Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: nanamiart    06/05/2017    4 recensioni
[Modern!AU][Entertainer!ErenxLevi][JeanxMarco accennata]
Quella volta in cui Levi fu costretto ad andarsene in vacanza e, invece di vecchietti seminudi, si ritrovò in balìa di un bell’animatore dagli occhi verdi.
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Erwin Smith, Jean Kirshtein, Levi Ackerman
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'L'animatore'
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L’animatore
 

If our love is tragedy,
why are you my remedy?
 
 
Probabilmente Erwin Smith era l’unica persona a conoscere nel dettaglio tutte le debolezze di Levi Ackerman.

Erano sempre stati grandi amici, anche prima che il corvino cominciasse a lavorare nell’azienda di cui l’omaccione con gli occhi azzurri era a capo, e in tutti quegli anni Levi non si era mai concesso una pausa o una vacanza.

Era sempre stato un ottimo lavoratore, indubbiamente, ma forse con il passare del tempo – e l’avanzare dell’età, pensò Erwin ridacchiando – il suo corpo stava cominciando a cedere e a richiedere una settimana di riposo, lontano dallo stress dell’ufficio.

Aveva cominciato a pensarlo negli ultimi mesi, ma quando quella mattina Erwin, entrando nell’ufficio di Levi lo ritrovò addormentato su un’altissima pila di documenti, ebbe la prova definitiva che era davvero giunto il momento di fare qualcosa.

Che Levi lo volesse o meno.
***

“Non ho affatto bisogno di una vacanza” si lamentò infastidito Levi, con le braccia incrociate. Lui? Stanco? Assurdo. “Ora, se permetti, me ne torno nel mio ufficio,” sentenziò, staccandosi dallo stipite della porta al solo scopo di alzare i tacchi e andarsene.

Erwin aggrottò le sopracciglia e sospirò. “Non ho scomodato Petra dicendole di venire a chiamarti per nulla,” replicò il suo capo. “Non ho bisogno di averti in ufficio se vieni qui per dormire” continuò, facendo particolare attenzione a ricalcare l’ultima parola. Fu quando Levi sgranò appena gli occhi che Erwin capì di aver fatto centro.

“Io …” borbottò l’altro, del tutto incapace di accettare il fatto di essere stato scoperto. Cercò di inventare in pochi secondi una lunga lista di cose che avrebbero convinto Erwin a farlo rimanere, ma era consapevole che anche mettere alla prova tutto il suo ingegno sarebbe servito a ben poco.

Amareggiato, sospirò. “E va bene. Ma sappi che questa non la passi liscia.”

“Divertiti, e mandami una cartolina!” gli rispose il capo quando Levi gli diede le spalle.

“Fottiti,” concluse il moro.

Prima di chiudersi la porta alle spalle, giurò di aver visto un sorriso malizioso apparire sul volto di Erwin.

Dannato sopracciglione.
***
 
Erwin deve davvero imparare a farsi i fatti suoi, borbottò mentalmente Levi rigirandosi tra le mani il biglietto aereo che il suo capo gli aveva consegnato proprio in mattinata. Non l’aveva mai nemmeno sentita nominare, questa città marittima in cui l’aveva spedito. 

Levi Ackerman in un villaggio turistico, ma scherziamo? Incastrato in un luogo pieno di marmocchi parzialmente nudi e musica a tutto volume fino a tardi?

Oh no, non avrebbe resistito nemmeno un giorno.

Lo sapeva già.
***
 
La città pareva infuocata tanto faceva caldo e Levi Ackerman non era assolutamente abituato a quel tipo di temperature. Scese dal taxi e alzò lo sguardo per ammirare l’insegna del villaggio turistico. “Summer no Tsubasa”, diceva la scritta rosa a caratteri ondeggianti.

Fece un grande respiro ed aprì la porta, chiedendosi per quanto tempo sarebbe resistito lì dentro.

Si diede una rapida occhiata attorno e ringraziò mentalmente tutte le divinità celesti quando si rese conto che nella sala centrale era accesa l’aria condizionata.

Si diresse verso il bancone bianco di fronte a sé, dove una commessa con gli occhiali e i capelli legati in una coda disordinata gli stava rivolgendo un enorme sorriso.

“Buongiorno, signore!” lo salutò caldamente lei, schioccando le labbra quando cominciò a masticare una
gomma. “Posso fare qualcosa per lei?”

Levi frugò nelle proprie tasche e si mise a cercare i suoi documenti. “Ho una prenotazione al nome Levi Ackerman,” dichiarò, appoggiandoli sul bancone una volta trovati. Lei compilò un foglio alla sua destra e lo inserì in una risma di cui Levi ignorava il contenuto. Annuì e poi si rivolse al dipendente accanto a lei, impegnato al computer.

“Scusa, Mike,” disse la donna. “Puoi chiamarmi Eren?”

L’uomo con i baffi annuì, alzò la cornetta alla propria destra, digitò un numero e fu pochi attimi dopo che Levi smise di prestargli attenzione. Appoggiò la valigia a terra e infilò le mani nelle tasche, in attesa.

Era trascorso forse appena più di un minuto quando il giovane in questione, Eren, si presentò nella sala centrale correndo. Era alto, abbronzato, muscoloso ma non in modo eccessivo. I suoi capelli castani erano legati con un elastico e indossava un’aderente canottiera rossa dove al centro era stato cucito il logo del villaggio turistico. Lo sguardo di Levi scivolò immediatamente sulle lunghissime gambe bagnate del ragazzo, che correvano con leggerezza verso di loro.

“Hanji!” esclamò lui, di fronte al bancone. Appoggiò le mani sulle ginocchia e cercò di regolare il suo respiro affaticato. “Mi hai fatto chiamare?”

“Eren, ti dispiacerebbe prendere la valigia del signor Ackerman e accompagnarlo nella sua stanza?” domandò la donna, facendo un cenno del capo verso Levi. “Queste sono le chiavi” disse, lanciandole al ragazzo che le afferrò prontamente al volo.

“Nessun problema. Andiamo!” Eren si voltò sorridente verso Levi e con la mano libera prese la valigia. Gli fece cenno di seguirlo e gli diede le spalle.

Quando cominciarono a salire le scale, Levi cominciò seriamente a temere per l’incolumità della sua valigia di pelle.

“Ragazzino,” lo chiamò. “Fai attenzione, quella valigia costa più di quanto guadagneresti tu lavorando un anno in questo posto”

Sentì Eren sbuffare per soffocare una risata. “Non si preoccupi, signor Ackerberg. La sua valigia arriverà sana e salva in camera” commentò, svoltando verso destra e portando Levi in un lungo corridoio.

Il corvino storse il naso quando il dipendente storpiò il suo nome. “È Ackerman.”

“E io che ho detto?”

Eren appoggiò la valigia davanti alla camera 246 e infilando le chiavi nella serratura fece aprire la porta con uno scatto. La risposta che Levi avrebbe voluto rifilargli gli morì sulle labbra quando entrò nella stanza e la luce che entrava dalla finestra lo lasciò del tutto meravigliato.

“Non male…” commentò, sussurrando. La vista sulla spiaggia l’aveva estasiato ed Eren si ritrovò a sorridere per la sua reazione.

“Eccoci qui, signor Ackerzuck. Se ha bisogno di qualcosa, non esiti a suonare il campanello sul comodino. Le auguro una buona permanenza” si congedò Eren, dirigendosi verso la porta d’ingresso.

“È Ackerman…” ribadì infastidito Levi. Si massaggiò le tempie, sospirando. “Senti, lascia perdere. Chiamami Levi, è molto più semplice da ricordare”

Fu solo quando Eren si voltò e la luce del sole si rifletté nei suoi occhi che Levi ci fece attenzione per la prima volta. Erano di un verde intenso, bellissimo, e gli ci vollero alcuni istanti per ricomporsi e smettere di fissare le sfumature dorate al loro interno.

“Oh, d’accordo. Allora ci si vede in giro, Levi” concluse il ragazzo con un’alzata di spalle, ammiccando nella sua direzione prima di chiudersi la porta alle spalle.

Se la testa cominciò improvvisamente a girargli, Levi diede la colpa al caldo di quella giornata.

***
Levi decise che lamentarsi di essere rinchiuso in quel posto non sarebbe servito assolutamente a nulla così, quel pomeriggio, appena uscito dalla doccia, indossò i propri sandali, si infilò il costume da bagno e una canottiera pulita, si assicurò di aver chiuso a chiave la propria stanza quando uscì e optò per fare un giro nei dintorni.

Le attività del pomeriggio erano già cominciate; Levi l’aveva intuito quando aveva sentito non solo le grida e le risate dei bambini sconvolgere le pareti della sua stanza, ma soprattutto la musica commerciale a tutto volume e la voce di qualche cantante spagnolo di cui lui non avrebbe mai potuto conoscere il nome.

Era appena arrivato in spiaggia quando sul molo intravide un gruppo di animatori intenti a mostrare imbarazzanti passi di danza ai bambini che si divertivano a imitarli e prenderli in giro. In particolare, il più acclamato sembrava essere proprio il dipendente di poco prima. Come si chiamava? Erin? Erold? No, no… ah già, Eren!

Rideva, scherzava, faceva muovere i fianchi a destra e a sinistra, a ritmo di musica. Per la seconda volta, Levi si scoprì interdetto alla vista del ragazzo. Ma non ebbe nemmeno il tempo di cancellare quei pensieri che subito l’animatore lo riconobbe e, agitando il braccio verso l’alto, gli gridò qualcosa.

Dannato moccioso. Non si usa più scuotere la mano per salutare qualcuno da lontano?

Ma ben presto Levi scoprì che Eren non lo stava salutando, bensì stava cercando di avvisarlo di una pallonata che, inevitabilmente, aveva finito per scontrarsi contro la sua testa con un rumore sordo.

“Scusi, signore!” esclamò un bambino dai capelli rossi, correndogli incontro. “Non l’ho fatto apposta! Mi dispiace tanto!” proseguì, con i lacrimoni.

Levi deglutì a vuoto. Recuperò il pallone ai propri piedi, si inginocchiò e lo porse al bambino. “La prossima volta fa’ più attenzione, moccioso” gli disse, scompigliandogli appena i capelli.

A quel gesto il bimbo si rilassò e gli rivolse un grande sorriso. Lo ringraziò e ritornò dai suoi amici. Solo quando Levi si voltò nuovamente verso il molo si accorse che Eren aveva osservato per tutto il tempo la scena, e che sul suo viso era comparso un sorriso diverso dai precedenti. Dai suoi occhi traspariva adorazione.

Di nuovo quel giramento di testa.
Oggi fa troppo caldo, mi conviene tornare in camera.

***

Il mattino dopo Levi si svegliò piuttosto presto; infatti, quando cominciò a gironzolare per la spiaggia, si accorse che i dipendenti del villaggio turistico erano appena arrivati e stavano cominciando ad organizzare le attività della giornata.

Un ghigno comparve sul suo viso quando riconobbe Eren, di spalle, intento a lavorare con fili e cavi elettrici. Inginocchiato a terra e con le cuffie nelle orecchie, il ragazzo sobbalzò quando Levi gli picchiettò sulla spalla con le sue dita fredde.

“Levi!” disse, sfilandosi le cuffie “Come mai sei già sveglio a quest’ora?”

Levi si limitò a fare spallucce. Quando però Eren riprese a lavorare, per Levi fu quasi istantaneo inginocchiarsi accanto a lui ed afferrargli il polso.

“Cos’hai fatto alla mano?”

“Di cosa stai parlando?”

“La tua cicatrice. È piuttosto insolita.” commentò, osservando la macchia bianca a forma di morso incisa sulla pelle abbronzata del ragazzo.

“Oh, quella,” Eren ridacchiò. “Me la sono fatta da bambino. È una storia piuttosto ridicola, stavo-“
“EREN!” gridò un secondo animatore ad una decina di metri da loro. Il ragazzo fece roteare gli occhi verso l’alto, annoiato.

“Arrivo, faccia-da-cavallo!” replicò Eren, per poi riguardare Levi. “Che palle, Jean… Ascolta… io stasera stacco alle 19. Se hai voglia di aspettarmi all’uscita, posso continuare il mio racconto fuori.”

“Mi stai per caso chiedendo di uscire con te?” Levi si beò del rossore sulle guance di Eren.

“Può darsi” ammise però, alzandosi. “Ci vediamo stasera, Levi?” Ma Eren sapeva già che l’altro avrebbe accettato, perché non gli diede il tempo di replicare che lo salutò, correndo verso il ragazzo alto dai capelli dorati che l’aveva chiamato poco prima.

Dannato moccioso.
***

Levi si sorprese quando alle 19:05 notò che Eren lo stava già aspettando a braccia incrociate, appoggiato ad un muro imbrattato. “Sei in ritardo” lo canzonò il ragazzo, sfoderando uno dei suoi sorrisi più dolci. Levi credette di morire in quell’istante, soprattutto quando fece caso alla camicia leggera e a maniche corte che fasciava i suoi addominali ed era scollata abbastanza da richiamare tutta la sua attenzione sul collo, sulle clavicole, sui pettorali.

Eren, però, sembrò non accorgersi del suo turbamento interiore.
 
 
 
“Allora, me la racconti la storia della cicatrice oppure no?” domandò scocciato Levi, seduto di fronte ad Eren, ad un tavolo del McDonald – “credevo fossi uno di quei tipi che mangia solo insalatine” “Moccioso, taci o mangio anche il tuo di panino”.

Il ragazzo rise prima di raccontargli di come sua madre Carla, un giorno, gli avesse fatto saltare la cena per aver litigato con un altro bambino. Allora lui, piangendo, le aveva detto che stava letteralmente morendo di fame e, come dimostrazione del suo appetito, si era dato un morso alla mano.

“Ma sei stupido?” commentò Levi, senza riuscire a trattenere un tono divertito.

“Molto probabilmente” Eren abbassò lo sguardo e si accarezzò i capelli, sciolti sulle spalle. Levi avrebbe tanto voluto passare le dita fra quei capelli ma, almeno per quella sera, si limitò a lanciare uno sguardo d’intesa al ragazzo quando lui gli diede il suo numero.
***
 
“Eren, non sei pagato per fissare il culo dei clienti.”

“Sta’ zitto, Jean”

“Però quell’Ackerman ha proprio un bel culo…”

“Marco!”

“MARCO!”

“Jean… perché hai gridato anche tu?”

“…taci.”
***

Levi non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma per tutto il giorno non aveva smesso un solo istante di pensare a Eren.

Aveva provato di tutto! Si era messo ad ascoltare della musica, aveva fatto dell’esercizio fisico, era andato a nuotare in spiaggia (era arrivata a tal punto la sua disperazione), si era portato avanti con il lavoro, aveva provato a conoscere delle persone.

Niente, niente di tutto questo impedì alla sua mente di figurarsi il viso dell’animatore abbronzato in ogni singolo momento della giornata.

Come diavolo si era permesso, quel moccioso dal sorriso ammaliante, di entrare così nei suoi pensieri?

Lo conosceva da quattro giorni ed era riuscito in qualche modo sia a sconvolgergli la vita che a rimettere a posto tutto ciò che, invece, non andava.

Levi non era mai stato un tipo facile agli innamoramenti. Nossignore, lui aveva certi standard e anche piuttosto elevati.

Non credeva all’anima gemella. Tuttavia, aveva sempre pensato che il suo “compagno ideale” (non le aveva nemmeno mai guardate le donne, lui) potesse essere una persona galante, con un lavoro di un certo calibro, una figura importante della società. Un po’ come lo era lui, insomma.

E invece ora si sentiva la parodia di se stesso, intrappolato in pensieri che nemmeno da adolescente aveva mai fatto. Doveva ammettere di essere stato davvero bene con Eren la sera prima; aveva riso di cuore dopo tanto tempo, il suo cuore aveva perso giusto uno o due battiti eppure era stato tutto maledettamente piacevole. 

E il fatto che per tutto il giorno del bell’animatore dagli occhi verdi non ci fosse stata alcuna traccia, l’aveva reso persino più irascibile del solito. Si era alzato di buon umore quella mattina, aveva fatto una doccia, aveva indossato le sue infradito ed era corso velocemente in spiaggia con la speranza velata di rivedere il prima possibile il moccioso dai capelli lunghi. Ovviamente, la sua ricerca non aveva dato i risultati sperati e si era ritrovato al bar cercando di colmare l’immenso fastidio che provava proprio sulla bocca dello stomaco.

Dannato moccioso, dove sei finito?

Controllò per l’ennesima volta il cellulare: decine di messaggi, di chiamate perse, alcune di clienti molto importanti… ma nessuno dell’unica persona veramente speciale per lui.

Dov’era? Perché non si era fatto sentire? Eppure era stato proprio lui a dargli il suo numero…

Un momento, che fosse un numero finto? No no, impossibile. L’aveva visto come lo guardava. Conosceva Eren da poco tempo, eppure una cosa di lui l’aveva già capita: i suoi occhi non erano in grado di mentire. Lasciavano trasparire qualsiasi emozione il ragazzo provasse e Levi l’aveva letto tra le sue iridi, che anche lui aveva provato la stessa cosa.

Voglio rivederti.
 
***

Erano le sei del pomeriggio quando Levi decise di uscire dall’edificio per distrarsi e, almeno in parte, fare un giro della città.

Grazie al suo lavoro, viaggiare in città sconosciute senza perdersi era diventata ormai un’abitudine e aveva sviluppato un ottimo senso dell’orientamento.

Senza troppa difficoltà infatti riuscì ad aggirare le stradine interne, raggiunse la piazza e infine trovò la strada principale.

Ciò che lo lasciò più colpito fu il fatto che, ovunque si voltasse, all’orizzonte riusciva comunque a scorgere il mare.

Infatti era proprio l’oceano che lui stava guardando incantato quando qualcuno andò a scontrarsi contro di lui.

“Mi scusi tanto! Eh? Levi?”

Gli occhi di Levi si spalancarono quando si accorse che la persona di fronte a lui era Eren. Si impose di non sorridere e cercò di mantenere un atteggiamento freddo e distaccato, ma ogni sua buona intenzione andò a farsi fottere quando, guardando alle spalle del ragazzo, fece caso anche al luogo da dov’era appena uscito.

“…l’ospedale?”

Un velo scuro rubò la luce dagli occhi di Eren.

“Eh, sì,” borbottò l’animatore con un sorriso triste, rivolgendo lo sguardo a terra. Per la prima volta, gli fu improvvisamente difficile riuscire a guardare Levi negli occhi. “Non ti devi preoccupare, d’accordo? Va tutto bene. Ci vediamo al SNT.”

Levi gli avrebbe fatto centinaia di altre domande se solo dopo quel saluto Eren non gli avesse schioccato un bacio all’angolo della bocca, lasciandolo totalmente interdetto. Quando il più grande si ridestò dal suo stato di confusione generale, il ragazzo era ormai troppo lontano. Si sfiorò con le dita il punto dove Eren l’aveva baciato, domandandosi dove fosse finita tutta quella razionalità che l’aveva sempre contraddistinto.

***
“Levi, sei ancora sveglio?”

Era da poco passata la mezzanotte quando il messaggio comparve sullo schermo del cellulare di Levi.

“Si”

Rispose dopo qualche secondo, incurvando le labbra in un sorriso quando accanto al nome “Eren” nella sua chat di Whatsapp apparve anche una foto del ragazzo.

“Possiamo vederci?”
***

Eren legò distrattamente i capelli prima di uscire dal locale dove aveva passato la serata. Salutò Jean, Armin e gli altri, pagò il proprio cocktail e, ringraziando il barista, uscì.

Non sapeva per quale motivo avesse chiesto a Levi di incontrarlo a quell’ora, né cosa gli avrebbe detto o come glielo avrebbe detto.

Tutto quello che sapeva era che si era comportato davvero una merda con lui e ora doveva rimediare: era sparito, non si era fatto sentire senza nemmeno dargli uno straccio di spiegazione.

Non c’era da stupirsi che Levi fosse stato così freddo con lui poche ore prima. Probabilmente doveva aver pensato che non fosse interessato, che il loro “appuntamento” fosse stato soltanto il capriccio di un ragazzino e, se fosse stato in lui, molto probabilmente avrebbe pensato la stessa cosa.

E ora che gli aveva chiesto di vedersi, cos’avrebbe fatto? Come gli avrebbe detto tutto quello che voleva dirgli?
 
 
 

Il suo cuore prese a martellare contro il petto quando vide la figura di Levi venirgli incontro. Era impeccabilmente elegante, come al solito. Lui, a confronto, doveva sembrare un totale disastro e forse lo era veramente.

Ma ogni pensiero, ogni parola che avrebbe voluto dirgli gli morì in gola quando Levi lo raggiunse, gli circondò il viso con le mani e, senza dire nulla, lo baciò.

Si fiondò sulle sue labbra come se ne valesse della sua vita: con le mani afferrò la sua schiena, la lingua prese a cercare disperatamente quella di Eren senza faticare troppo per trovarla.

Il ragazzo rispose al bacio senza alcun indugio, forse solo un pizzico di sorpresa. Non era mai stato bravo con le parole e se c’era un modo per dire all’altro tutto quello che provava senza malintesi, Levi l’aveva certamente trovato.
***

“Cosa ci facevi in quell’ospedale?” domandò Levi, accarezzando i capelli di Eren. Il più giovane aveva appoggiato la testa sulla sua spalla e nel momento preciso in cui aprì la bocca per parlare cercò le dita dell’altro per intrecciarle con le sue. Levi non si ritrasse.

“Mia madre,” rispose Eren con un soffio. Levi non smise di sfiorargli i capelli nemmeno per un istante. “È malata, da anni ormai. Oggi ha avuto un crollo e io ho dovuto assentarmi dal lavoro per… beh, per starle vicino.”

Un lieve rossore apparve sulle guance del ragazzo quando Levi strinse con più forza le dita alle sue.
“Mi dispiace di averti fatto preoccupare” proseguì Eren, che sussultò quando l’altro posò un bacio sulla sua testa.

“Non devi scusarti di nulla. Sei una persona davvero forte, Eren. Sono felice di essere venuto in questo posto, di averti incontrato. Senza di te, non avrei mai avuto la prova che al mondo esiste qualcuno che non si abbatte mai, nonostante le difficoltà.”

Levi si perse il momento esatto in cui Eren ricominciò a baciarlo, ma non si oppose. Si ritrovò in balìa delle labbra dell’altro, desiderando di non dimenticarne mai il sapore.

***
“Quando hai detto che parti?!”

La domanda di Eren arrivò quasi stridula alle orecchie di Levi. Aveva del tutto ignorato la capacità del ragazzo di rendere così acuta la sua voce. Gli rispose che sarebbe partito due giorni dopo e, nonostante inizialmente gli fu spontaneo sorridere alla reazione sconvolta del ragazzo, subito dopo pensò con amarezza al proprio ritorno alla vita di sempre.

Non voglio andarmene da qui.
***

“Dove mi stai portando?” domandò incerto Levi, tendendo le braccia di fronte a sé con la speranza di aggrapparsi a qualcosa che non fosse il vuoto. Eren gli aveva detto che per la sua ultima serata in città aveva preparato una sorpresa e che l’avrebbe portato in un posto speciale, ma a condizione di farsi bendare.

Levi fu costretto a focalizzarsi su tutti gli altri sensi in mancanza momentanea della vista. Sotto i piedi nudi riusciva a sentire la sabbia bagnata, e il profumo del mare era solo un’ulteriore prova del fatto che si trovassero in spiaggia.

Eren gli appoggiò le mani sui fianchi quando gli disse di togliersi la benda. Nel momento in cui Levi alzò le braccia farlo, il ragazzo gli posò un soffice bacio sulla nuca, proprio accanto alla rasatura, e un brivido gli attraversò il collo.

Non fece in tempo però a rispondere a quelle attenzioni perché ciò che si ritrovò davanti lo lasciò totalmente estasiato: una tenda era stata montata sulla spiaggia e un falò era stato acceso. Il sole stava tramontando.

“Passeresti la notte con me?” domandò Eren, cingendogli i fianchi con le braccia, facendo aderire la schiena di Levi al suo petto.

Il più grande non rispose, non sorrise, non lasciò trasparire nulla. Si limitò a voltarsi e, prendendo la mano di Eren, cominciò a baciarlo attirandolo verso di sé, intrufolando la mano libera sotto la maglietta del ragazzo.
Eren gli sorrise sulle labbra quando finalmente arrivarono davanti alla tenda e, quasi cadendovi all’interno, fecero l’amore per la prima volta.
 
***

Eren non si presentò più al lavoro, dopo la partenza di Levi.
 
L’aveva accompagnato all’aeroporto, l’aveva stretto tra le sue braccia ma solo quando l’aveva visto allontanarsi con la sua valigia aveva capito che non sarebbe più riuscito a tornare al SNT senza pensare a lui, senza farsi di nuovo del male.

Era stato un idiota a lasciarsi trascinare così… aveva vissuto la settimana più bella della propria vita in modo del tutto sconsiderato, non aveva pensato al fatto che Levi fosse un uomo molto più grande di lui, con un lavoro importante e che suddetto lavoro aveva sede a troppi chilometri da quella città.

Non l’avrebbe mai più visto, vero?

 
***
- Un mese dopo –


“Vai già a casa, Levi?” domandò Auruo, fermatosi alle macchinette vicino al suo ufficio per prendersi un caffé. Lì, aveva visto Levi dirigersi a passo svelto verso l’uscita con la sua valigetta e la giacca ancorata al braccio.

“Sì, per oggi ho finito. Buona serata, salutami Petra,” si congedò Levi, dando le spalle al collega.
Salì in macchina e, sfiorando appena il limite di velocità, se ne tornò a casa. Era stanco, aveva soltanto bisogno di mettersi a letto e dormire.

Di sicuro, non si sarebbe mai aspettato di vedere qualcuno inginocchiato a terra con la schiena contro la sua porta.

Indossava un paio di jeans strappati, una felpa grigia piuttosto grande e stropicciata e il suo volto era coperto da un cappuccio, per questo non riuscì immediatamente a riconoscerlo.

“Oi” lo chiamò, stizzito, ma quello non si mosse. Doveva essersi addormentato.

Accidenti, pensò, da quando i barboni si fermano davanti alle case altrui?

“Svegliati!” Questa volta il tono più alto della voce di Levi scosse immediatamente l’estraneo. “Tornatene a casa, non…”

Fu un solo istante. Un istante di puro oblio. Il mondo si bloccò, il tempo smise di scorrere. Tutto nel momento in cui gli occhi di Levi incontrarono quelli dell’altro e non faticarono a riconoscerli. Erano quegli occhi verdi che
sognava ogni notte.

“Eren…” sussurrò, facendo cadere la valigetta a terra con un tonfo sordo. Eren spalancò gli occhi e scattò immediatamente in piedi. Le sue guance erano arrossate, così come le sue labbra. Da quanto tempo non si sentiva così?

Aveva preparato un intero discorso da fargli, eppure in quel momento riuscì soltanto a boccheggiare. Con quale presunzione si era appostato davanti a casa sua? Probabilmente non ricordava neanche più chi fosse.

“Perché sei qui?” domandò Levi, passando accanto a lui per aprire la porta di casa sua.

“Ecco, io-”

“Coraggio, entra” Levi gli fece spazio per entrare nella sua villetta. Eren si grattò nervosamente la nuca e borbottò un permesso, imbarazzato.

“Allora?” Levi incrociò le braccia al petto, subito dopo essersi sbottonato il colletto della camicia. Era una sua impressione o cominciava a fare più caldo?

“Perché non ti sei fatto più sentire?” domandò Eren, a voce alta.

“Non mi pare che tu l’abbia fatto” replicò Levi con tono distaccato.

“Ho pensato che fosse meglio così, che tu dovessi pensare al tuo lavoro, alla tua carriera, e non volevo che affiancassi il mio ricordo a uno dei tuoi rimpianti.”

Levi sgranò gli occhi.

“Sei proprio un moccioso,” sentenziò dopo qualche istante, ignorando il battito accelerato del proprio cuore. “Ho commesso tanti errori nella mia vita. Ma se c’è una cosa di cui non mi pentirò mai sei tu, Eren.”

Levi lasciò cadere la maschera e un bagliore attraversò i suoi occhi. Fece un passo in avanti e poggiò una mano sulla guancia di Eren, soffermandosi con il pollice ad accarezzare le sue labbra.

“Sono sparito perché non volevo che stessi male a causa mia. Ho pensato che se fossi finito per odiarmi, saresti stato meglio.”

“Sei un idiota.”

“Oi, ricordati con chi stai pa-”

Levi odiava essere zittito, ma se per tacere Eren l’avesse baciato così ogni volta sarebbe rimasto in silenzio per tutta la sua vita.

Fu un bacio disperato, frutto di tanti giorni di assenza l’uno dall’altro, di dolore reciproco. Levi non perse tempo: spogliò Eren strada facendo e lo portò in camera sua.

Fecero l’amore per la seconda volta. Non credeva che un amore del genere potesse capitare a lui, non in quel modo, non in così poco tempo, non per un ragazzo più giovane.

Ma in quel momento ricordò una frase del suo scrittore preferito, Oscar Wilde. L’aveva letta per la prima volta quando era ancora uno studente del liceo, ma in tutti quegli anni gli era rimasta impressa nella mente e poteva dichiarare apertamente che fosse quella la sua citazione preferita.
 
«L’Amore, che non osa dire il proprio nome in questo secolo, è un grande affetto di un uomo più anziano per un altro più giovane, quale vi fu fra Davide e Gionata, quale Platone mise alla stessa base della sua filosofia, e quale si trova nei sonetti di Michelangelo e di Shakespeare – quell’affetto profondo, spirituale, che non è meno puro di quanto sia perfetto, e che detta grandi opere d’arte come quelle di Shakespeare e Michelangelo, e queste mie due lettere, così come sono, e che in questo secolo viene frainteso – talmente frainteso che per esso mi trovo dove sono adesso. È bello, è elevato, è la più nobile forma di affetto. È intellettuale, e si dà ripetutamente fra un uomo più anziano e uno più giovane quando l’uomo più anziano possiede intelletto e quello più giovane ha tutta la gioia, la speranza e il fascino della vita. Che così sia, il mondo non lo capisce. Se ne fa beffe, e a volte mette qualcuno alla vergogna per questo».
 
Di una sola cosa era certo: non avrebbe abbandonato Eren. Non di nuovo.



​Spazio Autrice
​SONO ANCORA VIVA, SIGNORE E SIGNORI! Dopo settimane di assenza sono tornata con questa cosa ​one-shot. E' stato durante il compito in classe di storia che, per qualche motivo, mi è venuto in mente un Eren in versione animatore. Uno di quelli che fa i balli di gruppo, che organizza attività per i bambini. Si, proprio quello. Solo che il mio cuore Ereri shipper non ha potuto resistere e ho dovuto affiancargli anche uno stereotipatissimo Levi stressato per il lavoro.
​Non so come sia uscito, dico la verità, ma mi sono divertita un mondo nello scrivere questa storia anche se per farlo ho dovuto ritagliarmi un po' di tempo la sera, subito dopo lo studio. E' forse da una settimana e mezza che ci lavoro ma, finalmente, è finita!
Niente, detto questo vi lascio e vi ringrazio di essere arrivati fin qui!
Alla prossima,
morgainedelilth :3


 
   
 
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