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Autore: Lifaen    26/03/2017    0 recensioni
Terminate le lezioni scolastiche, Sora e il suo gruppo di amici decidono di trovarsi un lavoro estivo per potersi permettere un'estate all'insegna del divertimento più indipendente possibile. Trovano un impiego nel locale di un barista squinternato con l'ossessione per il piccante e clientele molto particolari.
Inoltre ci si focalizza su rapporti un po' più maturi, influenzati dall'estate come quelli dei ragazzi.
Che il divertimento estivo abbia inizio!
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Altro contesto
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“Finalmente è finita!”, gridò Sora, spalancando di netto i portoni dell’edificio che tanto gli ricordava una prigione.
I capelli castani del ragazzo vennero scompigliati dalla calda brezza di inizio giugno, mentre i suoi occhi azzurri si godevano la bellissima giornata che gli si stagliava davanti. Sentiva un’enorme voglia di mettersi a correre e saltare; finalmente erano arrivate le tanto agognate vacanze estive.
“Sora, aspettaci!”
Il grido lo bloccò con un piede fuori dalla porta. Si voltò appena, per vedere quattro persone raggiungerlo di corsa; una ragazza dai capelli rossi lunghi sino alle spalle, Kairi, che l’aveva chiamato; una che li aveva neri, Xion, un giovane dai capelli biondo oro, Roxas, e un ragazzo un po’ più alto, dai capelli d’argento, di nome Riku. Avevano tutti occhi azzurri, anche se quelli di Riku avevano una sfumatura di verde, e tutti indossavano la camicia bianca che era parte dell’uniforme scolastica; mentre i ragazzi indossavano i pantaloni, che avevano come motivo predominante gli scacchi, le due ragazze indossavano una gonna.
Il sorriso di Sora si fece più largo mentre li aspettava, trepidante di poter finalmente uscire. I suoi amici.
“Dai, ragazzi, andiamo! È finita, siamo liberi! Possiamo fare quello che ci pare!” fece, una volta che l’ebbero raggiunto.
Kairi riprese un attimo fiato, prima di parlare. “In realtà”, precisò, “non è finito un bel niente. Il professor Aeleus ha solo fatto terminare la lezione cinque minuti prima, per compassione.”
“E tu hai raccolto le tue cose in fretta e furia e ti sei fiondato qui come se avessero effettivamente dato il via libera”, continuò Roxas, mentre con una mano si riavviava i capelli e con l’altra stringeva quella di Xion, che stava al suo fianco. “A volte fatico a credere che abbiamo la stessa età, sai?”
“Sai, eri veramente buffo”, disse lei, sorridendo. “Sai emozionarti per un nonnulla, sempre. In un certo senso è ammirevole.”
“Sora è sempre stato così, sin da quando era piccolo”, concluse Riku con un sospiro. “Dubito che cambierà mai realmente… il che significa che dovremo stargli dietro per il resto della sua vita”, aggiunse, con un piccolo ghigno sarcastico.
Sora decise di prenderla sul ridere; nonostante fosse di un anno più grande di tutti loro, Riku passava sin troppo tempo in loro compagnia per potersi permettere di dare dell’immaturo a chiunque… sebbene dovesse riconoscere che almeno parte delle loro affermazioni fosse vera.
“Oh, andiamo! È ormai praticamente estate! Dobbiamo divertirci, uscire, festeggiare!”
“E fare i compiti, iniziare progetti, non ridurci all’ultimo come a te capita quasi invariabilmente…” elencò Kairi, scatenando una risata da parte di Roxas e Xion ed un lieve sorriso da parte di Riku.
“Molto divertente, Kairi, davvero molto. Dovresti fare la comica” replicò Sora, con un sorriso di scherno per la sua ragazza. In fondo, non era del tutto una menzogna. Trovava divertenti molte delle cose che diceva; solo che a volte era sin troppo incline a rendere lui il bersaglio delle sue battute.
“È quello che ti meriti”, rispose lei, raccogliendo i capelli in una coda di cavallo. “In fondo, sei rapido solo quando si tratta di divertirsi o andare al mare.”
“Sei sicura di non stare confondendomi con Roxas?” tentò Sora, spostando lievemente lo sguardo sull’interessato.
Roxas dal canto suo si limitò a fare una smorfia, che il ragazzo dai capelli castani non riuscì a decifrare. “Ammetto di voler andare al mare da un po’, ma credo concordiamo tutti sul fatto che io sia più sveglio di te.”
L’affermazione fu seguita da un lungo silenzio. Roxas guardò tutti gli altri uno per uno, in attesa che si decidessero ad avallare il suo punto di vista, poi fu costretto a lasciare perdere con uno sbuffo infastidito. “Mai che mi reggiate il gioco, voialtri…” mugugnò, la testa bassa.
“Su, non fare così…” tentò di rincuorarlo Xion, dandogli qualche piccola pacca sulla spalla.
“Sappi che in quanto mia ragazza tu saresti tenuta a sostenermi, eh…” fece Roxas.
“Sostenerti sì”, rispose la ragazza dai capelli neri, “metterti su un piedistallo però no”, concluse, con una risatina lieve.
Sora osservò Roxas per un momento, prima che questo si mettesse a ridere; era un bravo ragazzo, questo lo sapevano tutti. A volte, però, poteva dare in escandescenze. Non aveva mai capito bene a cosa fosse dovuta quell’irascibilità che ogni tanto prendeva possesso di lui; nonostante lo conoscesse da quasi un anno, non gli era ancora riuscito di comprendere quel suo lato. Xion invece sembrava riuscirci perfettamente; non aveva mai visto Roxas arrabbiato con lei. Era come se, semplicemente, non ne fosse capace.
Probabilmente, si disse, è come per me con Kairi. Vogliamo loro troppo bene per arrabbiarci seriamente.
Intanto che il pensiero terminava il proprio breve viaggio nella sua mente, sentì la mano di Kairi toccare la sua e stringerla. La cosa lo riscosse un attimo, e si fermò a guardarla stupito. Lei stava sorridendo, radiosa e bella come non mai.
“Però penso che tu abbia ragione, Sora” disse. “Dovremmo anche riuscire a divertirci il più possibile, quest’estate.”
Sora sentì il proprio viso allargarsi in un sorriso, rispondendo a quello di lei. Dovette frenare l’impulso di darle un bacio; lei era già stata abbastanza chiara in proposito, all’inizio della loro relazione. Preferiva tenere quel genere di cose quando non fossero davanti ai loro amici, per evitare di metterli a disagio. Sora si era trovato d’accordo: per qualche motivo, non faticava ad immaginare Riku irritato dalle smancerie; già a malapena sembrava sopportare quelle un po’ più aperte di Roxas e Xion.
Fu preso in contropiede dal suono della campanella, che gli attraversò le orecchie; distratto, si fece trascinare fuori dagli altri, Kairi in primis; lei lo strattonava ridendo per il braccio, Riku e Roxas lo spintonavano in avanti. Aveva perso di vista Xion: chissà dov’era finita. Notò con la coda dell’occhio l’immensamente alto professor Aeleus, un uomo dalla fronte molto alta e i corti capelli castani con il mento squadrato, che faceva loro un cenno educato del capo per salutarli, e ricambiò con un gesto della mano
Finalmente, pensò. Finalmente liberi.

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Crepuscopoli era incredibilmente serena, quando i ragazzi erano ancora a scuola.
Terra sapeva che quella pace non sarebbe durata per molto, in compenso. Era l’ultimo giorno di scuola, d’altronde. Molto presto sulle strade si sarebbero riversate orde di ragazzini rumorosi… e lui di certo non voleva rimanere bloccato per strada per subirne i lazzi. Si ritrovò però a sorriderne; la fine delle lezioni scolastiche significava che anche gli insegnanti sarebbero stati più liberi di fare quello che preferivano… insegnanti come Aqua, ad esempio.
Con la borsa della spesa che gli dondolava lungo un fianco, l’alto ragazzo dai capelli castani si ritrovò a pensare a quella che era la sua compagna da ormai cinque anni. I suoi capelli azzurri come il mare erano la prima cosa di aver notato in lei, il particolare che più l’aveva colpito quando l’aveva incontrata sette anni prima in un locale; all’epoca, lui lavorava come magazziniere, tentando di raggranellare qualche soldo per poter andare a vivere per conto proprio e allontanarsi così dai suoi fratelli, che gli rendevano la vita impossibile, e che tutt’ora sentiva raramente. Aqua invece stava studiando con l’intento di diventare un’insegnante al liceo locale, obiettivo che era poi riuscita a raggiungere. Nonostante tutti i dubbi della ragazza, Terra era sempre stato convinto delle sue probabilità di successo; un po’ perché riponeva in lei la massima fiducia, un po’ perché con il tempo aveva imparato che non importava quanto difficile potesse essere, quando lei si fosse posta un obiettivo presto o tardi sarebbe riuscita a raggiungerlo.
Era uscito a fare la spesa proprio per farle trovare il pranzo pronto quando fosse tornata a casa; gli piaceva rendersi utile, e imparare a cucinare per lei non gli era pesato granché. Voleva aiutarla il più possibile, ed esserle meno che potesse di peso: sapeva che le sue giornate erano piene d’impegni, compiti da controllare e lezioni da programmare, e nonostante tutto Aqua trovava comunque il tempo per lui. Era quindi naturale che lui volesse contraccambiare quelle gentilezze e farle trovare una pasto caldo in tavola, o tenere la casa quantomeno in uno stato decente. Nonostante l’appartamento in cui convivevano non fosse particolarmente ampio, a volte Terra trovava realmente sconcertante la rapidità con cui lo sporco e la polvere tornavano a prendere prepotentemente possesso dell’abitazione, perciò faceva del proprio meglio per ricacciarli indietro prima che Aqua si sentisse in dovere d’intervenire; cosa che comunque ogni tanto avveniva, ed era sempre molto più divertente pulire assieme a lei che avere come unica compagna la radio che trasmetteva musica. Aqua sembrava avere il dono di rendere tutto più piacevole: persino la più banale delle attività domestiche diveniva piena di colori e risate, se la faceva assieme a lei.
Fermandosi al semaforo, in attesa che scattasse il segnale di attraversamento, scoprì di avere sete: aveva camminato parecchio per trovare il taglio di carne necessario alla cena di quella sera, come anche le verdure che avrebbero avuto l’onore di essere il contorno, per cui era probabilmente normale. Il suo sguardo incontrò l’insegna del bar “Fiamme Eterne” dall’altra parte della strada, e decise che probabilmente era il caso di fermarsi a prendere qualcosa da bere prima di ricominciare… sempre che il barista Axel fosse stato così gentile da evitare di speziare anche l’acqua minerale in bottiglietta con il suo famigerato tabasco.
Il lieve tintinnare di una campanella accompagnò il suo aprire la porta del locale, in quell’orario abbastanza vuoto. C’erano solo un paio di ragazzini, uno abbastanza corpulento e l’altro magro, che stavano discutendo di come organizzare le giornate per passare il maggior tempo possibile al mare, e in un angolo due giovani uomini, uno dei due chino su un libro più spesso del suo cranio con un vistoso ciuffo dei capelli grigio-azzurri che gli nascondevano una parte del viso, la cui altra metà era adornata da un occhio freddo della stessa tonalità dei capelli, e l’altro dai feroci occhi dorati, una vistosa cicatrice ad X che gli attraversava il setto nasale e i lunghi capelli di un azzurro più chiaro di quelli del primo, intento a bofonchiare qualcosa senza che quello impegnato a leggere desse la benché minima impressione di averlo udito.
Al bancone, invece, stava un giovane uomo dalla capigliatura decisamente bizzarra: una cresta di capelli rossi sparati in tutte le direzioni che trovavano sotto di sé un viso dai bellissimi occhi verdi. Nonostante a Terra non piacessero gli uomini, non poteva negare che Axel, che indossava un grembiule bianco sopra una maglia nera a maniche corte e stava ripulendo il bancone con uno straccio, avesse degli occhi veramente stupendi; era a causa di quegli occhi se una volta era stato convinto a prendere il cocktail più infuocato della sua vita, e si era ripromesso di non prendere mai più nulla di più alcolico di un succo di frutta in quel posto. “Fiamme Eterne” era un nome veramente azzeccato: aveva avuto la sensazione che la bocca gli stesse andando a fuoco per i due giorni successivi.
Axel gli sorrise, appoggiandosi al bancone con le braccia vedendolo avvicinarsi. Terra dovette ammettere che, per quanto particolare fosse il barista, il locale era tenuto particolarmente bene. Qualcosa era fuori posto, ma in generale le condizioni non erano pessime tenendo conto che una persona sola gestiva tutte le incombenze.
“Axel”, esordì, con un saluto accennato con la mano libera.
“Terra”, ricambiò il gesto l’altro, con un cenno della mano. “Che ti porta da queste parti? Dopo l’ultima volta, credevo di averti sentito dire che non saresti più entrato qua dentro.”
Ignorando la risata che seguì quel commento, Terra si costrinse a sorridere il più amabilmente possibile. “Nulla di che, Axel. Vorrei solo avere dell’acqua, o un succo se ce l’hai.”
Il barista fece uno sbuffo divertito, ma andò prontamente a cercare nel refrigeratore sotto il bancone. “Sicuro di non volere qualcosa di… più forte?”
Terra poteva giurare, dal suono strozzato con cui giungevano le parole, che Axel stesse disperatamente trattenendosi dal ridere. L’idea lo costrinse ad altrettanto disperatamente trattenersi dal tirargli un pugno quando l’altro si rialzò dalla posizione accovacciata, privandosi della protezione del bancone.
“A giudicare dalla faccia direi proprio di no.” Il tono gli parve quasi deluso. “Il succo lo vuoi di un gusto particolare? Perché me ne sono appena arrivati alcuni al gusto di pesca che mi dicono essere ottimi. Sono utilizzabili anche nella preparazione di alcolici. Magari vuoi provarne uno?”
Oh no, ricomincia, pensò il giovane, affrettandosi a distogliere lo sguardo dagli occhi magnetici del barista. Sarebbe sicuramente riuscito a convincerlo, se avesse prestato attenzione a quello che diceva, ne era sicuro. Era la specialità di quell’uomo. “No, grazie. Basta un semplice succo, devo solo bagnarmi un attimo la gola”, replicò, fissando la propria attenzione sui due uomini dai capelli azzurri. “Quelli chi sono?”, domandò, sperando di deviare il discorso in una zona a gradazione alcolica meno elevata.
Axel dovette seguire il suo sguardo, perché dopo aver poggiato la bottiglietta di succo sul bancone commentò “Mh? Oh, quelli sono il mio amico Isa e un suo collega di laboratorio. Credo si chiami Enzo… No, no, aspetta, era Ienzo.”
“Mi sembra ben più piccolo del tuo amico”, fece Terra, sorvolando la bizzarria di un nome femmineo come “Isa”. La sua famiglia era piena di nomi bizzarri o dal suono più femminile dati a uomini, senza considerare il suo; non era proprio nella posizione di ridere di un’altra persona per il suo nome.
“A quanto pare è un piccolo genio. Ha 18 anni ed è già laureato, ha sorpreso tutti; ora lavora presso il centro Ricerca e Sviluppo del dottor Ansem…”
Merda, pensò Terra. Tutto voleva tranne che sentir parlare dei suoi fratelli maggiori, e quello scienziato pazzo di Ansem lo inquietava in maniera particolare; ma se lui era inquietante, Xemnas sapeva essere decisamente terrificante, nel suo essere continuamente impassibile. Ma naturalmente era ovvio che un ragazzino tanto eccezionale avesse attirato le attenzioni dei suoi fratelli e di suo nonno…
Si affrettò a prendere il succo e a lasciare i soldi ad Axel, troncandone a metà il discorso.
“Va beh, non importa. Grazie del succo”, fece, prendendo la porta. Fu trattenuto solo dal richiamo di Axel, fermandosi con la mano già sulla maniglia.
“Ehi, aspetta un attimo!” Il barista gli fece cenno di avvicinarsi, per poi tornare con i gomiti sul bancone una volta che Terra ebbe obbedito. “Senti, potrà suonarti strano, ma ho bisogno di un favore da parte tua.”
Terra lo guardò stranito per un attimo, poi si sedette su uno sgabello. “Senti, se si tratta di provare un tuo nuovo intruglio al peperoncino…”, esordì.
Axel scosse la mano in cenno di diniego. “No, non c’entra questo. Tu ti vedi ancora con quel ragazzino, quello biondo… ?”
“Ven?” La conversazione stava prendendo una piega decisamente bizzarra. Che poteva volere Axel da Ventus? “Certo, ma perché?”
Il barista si limitò a esibire un sorriso imbarazzato. “Beh, finora me la sono cavata bene da solo, ma con l’arrivo dell’estate le Fiamme Eterne saranno piene praticamente ogni sera… Mi servirebbe un aiuto. Magari lui o i suoi amici cercano un lavoretto per l’estate? Nulla di pesante, si tratta solo di servire ai tavoli e al bancone e aiutarmi a rassettare alla chusura…”
Oh, quindi si tratta di questo, pensò Terra. In effetti, gli pareva di aver sentito Ven e i suoi amici, quelle poche volte che li avevano incontrati per la città, discutere del trovare un lavoro per pagarsi le vacanze estive senza pesare sui genitori. Il gemello di Ven, Roxas, era sembrato particolarmente a favore di quella prospettiva.
“Ne parlerò a Ven, se può servirti, ma non aspettarti un sì definitivo… Potrebbe servire un po’ per ottenere una risposta da tutti i ragazzi. Va bene comunque?”
“Certamente!” replicò Axel con un sorriso grato. “Glielo chiederei io, ma credo sarebbe strano… Grazie, comunque. Quindi”, fece, sospingendo indietro il denaro che Terra gli aveva lasciato con due dita, “questo lo offre la casa. Come ringraziamento.”
Terra lo osservò un attimo, colpito dalla generosità dell’uomo. Non gli sembrava di aver promesso granché, ma scrollò le spalle e si riprese i soldi. Ogni centesimo risparmiato poteva servire a lasciare l’appartamento in affitto e a trasferirsi in una casa vera con Aqua.
“Allora ci vediamo… ?” fece, tornando verso l’uscio.
“Ci vediamo, Terra.” L’ultima immagine che il ragazzo ebbe del barista fu quella di un largo sorriso, quasi da faina, stampato sul suo viso, prima che la porta si richiudesse con il consueto scampanio.

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Il ritorno di Vanitas fu annunciato dallo sbattere molto poco aggraziato della porta, seguita dal suo nome chiamato ad alta voce in maniera interrogativa.
“Sono in cucina, Van”, rispose il biondo ragazzino che era impegnato ai fornelli. Un semplice grembiule aveva già sofferto l’assalto di alcune macchie di sugo, ma Ventus era riuscito ad evitare danni maggiori. Il profumo dell’intingolo gli faceva venire l’acquolina in bocca, e sperava che anche per Vanitas fosse lo stesso.
L’appartamento che condividevano non era grandissimo; la cucina era sempre stata di dimensioni modeste, ma da quando Ven aveva preso a frequentare Vanitas non se n’era mai lamentato: era abituato agli spazi ristretti, in orfanotrofio lui e Roxas erano spesso stati costretti a condividere molti dei propri con altri ragazzi. Perciò l’attuale situazione non gli dispiaceva particolarmente, anzi: gli dava una sensazione di intimità che aveva scoperto essergli mancata.
Il suo ragazzo entrò in cucina lasciando appeso il giubbotto di pelle all’attaccapanni sulla parete, annusando l’aria. “Che buon profumo”, commentò, sporgendosi da sopra la sua spalla per vedere meglio di cosa Ven si stesse occupando. “Che combini?”, domandò poi, andando a cingergli la vita con un braccio.
“Sugo di carne. Possiamo congelarlo se avanza, ma pensavo sarebbe stata un’idea carina per cambiare rispetto ai soliti preparati da supermercato”, rispose Ventus con una risatina. Nonostante Vanitas avesse diciannove anni, due in più di lui, e lavorasse da più di un anno come lavapiatti in un ristorante, a contatto quasi costante con un ottimo cuoco come il signor Marluxia, era completamente negato in cucina, e prima di conoscere Ven era praticamente impossibile avesse qualcosa di fresco in tavola. A Ven invece era sempre piaciuto cucinare, per cui nonostante fosse più piccolo di Vanitas era lui tra i due quello che preparava i piatti e le pietanze; spesso sentiva Van dire al telefono come non avesse mai mangiato tanto bene come da quando si era messo con lui, e la cosa lo riempiva d’orgoglio.
“Sì, sarebbe un peccato buttarlo. Congelarlo è un’ottima idea”, replicò il ragazzo dai capelli neri e dalle iridi dorate, dandogli un lieve bacio sul collo mentre serrava la presa sulla sua vita.
Ven ebbe un lieve brivido a quel gesto, ma lo lasciò fare. Non era una novità, Vanitas sfruttava qualunque occasione, opportuna e meno, per poterlo toccare e baciare; all’inizio ne era stato un po’ turbato, ma durante i sei mesi della loro relazione aveva finito con il farci il callo, e cose come dei baci sul collo non lo sconvolgevano più come all’inizio.
Era stato parecchio strano: quella con Vanitas era la prima relazione seria che a Ventus fosse mai capitata, ed era stata decisamente diversa dalle fantasie che Ven aveva avuto in merito: Vanitas era una persona generalmente scontrosa, arrogante ed invadente, che non tollerava che gli altri invadessero i suoi spazi senza il suo consenso ma che non si faceva problemi ad ignorare quelli altrui, quando gli girava. A Ventus sembrava incredibile che Van potesse essere il fratello maggiore di Sora, l’amico di Roxas: nonostante la superficiale somiglianza, i due erano agli antipodi. Sora teneva tanto in considerazione il benessere e i desideri degli altri, quanto Vanitas pensava solo ai propri, e spesso e volentieri li imponeva lasciando poco spazio alle obiezioni degli altri. Ogni tanto Sora aveva qualche guizzo di arroganza, ma era subito temperata dalla consapevolezza di non essere comunque particolarmente dotato in nulla, mentre la superbia sembrava essere il tratto caratterizzante di Vanitas.
Con il tempo, Ven aveva scoperto un’altra situazione in cui Vanitas non aveva intenzione di cedere il controllo: sulla parte fisica del loro rapporto. La loro prima volta assieme era stata dolorosa, per Ven, ma a Van sembrava non essere importato; tuttavia, dopo essersi rifiutato varie volte di concedersi se non avesse cambiato i suoi metodi, Ven era riuscito a convincere Vanitas a stare almeno un po’ più attento, e da quel lato la situazione era un po’ migliorata; tuttavia era stata accolta con diversi sbuffi e occhiatacce di Vanitas ogni volta che Ventus lo fermava perché stava tornando ad essere troppo irruento. Vanitas mal tollerava di avere vincoli, di qualunque tipo, ma Ven non si era posto alcun problema a metterne di molto ben definiti, quando serviva: aveva paura di non poter reggere i ritmi del compagno, se fosse stato diversamente.
Eppure ogni tanto arrivavano occasioni come quella, in cui senza nemmeno chiedergli come fosse andata la sua ultima mattinata di scuola per quell’anno, Van si fiondava addosso a lui ed iniziava ad insistere in quella maniera sottile e al contempo estremamente chiara su quello che volesse: Ventus. Che doveva sempre spendere molto del suo tempo ed una buona misura di pazienza per spiegargli come e perché non potesse semplicemente mollare tutto quello che stava facendo sul momento per stare con lui, solo per venire ignorato la maggior parte delle volte e portato in camera da letto, o in altri posti anche meno appartati, volente o meno.
Il problema principale era, almeno per Ventus, il fatto che Vanitas era il suo primo ragazzo; era la prima persona che l’aveva fatto sentire speciale, unico. Con un gemello con cui veniva spesso confuso, e con un animo decisamente sensibile per la sua età, Ven era spesso stato poco considerato sia negli anni delle medie che delle superiori: non sentiva, come Roxas, di essere in qualche maniera se stesso. Era come se tra lui e chiunque altro non ci fosse alcuna differenza, come se facesse parte della massa, confondendovisi, sparendovi dentro.
Vanitas era stato il primo a considerarlo in qualche modo importante: anche se solo per un interesse biecamente egoistico, lo aveva scelto come suo ragazzo; anche se lo aveva scelto unicamente perché il suo atteggiamento era meno burrascoso di quello di altri ed era più disponibile ad assecondare le sue richieste, Vanitas lo aveva fatto sentire unico. Speciale. Diverso dagli altri. Perché una persona particolare nel modo in cui lo era Vanitas (scontroso, attaccabrighe, arrogante, a volte persino violento) di certo non avrebbe mai scelto una persona qualunque con cui convivere. Per questi motivi Ven trovava particolarmente difficile opporsi a lui se non in casi limite.
Riscuotendosi da quelle riflessioni, Ventus ebbe modo di accorgersi che non solo Vanitas aveva continuato a baciargli il collo ad intervalli sempre più brevi, ma aveva anche preso ad accarezzargli l’addome, infilando una mano sotto il grembiule e la maglia per toccare la pelle nuda; cosa che lo fece arrossire violentemente.
“V-Vanitas… ? S-Se hai fame dovresti… aspettare ancora qualche minuto…” azzardò, tentando invano di divincolarsi dalla presa dell’altro, che nel frattempo si era fatta ferrea.
Lo sentì ridacchiare piano, mentre si avvicinava al suo orecchio. Chiuse gli occhi, come se potesse riuscire ad evitare di sentire le successive parole del suo ragazzo: non voleva che tutto il suo duro lavoro andasse sprecato.
“Peccato”, fece mellifluo Vanitas, la voce serica come quando voleva convincerlo di avere ragione su qualcosa. “Io ho fame proprio ora…”
“E-e dai, Van… non ho nemmeno messo su l’acqua per la pasta…”
“Non ho mai detto di aver fame di pasta”, replicò l’altro, mentre gli mordeva poco delicatamente il lobo dell’orecchio.
Ven ebbe un tremito, poi con mani incerte andò a spegnere il fornello che stava finendo di far sobbollire il sugo. Sarebbe stato un altro lungo pomeriggio, se lo sentiva.
Percepì il sorriso soddisfatto di Vanitas contro il proprio collo mentre spegneva il fornello.
“Oh, e Ven…”
“S-Sì… ?”
“Terrai il grembiule addosso, questa volta.”
  
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