormai solcavano le guance implacabili.
Guardò duro l’Amore, anche le sue lacrime avevano lasciato la loro prigione.
Blaine diede le spalle alla ragazza e continuò il suo cammino. La ragazza non lo seguì, ma lo lasciò in pace con un’ultima supplica: “Sono l’Amore non cercare di vivere senza di me!! Sono la ragione di ogni cosa! Se riesci ad accettarlo, forse tornerai a vivere!!!”
*
Blaine non sapeva perché era davanti a quella porta. Non sapeva nemmeno se fosse in casa. Ma non sapeva come raggiungerlo altrimenti.
E forse aveva bisogno di lui.
Ne aveva sempre avuto bisogno d’altronde.
Bussò, nervoso e disperato.
La porta si aprì, rivelando Kurt. Aveva gli occhi rossi e lucidi, i capelli sparati in tutte le direzioni, e indossava dei pantaloni del pigiama e una felpa. In mano stringeva un fazzoletto azzurro ricamato.
“Blaine? Che ci fai?” la voce rotta dal pianto.
“Io… scusa il disturbo…” Blaine si sentì un imbecille, ma non poteva andare via “Pensavo che magari potessimo passare la vigilia insieme?”
Allo sguardo sorpreso aggiunse velocemente “Sempre che tu non abbia altri piani-“
“No no… mi farebbe piacere… vieni entra pure” si fece da parte per lasciarlo entrare e una volta che il moro mise i piedi in casa fu subito accolto da un calore e un odore che non sentiva da tempo.
“Ehm io stavo guardando vecchi filmati…” disse Kurt, il quale, dopo aver chiuso la porta, lo condusse nel soggiorno.
Lo sguardo di Blaine si fermò sulla tv. Vi era un video che stava andando.
Una bambina dai folti riccioli neri rideva mentre un uomo con gli stessi riccioli la faceva volteggiare nell’aria.
Blaine chiuse gli occhi per poi puntarli verso Kurt, che era in piedi davanti a lui. Il castano lo guardò aspettando una reazione, e quando non ne arrivò nessuna sussurrò:” Mia figlia si chiamava Tracy… È morta a causa di un tumore molto raro. Si chiama glioblastoma multiforme. GBM, abbreviato. Aveva sei anni…”
Kurt gli prese le mani e le strinse forte.
Era come se lo ancorasse a quel momento.
“Blaine” la voce un filo pieno di speranza, dolore, disperazione
Blaine iniziò a piangere e le parole gli uscirono come singhiozzi spezzati ma finalmente si districarono dalla fortezza costituita dalle labbra.
“Mia figlia aveva sei anni… è morta a causa di una forma di tumore molto rara. Aveva il glioblastoma multiforme. GBM abbreviato.”
“Dimmi come si chiamava…”
Cercò di respirare e di frenare le lacrime. Cercò di combattere ancora. Ma non sapeva se ne avesse più la forza. Così cedette.
“Tracy” sussurrò “Si chiamava Tracy”.
E fu come se tutto crollasse. Crollarono i muri che aveva costruito negli ultimi tre anni. Quel vuoto venne risucchiato e il dolore eruppe come un fiume in piena, travolgendolo. Era anche un sollievo.
Iniziò a piangere più forte e a ripetere il nome di sua figlia.
Kurt lo prese tra le sua braccia e lo strinse forte. “Lo so amore mio, lo so” continuava a sussurrargli all’orecchio.
Ci erano voluti tre anni perché accettasse la morte di sua figlia.
Tre anni passati a negare l’inevitabile.
Sapeva che non sarebbe cambiato niente. Il dolore sarebbe sempre stato lì, sordo e denso, pulsante a scorrere insieme al sangue nelle vene. Ma non era più solo. Aveva Kurt con lui. Di nuovo.
 


 
Note di una Pseudoautrice
Ciao di nuovo! Grazie mille per aver letto la storia, siete più che i benvenuti a farmi sapere cosa ne pensate :) p.s. Scusate il formato ma ancora non riesco a capire come funzioni! *troppo vecchia per la tecnologia*

 

  
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