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Autore: Breed 107    15/04/2005    1 recensioni
Salve! Questa storia è il seguito di ''Qualcosa da desiderare'' e costituisce la seconda parte di una trilogia. Ora che Ranma ed Akane hanno confessato finalmente i propri sentimenti, nulla sembra impedir loro di essere felici... ma non è così.COMPLETA! "REVISIONATO" ANCHE ULTIMO CAPITOLO
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ranma Saotome
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Ancora qualcosa da desiderare

di Breed 107

 

 

Capitolo terzo

Akane sorrise e pienamente soddisfatta di sé osservò il suo operato: bellamente disposti su un vassoio c'erano dei fumanti e (sperava) deliziosi biscotti appena sfornati.

Dovevano essere deliziosi per forza! Ci aveva lavorato dall'alba quando, stanca di rigirarsi nel proprio letto in preda ad angosciosi pensieri aveva deciso di reagire da ragazza forte qual era e di smetterla di commiserarsi. E in quei casi erano solo due le cose da farsi: o picchiare Ranma o cucinare per lui. Entrambe le cose avevano un effetto calmante su di lei, probabilmente perché in entrambi i casi finiva con il consumare un sacco di energie in eccesso!

Aveva optato per la seconda possibilità non solo per l'ora così mattutina (non poteva mica scaraventare giù dal letto Ranma appositamente per picchiarlo, si era detta non scartando però l'idea immediatamente), ma anche perché cucinare per lui le avrebbe permesso di scusarsi senza evidenziare troppo quel gesto. Aveva progettato tutto nei particolari: appena pronti i biscotti, li avrebbe portati da lui e subito dopo aver assistito alla sua solita pantomima su quanto fosse disgustosa la sua cucina, lo avrebbe costretto a mangiarli. Se avesse per caso chiesto se dietro a quella gentilezza ci fosse la volontà di scusarsi, lei, pronta avrebbe detto: “Scusarmi? Perché? Non è mica successo nulla” così avrebbero potuto dimenticare quella spiacevole discussione una volta per tutte. Già, un piano grandioso.

Akane si morse il labbro inferiore. Nel suo grandioso piano aveva dato per scontato parecchie cose, tipo la reazione di Ranma: se lui si fosse intestardito e avesse assolutamente voluto sentirla pronunciare la parola scusa, cosa avrebbe fatto?

La ragazza ci pensò su solo un istante 'A quel punto lo prendo a martellate e la storia sarà chiusa in un modo o nell'altro!' Era spaventosamente semplice.

Così, senza indugio, Akane s’ incamminò verso la camera del ragazzo, la vecchia soffitta dove lui ignaro dormiva sicuramente della grossa.

Ranma dormiva infatti, ma non così profondamente quanto lei aveva creduto; bastò il solo rumore della porta che veniva richiusa per svegliarlo. Intorpidito e accaldato, aprì gli occhi e si volse verso la fonte del rumore, stupito vide la sua fidanzata… armata di vassoio.

'Oh no!' pensò, mentre il sonno spariva all'istante. Si mise seduto e battendo le palpebre la fissò mentre lei, presa di contropiede, era rimasta appena oltre la porta.

Lo guardò interdetta, poi inspirò come a farsi coraggio ed avanzò verso il futon “Ti ho portato questi” l’informò in un soffio, mostrandogli il vassoio ricolmo.

Ranma deglutì involontariamente “Li… li hai fatti tu?” chiese con voce tremula e deglutì ancora una volta quando lei annuì. Era fritto.

Non poteva scappare. Certo, la finestra era aperta e anche se con i sensi ancora annebbiati dal sonno poteva sfuggire da quella parte, però… però stavolta Akane si sarebbe infuriata tantissimo. Non era così stupido in fondo, sapeva quale significato avessero quei biscotti probabilmente venefici.

Erano la sua offerta di pace.

Lui le aveva chiesto di scusarsi e l'orgoglio le aveva suggerito di cucinargli qualcosa, invece di porgergli delle semplici scuse. “Non dovevi, ti sarai alzata prestissimo per farli e…”

“Ero sveglia comunque. Ecco – Akane poggiò il vassoio a terra, accanto al futon, poi lei stessa sedette di fronte a lui – sono ancora caldi, su, assaggia e dimmi come sono.

“Non… non ho molta fame appena alzato, ma dall'aspetto direi che… che…” li guardò e il terrore aumentò in lui a dismisura: perché avevano quel colorito verdognolo, tanto per cominciare? E poi che diavolo di forma era? Sembravano… beh, non c'era parola atta a descrivere quegli affari.

“Ho usato una ricetta di mia madre. Ho provato a seguirla alla lettera, senza aggiunte. Su, mangiane almeno uno. Sospirando di rassegnazione Ranma prese uno dei biscotti e con una lentezza estrema lo portò alla bocca. Quando finalmente diede il primo morso, il volto di Akane si illuminò: c'era voluta meno fatica del previsto per convincerlo!

Il sapore era strano: non era certo una delizia, però… Ranma mangiò tutto il biscotto senza protestare e ad ogni morso cercò di capire come mai fosse ancora vivo; stranamente non era pessimo come c'era da aspettarsi, anzi, per essere opera di Akane era fin troppo mangiabile.

Stupito la guardò, strabuzzando gli occhi “Akane…”

“Sì, cosa c'è, stai male?!” chiese allarmata, poi però vide il suo sorriso e sospirò di sollievo.

“No, sto bene. Sai che è incredibile? Di solito a quest'ora dovrei già rotolare a terra tra atroci dolori allo stomaco e invece… Certo, non sono i biscotti più buoni del mondo, non sono infatti per nulla paragonabili a quelli di Kasumi per esempio, però…”

Akane strinse i pugni ordinando a se stessa di non picchiarlo, ma doveva farlo smettere o non avrebbe resistito a lungo “Dacci un taglio, ho capito! Te li lascio qui allora, vado a risistemare la cucina, l'ho lasciata un po' in disordine” fece per alzarsi, ma lui la trattenne, tenendola per una mano.

“Aspetta, Akane… io ecco… mi spiace. Scusa.”

Lui si scusava. Questo non era previsto nel piano d’Akane, ma certo non poteva dolersene; ne guardò il volto serio, il leggero rossore sulle guance, gli occhi puntati sul vassoio pur di tenerli lontani da lei… “Non è successo nulla per cui scusarti” gli disse e dopo avergli sorriso, si alzò e lasciò la camera.

Ranma la guardò uscire, un sorriso soddisfatto sul viso. Era così contento che mangiò altri due biscotti, prima di avvertire un leggero fastidio allo stomaco. Forse non era il caso di esagerare e sfidare la sorte… Beh però a ben vedere, l'aver fatto pace con Akane, soprattutto dopo una lite strana come quella della sera prima (strana perché lei non lo aveva malmenato, soprattutto) valeva anche un mal di pancia!

Era lieto che avessero potuto chiarirsi così facilmente. Già, tutto era stato così semplice: aveva temuto che essendo così cambiata la loro relazione, riappacificarsi sarebbe stato più arduo, perché più profonde sarebbero state ora le loro liti. Almeno le liti serie, non quelle mezze scenette comiche che a volte aveva l'impressione di inscenare per i suoi familiari.

Soddisfatto, tornò a stendersi nel suo futon e prese ad osservare il cielo limpido di quella mattina, un cielo privo di nuvole, proprio come la sua storia con Akane.

Come si suol dire la quiete prima della tempesta…

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Ukyo strinse per bene il nastro che le teneva legati i capelli e dopo un'ultima veloce occhiata allo specchio (con annessa smorfia di sconforto) scese di sotto, pronta ad un'altra giornata di duro lavoro. Aveva sul volto ancora i segni del pianto che l'aveva tenuta sveglia a lungo, cioè occhi arrossati e occhiaie, ma si sentiva meglio. Molto meglio.

La commiserazione non era adatta a lei; non più, non da quando aveva incontrato di nuovo Ranma, circa un anno prima.

Da bambina sì, invece, che si era commiserata e come: quello che aveva subito da Ranma e da quello stupido panda che lui si ritrovava come padre, il loro abbandono, l'aveva fatta pensare a sé come a qualcuno di misero e che solo la vendetta avrebbe riscattato. Ma poi erano bastate poche parole di Ranma e tutto era sfumato via…

“Lo sai che sei carina?”

No, Ukyo non sapeva di essere carina, non s'era mai posta sul serio il problema sul suo aspetto, ma essere carina per Ranma, oh, era stata una tale gioia!

Konatsu la accolse con il solito sorriso adorante e garbato; come sempre era in piedi da molto e si era già messo all'opera, preparando gli impasti per le prime okonomiyaki “Buon giorno, signora.

“Buon giorno… Konatsu, ti ho già detto che non occorre alzarti all'alba! In fondo il vero lavoro inizierà solo ad ora di pranzo.”

“Sì, lo so signora, ma così lei non dovrà affaticarsi troppo… e con questo caldo! E' una giornata torrida.”

“Infatti, sarebbe bello poter andare un po' al mare, non è vero?” l'ultima volta che era stata su una spiaggia risaliva a quando lei e gli altri erano stati ospiti di Toma e della sua isola vagante.

Konatsu annuì e con esagerata energia cominciò a strofinare il bancone “Sarebbe davvero bello. Io non ci sono mai stato.”

“Eh?! Com'è possibile?!”

“Le mie sorelle non me l' hanno mai concesso.”

“Ma è terribile!” sbottò indignata la ragazza, prima di rendersi conto di aver fatto esattamente la stessa cosa: durante le vacanze lei aveva tanto lavoro, così tanto da non aver mai pensato di lasciare al ragazzo una sola giornata di libertà. Forse lui non l'avrebbe nemmeno accettata, però, pur di starle accanto…

Il senso di colpa nei confronti del suo devoto assistente era davvero l'ultima cosa di cui aveva bisogno. Abbassò gli occhi mentre nuove lacrime tornarono a tormentarla “Vado in dispensa, tu sistema i tavoli” disse, sparendo poi sul retro prima che lui si accorgesse di quelle lacrime; se solo Konatsu avesse provato a consolarla, si sarebbe messa ad urlare dalla rabbia!

Attraversò la dispensa e uscì sul retro, richiudendosi la porta alle spalle. Poi, appoggiata a questa, alzò gli occhi al pezzettino di cielo che vedeva su di sé e pregò, una divinità non specificata, che l'aiutasse a resistere. Non voleva piangere, non voleva assolutamente, non di nuovo! 'Chiunque ci sia lassù, per favore! Qualsiasi cosa pur di non piangere!'

Un rumore la fece sobbalzare: qualcuno o qualcosa aveva fatto cadere alcune casse vuote poco lontane da lei. Curiosa si guardò intorno, ma non vide nessuno, il piccolo cortile era vuoto, fatta eccezione proprio per alcune casse e altre scatole.

'Che strano, non mi sono certo immaginata…' un altro rumore, stavolta più vicino.

Ukyo si mise sulla difensiva, maledicendo il fatto di non aver con sé la sua fedele spatola gigante “Chi c'è? Fatti vedere!” urlò con voce perentoria per non far trasparire il proprio timore: continuava a non vedere nessuno, ma i rumori continuavano.

All'improvviso da dietro le casse precedentemente cadute spuntò la testa di un piccolo e rotondo maialino nero. I suoi occhietti sbarrati si posarono sulla ragazza. “Ma… ehi, tu non sei il porcellino di Akane? Com'è che ti ha chiamato? P-qualcosa…” il porcellino grugnì e avanzò a piccoli passetti fino a fermarsi ai suoi piedi. Ukyo lo fissò ancora perplessa, poi sorrise e si chinò verso il piccolo animaletto “Però, stani emissari che hanno le divinità!” disse, raccogliendo poi l'ignaro porcellino e portandolo dentro.

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“Quello non è il porcellino della signorina Akane?”

Ukyo annuì e depositò il suo piccolo fardello sul bancone, stando ben attenta a tenerlo distante dalla piastra, con sommo sollievo per il suino… “Proprio lui. Si aggirava da solo sul retro, all'inizio mi ha anche spaventato!”

Konatsu sorrise e si avvicinò al loro piccolo ospite “Che aria triste…” commentò poi dandogli una carezza sul capo, guadagnandosi per questo un'occhiata di vera e propria gratitudine da parte di P-Chan.

Ukyo annuì “Già… ti manca la tua padroncina, vero? – P-Chan abbassò lo sguardo, come se fosse colto da una tristezza ancora maggiore – Che strano animale, ha delle espressioni così umane! Konatsu, più tardi lo riporteresti al dojo? Non credo ancora di essere la benvenuta lì… Sai, maialino, l'ultima volta che sono stata lì ho causato parecchi fastidi” sorrise mogiamente e sospirando carezzò anche lei il capo di P-Chan che di certo la ragazza non poteva sospettare essere pienamente a conoscenza degli eventi.

Grugnì per il disappunto: per lui quel giorno, il giorno del maledetto matrimonio mancato, era stato un vero disastro! Aveva avuto l'acqua della sorgente maledetta a portata di mano, ma a causa di quel vecchio maniaco… Il solo pensiero lo faceva infuriare quasi quanto il pensiero che Akane e Ranma si fossero quasi sposati.

“Chissà come si è trovato qui…” si domandò Konatsu.

Ukyo si strinse nelle spalle “Tempo fa Ranma mi disse che questo piccolino ha una spiccata propensione a perdersi, probabilmente è andata così.”

Konatsu sorrise, divertito al pensiero di un suino che se ne andava a spasso per il Giappone, disperso… quasi come… I due ragazzi si guardarono, entrambi stavano pensando alla stessa cosa “Ryoga!” esclamarono infatti all'unisono, prima di scoppiare a ridere.

“Chissà dove sarà quell'eterno disperso ora!? Probabilmente vagherà nel Kyunshu, convinto di trovarsi in Hokkaido!” mortificato per quelle parole della cuoca che non poteva smentire se non a colpi di grugniti, P-Chan abbassò lo sguardo sulle proprie zampette. Quei due non potevano sapere di stare ridendo delle sue sventure! Sospirò e con rassegnazione attese che la finissero.

Ukyo scosse il capo e batté le mani un paio di volte “Bene, ora basta perder tempo, dobbiamo metterci a lavoro! Su, Konatsu, metti fuori l'insegna che si comincia!”

“Sì, signora Ukyo – il volenteroso ninja fece per andare, ma poi si fermò e guardò la sua adorata datrice di lavoro – lo sa? Sono davvero grato al signor Hibiki.”

“Uhm? Perché?”

“Perché finalmente l' ho vista ridere di nuovo grazie a lui.”

Ukyo parve sorpresa: in effetti, da quanto tempo non rideva come aveva appena fatto alle spalle di Ryoga? Quasi non lo ricordava più! Eppure solo pochi minuti prima stava per ricominciare a piangere disperata… “Allora appena Ryoga si troverà a passare da queste parti, gli offrirò una okonomiyaki. E' il minimo che possa fare, non credi?” Konatsu annuì e dopo un ultimo, devoto sguardo, si mise a lavoro.

“Ora veniamo a te, P- qualcosa. Qui non puoi restare, altrimenti rischio di usarti come condimento per le mie okonomiyaki... – lo sguardo terrorizzato dell'animaletto le strappò un altro sorriso – Accidenti, sembra tu capisca tutto quello che dico! Ora ti porto di sopra, poi stasera tornerai da Akane, contento?” l'espressione di P-Chan sembrò tutto tranne che lieta alla cuoca che prendendolo nuovamente in braccio, lo portò al piano di sopra.

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La ragazza osservò l'insegna e ne lesse i caratteri con il cuore che le batteva forte; fece un passo verso il grande portone in legno, ma poi si fermò, esitante. Era da così tanto tempo che non vedeva il ragazzo!

Le aveva scritto una cartolina dalla Cina mesi prima, ma poi non aveva avuto più sue notizie, sperava fosse ritornato e gli unici che potevano darle informazioni erano lì, oltre quel portone. Anzi, con un po' di fortuna Ryoga stesso sarebbe stato lì, in un modo o nell'altro. Non era difficile pensare che fosse lì sotto le spoglie del piccolo ed adorabile P-Chan, difatti. Poco importava, si disse Akari Unryu, sarebbe stata una gioia incontrarlo comunque! Inspirò profondamente una volta per farsi coraggio e finalmente superò il portone in legno del dojo Tendo.

Le due famiglie erano tranquillamente riunite intorno alla tavola per la colazione, per quanto possa essere tranquilla una normale colazione in quella casa! Ranma e suo padre si contendevano il cibo come al solito, Akane tentava di sviare le continue domande di Nabiki sui biscotti che aveva preparato (come facesse sempre a saper tutto, era davvero un mistero!); Nodoka sorbiva tranquilla il tè, l'inseparabile spada poggiata in grembo; il vecchio Happosai, reggiseno alla mano voleva offrirlo alla già stressata Akane, mentre Kasumi, serena ed imperturbabile come sempre, si domandava se la zuppa di miso fosse troppo sciapita o se era solo una sua impressione. Insomma, la solita cara e vecchia confusione, così tipica ad ogni ora in quelle quattro mura.

Al suono del campanello però il silenzio calò tra i vivaci membri delle due famiglie per alcuni istanti. Di solito le visite non annunciavano nulla di buono: fidanzate come se piovessero, sfidanti d’ogni specie, creditori e donne inferocite per il furto della propria biancheria.

“Vado ad aprire io” Kasumi si alzò nel silenzio generale e sparì nel corridoio, mentre gli altri si guardavano curiosi. Non fu con senza sollievo (soprattutto da parte del padrone di casa che aveva appena finito di pagare i danni del tentato matrimonio) che videro la graziosa ragazza entrare al seguito di Kasumi e inchinarsi in segno di saluto. “Buongiorno a voi tutti! Scusate la mia intrusione ad un'ora così poco consona”disse poi, arrossendo imbarazzata per tutti gli sguardi puntati su di lei.

“La fidanzata di Ryoga è sempre la benvenuta in casa nostra! Prego, accomodati!” la rassicurò Soun e dopo che Akane le ebbe fatto spazio accanto a sé, lei sedette e accettò di buon grado la colazione offertale.

“E' da un po' che non ci si vedeva, vero Akari?”

“Sì, è vero, signor Ranma… Sono lieta di vedere che è tornato in perfetta salute dalla Cina.”

“Sai quello che è accaduto?” gli chiese stupito il ragazzo e lei annuì.

“Non molto, a dire il vero. Ryoga… il signor Hibiki, cioè – si corresse, arrossendo lievemente – mi scrisse una breve cartolina dalle sorgenti, dicendo di essere lì per una questione piuttosto importante e di essere in compagnia sua e di altri amici. Spero che si sia risolto tutto per il meglio.”

Ranma annuì velocemente, come sempre non amava ricordare quel viaggio. Osservò Akane di sfuggita, non indugiando nello sguardo per il timore di mostrare a lei e agli altri il vero e proprio turbamento che lo prendeva quando ricordava quel momento.

A volte aveva ancora l'impressione di stringere il corpo freddo della sua Akane, il suo corpo privo di vita…

“Sì, è andata bene. Ryoga non ti ha detto nulla?”

Akari scosse il capo e provò a sorridere “In verità non ho più saputo nulla di lui. Non ho ricevuto né sue notizie, né tanto meno l'ho incontrato… Quella cartolina è stata l'ultimo contatto tra noi.”

Nabiki scosse il capo, guardando la poveretta con commiserazione “Che fidanzato! Tra te e Akane non saprei chi è stata la più sfortunata. Chissà dove sarà ora quel benedetto ragazzo, probabilmente disperso nel Tibet…”

“Nabiki, non essere scortese!” Akane l’ammonì indispettita anche per il commento su Ranma, poi si volse verso la ragazza al suo fianco con il migliore dei suoi sorrisi “Anche noi non vediamo Ryoga da parecchio tempo, circa quattro mesi.” Non che ci avesse fatto molto caso, ma le sembrava che nella confusione del matrimonio ci fosse anche Ryoga.

Akari sospirò, la delusione evidente sul suo grazioso visetto “Oh, quindi non si trova qui attualmente” sussurrò, poi con un briciolo di speranza si rivolse a Ranma “Nemmeno… ecco…”

Voleva sapere se per caso P-chan fosse lì, ma sapeva di non poterlo chiedere ad Akane, perciò sperò che Ranma comprendesse; lui però scosse il capo, intuendo comunque la sua domanda implicita.

Dispiaciuta per la sua coetanea, Akane le poggiò una mano su una spalla, scotendola appena “Non demoralizzarti, Akari. Ryoga capiterà presto o tardi qui, come al solito. Potresti restare qui come nostra ospite ed aspettarlo, no?”

“Oh, davvero potrei, signorina Akane?! Sarebbe stupendo! Ma non vorrei arrecare troppo disturbo…”

“Nessun disturbo! Avere una ragazza così dolce e tranquilla in questa casa sarà senz'altro un piacere!”

“Ben detto amico Tendo!”

“Chissà che la tua presenza non faccia diventare anche Akane più tranquilla e docile.” Quella frase pronunciata avventatamente da Ranma con lo scopo di far sentire la loro ospite a suo agio gli costò cara: una martellata lo spedì diretto in giardino, dritto dritto nello stagno per gentile concessione della sua delicata fidanzata. La parentesi di tranquillità dovuta all'arrivo di Akari poteva dirsi definitivamente chiusa.

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Ryoga sospirò e mogiamente si accoccolò sulla coperta datagli da Ukyo come cuccia… Era triste e demoralizzato, oltre che stanco e provato nel fisico. Del resto da quasi quattro mesi non sostava sotto un tetto degno di questo nome… e poi quell'estate era dannatamente piovosa! Aveva passato più tempo trasformato in quello stupido suino che da umano!

Alzò gli occhietti tristi al cielo visibile dalla finestra accanto al futon di Ukyo e grugnì disperato: perché era tornato a Nerima? Quattro mesi prima si era ripromesso di sparire per sempre, di perdersi sul serio; aveva raccolto il proprio coraggio ed era partito, senza voltarsi indietro. Ne aveva avuto la forza solo perché si era detto che non l'avrebbe vista mai più…

Non doveva vedere mai più Akane. Non dopo quello che era accaduto! E invece il suo stramaledetto senso dell'orientamento l'aveva riportato lì, in quella città dove la sua Akane viveva… con Ranma.

Quando Ukyo aveva accennato al fatto di portarlo dai Tendo, il solo pensiero lo aveva atterrito, semplicemente. Rivederla gli avrebbe fatto solo del male; magari non immediatamente.

Lasciarsi stringere da lei, lasciarsi coccolare, quello sarebbe stato stupendo, ma dopo? Cosa sarebbe accaduto dopo? Lo sapeva fin troppo bene ed era stata quella consapevolezza a dargli il coraggio di andarsene… Ed ora eccolo lì, accomodato su una coperta, l'animo in subbuglio e la tentazione di scappare via a gambe levate o meglio, si disse, a zampe levate. In quei quattro mesi aveva imparato anche l'auto-ironia e quella l'aveva salvato più volte dalla disperazione più profonda.

Se non era ancora scappato da casa di Ukyo era per il timore di incappare proprio nel suo peggior incubo, finendo al dojo per caso. Non lo voleva per nulla al mondo, non doveva tornare lì e rivedere Akane… Del resto era a Nerima, nulla di più facile che il suo orientamento bislacco lo conducesse da lei o da Ranma, perciò per il momento aveva deciso di restare lì, di recuperare un po' di forze e poi… e poi si sarebbe visto cosa fare.

Chiuse gli occhi e cercando di rimuovere i tristi pensieri, si addormentò.

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Konatsu inarcò le fini sopracciglia, perplesso. Dove aveva già visto quello zaino e quell'ombrello?

Era uscito sul cortile alle spalle del ristorante per posare alcune scatole vuote e aveva intravisto qualcosa di rosso brillare quasi; curioso si era avvicinato e in un angolo aveva visto l'ombrello rosso che illuminato da un raggio di sole aveva come mandato un bagliore.

All'ombrello era attaccato uno zaino piuttosto grande, o forse era meglio dire il contrario; comunque, aveva provato ad alzarlo e aveva scoperto che pesava tantissimo e persino lui, con tutta la sua forza, aveva avuto qualche difficoltà a sollevarlo, così lo aveva rimesso a terra. Ora continuava a guardarlo pensieroso. Lo aveva già visto, anche se proprio non ricordava dove.

“Ehi, si può sapere quanto tempo ci vuole per quelle scatole? Batti la fiacca, eh?” Ukyo raggiunse il suo aiutante che quasi sussultò nel sentirla arrivare così all'improvviso.

“No, signora, il fatto è che… ecco, ho trovato quello e mi…”

“Lo zaino di Ryoga? Cosa ci fa quell'affare lì?”

Ecco allora di chi era! Konatsu si strinse nelle spalle “Non saprei, signora.”

“Mmm, senti, conoscendo quel tipo non è difficile che sia qui intorno e che si sia perso. Va' a dare un'occhiata, io intanto lo porto di sopra: se non dovessi trovarlo, porterai anche lo zaino dai Tendo, oltre al maialino.” Konatsu annuì e dopo un breve inchino partì alla ricerca del disperso, che in realtà dormiva più o meno tranquillo nella camera al piano superiore.

Con qualche sforzo, Ukyo prese lo zaino in spalla ed arrancando quasi sotto il suo peso, lo portò nella propria camera imprecando soprattutto nel salire le scale.

“Maledetto Hibiki! Ma che cavolo ci terrà qui dentro?! Dei macigni per allenarsi con quella stupida tecnica dell'esplosione?” borbottò, raggiungendo finalmente la camera; fece per poggiare l'immane zaino che aveva in spalla, ma il peso di questo la sbilanciò, facendola cadere a terra gambe all'aria.

“Dannazione!” imprecò, svegliando il suo piccolo ospite che stupito osservò la ragazza massaggiarsi il fondoschiena, colpito nella caduta, e guardare in cagnesco il suo zaino. “Non posso tenerlo al centro della stanza, questo affare occupa un sacco di spazio. Dovrò trascinarlo nell'armadio a muro… Uff, che sfacchinata! Ritiro la mia offerta d’okonomiyaki, Hibiki: questo lavoraccio vale più di una risata!”

Trascinandolo per una cinghia, Ukyo tirò lo zaino che urtando un po' ovunque finì con l'aprirsi ed alcune cose si sparpagliarono sul pavimento. “Oh, ecco, ci mancava solo questa!” brontolò la ragazza che sbuffando raccolse i vari oggetti. Curiosa osservò la borraccia, una mappa dettagliata di Okinawa (la cui vista d la fece sorridere ironicamente), un astuccio per scrivere e alcune bandane, di quelle che Ryoga indossava sempre.

“Che strano… ce ne sono di varie misure, grandi e – ne prese una e la spiegò – piccole… Queste di certo non può mettersele intorno al capo, con quel testone. Al massimo potranno andare bene per te, P-…” il porcellino deglutì nervoso e rabbrividì quando lei lo fissò. La ragazza batté le ciglia, poi guardò la bandana, poi il maialino, poi di nuovo la bandana.

“No, che vado pensando? E' impossibile! Che stupidaggine! Ho perso fin troppo tempo, basta così” rimise anche le ultime bandane a posto e dopo aver spinto lo zaino nel suo armadio uscì dalla stanza; P-chan sospirò di sollievo: per un attimo aveva temuto che Ukyo scoprisse il suo segreto. Osservò ancora qualche istante la porta chiusa, temendo di sentire dei passi che tornassero indietro, poi, finalmente tranquillo tornò ad accomodarsi meglio sulla coperta. Cinque minuti dopo dormiva profondamente.

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