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Autore: reginamills    10/04/2017    1 recensioni
Robin Locksley è un ricco imprenditore. Ricchissimo, a dirla tutta: ha tutto ciò che si possa desiderare, tutto ciò che i soldi possano comprare. Tutto tranne... una vita che gli piaccia. Il lavoro che ha sempre detestato ma che è sempre stato costretto a fare gli ha cambiato la vita rovinandogliela e per lui sembra non esserci speranza di cambiamento. Questo finché una piccola mora riccioluta non si presenta alla sua porta...
Genere: Angst, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Regina Mills, Robin Hood
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Salve! Chi non muore si rivede eh?
Lo so, lo so. Ho una storia da completare. A dir la verità, è finita. O almeno, lo è nel mio computer e nella mia testa. So di avervi lasciato in sospeso e prometto di continuarla al più presto possibile. Purtroppo credo, però, di aver trattato un tema delicato e sinceramente pesante per il nostro fandom che è un continuo MAINAGIOIA. Ed è per questo motivo che ho deciso di lasciarla in stand-by ancora per un altro po' e di proporvene una nuova. Molto più leggera, molto più simpatica -o almeno spero!
Che dire, spero vi piaccia!
Buona lettura :)

 

Robin Locksley girò la chiave ed aprì la porta del suo appartamento londinese.
Era esausto dopo una giornata di lavoro, quel maledetto lavoro che aveva odiato dal primo giorno, anzi, forse anche prima di iniziarlo. Quel lavoro per il quale era nato, o almeno così aveva sempre sostenuto suo padre. Quel fottuto lavoro. 

Ad accoglierlo, oltre al completo silenzio, il naso umido del suo Jack Russell.
“Spike!” esclamò sorridendo. Il primo vero sorriso di quella giornata. “Ciao, amico. Ti sei divertito almeno tu, oggi?” si chinò per strapazzarlo un po’, facendogli dondolare dolcemente le orecchie. Di tutta risposta, il cucciolo di ormai tre anni si scosse in quello che poteva somigliare ad un piacevole brivido. “Ma certo che sì, non hai fatto niente tutto il giorno se non mangiare e dormire. Bella la vita, eh?” rise fra sé. Solo dopo si rese conto di desiderare davvero ciò che per il suo cane era banale quotidianità: un giorno di riposo, solo quello desiderava. Sognava di spegnere il telefono la sera prima di addormentarsi, svegliarsi solo per pranzare e restare tutto il giorno a letto a guardare il football. Solo per un giorno. Niente telefonate, niente riunioni, niente giacca, cravatta e camicia. Niente segretaria. Niente manager. Niente azienda.
Sfortunatamente per lui, Robin Locksley era l’azienda in questione. Prendersi un giorno significava perdere centinaia di migliaia di dollari, creare problemi all’intera direzione, rimandare tonnellate di lavoro che solo ventiquattro ore dopo si sarebbe solo triplicato.
Impossibile. Impossibile davvero.
Si rialzò, scuotendo la testa, pensando se effettivamente si potesse invidiare un cane per la vita che conduceva. Poi sorrise amaramente: “Cosa vuoi per cena, Spike? Propongo un intero piatto di spaghetti.” Quantomeno, poteva sgarrare sull’alimentazione. Infondo non era un modello, e alle associazioni benefiche o ai grandi eventi mondani non dispiacerà qualche chilo in più sulle solite passerelle.
Lanciò la giacca e la valigetta sul divano, si allentò la cravatta -anche quella sarebbe presto finita accanto alla giacca- e si accinse a lavarsi le mani per cucinare. Aveva voglia di un bicchiere di Bourbon, ma non beveva mai prima di cena.
Dio, ne aveva davvero bisogno dopo quella giornata.
Ma mentre guardava bollire l’acqua nel misero pentolino di quella lussuosa cucina, si chiese se effettivamente fosse quello ciò di cui aveva bisogno: la sua casa era enorme, aveva ogni tipo di comfort, ogni ultima tecnologia. Eppure era vuota, vuota come lui, come il suo cuore e la sua anima, ormai consumati dal troppo lavoro. Vuota, tanto vuota che la sua voce quasi rimbombava.
Forse, ciò di cui aveva realmente bisogno era di qualcuno con cui riempirla -quella ed il vuoto che si portava dentro-, qualcuno che l’aspettasse con un bacio ed un bicchiere di vino. Qualcuno che lo amasse abbastanza da preparargli un pasto caldo per quando tornasse esausto dal lavoro. Qualcuno che accettasse il suo lavoro. 
“Impossibile.” si ritrovò a dire ad alta voce. In tutta risposta, il suo cane, seduto accanto ai suoi piedi, chinò la testa di lato. “Non dicevo a te, Spike.” sorrise “Non fraintendermi, adoro parlare con te, vecchio mio. Ma mi piacerebbe che qualcuno ogni tanto… mi rispondesse.” guardava il suo cane come se si aspettasse un cenno, qualcosa che gli indicasse che aveva capito. 
Okay, forse stava diventando pazzo.
“Che ne dici, Spike, guardiamo un po’ di football stasera?” prese l’enorme telecomando che controllava, oltre alla tv, le luci della casa e l’aria condizionata. Aveva sempre detestato quel telecomando. Accese la tv, fece un po’ di zapping ma si fermò sul TG della sera: il promemoria del suo cellulare gli ricordava che il giorno dopo aveva un’importante riunione con il personale alle otto e un quarto.
Davvero meraviglioso. Avrebbe avuto bisogno di più di otto ore di sonno per sopportare una giornata come quella, ed erano già quasi le nove. Addio football.
“Mi dispiace, Spike.” fece spallucce e lanciò il cellulare sul divano, accanto alla giacca e alla valigetta, poi si sfilò la cravatta e sbottonò i primi tre bottoni della sua camicia bianca. “Sono davvero stufo di questa vita.” sospirò esasperato, lasciandosi cadere seduto sulla morbida pelle nera della costosissima poltrona.
Chiuse gli occhi per un istante e desiderò di essere altrove. Magari su una spiaggia, con in mano un Martini, a prendere il sole. Rilassato, lontano da tutti. Poi desiderò che la sua vita cambiasse, radicalmente. Avrebbe vissuto volentieri con un semplice stipendio da impiegato, avrebbe rinunciato ad ogni lusso, alle serate di gala, ai vestiti costosi e sfarzosi, alle donne che gli si buttavano ai piedi.
Avrebbe rinunciato a tutto pur di avere una vita diversa, una di quelle che lo facesse sentire appagato. Una di quelle… con un po’ d’amore.
Il suono improvviso del campanello lo costrinse a riaprire gli occhi e a tornare coi piedi per terra.
“Maledizione, chi diavolo è a quest’ora?” gridò in preda all’esasperazione. Andò ad aprire, con molta calma, quasi sperando che chiunque fosse desistesse e se ne andasse prima che lui potesse arrivare alla porta.
Quasi come se il suo desiderio si fosse avverato, di fronte a sé non trovò nessuno. Proprio mentre stava per richiudere, però, una voce minuta e dolce lo interruppe: “Ehi!” 
Abbassò lo sguardo ed eccolo lì, il suo ospite. O meglio… la sua ospite.
“Ciao.” era una bambina. Una bellissima bambina dai morbidi boccoli scuri e un paio di occhi color ghiaccio che somigliavano maledettamente a… “Mi chiamo Reagan.” la piccola gli offrì un sorriso dolcissimo e gli tese la mano. Robin inarcò un sopracciglio, si appoggiò allo stipite della porta e la strinse.
“Vendi biscotti per gli scout? Ne prendo quanti ne vuoi.” disse con tono gentile.
Reagan rise dolcemente: “No… Sono qui per cercare mio padre.” Solo allora Robin notò il piccolo trolley rosa shocking, la cui maniglia la bimba stringeva nervosamente tra le mani. 
Si chinò per raggiungere la sua altezza: “Oh… mi dispiace tanto. Ti sei persa?” le sorrise “Ti aiuto a cercarlo. Vuoi?”
“No, vede signore…” la piccola gli sorrise per un istante, poi fissò il pavimento. “Lui non sa che lo sto cercando. A dir la verità non sa nemmeno che esisto…” 
Robin ascoltava ogni parola, sempre più perplesso.
“Non capisco, tesoro, dovrai spiegarti meglio.” la incoraggiò.
“Lui…” lo guardò di nuovo. Occhi dentro occhi. Occhi maledettamente… simili. “Lui è proprio qui, davanti a me.” sorrise. “Ciao papà.”


come al solito, il primo capitolo è breve ed introduttivo.
spero vi sia piaciuto, spero vi abbia fatto sorridere e distrarre dallo schifo che gli autori ci hanno proposto -almeno per la nostra adorata OTP- fino ad ora.
Fatemi sapere se vale la pena continuarla e soprattutto cosa ne pensate! :)

 
   
 
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