Ancora qualcosa da
desiderare
di Breed 107
Capitolo terzo
Akane sorrise e pienamente soddisfatta di sé
osservò il suo operato: bellamente disposti su un
vassoio c'erano dei fumanti e (sperava) deliziosi biscotti appena sfornati.
Dovevano essere deliziosi per forza! Ci
aveva lavorato dall'alba quando, stanca di rigirarsi
nel proprio letto in preda ad angosciosi pensieri aveva deciso di reagire da
ragazza forte qual era e di smetterla di commiserarsi. E
in quei casi erano solo due le cose da farsi: o picchiare Ranma o cucinare per
lui. Entrambe le cose avevano un effetto calmante su di lei, probabilmente
perché in entrambi i casi finiva con il consumare un
sacco di energie in eccesso!
Aveva optato
per la seconda possibilità non solo per l'ora così mattutina (non poteva mica
scaraventare giù dal letto Ranma appositamente per picchiarlo, si era detta non
scartando però l'idea immediatamente), ma anche perché cucinare per lui le
avrebbe permesso di scusarsi senza evidenziare troppo quel gesto. Aveva
progettato tutto nei particolari: appena pronti i biscotti, li avrebbe portati
da lui e subito dopo aver assistito alla sua solita pantomima su quanto fosse
disgustosa la sua cucina, lo avrebbe costretto a mangiarli. Se
avesse per caso chiesto se dietro a quella gentilezza ci fosse la volontà di
scusarsi, lei, pronta avrebbe detto: “Scusarmi? Perché?
Non è mica successo nulla” così avrebbero potuto dimenticare quella spiacevole
discussione una volta per tutte. Già, un piano
grandioso.
Akane si morse il labbro inferiore. Nel suo grandioso piano aveva dato per scontato
parecchie cose, tipo la reazione di Ranma: se lui si fosse intestardito e
avesse assolutamente voluto sentirla pronunciare la parola scusa, cosa avrebbe
fatto?
La ragazza ci pensò su solo un istante 'A quel
punto lo prendo a martellate e la storia sarà chiusa
in un modo o nell'altro!' Era spaventosamente semplice.
Così, senza indugio, Akane s’ incamminò verso la
camera del ragazzo, la vecchia soffitta dove lui ignaro dormiva sicuramente
della grossa.
Ranma dormiva infatti, ma
non così profondamente quanto lei aveva creduto; bastò il solo rumore della
porta che veniva richiusa per svegliarlo. Intorpidito e accaldato, aprì gli
occhi e si volse verso la fonte del rumore, stupito vide la sua fidanzata…
armata di vassoio.
'Oh no!' pensò, mentre il
sonno spariva all'istante. Si mise seduto e battendo le palpebre la fissò mentre lei, presa di contropiede, era rimasta appena
oltre la porta.
Lo guardò interdetta, poi inspirò come a farsi coraggio ed avanzò verso il futon “Ti ho portato
questi” l’informò in un soffio, mostrandogli il vassoio ricolmo.
Ranma deglutì involontariamente “Li… li hai fatti
tu?” chiese con voce tremula e deglutì ancora una volta
quando lei annuì. Era fritto.
Non poteva scappare. Certo, la
finestra era aperta e anche se con i sensi ancora annebbiati dal sonno poteva
sfuggire da quella parte, però… però stavolta Akane si sarebbe infuriata
tantissimo. Non era così stupido in fondo, sapeva quale significato avessero quei biscotti probabilmente venefici.
Erano la sua offerta di pace.
Lui le aveva chiesto di
scusarsi e l'orgoglio le aveva suggerito di cucinargli qualcosa, invece di
porgergli delle semplici scuse. “Non dovevi, ti sarai
alzata prestissimo per farli e…”
“Ero sveglia comunque.
Ecco – Akane poggiò il vassoio a terra, accanto al futon, poi lei stessa sedette
di fronte a lui – sono ancora caldi, su, assaggia e dimmi come sono.”
“Non… non ho molta fame appena alzato, ma
dall'aspetto direi che… che…” li guardò e il terrore
aumentò in lui a dismisura: perché avevano quel colorito verdognolo, tanto per
cominciare? E poi che diavolo di forma era? Sembravano… beh, non c'era parola atta a descrivere quegli
affari.
“Ho usato una ricetta di mia madre. Ho provato a
seguirla alla lettera, senza aggiunte. Su, mangiane almeno uno.” Sospirando di rassegnazione Ranma prese uno dei biscotti e
con una lentezza estrema lo portò alla bocca. Quando finalmente diede il primo
morso, il volto di Akane si illuminò: c'era voluta
meno fatica del previsto per convincerlo!
Il sapore era strano: non era certo una delizia,
però… Ranma mangiò tutto il biscotto senza protestare e ad ogni morso cercò di
capire come mai fosse ancora vivo; stranamente non era pessimo come c'era da
aspettarsi, anzi, per essere opera di Akane era fin troppo
mangiabile.
Stupito la guardò, strabuzzando gli occhi “Akane…”
“Sì, cosa c'è, stai male?!”
chiese allarmata, poi però vide il suo sorriso e sospirò di sollievo.
“No, sto bene. Sai che è incredibile? Di solito a
quest'ora dovrei già rotolare a terra tra atroci dolori allo stomaco e invece…
Certo, non sono i biscotti più buoni del mondo, non sono
infatti per nulla paragonabili a quelli di Kasumi per esempio, però…”
Akane strinse i pugni ordinando
a se stessa di non picchiarlo, ma doveva farlo smettere o non avrebbe resistito
a lungo “Dacci un taglio, ho capito! Te li lascio qui allora, vado a
risistemare la cucina, l'ho lasciata un po' in disordine” fece
per alzarsi, ma lui la trattenne, tenendola per una mano.
“Aspetta, Akane… io ecco… mi spiace.
Scusa.”
Lui si scusava. Questo non era previsto nel piano
d’Akane, ma certo non poteva dolersene; ne guardò il volto serio, il leggero
rossore sulle guance, gli occhi puntati sul vassoio pur di tenerli lontani da
lei… “Non è successo nulla per cui scusarti” gli disse
e dopo avergli sorriso, si alzò e lasciò la camera.
Ranma la guardò uscire, un sorriso soddisfatto sul
viso. Era così contento che mangiò altri due biscotti,
prima di avvertire un leggero fastidio allo stomaco. Forse non era il caso di
esagerare e sfidare la sorte… Beh però a ben vedere, l'aver fatto pace con
Akane, soprattutto dopo una lite strana come quella della sera prima (strana perché lei non lo aveva malmenato, soprattutto)
valeva anche un mal di pancia!
Era lieto che avessero potuto chiarirsi così
facilmente. Già, tutto era stato così semplice: aveva temuto che essendo così
cambiata la loro relazione, riappacificarsi sarebbe stato più arduo, perché più
profonde sarebbero state ora le loro liti. Almeno le liti serie, non quelle mezze scenette comiche che a volte aveva l'impressione di inscenare per i suoi familiari.
Soddisfatto, tornò a stendersi nel suo futon e
prese ad osservare il cielo limpido di quella mattina, un cielo
privo di nuvole, proprio come la sua storia con Akane.
Come si suol dire la quiete prima della tempesta…
--- --- ---
Ukyo strinse per bene il nastro che le teneva
legati i capelli e dopo un'ultima veloce occhiata allo specchio (con annessa
smorfia di sconforto) scese di sotto, pronta ad un'altra giornata di duro
lavoro. Aveva sul volto ancora i segni del pianto che l'aveva tenuta sveglia a lungo, cioè occhi arrossati e occhiaie, ma si sentiva meglio.
Molto meglio.
La commiserazione non era adatta a lei; non più,
non da quando aveva incontrato di nuovo Ranma, circa un anno prima.
Da bambina sì, invece, che
si era commiserata e come: quello che aveva subito da Ranma e da quello stupido
panda che lui si ritrovava come padre, il loro abbandono, l'aveva fatta pensare
a sé come a qualcuno di misero e che solo la vendetta avrebbe riscattato. Ma poi erano bastate
poche parole di Ranma e tutto era sfumato via…
“Lo sai che sei carina?”
No, Ukyo non sapeva di essere
carina, non s'era mai posta sul serio il problema sul suo aspetto, ma
essere carina per Ranma, oh, era stata una tale gioia!
Konatsu la accolse con il solito sorriso adorante e
garbato; come sempre era in piedi da molto e si era già messo all'opera,
preparando gli impasti per le prime okonomiyaki “Buon giorno, signora.
“Buon giorno… Konatsu, ti ho già detto
che non occorre alzarti all'alba! In fondo il vero lavoro inizierà solo ad ora
di pranzo.”
“Sì, lo so signora, ma così lei non dovrà
affaticarsi troppo… e con questo caldo! E' una giornata torrida.”
“Infatti, sarebbe bello poter andare un po' al
mare, non è vero?” l'ultima volta che era stata su una spiaggia
risaliva a quando lei e gli altri erano stati ospiti di Toma e della sua isola vagante.
Konatsu annuì e con esagerata energia cominciò a
strofinare il bancone “Sarebbe davvero bello. Io non
ci sono mai stato.”
“Eh?! Com'è possibile?!”
“Le mie sorelle non me l' hanno mai concesso.”
“Ma è terribile!” sbottò indignata la ragazza,
prima di rendersi conto di aver fatto esattamente la stessa cosa: durante le
vacanze lei aveva tanto lavoro, così tanto da non aver
mai pensato di lasciare al ragazzo una sola giornata di libertà. Forse lui non
l'avrebbe nemmeno accettata, però, pur di starle accanto…
Il senso di colpa nei confronti del suo devoto
assistente era davvero l'ultima cosa di cui aveva bisogno. Abbassò gli occhi mentre nuove lacrime tornarono a tormentarla “Vado in
dispensa, tu sistema i tavoli” disse, sparendo poi sul retro prima che lui si
accorgesse di quelle lacrime; se solo Konatsu avesse provato a consolarla, si
sarebbe messa ad urlare dalla rabbia!
Attraversò la dispensa e uscì sul retro,
richiudendosi la porta alle spalle. Poi, appoggiata a questa, alzò gli occhi al
pezzettino di cielo che vedeva su di sé e pregò, una divinità non specificata,
che l'aiutasse a resistere. Non voleva piangere, non voleva
assolutamente, non di nuovo! 'Chiunque ci sia lassù,
per favore! Qualsiasi cosa pur di non piangere!'
Un rumore la fece sobbalzare: qualcuno o qualcosa
aveva fatto cadere alcune casse vuote poco lontane da
lei. Curiosa si guardò intorno, ma non vide nessuno, il piccolo cortile era
vuoto, fatta eccezione proprio per alcune casse e altre
scatole.
'Che strano, non mi sono certo
immaginata…' un altro rumore, stavolta più vicino.
Ukyo si mise sulla difensiva, maledicendo il fatto
di non aver con sé la sua fedele spatola gigante “Chi c'è?
Fatti vedere!” urlò con voce perentoria per non far
trasparire il proprio timore: continuava a non vedere nessuno, ma i rumori
continuavano.
All'improvviso da dietro le casse precedentemente cadute spuntò la testa di un piccolo e
rotondo maialino nero. I suoi occhietti sbarrati si posarono sulla ragazza.
“Ma… ehi, tu non sei il porcellino di Akane? Com'è che
ti ha chiamato? P-qualcosa…” il porcellino grugnì e
avanzò a piccoli passetti fino a fermarsi ai suoi piedi. Ukyo lo fissò ancora
perplessa, poi sorrise e si chinò verso il piccolo animaletto
“Però, stani emissari che hanno le divinità!” disse, raccogliendo poi
l'ignaro porcellino e portandolo dentro.
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“Quello non è il porcellino della signorina Akane?”
Ukyo annuì e depositò il suo piccolo fardello sul
bancone, stando ben attenta a tenerlo distante dalla piastra, con sommo
sollievo per il suino… “Proprio lui. Si aggirava da solo sul
retro, all'inizio mi ha anche spaventato!”
Konatsu sorrise e si avvicinò al loro piccolo ospite “Che aria triste…” commentò poi
dandogli una carezza sul capo, guadagnandosi per questo un'occhiata di vera e
propria gratitudine da parte di P-Chan.
Ukyo annuì “Già… ti manca
la tua padroncina, vero? – P-Chan abbassò lo sguardo, come se fosse colto da
una tristezza ancora maggiore – Che strano animale, ha delle espressioni così umane! Konatsu, più tardi lo riporteresti al dojo? Non
credo ancora di essere la benvenuta lì… Sai, maialino,
l'ultima volta che sono stata lì ho causato parecchi fastidi” sorrise
mogiamente e sospirando carezzò anche lei il capo di P-Chan che di certo la
ragazza non poteva sospettare essere pienamente a conoscenza degli eventi.
Grugnì per il disappunto: per lui quel giorno, il giorno del maledetto matrimonio mancato, era stato un vero
disastro! Aveva avuto l'acqua della sorgente maledetta a portata di mano, ma a
causa di quel vecchio maniaco… Il solo pensiero lo faceva infuriare quasi
quanto il pensiero che Akane e Ranma si fossero quasi sposati.
“Chissà come si è trovato qui…” si domandò Konatsu.
Ukyo si strinse nelle spalle “Tempo fa Ranma mi disse che questo piccolino ha una spiccata propensione a
perdersi, probabilmente è andata così.”
Konatsu sorrise, divertito al pensiero di un suino
che se ne andava a spasso per il Giappone, disperso…
quasi come… I due ragazzi si guardarono, entrambi stavano pensando alla stessa
cosa “Ryoga!” esclamarono infatti all'unisono, prima di scoppiare a ridere.
“Chissà dove sarà quell'eterno disperso ora!? Probabilmente vagherà nel Kyunshu,
convinto di trovarsi in Hokkaido!” mortificato per quelle parole della cuoca
che non poteva smentire se non a colpi di
grugniti, P-Chan abbassò lo sguardo sulle proprie zampette. Quei due non
potevano sapere di stare ridendo delle sue sventure! Sospirò e con
rassegnazione attese che la finissero.
Ukyo scosse il capo e batté le mani un paio di
volte “Bene, ora basta perder tempo, dobbiamo metterci
a lavoro! Su, Konatsu, metti fuori l'insegna che si comincia!”
“Sì, signora Ukyo – il volenteroso ninja fece per
andare, ma poi si fermò e guardò la sua adorata datrice di lavoro – lo sa? Sono davvero grato al signor Hibiki.”
“Uhm? Perché?”
“Perché finalmente l' ho vista ridere di nuovo
grazie a lui.”
Ukyo parve sorpresa: in effetti, da quanto tempo
non rideva come aveva appena fatto alle spalle di Ryoga? Quasi non lo ricordava
più! Eppure solo pochi minuti prima stava per
ricominciare a piangere disperata… “Allora appena Ryoga si troverà a passare da
queste parti, gli offrirò una okonomiyaki. E' il minimo che possa
fare, non credi?” Konatsu annuì e dopo un ultimo, devoto sguardo, si mise a
lavoro.
“Ora veniamo a te, P- qualcosa. Qui non puoi
restare, altrimenti rischio di usarti come condimento per le mie okonomiyaki...
– lo sguardo terrorizzato dell'animaletto le strappò un altro sorriso –
Accidenti, sembra tu capisca tutto quello che dico! Ora ti porto di sopra, poi
stasera tornerai da Akane, contento?” l'espressione di P-Chan sembrò tutto tranne che lieta alla cuoca che prendendolo
nuovamente in braccio, lo portò al piano di sopra.
--- --- ---
La ragazza osservò l'insegna e ne lesse i caratteri
con il cuore che le batteva forte; fece un passo verso il grande
portone in legno, ma poi si fermò, esitante. Era da così
tanto tempo che non vedeva il ragazzo!
Le aveva scritto una cartolina dalla Cina mesi
prima, ma poi non aveva avuto più sue notizie, sperava fosse ritornato e gli unici
che potevano darle informazioni erano lì, oltre quel
portone. Anzi, con un po' di fortuna Ryoga stesso sarebbe stato lì, in un modo
o nell'altro. Non era difficile pensare che fosse lì sotto le
spoglie del piccolo ed adorabile P-Chan, difatti. Poco importava, si
disse Akari Unryu, sarebbe stata una gioia
incontrarlo comunque! Inspirò profondamente una volta
per farsi coraggio e finalmente superò il portone in
legno del dojo Tendo.
Le due famiglie erano tranquillamente riunite
intorno alla tavola per la colazione, per quanto possa
essere tranquilla una normale
colazione in quella casa! Ranma e suo padre si contendevano
il cibo come al solito, Akane tentava di sviare le continue domande di Nabiki
sui biscotti che aveva preparato (come facesse sempre a saper tutto, era
davvero un mistero!); Nodoka sorbiva tranquilla il tè, l'inseparabile spada
poggiata in grembo; il vecchio Happosai, reggiseno alla mano voleva offrirlo
alla già stressata Akane, mentre Kasumi, serena ed imperturbabile come sempre,
si domandava se la zuppa di miso fosse troppo
sciapita o se era solo una sua impressione. Insomma, la solita cara e vecchia confusione, così
tipica ad ogni ora in quelle quattro mura.
Al suono del campanello però il silenzio calò tra i
vivaci membri delle due famiglie per alcuni istanti. Di solito le visite non
annunciavano nulla di buono: fidanzate come se piovessero, sfidanti d’ogni
specie, creditori e donne inferocite per il furto
della propria biancheria.
“Vado ad aprire io” Kasumi si alzò nel silenzio
generale e sparì nel corridoio, mentre gli altri si guardavano curiosi. Non fu
con senza sollievo (soprattutto da parte del padrone di casa che aveva appena
finito di pagare i danni del tentato matrimonio) che videro la graziosa ragazza
entrare al seguito di Kasumi e inchinarsi in segno di saluto. “Buongiorno a voi
tutti! Scusate la mia intrusione ad un'ora così poco
consona”disse poi, arrossendo imbarazzata per tutti gli sguardi puntati
su di lei.
“La fidanzata di Ryoga è sempre la benvenuta in
casa nostra! Prego, accomodati!” la rassicurò Soun e dopo che Akane le ebbe fatto spazio accanto a sé, lei sedette e accettò di buon
grado la colazione offertale.
“E' da un po' che non ci si vedeva, vero Akari?”
“Sì, è vero, signor Ranma… Sono lieta di vedere che
è tornato in perfetta salute dalla Cina.”
“Sai quello che è accaduto?” gli chiese stupito il
ragazzo e lei annuì.
“Non molto, a dire il vero. Ryoga… il signor
Hibiki, cioè – si corresse, arrossendo lievemente – mi
scrisse una breve cartolina dalle sorgenti, dicendo di essere lì per una
questione piuttosto importante e di essere in compagnia sua e di altri amici.
Spero che si sia risolto tutto per il meglio.”
Ranma annuì velocemente, come sempre non amava
ricordare quel viaggio. Osservò Akane di sfuggita, non indugiando nello sguardo
per il timore di mostrare a lei e agli altri il vero e proprio turbamento che
lo prendeva quando ricordava quel momento.
A volte aveva ancora l'impressione di stringere il
corpo freddo della sua Akane, il suo corpo privo di
vita…
“Sì, è andata bene. Ryoga non ti ha detto nulla?”
Akari scosse il capo e provò a sorridere “In verità
non ho più saputo nulla di lui. Non ho ricevuto né sue notizie, né tanto meno
l'ho incontrato… Quella cartolina è stata l'ultimo contatto tra noi.”
Nabiki scosse il capo, guardando la poveretta con
commiserazione “Che fidanzato! Tra te e Akane non saprei chi è stata la più
sfortunata. Chissà dove sarà ora quel benedetto ragazzo,
probabilmente disperso nel Tibet…”
“Nabiki, non essere scortese!” Akane l’ammonì
indispettita anche per il commento su Ranma, poi si volse verso la ragazza al
suo fianco con il migliore dei suoi sorrisi “Anche noi non vediamo Ryoga da
parecchio tempo, circa quattro mesi.” Non che ci
avesse fatto molto caso, ma le sembrava che nella confusione del matrimonio ci
fosse anche Ryoga.
Akari sospirò, la delusione evidente sul suo
grazioso visetto “Oh, quindi non si trova qui attualmente”
sussurrò, poi con un briciolo di speranza si rivolse a Ranma “Nemmeno… ecco…”
Voleva sapere se per caso P-chan fosse
lì, ma sapeva di non poterlo chiedere ad Akane, perciò sperò che Ranma
comprendesse; lui però scosse il capo, intuendo comunque la sua domanda
implicita.
Dispiaciuta per la sua coetanea, Akane le poggiò
una mano su una spalla, scotendola appena “Non demoralizzarti, Akari. Ryoga
capiterà presto o tardi qui, come al solito. Potresti
restare qui come nostra ospite ed aspettarlo, no?”
“Oh, davvero potrei, signorina Akane?! Sarebbe stupendo! Ma non vorrei
arrecare troppo disturbo…”
“Nessun disturbo! Avere una ragazza così dolce e
tranquilla in questa casa sarà senz'altro un piacere!”
“Ben detto amico Tendo!”
“Chissà che la tua presenza non faccia diventare
anche Akane più tranquilla e docile.” Quella frase
pronunciata avventatamente da Ranma con lo scopo di far sentire la loro ospite
a suo agio gli costò cara: una martellata lo spedì diretto in giardino,
dritto dritto nello stagno per gentile concessione della sua delicata fidanzata. La parentesi di
tranquillità dovuta all'arrivo di Akari poteva dirsi
definitivamente chiusa.
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Ryoga sospirò e mogiamente
si accoccolò sulla coperta datagli da Ukyo come
cuccia… Era triste e demoralizzato, oltre che stanco e provato nel fisico. Del
resto da quasi quattro mesi non sostava sotto un tetto degno di questo nome… e
poi quell'estate era dannatamente piovosa! Aveva passato più tempo trasformato
in quello stupido suino che da umano!
Alzò gli occhietti tristi
al cielo visibile dalla finestra accanto al futon di Ukyo
e grugnì disperato: perché era tornato a Nerima? Quattro mesi prima si era
ripromesso di sparire per sempre, di perdersi sul serio; aveva raccolto il
proprio coraggio ed era partito, senza voltarsi indietro. Ne aveva
avuto la forza solo perché si era detto che non l'avrebbe vista mai più…
Non doveva vedere mai più
Akane. Non dopo quello che era accaduto! E invece il suo stramaledetto senso dell'orientamento
l'aveva riportato lì, in quella città dove la sua Akane viveva… con Ranma.
Quando Ukyo aveva accennato al fatto di portarlo dai Tendo, il solo pensiero lo aveva atterrito,
semplicemente. Rivederla gli avrebbe fatto solo del male; magari non
immediatamente.
Lasciarsi stringere da lei, lasciarsi
coccolare, quello sarebbe stato stupendo, ma dopo? Cosa
sarebbe accaduto dopo? Lo sapeva fin troppo bene ed era stata quella
consapevolezza a dargli il coraggio di andarsene… Ed ora eccolo lì, accomodato
su una coperta, l'animo in subbuglio e la tentazione di scappare via a gambe
levate o meglio, si disse, a zampe
levate. In quei quattro mesi aveva imparato anche l'auto-ironia e quella l'aveva salvato più volte dalla disperazione più profonda.
Se non era ancora scappato da casa di Ukyo era per il timore di incappare proprio nel suo
peggior incubo, finendo al dojo per caso. Non lo voleva per nulla al mondo, non
doveva tornare lì e rivedere Akane… Del resto era a Nerima, nulla di più facile
che il suo orientamento bislacco lo conducesse da lei
o da Ranma, perciò per il momento aveva deciso di restare lì, di recuperare un
po' di forze e poi… e poi si sarebbe visto cosa fare.
Chiuse gli occhi e cercando di rimuovere i tristi
pensieri, si addormentò.
--- --- ---
Konatsu inarcò le fini sopracciglia, perplesso. Dove aveva già visto quello zaino e quell'ombrello?
Era uscito sul cortile alle spalle del ristorante
per posare alcune scatole vuote e aveva intravisto qualcosa di rosso brillare
quasi; curioso si era avvicinato e in un angolo aveva visto l'ombrello rosso
che illuminato da un raggio di sole aveva come mandato un bagliore.
All'ombrello era attaccato uno zaino piuttosto
grande, o forse era meglio dire il contrario; comunque,
aveva provato ad alzarlo e aveva scoperto che pesava tantissimo e persino lui,
con tutta la sua forza, aveva avuto qualche difficoltà a sollevarlo, così lo
aveva rimesso a terra. Ora continuava a guardarlo pensieroso. Lo aveva già
visto, anche se proprio non ricordava dove.
“Ehi, si può sapere quanto tempo ci vuole per
quelle scatole? Batti la fiacca, eh?” Ukyo raggiunse
il suo aiutante che quasi sussultò nel sentirla arrivare così all'improvviso.
“No, signora, il fatto è che… ecco, ho trovato
quello e mi…”
“Lo zaino di Ryoga? Cosa ci fa
quell'affare lì?”
Ecco allora di chi era! Konatsu si strinse nelle
spalle “Non saprei, signora.”
“Mmm, senti, conoscendo quel tipo
non è difficile che sia qui intorno e che si sia perso. Va' a dare un'occhiata, io intanto lo porto di sopra: se non
dovessi trovarlo, porterai anche lo zaino dai Tendo, oltre al maialino.”
Konatsu annuì e dopo un breve inchino partì alla ricerca del disperso, che in
realtà dormiva più o meno tranquillo nella camera al
piano superiore.
Con qualche sforzo, Ukyo prese lo zaino in spalla
ed arrancando quasi sotto il suo peso, lo portò nella propria camera
imprecando soprattutto nel salire le scale.
“Maledetto Hibiki! Ma che cavolo ci terrà qui
dentro?! Dei macigni per allenarsi con quella stupida
tecnica dell'esplosione?” borbottò, raggiungendo
finalmente la camera; fece per poggiare l'immane zaino che aveva in spalla,
ma il peso di questo la sbilanciò, facendola cadere a terra gambe all'aria.
“Dannazione!” imprecò, svegliando il suo piccolo
ospite che stupito osservò la ragazza massaggiarsi il fondoschiena, colpito
nella caduta, e guardare in cagnesco il suo zaino. “Non
posso tenerlo al centro della stanza, questo affare
occupa un sacco di spazio. Dovrò trascinarlo nell'armadio a muro… Uff, che
sfacchinata! Ritiro la mia offerta d’okonomiyaki, Hibiki: questo lavoraccio
vale più di una risata!”
Trascinandolo per una cinghia, Ukyo tirò lo zaino
che urtando un po' ovunque finì con l'aprirsi ed
alcune cose si sparpagliarono sul pavimento. “Oh, ecco, ci mancava solo
questa!” brontolò la ragazza che sbuffando raccolse i vari oggetti. Curiosa
osservò la borraccia, una mappa dettagliata di Okinawa (la cui vista d la fece sorridere
ironicamente), un astuccio per scrivere e alcune bandane, di quelle che Ryoga
indossava sempre.
“Che strano… ce ne sono di varie misure, grandi e –
ne prese una e la spiegò – piccole… Queste di certo non può
mettersele intorno al capo, con quel testone. Al massimo potranno andare bene
per te, P-…” il porcellino deglutì nervoso e rabbrividì
quando lei lo fissò. La ragazza batté le ciglia, poi
guardò la bandana, poi il maialino, poi di nuovo la bandana.
“No, che vado pensando? E' impossibile! Che stupidaggine! Ho perso fin troppo tempo, basta così” rimise anche le ultime bandane a posto e dopo aver spinto lo
zaino nel suo armadio uscì dalla stanza; P-chan sospirò di sollievo: per un
attimo aveva temuto che Ukyo scoprisse il suo segreto. Osservò ancora qualche
istante la porta chiusa, temendo di sentire dei passi che tornassero
indietro, poi, finalmente tranquillo tornò ad accomodarsi meglio sulla
coperta. Cinque minuti dopo dormiva profondamente.
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