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Autore: eugeal    02/04/2017    0 recensioni
Si dice che alla vigilia di Ognissanti le anime dei morti tornino a camminare sulla terra.
Guy di Gisborne non crede alle superstizioni popolari, ma per conquistare l'attenzione di Marian è disposto a sfidare anche gli spiriti inquieti.
Ma l'arrivo di una misteriosa carrozza senza cocchiere potrebbe scuotere le sue convinzioni...
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Allan A Dale, Guy di Gisborne, Marian, Nuovo personaggio, Robin Hood
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Marian rimase ferma sulla porta, con in mano la lanterna scavata nella rapa, a fissare i tre uomini che annaspavano sul pavimento, ammassati in un mucchio scomposto.
Quando aveva spalancato la porta, Guy, Allan e una guardia che assomigliava sospettamente a Robin avevano gridato di terrore, avevano cercato di alzarsi di scatto dalla panca su cui erano seduti, vi avevano inciampato sopra, ribaltandola, ed erano franati rovinosamente a terra.
- Sir Guy?
Marian entrò nella stanza, perfettamente consapevole dell’occhiataccia di Robin per aver pronunciato il nome di Gisborne e non il suo. Gli rispose a sua volta con uno sguardo altrettanto esasperato: di certo non poteva rivelare a Guy di essere ancora in contatto con i fuorilegge.
Allan fu il primo a riprendersi dallo spavento. Si districò dagli altri due e si rialzò in piedi.
- Non dovresti fare certi scherzi! Volevi farci morire di paura?!
- Ho solo aperto la porta!
- Con in mano quella cosa orribile? - Allan indicò la lanterna.
- Non è una cosa orribile! - Disse la ragazza, indignata, e si fermò un attimo prima di dire che era stato Guy a inciderla per lei, rendendosi conto che Robin non l’avrebbe presa bene. - Serve a tenere lontani gli spiriti.
Robin fece una risatina divertita.
- Non credevo che la figlia dell’ex sceriffo, sempre così fiera, potesse essere spaventata da certe cose.
Guy si girò verso di lui con una specie di ringhio.
- Hood, porta rispetto a Lady Marian! - Guy si allontanò da Robin e si rialzò in piedi, appoggiandosi al tavolo, poi guardò la ragazza, preoccupato. - Non dovreste andare in giro per il castello da sola, dove sono le guardie?
Marian lanciò uno sguardo irritato anche a Gisborne, non le piaceva essere trattata come una fanciulla indifesa.
- Sarò anche una donna, ma intanto siete voi quelli che hanno gridato di terrore quando sono entrata. - Disse, tralasciando di proposito di rispondere alla parte della domanda che si riferiva alle guardie.
- Io non ho gridato di terrore! - Protestò Robin.
- Ci avete solo colti di sorpresa. - Disse Guy, irritato. - Ed è colpa di Allan.
- Mia?!
- Non avresti dovuto raccontare tutte quelle storie!
Marian guardò il giovane.
- Quali storie?
Robin rispose per lui.
- Racconti raccapriccianti su carrozze spettrali e creature assassine che bevono il sangue della gente.
Marian rabbrividì, pensando al modo disgustoso in cui Lady Millacra aveva succhiato la ferita di Guy. Nel sogno che l’aveva svegliata e spinta a uscire dalla sua camera, quella stessa ferita continuava a sanguinare, condannando Gisborne a una morte certa.
Preoccupata, lo fissò, cercando di capire se sul suo volto fossero apparse le ombre livide che preludevano alla morte. Guy era pallido e aveva cerchi scuri sotto gli occhi, come se fosse malato o se non avesse dormito per giorni, ma non aveva il colorito spettrale che aveva avuto nel sogno.
Anche Robin si era alzato da terra a fatica e Marian lanciò uno sguardo anche a lui, notando che il fuorilegge non era in condizioni migliori rispetto a Guy. Solo Allan, pur pallido e nervoso, sembrava essere perfettamente in salute.
- Cosa vi è successo? Avete entrambi un aspetto orribile.
- Marian ha ragione, Giz. Sembra che la Morte vi abbia sfiorato!
Guy sbatté il pugno sul tavolo, guardando Allan.
- Piantala con queste idiozie o sarò io a sfiorare te. E allora la Morte ti sembrerà una scelta migliore.
Marian rimase a guardare il piano del tavolo, inorridita e Guy la guardò.
- Mi dispiace, non avrei dovuto gridare davanti a voi. Vi ho spaventata?
- Sir Guy, la vostra mano!
Gisborne abbassò lo sguardo e vide che il taglio aveva ripreso a sanguinare. Quando aveva colpito il tavolo, vi aveva lasciato l’impronta insanguinata della propria mano.
- Oh. Non… non è niente. Devo solo rifare la fasciatura…
- Dicono che le ferite dei cadaveri ricomincino a sanguinare quando il loro assassino è vicino. - Disse Allan, quasi tra sé e Guy gli allungò uno scapaccione con la mano sana.
- Ti sembro un cadavere per caso?! E poi mi sono tagliato da solo, cosa c’entrano le tue idiozie, adesso?!
- Parlavo del collo di Robin. Guardate, anche lui sta sanguinando di nuovo.
- Ehi! Anche io sono vivo!
- Ma tu sei stato aggredito da un assassino! Forse funziona anche sui vivi!
Robin e Guy si girarono verso di lui, fulminandolo con lo sguardo.
- Allan, piantala! - Dissero contemporaneamente, poi si scambiarono un’identica occhiataccia feroce.
- Forse sarebbe meglio curare quelle ferite. - Suggerì Marian, temendo che la situazione potesse degenerare. Non aveva idea del motivo per cui Robin e Guy si trovassero nello stesso luogo senza lottare tra loro, ma voleva evitare che quella specie di tregua si spezzasse. - Allan, per favore vai a prendere il necessario.
Il giovane impallidì.
- Io?
- Per caso ci sono altri Allan in questa stanza? - Disse Guy, brusco.
- Ma l’assassino potrebbe essere in agguato proprio qui fuori!
- Vai! - Gridarono gli altri tre all’unisono e Allan scattò in piedi, incerto se avere più paura di loro o di assassini e fantasmi.
- Ehi, almeno posso prendere quella? - Chiese, indicando la lanterna di Marian. - Non che io creda a certe cose, ovviamente, ma per avere un po’ di luce.
- Prendi una torcia! - Ringhiò Guy, preoccupato all’idea che Allan potesse impossessarsi della lanterna che lui aveva inciso per Marian.
Il giovane decise che restare nella stanza era molto più pericoloso che non avventurarsi all’esterno e si affrettò a obbedire.
Uscito Allan, Marian spostò lo sguardo da Robin a Guy, preoccupata.
- Forse dovreste sedervi. Non mi sembrate affatto in salute.
I due uomini si lanciarono uno sguardo ostile. Entrambi sapevano che Marian aveva ragione e che avrebbero fatto meglio a riposare prima di cadere a terra, ma nessuno dei due voleva essere il primo a sedersi, mostrandosi più debole dell'altro.
Marian li guardò per qualche attimo, incredula, poi alzò gli occhi al cielo.
- Oh, per favore! Seduti! Tutti e due!
Entrambi sussultarono a quel comando brusco, ma nessuno dei due si decise a muoversi. Robin la fissò, infastidito.
- Lady Marian, non sono un cane e non dovreste darmi ordini come se lo fossi.
Nemmeno Guy aveva gradito il tono brusco di Marian, ma preferì sfogare la propria irritazione su Robin.
- Portale rispetto, fuorilegge!
Marian sbuffò.
- Dei cani sarebbero più ragionevoli! Fate come volete, ma poi non aspettatevi che vi raccolga da terra quando perderete i sensi.
Robin e Guy decisero di cedere, ma continuarono a studiarsi a vicenda mentre si avvicinavano alla panca per sedersi esattamente nello stesso momento.
Marian sospirò, scuotendo leggermente la testa, poi sedette anche lei dalla parte opposta del tavolo, badando a mettersi alla stessa distanza da ognuno dei due per evitare altre discussioni.
Una volta che tutti e tre furono seduti, nella stanza calò un silenzio imbarazzato.
Marian era perfettamente consapevole che sarebbe bastato un nonnulla per riaccendere la rivalità tra i due uomini e non voleva essere lei a scatenare una nuova discussione, mentre Robin e Guy sembravano troppo deboli e malconci per aver voglia di parlare.
Il fuorilegge era bianco in volto come un morto, mentre Guy sembrava esausto, come se avesse passato un'intera settimana senza dormire. Marian li osservava con la coda dell'occhio, preoccupata per entrambi.
Dopo un tempo che sembrò eterno a tutti, il silenzio della notte fu spezzato dal suono di passi che correvano lungo il corridoio. Un attimo dopo la porta si aprì di colpo e Allan si precipitò nella stanza, terrorizzato.
- Il Bargest! Il Bargest! Mi insegue!
Robin scosse la testa.
- È solo una superstizione, il Bargest non esiste! - Disse, ma il suo tono non era del tutto convinto.
- Ma io l'ho visto! È la fine, vero? Ormai sono condannato!
Allan si prese la testa tra le mani, disperato.
Marian cercò qualcosa da dire per rassicurarlo, ma lei stessa non riuscì a reprimere un brivido di terrore.
Solo Guy sembrava perfettamente tranquillo, anzi la sua espressione tradiva un certo divertimento nel vedere Robin Hood così teso.
Dal corridoio arrivò un suono debole, una specie di ticchettio smorzato che si avvicinava.
Allan emise un gemito e corse a nascondersi alle spalle di Robin e Guy.
- Lo sentite?! È il suono dei suoi artigli!
Marian impallidì: aveva pensato che Allan si fosse lasciato suggestionare dall’atmosfera spettrale di quella notte, ma ora poteva sentire anche lei il suono di zampe che si avvicinavano.
Si alzò in piedi, inquieta.
Un momento dopo una grossa sagoma nera fece irruzione nella stanza e la ragazza si lasciò sfuggire un grido di terrore. Anche Allan ululò in preda al panico e lo stesso Robin saltò in piedi, ancora più pallido di prima.
Marian si coprì il volto con le mani nel vedere che il Bargest si avventava su Guy. Non osava guardare la fine del cavaliere nero e pensò che allora il suo sogno era stato davvero premonitore.
Poi sentì la voce di Guy e spalancò gli occhi, allibita.
Gisborne stava ridendo.
Anche Allan lo fissò, incredulo: la bestia infernale che lo aveva inseguito per trascinarlo all’inferno aveva appoggiato le zampe sul petto di Guy e, invece di gridare di terrore, il cavaliere nero sembrava contento.
- Ma è un cane! - Sbottò Robin, dopo qualche istante e Guy sogghignò appoggiando una mano sulla testa dell’animale.
- Certo che è un cane, non avrete creduto davvero alla storia del segugio infernale?
Allan si azzardò ad avvicinarsi per guardarlo meglio e il cucciolone scodinzolò e gli leccò una mano.
- Ehi, ma non è feroce!
- Da quando avete un cane, Sir Guy? - Chiese Marian, stupita.
Guy guardò il cane e fece un piccolo sospiro.
- Da oggi, suppongo. - Disse, rispondendo alla domanda della ragazza, poi prese un po’ della carne avanzata che era rimasta sul tavolo e la porse al cane.
- Come lo hai chiamato, Giz?
- Non gli ho dato un nome.
- Ma deve averne uno!
Gisborne ci rifletté per un attimo e fece un altro sogghigno.
- Bargest.
   
 
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