Elena.
Kate Beckett aveva appena preso tra le mani la sua tazza di caffè quando squillò il cellulare. Quella mattina sarebbe dovuta entrare a lavoro più tardi. Sarebbe. Prese un tovagliolino dal bancone della caffetteria e si fece passare una penna da uno degli ragazzi addetti ai caffè: 115 Fourth Avenue scrisse rapidamente e poi si fiondò fuori bevendo di corsa dalla tazza calda rischiando di ustionarsi la lingua. Salì veloce le scale fino al suo appartamento, prese distintivo, pistola e chiavi dell’auto per poi dirigersi nel luogo indicato.
Trovò i suoi colleghi Ryan ed Esposito già fuori dall’elegante palazzo. Chiunque abitasse lì dentro di certo non se la passava male e lo si poteva intuire anche dal via vai di persone che entravano ed uscivano non proprio felici di quella situazione: donne in eleganti tailleur con scarpe e borse che Kate pensò costassero più di metà anno del suo stipendio, uomini in eleganti completi di sartoria che parlavano di affari ai loro telefoni cellulari di ultima generazione, ragazzini che uscivano per andare a scuola nelle loro perfette divise di istituti privati.
- Cosa sapete? - chiese ai due
- Duplice omicidio, una coppia. Ethan e Lauren Austin. Lui cinquant’anni, avvocato, socio onorario di uno dei più importanti circoli di golf della città. Lei quarantotto anni, pediatra, molto attiva nella beneficenza e nel volontariato nelle case famiglia. Due stimati professionisti, sposati da quasi venti anni, senza figli. - Appena Ryan ebbe finito il suo resoconto da un taxi appena fermato lì vicino, Richard Castle scese di corsa e li raggiunse con un sorriso smagliante.
- Allora? Cosa mi sono perso? - Chiese Castle già entusiasta di visionare una nuova scena del crimine.
- Ancora nulla Castle! C’è la scientifica che sta analizzando la scena, stavamo per andare. Mi raccomando, stai dietro di noi, zitto, fermo e non toccare niente! - Anche se erano passati già diversi mesi dall’inizio della sua collaborazione con il distretto, Beckett ancora riusciva a mal digerire la presenza troppo spesso irritante dello scrittore, ma portarselo dietro era un ordine del suo capitano e non poteva fare altrimenti. Certo, non poteva negare che la sua presenza più di qualche volta era stata anche molto utile per arrivare alla soluzione dei casi e che lui sarebbe stato anche un uomo piacevole ed affascinante se non fosse stato per il suo ego infinito, quei comportamenti troppo spesso infantili e quella faccia da schiaffi con quel sorriso impertinente che però più di una volta avevano alleggerito la sua giornata e quel lavoro non certo facile, non sempre almeno. Era sempre in equilibrio tra il volergli sparare per la sua esuberanza che non riusciva a contenere e l’essergli grato per la ventata di freschezza che aveva portato alle sue giornate di lavoro, ma non glielo avrebbe mai detto. Quella mattina, comunque, lo avrebbe voluto uccidere, sarà che non aveva potuto bere come si doveva il suo caffè, quindi quella mattina già tutto sembrava andare per il verso sbagliato ed il suo sorriso eccitato davanti alla morte di due persone non riusciva a sostenerlo.
L’ascensore di ultima generazione era grande, aveva pareti a specchio, una pulsantiera touch ed un grande display che con delle frecce scorrevoli animate indicava la direzione ed il piano. Castle, dopo essersi specchiato a lungo, controllando che il suo ciuffo fosse in perfetto ordine pensò che avrebbe dovuto proporre all’amministratore del suo palazzo di cambiare il loro e mettere un ascensore moderno come quello.
Le porte appena si aprirono svelarono la vista dell’appartamento dei coniugi Austin proprio davanti a loro. Due agenti sulla porta si spostarono lasciandoli entrare. Mentre Ryan ed Esposito curiosavano in giro in cerca di qualcosa di interessante in quella casa dagli arredi eleganti e di pregio, Beckett seguita da Castle si diresse nella camera da letto, luogo dove si era consumato il delitto. I due coniugi erano ancora lì dove erano stati uccisi ognuno con un preciso colpo alla testa. Morti sul colpo, secondo Lanie che li aveva già esaminati e dato il via libera per portarli in laboratorio per maggiori accertamenti.
- Da quanto sono morti? - Chiese Beckett
- Tre ore più o meno. - Rispose la dottoressa.
- Chi li ha trovati?
- Era l’alba, i vicini hanno sentito una rissa, delle grida e poi gli spari e ci hanno chiamato - Specificò un giovane agente.
- L’orario coincide con quello probabile del decesso. - puntualizzò Lanie.
- Testimoni? - chiese ancora la Detective.
- No, nessuno. - L’agente scosse la testa mentre due uomini della scientifica caricavano i corpi in delle barelle per portarli via.
- Tesoro io vado a scoprire se ci possono dare qualche altra informazione. - la dottoressa Parish salutò la sua amica e poi seguì gli altri lasciando lì soli Castle e Beckett ad osservare quella stanza.
- Non sembrano esserci segni di lotta, ne che abbiamo portato via nulla. Guarda questo pendente, è un gioiello della Fabergè, vedi la forma ad uovo? È ispirato alle celebri uova d’oro e pietre preziose! È un pezzo bellissimo e molto pregiato, solo questo varrà almeno 10.000 dollari! Un ladro lo avrebbe preso di certo! - Beckett ascoltò la descrizione di Castle attentamente, certo anche un profano avrebbe preso quel pezzo che si vedeva essere sicuramente di grande valore.
- Come mai così esperto, Castle? - chiese la detective sarcastica
- La mia ex moglie, l’ultima, era molto amante dei gioielli e ha voluto uno di questi in regalo poco prima che ci lasciassimo.
- E tu le avrai detto di no, immagino.
- Gliel’ho comprato… - ammise lui. Kate scosse la testa lasciando calare qualche secondo di silenzio tra loro. Poi si voltò di scatto, era convinta di aver sentito un rumore provenire dall’armadio. Guardò Castle che annuì e gli fece segno di spostarsi e stare in silenzio sperando che una volta tanto le desse retta. Sfilò piano la pistola dalla fondina e si mise perpendicolare all’armadio. Con un gesto repentino aprì l’anta e puntò la pistola all’interno e quello che vide la lasciò senza parole.
Una bambina era rannicchiata in un angolo, tremava e singhiozzava, coprendosi il viso con i lunghi capelli castani. Beckett mise subito via la pistola, avvicinandosi alla piccola che però cercava di allontanarsi ancora di più spingendosi contro la parete di legno, nascondendosi tra i vestiti appesi. Fu Castle, allora, ad avvicinarsi ed intrufolarsi nell’armadio con lei, chiedendo a Beckett con espliciti gesti di lasciarli soli. Lo accontentò andando verso la porta della stanza dove Esposito e Ryan la raggiunsero.
- Gli Austin avevano una bambina in affido. - Le disse l’ispanico. - Questo è il suo fascicolo, lo abbiamo trovato nello studio di Ethan. Si chiama Joy Johnson ed ha dieci anni. - Ryan le porse il fascicolo che Kate nemmeno aprì, preoccupata di quella situazione.
- Sì, l’abbiamo trovata. Si era chiusa nell’armadio. È molto spaventata. Castle sta provando a tirarla fuori da lì.
- Dobbiamo chiamare gli assistenti sociali. - Si preoccupò Esposito.
- Sì ma voglio vedere se riusciamo a parlare con lei. Potrebbe aver visto tutto ed essere testimone di quanto accaduto. - Javier annuì alle parole di Beckett e si diresse fuori per telefonare, mentre Kevin accompagnò Kate nella stanza della piccola. Kate controllò quei documenti e vide che Joy stava con gli Austin da meno di un anno, ma dovevano amarla molto. Nella sua camera non mancavano giochi e libri, le mensole erano piene di foto di loro tre insieme e l’armadio di bei vestiti. Su una scrivania c’era un puzzle appena iniziato e dei disegni, a terra lo zainetto della scuola. Sul letto c’era un piccolo orso di pezza color crema, Kate lo prese e tornò da Castle.
Lo scrittore nonostante la sua predisposizione con i bambini non aveva fatto molti progressi con lei. Si rifiutava di voler parlare ed uscire da lì. L’avrebbe potuta facilmente prendere e portare fuori ma non voleva intaccare per sempre la sua fiducia.
- Dai JJ usciamo da qui, ti porto a mangiare le crêpes più buone della città!
- Veramente? - Rick sentì per la prima volta la sua vocina tremante.
- Certo! Io mantengo sempre le promesse. Non so se saranno proprio le più buone buonissime, però sono buone buone ed anche a mia figlia piacciono tanto! Che dici, ci stai?
La piccola fece cenno di sì con la testa e piano uscì fuori, fu più complicato per lui ma alla fine ce la fece. Kate entrò e trovò Joy aggrappata alla gamba di Castle che si era messa tra lei e il punto dove erano stati uccisi gli Austin per non farle vedere la chiazza di sangue ancora presente a terra.
- Ehy ma allora ce l’hai fatta a far uscire Joy! - Esclamò Kate porgendole l’orsetto che la bimba prese timidamente - Vedi Castle, è una fortuna che siete quasi coetanei!
Rick sbuffò prendendo in braccio la bambina ed uscendo da lì. La affidarono alle cure di Ryan mente Joy continuava con lo sguardo a seguire Castle che si era allontanato di poco con Beckett e la salutava con la mano.
- Dobbiamo andare al distretto. Gli assistenti sociali verranno lì a prenderla. - gli spiegò lei.
- No, dobbiamo andare a mangiare le crêpes. - Ribatté lui
- Cosa? No Castle, non se ne parla proprio.
- Beckett le ho promesso che se usciva da lì andavamo a mangiare le crêpes e non intendo infrangere la promessa.
- Ma Castle…
- Non si infrangono le promesse fatte ai bambini, se no non si fideranno più! - Era tremendamente serio in quel momento.
- Castle lo capisci che potrebbe essere l’unica testimone di quell’omicidio? Non puoi portarla in giro come vuoi! È sotto la responsabilità della polizia di New York fino a quando non vengono a prenderla gli assistenti sociali!
- Vieni con noi. Tu sei la polizia di New York, no?
Beckett in quel momento fece fatica a capire chi voleva veramente le crêpes se Castle o Joy.
- E va bene! Ma che sia una cosa veloce! - concesse la detective.
Joy non aveva più lasciato Rick. Per tutto il tragitto in auto, verso quel posto speciale che lui conosceva e che a Kate sembrava troppo lontano, era stata tutto in braccio a lui ed anche in quella caffetteria si era messa sulla panca vicino a lui, stringendogli il braccio. Convinse Kate a prendere anche lei delle crêpes e prima che dicesse di no, ne aveva già ordinate tre porzioni con due caffè ed una cioccolata.
- È proprio bella la vostra bambina! - Esclamò una cameriera che si prese troppa ansia libertà.
- Sì, grazie, lo è! - Rispose Castle prontamente azzittendo Beckett che avrebbe cominciato con spiegazioni fuori luogo.
Beckett fu felice del caffè, che poté finalmente bere con tranquillità quella mattina. Mentre assaggiava le crêpes non finendola nemmeno una, Kate si fermò ad osservare la piccola che invece le mangiava con gusto. La cameriera aveva ragione, era veramente una bambina bellissima, anche se il suo sguardo e la sua espressione erano in netto contrasto con quel nome così luminoso che la trafisse. Non mise più fretta a Castle, lasciò che Joy mangiasse il sul dolce e finisse la sua cioccolata con calma, aiutata da Rick che si dimostrava veramente attento e premuroso con la bambina e poi si avviarono al distretto.