Sugli
alberi le
foglie
Erano
giorni che nella testa vorticava un uragano di pensieri: quella
mattina, gli
stessi ritennero più efficace attirare
l’attenzione includendo nella roteante
danza anche il capo, sicché anche il compito più
semplice quale chinarsi a
terra per raccogliere le scarpe le causava vertigini tali da doversi
aggrappare
alla sedia più vicina. Si svegliò con la sorpresa
della pioggia fuori la
finestra, un’aria fredda la costrinse
nell’abbraccio di un cardigan di lana ai
primi di settembre.
Nel
tragitto per andare al palazzo dell’Hokage, con
l’unica compagnia del suo
ombrello, incontrò una foglia smarrita affogata in una
pozzanghera: salutò
l’autunno con un sospiro malinconico.
Un
lobo del cervello pensava ad un uomo biondo, familiare come il palmo
della sua
mano, rassicurante come le caldi braccia di lana che
l’avvolgevano; l’altro ad
un uomo moro, inafferrabile come la polvere nell’aria,
imprevedibile come la stagione
appena accolta.
Il
cuore, dal basso, richiamava all’ordine. Promesse a
confronto, direzioni
opposte: sguardi che puntavano lontano e schiene che si allontanavano
da lei.
Spossata,
raggiunse il viale alberato che costeggiava il grande edificio, il
rumore della
pioggia che si fondeva al battito cardiaco. Colossi di corteccia in
continuo
mutamento, in primavera stendevano le braccia al sole, in inverno
piegavano la testa
alle intemperie: chi indirizzava la folta chioma a nord, chi cercava di
seguirne il tragitto senza mai riuscire a raggiungerlo, chi,
spettatore,
cresceva lentamente, senza trovare lo spazio per distendere i propri
rami. Si
fermò di colpo Sakura, la panchina di pietra alle sue
spalle.
Chissà
se nel sottosuolo si tenevano tutti per mano.
Forse
ciò che desiderava era solo il voler essere come quella
giornata d’inizio
autunno: saper far piovere mentre prima c’era il sole, saper
tingere di marrone
ciò che prima era verde, saper far appassire le foglie che
ieri germogliavano. Un
po’ come nascere bruco, riposare crisalide, morire farfalla.
Proseguì
il cammino, la pioggia negli occhi. Il calpestio
dei passi tra le pozzanghere, rosse
foglie annegate al loro interno.
325
parole.
Partorita
da pensieri passati, ripescata nel computer e adattata al mondo di
Naruto, è
forte la componente introspettiva e vago il nonsense di origine, ragion
per cui
non me la sono sentita di inserirlo tra gli avvertimenti. Non esitate a
farmi
sapere se dovesse essersi rivelata la scelta sbagliata.
Che
dire, grazie a tutti coloro che sono arrivati a leggere queste note
finali,
sono aperta ad ogni critica e consiglio. ^^
Un
bacio,