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Autore: Tigre Rossa    31/05/2017    1 recensioni
‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’
Sfioro la sua guancia per quella che, lo so, sarà per lungo tempo l’ultima volta.
Il mio piccolo mezzuomo chiude gli occhi e, perdendosi in quella carezza fugace, mi stringe la mano tra le sue, cercando di far durare quel flebile contatto il più a lungo possibile, prima che l’oblio ci separi.
‘Sai che non puoi fare una promessa simile, Thorin.’
Sussurra, la voce spezzata di chi ha smesso di sperare.
Incapace di sentirlo parlare in questo modo, gli sollevo delicatamente il mento con due dita ed aspetto che riapra esitante quei grandi occhi blu di cui mi sono innamorato.
‘Posso, invece.’
Mormoro dolcemente, affidandogli il mio giuramento.
Non lo perderò, non più, mai più.
‘Tornerò, Bilbo. Dovessi metterci mille secoli, tornerò da te.’
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Reincarnation AU-Bagginshield
Genere: Angst, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 8 – Perduto –prima parte-

 

 

 

Ci sono volte, quando mi sveglio la mattina che . . . non so per quale motivo, ma mi ritrovo con le lacrime agli occhi . . .

Il solito sogno che ho già fatto, ma che non riesco mai a ricordare, però . . .

Però . . . la sensazione di aver perso qualcosa, quella rimane anche dopo molto tempo.

 

-Your name

 

 

 

Percorro la strada quasi di corsa, sbirciando con urgenza l’orologio. Le quattro e mezza. Maledizione. Sono in ritardo, dannatamente in ritardo.

Accelero il passo, rischiando quasi di finire addosso ad una donna col passeggino e a un venditore ambulante di giornali, e non mi fermo nemmeno per scusarmi come si deve  –non che me ne vada come un maleducato senza dire niente, eh. Sussurro un ‘mi scusi’ nel momento in cui li incrocio e poi corro subitovia, quasi fossi inseguito da un branco di chihuahua arrabbiati.-.

Vengo quasi messo sotto tre volte rispettivamente da due taxi e da un tram, e per la fretta non sento nemmeno le loro certe bestemmie.

Corro fino a quando non raggiungo Oxford Street, colma di gente come sempre. Con un sospiro sollevato, giro a destra alla quinta traversa e mi addentro in uno di quei vicoletti tanto sconosciuti ai turisti e anche a molti dei londinesi veri e propri, fino a quando arrivo in una strada aperta e tranquilla.

Continuo a correre, fino a quando non scorgo, appesa alla parete verde come una bandiera vittoriosa, quell’insegna a forma di birra che ormai è diventata così familiare, e sotto di essa una figura alta e silenziosa che lo è ancora di più.

Cerco di accelerare ancora, ma il mio corpo è ormai allo stremo, e così raggiungo il locale un po’ camminando e un po’ trascinandomi, tentando allo stesso tempo di recuperare fiato per non cadere lungo disteso a terra e di non sembrare troppo patetico. Fallendo, ovviamente.

 

“Scusami.” ansimo, senza nemmeno alzare lo sguardo nel tentativo di non sembrare ancora più pateticamente esausto di quanto già sia “Ho dovuto fare da babysitter al piccolo Gimli, ma Gloin sembrava non avere alcuna intensione di tornare e . . .”

Un sbruffo divertito mi interrompe, e non riesco a trattenermi dal lanciare un’occhiataccia offesa all’alta figura tenebrosa, che mi osserva con aria divertita e sta palesemente cercando di non ridere, come se fossi un buffo spettacolo a cui non si può resistere. Indispettito, mi tiro su e cerco di assumere l’aria più minacciosa e offesa possibile, mentre ribatto freddamente  “Se è questa l’accoglienza che mi riserva dopo essermi fatto mezza Londra a piedi, d’ora in poi potrà passare i suoi pomeriggi da solo, capitano Durin.”

Thorin scuote appena la testa, mentre quegli occhi di ghiaccio spesso illeggibili brillano di divertimento e l’angolo sinistro della bocca è sollevato nel discreto accenno di un sorriso. “Le mie scuse, signor Baggins.” ribatte a bassa voce “Ma le consiglio immensamente di prendere un taxi, la prossima volta. Sembra un pulcino bagnato, in questo momento.”

Un pulcino bagnato! Ma come si permette, questo, questo . . . “Bene! Allora, se permette, il pulcino bagnato va’ ad asciugarsi a casa sua!” esclamo offeso, voltandomi come se volessi davvero andarmene via.

L’ex soldato sobbalza, seppur in modo quasi impercettibile, e subito si affretta a tornare serio “Dai Bilbo, sto scherzando. Non volevo offenderti davvero.” si scusa, staccandosi dalla parete e tormentando con le dita le sue piastrine, come fa’ ogni volta che è nervoso.

Sbruffo, per poi voltarmi nuovamente verso di lui con le braccia incrociate e lo sguardo minaccioso “Chiamami un’altra volta pulcino, e giuro che non mi vedrai mai più in tutta la tua vita.” prometto, ma col tono morbido di chi non crede davvero a quello che sta dicendo, e solo allora il viso imperscrutabile dell’altro si rasserena.

“Afferrato.” risponde, gli occhi che sorridono e mi studiano attentamente, come se temessero di vedermi scomparire se solo mi perdessero di vista per mezzo secondo.

Scuoto appena la testa e mi lascio sfuggire un sorriso divertito, passandomi una mano tra i capelli fradici, mentre ripenso per l’ennesima volta come sia assurdo ed irreale tutto questo.

 

Non avrei mai creduto che uscire con Thorin Scudodiquercia Durin potesse diventare parte della mia routine, un’abitudine quotidiana ed indispensabile.

Eppure, è così.

Alla fine di quel pomeriggio così insolito eppure così stranamente sereno, trascorso insieme tra lunghi silenzi e poche parole colme di troppo, stavo per andarmene, quando Thorin mi ha afferrato delicatamente per il polso e ha cercato con gli occhi i miei.

A voce bassa, quasi stesse mormorando una preghiera a un qualche dio lontano ed incapace di ascoltarlo, ha sussurrato due parole che per un attimo mi hanno fatto tremare dentro, come se non stessi aspettando altro, come se tutto il mio corpo e la mia anima fossero in attesa proprio di questo.

 

“Posso rivederti?”

 

Gli ho risposto di sì senza nemmeno pensarci, esattamente come la prima volta.

E ci siamo rivisti il giorno dopo, e quello dopo, e quello dopo ancora.

Da circa tre settimane, continuiamo a trovarci nello stesso posto, alla stessa ora, ogni singolo pomeriggio. Ogni volta, Thorin arriva prima di me e si ferma lì, ad aspettarmi con la schiena poggiata contro la parete di quel angolo solitario e lo sguardo fisso sulla strada, come una silente sentinella di ghiaccio. Resta lì ad aspettarmi, e appena mi vede sulle sue labbra si forma un sorriso spontaneo di cui non sembra nemmeno rendersi davvero conto. Si stacca dalla parete e mi viene incontro, sempre con quel piccolo dannato sorriso sulle labbra e gli occhi incatenati ai miei. A volte parliamo un po’, prima di iniziare a camminare, a volte quasi non ci rivolgiamo la parola fino a quando non arriviamo in quel piccolo parco e ci sediamo su quella stessa panchina. Oppure, quando ci va’, andiamo in posti diversi, qualche negozietto vintage, qualche posticino nascosto dall’aria antica, in tutti quegli angoli dimenticati di Londra che sembrano affascinare lui quanto me.

 

All’inizio era un po’ strano, e forse lo è anche ora, ma nessuno dei due sembrava volerci davvero fare caso e poi, beh, quella sensazione è svanita da sola.

Giorno dopo giorno, quella sottile tensione che avvertivamo tra noi è diminuita sempre di più, tanto che adesso si è praticamente ridotta ad un’ombra che riusciamo il più delle volte ad ignorare senza problemi.

Giorno dopo giorno, questa strana sensazione di esserci visti da qualche parte in un sogno è stata sostituita da qualcosa di nuovo, a cui non riesco a dare un nome, un qualcosa fatto di piccole confidenze e lunghe passeggiate silenziose di cui entrambi abbiamo bisogno.

Pian piano, abbiamo smesso di definirci come due sconosciuti, anche se dentro di me lui non lo è stato nemmeno la prima volta che ci siamo incontrati, nel modo più assoluto, nonostante non riesca a comprenderne il perché.

Stiamo diventando. . . cosa? Amici, forse. O forse è troppo presto per poter usare una parola così grande. Ma non saprei quale altra usare sinceramente, per cui preferisco optare per questa. Un bella parola di sicurezza, che può significare tutto e niente, e mi permette di non pensare, almeno un po’, alla sensazione che in queste tre settimane si è fatta sempre più forte, fino a togliermi con delicatezza e lento languore il fiato.

 

Non so bene come sia possibile, eppure . . . quando siamo insieme, anche per poco, anche se semplicemente camminiamo l’uno accanto all’altro senza una meta, sembra così naturale, come se dovesse solo essere così.

Come se stessimo aspettando solamente questo, poter essere insieme.

Non importa se parliamo poco o niente, se a volte finiamo semplicemente per studiarci in silenzio e stupirci di questa strana armonia nata senza che potessimo rendercene conto.  Perché è vero, tra noi è sbocciata un’armonia insolita, quasi senza che facessimo nulla. Me ne rendo conto ogni volta che lo vedo fermo ad aspettarmi e appena sente il mio passo alza subito il viso nella mia direzione. Lo vedo nel modo in cui i nostri respiri sembrano sincronizzarsi quando siamo vicini, me ne accorgo quando cerco i suoi occhi e li trovo già in attesa dei miei, come se non facessero altro da fin troppo tempo.

È come . . . so che sembra assurdo, ma è come se stessimo ricominciando qualcosa, qualcosa che si era interrotto tanto tempo prima, ma che non si è mai spezzato. Come se ci conoscessimo da una vita intera, o forse anche di più, e dovessimo solo ricordare com’era muoversi, respirare, vivere in quest’armonia che siamo incapaci di controllare.

Come se tutto questo, in qualche strano modo, fosse destinato ad accadere.

 

La suoneria bassa di un cellulare mi distoglie dai miei pensieri, giusto in tempo per vedere Thorin sbruffare, sfilare il proprio telefono dalla tasca e rifiutare con decisione la chiamata, con una veemenza e una furia tali da far credere che quel povero smartphone abbia appena insultato lui e tutta la sua famiglia. Sotto il mio sguardo confuso, spegne del tutto il telefono e con un gesto di stizza se lo lascia scivolare nuovamente in tasca, la fronte aggrottata e gli occhi improvvisamente tempestosi. Non l’avevo mai visto così, prima. E non mi piace.

 “Chi è il povero disgraziato che ha commesso l’errore di farti arrabbiare così tanto da non meritare la tua considerazione?” chiedo, tentando di strappargli un sorriso e allo stesso tempo non essere troppo invadente.

Saranno passate anche tre settimane, ma lui è comunque rimasto particolarmente riservato su ciò che gli sta più a cuore o che più lo fa soffrire. O, in generale, ciò che prova e pensa davvero. Non parla mai di quello che sente, e capire cosa ci sia dietro quella maschera di ghiaccio solamente da piccoli dettagli, senza superare quella sottile linea di confine che ha tracciato tra sé e il resto del mondo, è davvero difficile.

Per un momento Thorin non risponde, quasi non mi avesse sentito, ma poi si passa una mano sul viso, in un chiaro gesto di stanchezza, e in quel momento mi rendo conto di quanto quella maschera che si ostina ad indossare ogni singolo momento della sua giornata sia sul punto di spezzarsi.

Teso, mi avvicino un po’ a lui, incapace di vederlo così “Cosa c’è che non va? Puoi parlarmi di qualsiasi cosa, sai. Se vuoi, ovviamente.” sussurro, senza riuscire a trattenermi e oltrepassando, quasi senza rendermene conto, quella sottile linea dietro la quale sono sempre rimasto, timoroso di infrangere con un passo indiscreto quell’armonia così delicata. Ma non mi interessa, non ora, non di fronte a quello sguardo che sta gridando aiuto senza però avere la forza di trasformare il suo dolore in parole “Io sono qui. E sono sorprendentemente bravo ad ascoltare. Davvero.”

Il capitano mi osserva attentamente, con quei grandi occhi che sembrano capaci di scrutarmi l’anima, come se stesse cercando di capire se può fidarsi o meno. Se può lasciarsi andare.

Restiamo immobili l’uno di fronte l’altro per un momento quasi infinito, fino a quando Thorin non si lascia sfuggire un sospiro rassegnato e distoglie lo sguardo, stringendosi nelle spalle.

“È Dis.” mormora, tenendo lo sguardo fisso sulla strada affollata pur di non dover sostenere il mio “Avrei una seduta in questo momento, ma gli ho dato buca come al solito. E ovviamente ora è furiosa.” Lo dice come se fosse una cosa scontata, di poco conto, ma è chiaro da quella vena che gli pulsa sul collo come se fosse sul punto di esplodere che non lo è, non lo è affatto.

“Una seduta?” ripeto, un po’ confuso  “Vai da uno psicologo?”

Un altro sbruffo, questa volta più profondo e amaro “Dis lo vorrebbe. È convinta che io soffra di qualche disturbo post traumatico.” Adesso l’amarezza nella sua voce è palese, e non tenta nemmeno di nasconderla “Ha pagato un specialista di sua conoscenza per seguirmi, ma non mi sono presentato nemmeno a una seduta. Non ho bisogno di uno strizzacervelli che continui a dirmi che sono al sicuro, che va tutto bene e che devo solo abituarmi a questa vita. Ma a quanto pare, la mia cara sorellona è incapace di accettarlo.”.

Oh. Inizio a capire, ora.

Faccio un altro passo nella sua direzione, incerto su quanto possa osare “Dis è solo preoccupata. Lo so che è una frase banale, ma è tua sorella, ha il diritto e il dovere di preoccuparsi per te e prendersi cura di te. O almeno di provarci.” dico con attenta prudenza, cercando di non far crescere la sua rabbia e la sua irritazione ancora di più, e quando non ottengo da lui alcuna reazione se non il puro silenzio, aggiungo “E poi, uno psicologo non ti direbbe mai qualcosa del genere. Cioè, forse uno di quelli che non ha la benché minima idea di come fare il suo lavoro sì, ma un vero psicologo no.”

Thorin fa un sorrisetto sarcastico, come se le mie parole gli sembrassero assurde al limite del ridicolo “Come lo sai?” ribatte, molto semplicemente.

Esito prima di rispondere, incerto su cosa e quanto dire. Non mi piace parlare di quella parte della mia vita, non mi piace nemmeno pensarci, ma . . .

“Sono dovuto andare da uno di loro per parecchio tempo, quando ero ragazzo.” butto fuori alla fine, non senza un pizzico di amarezza.

Questo sembra catturare l’attenzione del capitano, perché i suoi occhi di ghiaccio saettano verso di me e restano in silenzio a studiarmi, quasi a cercare una conferma di quell’ammissione e della sua veridicità, ed è tutto ciò di cui ho bisogno per continuare a parlare.

Mi stringo nelle spalle “All’inizio ero della tua stessa idea e non volevo averne nulla a che fare, ma poi mi sono reso conto che non era così. Non sono come nei film, sai, quegli strizzacervelli odiosi che ti entrano in testa e non fanno altro che confonderti di più le idee. Sono più come degli amici con cui confidarti, o meglio degli sconosciuti a cui poter dire qualsiasi cosa e sapere di non essere mai giudicato. Ed è una cosa buona, per superare un trauma, ma anche solo per sfogarsi e buttare fuori tutto quello schifo che ci si porta dentro, parlare e aver qualcuno con cui farlo. Anche se si tratta solo di stupidate, anche se è una cosa che a te sembra senza senso.”

I ricordi di quei giorni ritornano forti e travolgenti come una marea, ma mi affretto a  reprimerli e a cacciarli indietro, come ogni singola volta, prima che possano arrivare abbastanza in profondità da farmi male.

“Non mi ha guarito, ma mi sono reso conto che nessuno può davvero guarire dalle proprie ferite. Può solo imparare a sopportare il dolore, accettare i propri fantasmi ed andare avanti.” continuo, sostenendo con decisione quegli occhi di ghiaccio che sembrano pronti a tutto, tranne lasciare andare i miei “Ma mi ha aiutato molto, alla fine. Parlare, intendo. O anche solo passare del tempo con qualcuno. E credo che potrebbe aiutare anche te, almeno un po’.”

Thorin resta in silenzio per pochi secondi che però sembrano senza fine, il viso severo che mi studia attentamente come se fossi una qualche sorpresa inaspettata e un po’ buffa. Poi, lentamente, le sue spalle si rilassano e qualcosa, in quei grandi occhi di ghiaccio, torna a brillare.

“Non ho bisogno di uno sconosciuto per questo.” sussurra molto semplicemente, come se si trattasse di qualcosa di così ovvio da non meritare nemmeno di essere confermato a voce “Ho te.”.

 

Sento distintamente il mio cuore smettere di battere  a quelle parole per un lungo, inaspettato momento, e prima che possa riprendermi Thorin sorride con una semplicità e sincerità così disarmanti e si avvicina a me di un altro passo, tanto che posso quasi sentire il suo fiato caldo sul mio viso, e allora trattenere il respiro viene naturale e, e . . . Dio, sto per morire di infarto, me lo sento!

 

“Allora, vogliamo andare?” chiede con un altro piccolo e mortale sorriso, facendomi cenno verso la strada con aria del tutto innocente, come se non mi stesse per far letteralmente esplodere il cuore nel petto.

Mi costringo ad annuire per evitare di dire qualcosa di certamente imbarazzate e terribilmente stupido, e solo quando si gira ed inizia a camminare riesco a lasciare andare un profondo respiro, forse non completamente di sollievo.

 

Ok, infarto scongiurato, per il momento.

Ma, dannazione, come può dire una cosa del genere, così assurda, così letteralmente sconvolgente, e poi comportarsi come se fosse la cosa più naturale del mondo? E soprattutto, come può Thorin Scudodiquercia Durin portarmi praticamente alla morte solo con uno sguardo e qualche parola sussurrata con un sorriso?

 

Come può avere un simile effetto su di me, questo stramaledetto capitano dagli occhi di ghiaccio?

 

Mi affretto a seguirlo, tentando di calmare il cuore che ha ripreso a battere come un pazzo, e cercando di non pensare a quanto quelle parole mi suonino familiari, terribilmente familiari.

 

‘Non ho bisogno di nessuno. Ho te.’

 

 

 

o0O0o.

 

 

E’ un pomeriggio grigio sul punto di finire quando, tornato dall’ennesima passeggiata con Bilbo, mi infilo in casa senza far rumore e mi ritrovo Kili steso in camera mia, con l’aria annoiata e una rivista di moto in mano.

“Kili? Cosa ci fai qui?” chiedo confuso, togliendomi la giacca di pelle dalle spalle e studiandolo attentamente.

Mio nipote, che in un primo momento sembrava quasi non essersi accorto di me, butta con noncuranza la rivista sul materasso, salta in piedi come una molla e mi rivolge un inquietante sorriso a trentadue denti, molto simile a quello di uno squalo prima di divorare la propria preda.

“Ti stavo aspettando.” dice soltanto, e  il suo sorriso si fa, se possibile, ancora più grande “Allora zietto, come sta andando?”

Aggrotto la fronte, mente butto la giacca su letto ora libero “Come sta andando cosa?”

“Come cosa?” fa, sembrando sinceramente sorpreso, per poi assumere un’aria complice “Dai, non fare il finto tonto con me. Lo sai benissimo.”

“Non so proprio nulla.” ribatto freddamente, non sapendo dove voglia arrivare a parare, o forse preferisco fingere di non saperlo. In fondo, conosco fin troppo bene mio nipote.

Kee incrocia le braccia, studiandomi con aria attenta per poi ribattere dopo un lungo silenzio “Sono più di tre settimane che continui a vederti con Bilbo ogni singolo giorno.” mi ferma prima che io possa anche solo aprire bocca per negare, alzando la mano in un gesto annoiato “E non dirmi che non è lui, lo so benissimo. Ho le mie fonti.”

Mi lancia un lungo sguardo indagatore, come in attesa di qualcosa, di qualsiasi cosa.

 

Ecco, lo sapevo. Come ho detto, conosco mio nipote. E so cosa vuole sapere.

Ma non ho alcuna intenzione di parlare di Bilbo, sopratutto non con lui.

Così, decido di fare la cosa che mi viene meglio.

Il mio sguardo si fa’ indecifrabile e lascio che il mio volto diventi di pietra, come se fosse una cosa di poca importanza. Ma non lo è. Per niente.

Bilbo è tutto, tranne che insignificante.

 

“Quindi?”

“Quindi?” ripete incredulo, per poi allargare le braccia in un gesto plateale “Zio, tu non sopporti le persone! Ti è appena sopportabile vedere tutti i giorni il mio bel faccino e quello un po’ meno bello di Fili, figuriamoci stare con una persona praticamente sconosciuta per più di cinque minuti!” esclama, per poi continuare con un tono più basso e controllato, come se stesse pesando le sue stesse parole “Eppure continui ad uscire insieme a lui ogni giorno, e ogni volta che torni a casa dopo essere stato con lui gli occhi ti brillano.”

 

Vorrei negare, lo vorrei davvero, ma non posso.

Ho chiesto a Bilbo di poterlo vedere ancora, dopo quella prima volta, incapace di lasciarlo andare, incapace per qualche motivo anche solo di pensare di lasciarlo andare.

Continuo a cercarlo ancora dopo settimane, e solo la sua presenza mi rasserena abbastanza da tornare a casa ad affrontare il silente calvario che è diventata la mia vita.

E quando torno, tengo stretto a me con forza il riflesso dei suoi grandi occhi blu scuro e di quel sorriso timido e luminoso, e tutto diventa più sopportabile.

Kili non ha torto, e lo so bene. Ma non ho alcuna intenzione di ammetterlo.

Né a lui, né a me stesso.

 

“Bilbo non è una persona praticamente sconosciuta.” ribatto d’istinto, per poi affrettarmi ad aggiungere con tono duro “E hai ragione, mi è appena sopportabile vedere te, e se vuoi che sia ancora così ti conviene sparire prima che gli anni sul campo ritornino a farsi sentire.”

Kili ridacchia, come se gli avessi appena raccontato una barzelletta stupida “Dai, non fare il capitano tenebroso e senza cuore.” fa, tirandomi un leggera gomitata, ben attento però a non farmi male “Confidati col tuo nipotino preferito.”

“Tu non sei il mio nipotino preferito.” ribatto, e il ragazzo si tira indietro, guardandomi scioccato.

“Cosa, preferisci Fili a me?” chiede inorridito, e nell’annuire non riesco quasi a trattenere una smorfia divertita. Quasi. “Decisamente.”.

Si porta le mani al petto, come un attore tragico offeso a morte “Argh, questo è un colpo al cuore.” esclama con voce grave, senza alcuna difficoltà a fingersi sconvolto “Come puoi preferire quel damerino del mio fratellone a me?”

“Ho molte ragioni.” rispondo, imponendomi di non sorridere alla sua faccia traumatizzata “Ad esempio, lui non mette su discussioni insensate e pretende che gli dia’ credito.”.

Kee fa un sorrisetto colpevole “Touchè. Ma questa non è una discussione insensata.” aggiunge poi, tornando serio “Zio, tu sei la persona meno amichevole del mondo, eppure da quando hai conosciuto Bilbo –o meglio, da quando vi siete chiariti, visto che la prima volta stavate per saltarvi addosso- sei . . . diverso. Più sereno, calmo, e hai ripreso a scherzare come facevi prima . . .”

Si ferma, non sapendo come andare avanti, ma non c’è bisogno che continui a parlare per capire.

Prima dell’incidente.

“Prima.” ripete, come se bastasse, e forse è così.  “E non pensare che sia solo una mia fantasia, perché ce ne siamo accorti tutti. Quando sei tornato a casa, mesi fa, sembravi il fantasma di te stesso. Eri completamente inerme, e solo io e Fili riuscivamo a farti tornare te stesso, ogni tanto, ma per poco, troppo poco.”

Gli lancio uno sguardo sorpreso, non aspettandomi che il più piccolo e spensierato dei miei nipoti fosse consapevole dell’enorme potere che questi due diavoli travestiti da ragazzi hanno su di me.

Kili accenna un sorriso, come se si aspettasse la mia sorpresa, e poi riprende a parlare, con il tono più consapevole e dolce che io gli abbia mai sentito usare “Invece, da quando è arrivato Bilbo, sembri ogni giorno di meno quel fantasma, e ogni giorno di più te stesso. Sembri sempre di più il vecchio Thorin, quello zio che ci raccontava le storie prima di andare a dormire e ci faceva vincere quando facevamo la lotta. Riesce a farti sorridere come non hai mai sorriso prima con nessun altro.”

Esita, come se gli costasse ammettere che qualcun’altro oltre a lui e alla mia famiglia possa essere la causa dei miei sorrisi, per poi aggiungere con un sorriso ancora più grande, un sorriso spontaneo e genuino che sembra provenire dagli anni passati, quando tutto era più semplice e nessuna cicatrice era ancora abbastanza profonda da fare male “Non so come o perché, ma Bilbo ha la capacità di far riemergere in te qualcosa che credevi perduto tanto tempo fa.”

 

Bilbo ha la capacità di far riemergere in te qualcosa che credevi perduto tanto tempo fa . . .

 

Quelle parole in qualche strano, incomprensibile modo, mi turbano. Vanno in profondità, quasi volessero dire qualcos’altro, quasi il loro vero senso fosse un altro, e la mia anima l’avesse già capito ma non volesse ammetterlo nemmeno a se stessa.

 

La mia mente corre d’istinto ai suoi occhi profondi che mi hanno strappato dalla morte e a quel sorriso che ormai saprei riconoscere tra mille.

Risento sulla mia pelle quella strana emozione che ho provato quando l’ho visto la prima volta, quella sensazione di stupore e di sollievo, e quel pensiero, spontaneo ma non colto del tutto, nato dal profondo del mio cuore.

Ti ho trovato.

 

Qualcosa che credevo perduto da tempo . . .

 

Che cosa ho perduto tanto tempo fa, e Bilbo sta facendo tornare alla luce?

 

Che cosa?

 

 

o0O0o.

 

Thorin tormenta le sue piastrine con le dita, mentre i suoi occhi di ghiaccio studiano con attenzione tutte le persone nel piccolo parco, quasi stesse cercando una preda rara e difficile da catturare.

È una bella giornata soleggiata, e siamo venuti a trascorrere il tempo nel nostro solito parco, questo pomeriggio più affollato del solito, probabilmente grazie al sole che sembra quasi annunciare una primavera spesso fin troppo lontana. Bambini di tutte l’età corrono ridendo tra l’erba, seguiti dagli sguardi ansiosi dei genitori e da quelli dolci degli anziani, inteneriti da tanta spontanea spensieratezza che ormai da tempo hanno perduto. Chissà quanto tempo è passato da quando hanno visto un bambino sorridergli . . .

Mi costringo a distogliermi da simili pensieri e mi rivolgo a Thorin, che sembra ancora completamente preso dalla sua ricerca silenziosa. “Allora?” chiedo, passandomi una mano tra i capelli “Dai, scegli qualcuno.”

Nessuno di noi aveva voglia di parlare granché oggi, e così questo numero insolito di persone sconosciute mi ha spinto a proporre al silenzioso capitano un gioco che di solito faccio da solo, ma che forse è mille volte più divertente se condiviso. Anche se, lo ammetto, spiegarglielo la prima volta è stato abbastanza imbarazzante. Fin troppo, forse.

L’ex soldato si stringe nelle spalle, per poi osservare per mezzo minuto una figura a qualche panchina di noi, con in braccio un bimbo piccolissimo e lo sguardo fisso fisso sui bambini che vanno e vengono dalle altalene. “Quella signora?” propone, alla fine, finalmente convinto della sua scelta.

“Uhm . . .” la studio attentamente, felice di riconoscere in lei una delle poche frequentatrici abituali di questo parchetto. È bella, non troppo alta, con corti capelli biondi e un viso dolcissimo, da mamma. Sorrido, perché non ho davvero bisogno di giocare eccessivamente con la fantasia, questa volta.  “Ha quattro figli, si è sposata giovanissima, forse subito dopo essere rimasta incinta la prima volta. Amava alla follia suo marito, e anche se è morto non riesce né vuole dimenticarlo. È molto gentile, ha un forte istinto materno, ama i cani ma non può permettersene uno.” affermo con sicurezza, incrociando le braccia e lanciando a Thorin uno sguardo vittorioso, per vedermi restituire soltanto un’espressione dubbiosa e un po’divertita.

“Si può sapere come fai ad inventarti cose così assurde?” borbotta con un mezzo sorriso, scuotendo la testa come ogni singola volta che giochiamo a questo gioco.

Osservare le persone e indovinare la loro storia e il loro carattere; non è propriamente un gioco, ma più un esercizio di scrittura che facevo quando ero alle prime armi e dovevo imparare a vedere la realtà e descriverla nelle mie storie. Col tempo, però, è diventato più un passatempo divertente che altro e un pomeriggio di una, forse due settimane fa, una volta che ho visto Thorin particolarmente giù di morale, è stata l’unica cosa che mi è venuta in mente per strappargli un sorriso. Ha funzionato, e nonostante lui rida sempre di quello che dico abbiamo continuato a farlo, all’inizio quasi per noia, ed ora è diventata una di quelle buffe e strane abitudini che si stanno pian piano creando tra di noi.

Sbruffo, fingendomi offeso, e forse essendolo davvero un pochetto “Io non invento nulla.” ribatto per quella che è forse la quattordicesima volta “Osservo le persone e immagino come sarebbe la loro storia se fossero dei personaggi di un libro. Da lì, parto a immaginarne una sorta di scheda, con tutte le loro caratteristiche e la loro storia, e beh, esce davvero da sé.”

“In pratica, inventi.” ripete di nuovo il capitano, gli occhi che brillano come ogni volta che mi prende in giro. Un’altra cosa che sta diventando un’abitudine, tra noi, ed una delle poche a piacermi poco o niente.

“Uffa.” alzo esasperato gli occhi al cielo, per poi indicargli con un cenno della testa la donna dai capelli biondi  “Senti, osserva bene quella signora. Viene qui tutti i giorni, accompagnando due gemelli dai capelli ricci e un bimbo piccolo dai capelli neri neri, e a volte è anche in compagnia di un adolescente un po’ in carne. Tutti e quattro le somigliano molto, quindi probabilmente si tratta dei suoi figli, e da come li guarda e si comporta con loro si vede subito che è una persona dal cuore buono. In più è molto giovane, quindi doveva essere appena una ragazza quando ha avuto il figlio più grande. Spesso gioca con i cani randagi che girano per il parco e gli porta del cibo da casa, ma nonostante li adori non può portarsene via nemmeno uno, altrimenti lo farebbe subito.” spiego tutto d’un fiato, ripetendo soltanto quello che ho osservato nelle settimane precedenti e ho potuto capire con appena un pizzico di attenzione.

Il soldato mi ascolta ed osserva a sua volta con attenzione la signora, rendendosi conto che in effetti le mie idee non sono completamente campate in aria. Resta in silenzio per un lungo momento e poi chiedo, il tono di voce appena più basso del solito, quasi non volesse dire quello che sta per dire “E la storia del marito?”

Mi mordo le labbra, incerto su cosa dire. Non avrei voluto spiegare questa parte, essendo effettivamente più che altro guidata dall’istinto che dall’osservazione, ma poi, come per ogni sua singola richiesta, cedo.

“Guardala bene.” mi sfugge un piccolo sospiro che nemmeno mi ero accorto di aver trattenuto fino a quel momento, e allora mi affretto ad andare avanti, seppur ogni parola pesi come un macigno.

“Quando non è con i figli ha sempre lo sguardo triste, e continua a tormentare quella catenina che porta al collo ed a cui è infilato un anello.” Quasi senza rendermene conto mi porto una mano al collo, come se anche io stessi indossando qualcosa di molto simile, e per un attimo ho un momento di smarrimento quando le mie dita non trovano niente.

Continuo, cercando di ignorare quella strana sensazione “È una fede, e anche lei ne indossa una identica, ma molto più piccola, tanto da andarle stretta. È ovviamente del marito morto. Se si fossero solo lasciati, lei non porterebbe né la sua fede né quella di lui. A volte, quando i suoi figli giocano insieme e non possono vederla, li guarda con intensità e si asciuga gli occhi, per poi baciare l’anello che porta al collo e raggiungerli. Evidentemente amava davvero tanto suo marito, e anche se è morto non riesce a dimenticarlo e il suo unico sollievo sono i bambini che le ha lasciato. Che devono essere tutti suoi, perché se osservi bene lei ha degli intensi occhi verdi, mentre i ragazzi hanno tutti dei chiarissimi occhi azzurri. Quando li guarda, rivede lui e si sente più serena, come se tutto potesse andare bene”.

Mi fermo un momento, e cerco con lo sguardo i due gemellini della donna. Due autentici combinaguai con l’argento vivo addosso, e che non somigliano per niente al bimbo sereno che stringe tra le braccia o al calmo ragazzo che ogni tanto bada a loro, ma hanno nei visi vispi un qualcosa della madre, qualcosa che ricorda tempi più felici e sereni. Nel complesso, sono una bella famiglia, incasinata forse, ma molto bella. Sorrido, un sorriso appena accennato, che si spegne mentre pronuncio le parole successive.

“Ma poi si rende conto che niente può andare davvero bene, che lui non tornerà più, mai più, e si sente precipitare. Per questo porta sempre con sé quell’anello, per avere un qualcosa, un qualunque qualcosa che la faccia sentire vicina al suo amore perduto.”

La voce mi si spezza sulla fine e devo chiudere gli occhi, mentre sento le mie mani iniziare a tremare senza che possa fermarle e una serie di immagini, senza senso né ragione, scorrermi davanti gli occhi chiusi, dolorose come pugnalate.

I miei palmi sporchi di sangue, sangue che continua a restarmi incollato addosso anche una volta che l’ho lavato via, sangue che continuo a vedere ovunque sulla mia pelle sporca di morte.

Una ghianda stretta nella mia mano come un amuleto, mentre singhiozzi incontrollati mi sfuggono dalle labbra.

Gli occhi azzurri di un bambino dai riccioli neri, occhi che mi ricordano quelli di qualcuno perduto tanto, troppo tempo fa . . .

 

‘Perché stai piangendo, zio Bilbo?’

 

Forse resterei intrappolato in quel pallido e malinconico fantasma ancora a lungo, se un lieve tocco gentile non mi raggiungesse nel baratro in cui, lo sento, sto precipitando.

Riapro gli occhi, seppur facendo quasi violenza contro me stesso, e Thorin è al mio fianco, la sua mano ferma attorno alla mia spalla, come un appiglio capace di tenermi legato alla realtà e allontanare tutti i miei spettri senza forma.

Cerco d’istinto il suo sguardo, e dietro a quelle iridi di ghiaccio che spesso simulano totale indifferenza c’è qualcosa di profondo, qualcosa che non riesco a comprendere, ma che in qualche modo mi calma ancora di più della sua silenziosa presenza e di quella calda mano stretta attorno alla mia spalla.

Restiamo così, in silenzio, per dei lunghi momenti, fino a quando quel qualcosa nel suo sguardo si affievolisce fino a scomparire, e il capitano si ritira, il calore sulla mia spalla sostituito improvvisamente dal vuoto.

“È . . . è una bella storia, anche se un po’ triste.”  fa’ a bassa voce, senza più guardarmi, e sembra quasi sul punto di dire altro, per poi cambiare idea ed aggiungere con tono forzatamente più leggero “Ma continua a sembrarmi assurdo il modo in cui l’hai creata.”

Sbruffo, scuotendo appena la testa e tentando di ignorare la consapevolezza di avere gli occhi umidi

“Non è assurdo.” ribatto, aggrappandomi a quella flebile possibilità di poter fingere che non sia successo niente, nonostante quella stretta dolorosa che mi stringe il cuore e non vuole saperne di svanire “Sta tutto nel saper osservare la gente e lasciare che siano i loro gesti a parlare al loro posto. È un esercizio molto utile, e quando si prende la mano è anche divertente. Spesso, quando sono fermo su un punto che non riesco a risolvere, vengo qui, mi siedo e guardo la gente, e lascio che le loro storie parlino al loro posto. Poi, torno a casa e le parole riprendono a correre di nuovo.”

L’ex soldato si stringe delle spalle “Bah, a me sembra solo un gioco molto fantasioso e molto campato in aria.” commenta, questa volta in maniera molto più naturale.

“Non è vero. Non sai quante volte ho indovinato sul serio la vita o il carattere di una persona, solo leggendola come se fosse un qualsiasi personaggio.” replico, per poi aggiungere spontaneamente e con un piccolo sorriso che mi aiuta in qualche modo a scacciare quella sensazione di perdita che non riesco a spiegarmi “Ognuno nasconde una storia, dentro di sé. Bisogna solo essere capaci di vedere, saper guardare oltre.”.

A questo punto, quasi risvegliato dalle mie parole, Thorin cerca nuovamente il mio sguardo, gli occhi di ghiaccio che incatenano subito i miei, e dalle sue labbra esce una domanda, l’ultima che mi sarei aspettato in questo momento.

“E quando guardi me, cosa vedi?”

Trattengo il fiato nel sentire quella domanda, e per un lungo momento resto in silenzio a restituire il suo sguardo, pensando quasi di aver capito male, di aver semplicemente immaginato una richiesta simile. Ma i suoi occhi sono sinceri fino all’inverosimile, in questo momento, e richiedono a gran voce una risposta.

Abbasso lo sguardo, incapace di pensare. Non so cosa dire, cosa fare . . . semplicemente, non so, e basta. Ma non posso restare in silenzio, e lasciare che quella domanda pronunciata con lo stesso tono di quel ‘Posso rivederti?’ di appena poche settimane fa resti sospesa nel vuoto.

Sento gli occhi di ghiaccio di Thorin bruciarmi la pelle, come se volessero scendere più in profondità e vedere quella tempesta che mi stanno scatenando dentro.

Riavverto quella sensazione, quella sensazione mista di dolore e pace che ho provato nel primo momento in cui l’ho visto la prima volta.

Risento la sua voce chiamarmi col mio nome per la prima volta, e poi di nuovo quella domanda, una volta, e poi un’altra, e poi un’altra ancora.

 

‘E quando guardi me, cosa vedi?’

 

Socchiudo le labbra, incerto su cosa dire, incapace di mettere in ordine i pensieri nella mia testa, incapace di formare una qualsiasi idea coerente, una qualsiasi frase di senso compiuto. Ma non posso restare in silenzio, non con quegli occhi fiduciosi che mi scrutano come se custodissi in me i segreti dell’universo.

Allora, inizio a parlare, senza sapere nemmeno quello che sto dicendo, lasciandomi guidare da quell’assurdo fuoco che mi stravolge l’anima, da quella parte di me che sembra anche in questo momento così sicura, che sembra quasi sussurrarmi sì, tu quest’uomo lo conosci, conosci la sua natura più segreta, il suo io più nascosto. Lo conosci da sempre, e sarà così per sempre.

Semplicemente, le parole iniziano a sfuggirmi dalle labbra prima che io possa rendermene conto, e non riesco quasi a fermarle, o forse semplicemente non voglio.

 

“Vedo un mistero avvolto nel dolore.” È la prima cosa che sussurro, a voce così bassa che per un attimo temo che non mi abbia sentito. Ma ha sentito eccome, e si fa inavvertitamente più vicino, come per non perdersi nemmeno un respiro. Ed è davvero tutto ciò di cui ho bisogno per continuare a parlare, di nuovo.

“Vedo un uomo dagli occhi di ghiaccio che cela un passato difficile e mai dimenticato, ma su cui è basata tutta la sua forza.” mormoro esitante, incapace di incontrare il suo sguardo “Vedo un combattente dal cuore colmo d’amore ed onore, un cuore ferito che vuole nascondere a tutti i costi per paura che riceva un ultimo colpo mortale.”

Lo sento distintamente trattenere il fiato a queste parole, ma i suoi occhi di ghiaccio continuano a bruciarmi la pelle e mi spingono ad andare avanti, la voce ancora bassa ma sempre più chiara sillaba dopo sillaba, come se stessi rivelando una realtà che conosco fin troppo bene e che ho tenuto nascosta dentro di me per davvero fin troppo tempo.

“Vedo un soldato che ha passato tutta la sua vita a combattere, un capitano con la guerra che gli scorre nelle vene. Vedo un combattente costretto ad abbandonare il campo di battaglia contro la sua volontà, ma incapace di accettare la perdita di ciò che ama di più al mondo.”

Esito e mi sento quasi mancare il respiro, prima di sussurrare, quasi con riverenza, quell’ultima frase, quell’ultima consapevolezza, quell’ultima realtà “Vedo un guerriero perduto, eppure ancora disposto a lottare e che tornerà a combattere, quando ritroverà se stesso.”.

Scende il silenzio per un lunghissimo momento, e solo adesso oso sollevare gli occhi per cercare i suoi e . . . oh.

Il viso di Thorin è pallido, ma il suo viso è straordinariamente spontaneo e sincero da star male, per una volta libero da quella maschera di sicurezza e freddezza che si ostina ad indossare. Dimostra emozioni contrastanti, stupore, tensione, imbarazzo, sorpresa . . . ma sono i suoi occhi a stregarmi più di qualsiasi cosa. Sono così colmi di vita, e di consapevolezza, e di . . . dolcezza, forse? C’è qualcosa di inaspettato nel suo sguardo, quasi non credesse che qualcuno potesse leggerlo così in profondità come un libro aperto, e comprendere quello che forse nessun altro ha davvero capito fino a quel momento. Come se le mie parole gli avessero aperto gli occhi e vedesse tutto quando, anche me, sotto una luce diversa.

Thorin si rende conto del mio sguardo e tenta i tutti i modi di simulare un po’ di controllo. Si passa una mano tra i capelli e distoglie lo sguardo, quasi imbarazzato, ma in quelle iridi fredde brucia ancora quell’infinito troppo, ed è con voce stranamente provata che mormora, quasi stesse rivelando un segreto riservato a pochi eletti “Dannazione, ci sai davvero fare con le parole, sai?”

Sorrido, un sorriso piccolo ma spontaneo, e nella mia risposta c’è l’accenno di una risata “Per fortuna, visto che la mia vita dipende dalle mie parole.” commento, quasi divertito dalla sua reazione “Sono uno scrittore, ricordi?”.

“Non è quello che intendevo.” ribatte debolmente il capitano, mentre una mano sale a stringere con forza le sue piastrine, quasi alla ricerca di qualcosa di certo a cui affidarsi “Esistono tanti scrittori che sanno descrivere una storia, un ambiente, una persona. Persone capaci di tratteggiare qualcosa nei minimi dettagli, come se stessero facendo una fotografia con le parole. Ma tu . . .” scuote appena la testa, e i suoi occhi vanno, quasi timidi, alla ricerca dei miei “ . . tu riesci ad arrivare in profondità, a descrivere quell’essenza elementare che sta alla base di ogni cosa, a far sentire qualcosa come non dovrebbe essere possibile semplicemente attraverso le parole. Eppure, tu ne sei capace. Riesci ad arrivare lì dove quasi nessuno è mai arrivato, e in modo del tutto naturale, quasi senza che te ne renda conto.”

I suoi occhi di ghiaccio intrappolano i miei, e per un attimo mi sento precipitare nella loro profondità senza fondo, e quando Thorin sorride e parla ancora, beh, il mio cervello semplicemente smette di funzionare.

“Tu riesci a farmi sentire i brividi nell’anima.”

Ed ora è il mio, di turno, di restare senza fiato.

  
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