Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: hibou    16/05/2017    2 recensioni
Dal testo:
L'odore acre della guerra si mescolava alla fragranza dei sali da bagno risultando quasi nauseabondo, costringendolo a fregare con più foga: non voleva più sentirlo, doveva toglierselo di dosso, annientarlo, dimenticarlo. Odiava quella sensazione, era come polvere sottile che ad ogni respiro entrava e gli si intaccava nelle vene ostruendole, sporcandogli l'anima. Doveva eliminare ogni residuo di lerciume, ogni fetore. Le mattonelle della doccia erano sabbie mobili, fanghi densi che inesorabilmente lo trascinavano a fondo ad ogni movimento. Doveva riemergere, prosciugare la palude in cui era incagliato il suo essere.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Levi, Ackerman
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rupophobia





 

 

 

Fermo davanti all'uscio, si liberò degli stivali con gesti composti e risoluti, tipici di chi non è abituato a perdere tempo. Dai corridoi del quartiere generale si sollevavano pochi rumori lontani e mormorii sommessi: sebbene li avesse visti vincitori, la battaglia era stata ardua e le vittime sempre troppe, gli animi erano ancora troppo scossi e destabilizzati per permettere chiacchiere inutili  e leggere. Aprì la porta ed entrò nell'alloggio privato portandosi le calzature appresso, percependo il mondo esterno ovattarsi man mano che il battente si accostava. Il peso del completo silenzio lo avvolse come una calda coperta, l'odore tipico delle sue stanze immacolate lo pervase facendogli girare la testa. Chiuse gli occhi, godendosi in un sospiro la sensazione di essere tornato, per l'ennesima volta, salvo. Il suo cuore vigile, però, non gli permise di lasciarsi andare oltre il tempo di un respiro che, accompagnato dalla mente complice, gli fece rammentare come lui, a differenza di tanti altri, tornasse sempre vivo. Lo stomaco gli si chiuse e un vago senso di nausea gli salì in gola, una smorfia gli si disegnò in volto sentendosi immediatamente colpevole per i pensieri e la debolezza appena provati. Sistemò le scarpe fuori dal balcone per una pulizia successiva e si diresse nella stanza da bagno, le spalle leggermente ricurve. Lo specchio sopra il lavandino rifletté uno sguardo freddo e distaccato. I vestiti erano luridi ed inzaccherati, li tolse con fastidio e velocemente, cestinandoli senza troppe cerimonie: non avrebbe nemmeno provato a lavarli, non voleva tenere nulla che appartenesse a quella giornata. Accese il getto dell'acqua e si infilò senza troppi preamboli nella doccia, una sferzata gelida lo investì facendolo rabbrividire e i muscoli si irrigidirono. Un sospiro gli scivolò tra le labbra quando percepì la temperatura alzarsi e con slancio afferrò la spugna poggiata su un ripiano accanto, iniziando ad insaponarsi.
Si sentiva terribilmente sporco, impregnato fino al midollo di polvere e fango. Frizionò con energia le braccia, godendo del liscio contatto del sapone sulla pelle. Il vapore generato dall'acqua calda occupava l'aria come una nube che promette tempesta, gli ricordava il sangue titano che, imperterrito, aveva continuato ad evaporare dal suo corpo per tutto il tragitto dal campo di battaglia. Il suo fisico era bianco e intatto, non una goccia di efflussi nemici e non una ferita imbrattavano il suo candore, eppure le sentiva bruciare quelle cicatrici fantasma, pulsare sotto la cute; passò la morbida schiuma sul petto e gli sembrò corrosiva come un acido, i muscoli la assorbirono e la sentì pungere negli organi interni, ferire i polmoni, il fegato, il cuore, circolare insieme al sangue ed irrorargli ogni cellula, ogni fibra del suo essere. Il profumo del detergente era pungente alle narici e sperò con tutto se stesso che potesse rimuovere il lerciume da ogni anfratto interno ed esterno del suo corpo. Frizionò con energia le mani, le gambe, i piedi, l'addome: la pelle rossa disturbata dal contatto. Passò la spugna sulla schiena, sul viso. Più la cute si arrossava, più lui strofinava, insisteva, raschiava quello sporco immaginario che sentiva vivo in tutto il suo essere, vedeva sangue invisibile scorrere dai suoi nervi tesi, lungo la linea dei suoi fianchi e finire negli anfratti sconosciuti dei tubi di scarico, in profondità nel terreno. L'odore acre della guerra si mescolava alla fragranza dei sali da bagno risultando quasi nauseabondo, costringendolo a fregare con più foga: non voleva più sentirlo, doveva toglierselo di dosso, annientarlo, dimenticarlo. Odiava quella sensazione, era come polvere sottile che ad ogni respiro entrava e gli si intaccava nelle vene ostruendole, sporcandogli l'anima. Doveva eliminare ogni residuo di lerciume, ogni fetore. Le mattonelle della doccia erano sabbie mobili, fanghi densi che inesorabilmente lo trascinavano a fondo ad ogni movimento. Doveva riemergere, prosciugare la palude in cui era incagliato il suo essere. Con stizza si frizionò i capelli, quasi tirandoseli, provando dolore, rabbia, sconforto per quel mondo sudicio e spietato che giorno dopo giorno gli aveva imposto di essere forte, di dover lottare, avere responsabilità che richiedevano decisioni e scelte sempre troppo grandi, difficili, ingiuste. Essere il più potente, combattere e difendere l'umanità, intere società composte da persone che non conosceva e che disprezzavano il lavoro del corpo d'esplorazione e non poter fare nulla quando a soccombere erano i pochi umani a cui avrebbe rivolto l'intera protezione. E poi tornare, sempre, vivo e con una zavorra lercia più pesante sulle spalle.
Lanciò con stizza la saponetta contro il muro, la vide spezzarsi e finire arenata in un angolo. Poggiò la testa alle fredde mattonelle della doccia, gli occhi chiusi e il respiro affannato. Lasciò che l'acqua gli massaggiasse le spalle, la pelle scorticata, che gli lavasse via i pensieri, gli incudini dal cuore, che risucchiasse la palude ai suoi piedi e lentamente si sentì affiorare in superficie. Nessun odore solleticò le sue narici se non il profumo vellutato del bagnoschiuma, le invisibili cicatrici si richiusero e più nessuna goccia di sangue osò zampillare lungo le curve del suo corpo. Il contatto fluido con l'acqua rilassò l'epidermide disturbata e trasportò, insieme agli ultimi residui di schiuma, gli istanti di desolazione che prepotentemente avevano cercato di affluire all'esterno. Abituato da tempo, si ricompose e riprese il controllo di sé, alzando lo schermo protettivo ed impenetrabile che lo separava dal resto del mondo. Se molti commilitoni lo avessero visto in quello stato avrebbero stentato a riconoscerlo, abituati a vederlo freddo e vigile in ogni occasione, il più forte dell'umanità, un esempio per le reclute e i gradi inferiori: nessuna piega solcava il suo viso quando le cose si mettevano male, nessun sentimento interferiva nelle decisioni, niente di privato poteva contrastare il suo esito in battaglia.
Era il pensiero comune, quello in cui tutti credevano fermamente e a cui si aggrappavano con affanno: per quanto critiche potessero essere le condizioni, c'era sempre il Capitano Levi a mantenere il decoro e la lucidità opportuna in battaglia.
Non quel giorno, però. Aveva permesso alle sue ombre di apparire, aveva spostato la corazza e una piccola fessura era rimasta aperta: aveva lasciato che i sentimenti e le paure trapelassero, decidessero per lui, per il suo bene. Aveva permesso all’uomo di apparire alla luce del sole. Era la decisione giusta per il bene dell’esercito, dell’umanità, si era ripetuto più volte sul campo. O per il suo?
Afferrò l’asciugamano e si cinse la vita, fece un passo nel bagno e lo scalpiccio dei suoi passi echeggiarono nella stanza vuota. Si guardò allo specchio, i ciuffi bagnati a circondargli il viso e le occhiaie pesanti ad incorniciare lo sguardo spento.
Comunque sia, la decisione era stata presa, non si poteva tornare indietro, come sempre.
Un passo avanti per l’umanità, forse. Ma una vita in meno sicuramente. 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N.d.A.:

 
Da wikipedia:

 “La rupofobia (dal greco ῥύπος, rùpos, «sudiciume») è la paura dello sporco, una fobia ossessiva. Il soggetto che ne è vittima compie ripetutamente l'atto della pulizia su se stesso (ad esempio il lavaggio continuo delle mani) o sull'ambiente che lo circonda (ad esempio la casa).
La rupofobia è un disturbo di ansia che rivela, secondo l'interpretazione psicoanalitica, che non riusciamo a sopportare le nostre mancanze, "ombre" (Jung), cioè le parti "nascoste" di noi; nel rito della pulizia cerchiamo, pertanto, di sbarazzarcene.”

 
…riconoscete per caso qualcuno? ;)

 

 Amo le introspezioni e mi sono sempre divertita molto a scriverne.
Ho scritto questa storia con un contesto chiaro in mente (quindi no, non parlo di una battaglia a caso) e delle allusioni specifiche disseminate nel testo, ma man mano che procedevo nella stesura ho iniziato ad ampliarne il senso perciò non mi sento, alla fine, di indicare un momento o un pairing specifico in cui collocarla in quanto penso sia molto versatile.
Ma, se qualcuno di voi dovesse aver captato qualcosa, sarei molto contenta di sentirne il parere. ^^
Purtroppo la sottile arte dello scrivere tra le righe non mi appartiene, ma è con la pratica che si ottengono miglioramenti!
Un grazie di cuore,

hibou.

  
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