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Autore: laylabinx    06/06/2017    3 recensioni
"Hai detto che stava bene, perché invece non mi hai detto che è stato trasformato in un moccioso?"
In cui Steve viene trasformato nel più adorabile bambino di tre anni e Bucky è totalmente, esilarantemente come un pesce fuor d'acqua.
[ Pre Age of Ultron ]
Genere: Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Steve Rogers
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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cap 1 trigger

Capitolo 5: Ninna nanna russa




James sa che qualcosa non è a posto quando si sveglia, il mattino seguente. Accanto a lui c'è un bambino di tre anni che si agita irrequieto nel letto e una sgradevole sensazione di calore proviene dal corpo del suddetto bambino di tre anni. James si ridesta del tutto nell'esatto momento in cui capisce cosa sta succedendo.

Steve è sveglio ma ne farebbe volentieri a meno, il corpicino ancora appallottolato nelle lenzuola. Continua a muoversi e spostarsi, perché c'è ovviamente qualcosa che lo disturba, e di tanto in tanto si lascia scappare un brontolio infelice. Il suo viso è arrossato e i grossi occhi azzurri sono lucidi. Sono i segni di una verità innegabile: Steve ha la febbre.

James si solleva su un gomito e si china su di lui, posando la mano destra sulla fronte di Steve. Il calore che riesce a percepire gli strappa una smorfia corrucciata; Steve sembra andare in fiamme, come una piccola fornace. Impreca sottovoce e si mette a sedere, tirandosi in grembo il piccolo Capitano.

«Ehi, ragazzino, quando hai deciso di ammalarti?» domanda tra sé mentre continua a tenere le lenzuola avvolte intorno al corpo di Steve. Steve non risponde e si limita a premere il viso contro il collo di James, che già avverte l'ansia stringergli un nodo intorno allo stomaco perché Steve sembra scottare pericolosamente. Tiene il piccolo in braccio e si dirige nell'altra stanza in cerca del telefono più vicino.

Lo trova sopra un tavolo e lo afferra al volo, scorrendo tutti i numeri in memoria finché visualizza quello che gli serve. Inoltra la chiamata, poi si incastra il telefono contro l'orecchio intanto che continua ad accarezzare la schiena di Steve con l'altra mano. Il piccolo Capitano si contorce per sistemarsi in una posizione migliore e stringe una manina intorno alla maglietta di James.

Il telefono suona un paio di volte prima che qualcuno dall'altra parte risponda. «Che succede, Barnes?»

«Clint?» chiede James sorpreso; potrebbe giurare di aver chiamato l'interno di Bruce. «Dov'è Banner?»

«Bruce al momento è nel suo giardino zen, a diventare tutt'uno con la natura e incanalare Buddha e non so quale altra stronzata hippie,» risponde Clint e James può immaginarselo muovere le mani per aria. «Vuoi lasciargli un messaggio?»

«Steve sta male,» dice James senza mezzi termini e intanto raggiunge il bagno per rovistare nel cassetto accanto al lavandino, in cerca di una salvietta. Fa scorrere l'acqua e inumidisce per bene la pezzuola, strizzandola per bene prima di passarla sul viso arrossato di Steve. Il piccolo piagnucola e cerca di sottrarsi ma alla fine si arrende.

«Merda,» mormora Clint, la voce di colpo seria. «Che è successo?»

«Non lo so,» dice James, ancora impegnato a tenere la pezzuola premuta contro la fronte di Steve. «Ieri sera stava bene ma stamattina si è svegliato con la febbre.»

«Quanto alta?»

«Parecchio,» risponde cupamente James. Se c'è una cosa che ricorda bene prima della caduta dal treno, è che Steve e la febbre erano sempre una gran brutta combinazione.

«Ok,» ribatte Clint e James può sentirlo spostarsi nella stanza. «Vado a cercare Bruce, non riattaccare.»

«D'accordo,» annuisce James, aprendo tutti gli sportelli degli armadietti in bagno. Nonostante il Siero, Steve è comunque impegnato in attività che lasciano tagli e lividi e sotto il lavandino tiene un kit di pronto soccorso ben fornito. James impiega un paio di secondi a trovare quello che gli serve. Prende il tubetto di plastica e toglie il tappo con cautela.

Il termometro non assomiglia affatto a quelli che si usavano quando loro erano piccoli, adesso ci sono plastica liscia e uno schermo digitale a rimpiazzare vetro e mercurio. Il metodo d'uso è comunque lo stesso e James infila la punta nella bocca di Steve, poi preme il tasto di accensione. Steve torna ad agitarsi e James blocca il termometro al proprio posto.

«Stai fermo,» gli dice con dolcezza intanto che continua ad accarezzargli la schiena. «Non mordere.»

Il bambino grugnisce infastidito e si rigira un po' il termometro in bocca. Dopo alcuni secondi si sente un debole cicalio e James riprende il termometro per leggere il responso. Poi impreca di nuovo, a fior di labbra.

«James?» chiama una voce e per un attimo James sussulta, colto alla sprovvista. Si era dimenticato del telefono premuto contro il suo orecchio. «Che succede?»

«Steve sta male,» l'ex assassino ripete quello che aveva già detto a Clint poco prima. «Davvero male.»

«Clint mi ha informato,» dice Bruce con voce calma e preoccupata allo stesso tempo. «Ha detto che gli è venuta la febbre.»

«Sì, una brutta febbre,» conferma James, il termometro ancora stretto fra le dita.

«Quanto brutta?»

«Trentanove,» risponde James e può sentire dall'altra parte della linea un'imprecazione trattenuta. «Proprio quello che sto pensando io.»

«Ok,» domanda Bruce in tono più contenuto. «Oltre alla febbre ha altri sintomi? Difficoltà nel respirare? Tosse? Qualsiasi cosa?»

James guarda il piccolo Capitano stretto tra le sue braccia e lo esamina attentamente. In effetti respira un po' a fatica e la pelle è arrossata e calda, ma a una prima occhiata non sembra esserci altro.

James sta per comunicare queste informazioni quando Steve si agita all'improvviso e uno strano rumore gli esce dalla gola. Il piccolo torace si contrae e James fa appena in tempo a girarsi e inginocchiarsi di fronte al water, poi Steve vomita nella tazza. Non c'è molto da rigurgitare, dato che Steve ha l'appetito di un uccellino, però i conati lo lasciano scosso e tremante per diversi istanti dopo che sono passati. Si aggrappa forte a James e tira su col naso, sconsolato.

«Direi nausea e vomito,» mormora James a telefono mentre risistema le lenzuola intorno al corpo di Steve, cullandolo in un abbraccio.

«Maledizione... okay,» dice Bruce e si sente un vago suono di sottofondo, come se stesse scrivendo qualcosa su un foglio. «Portalo qui alla Torre e gli darò un'occhiata. Assicurati che rimanga al caldo e cerca di fargli bere qualcosa, l'ultima cosa che vogliamo è che si disidrati.»

«Sto arrivando,» replica James con un cenno della testa, poi termina la chiamata e mette il telefono in tasca. Torna in cucina per prendere una specie di succo di frutta dal frigorifero. L'avevano trovato nella corsia dei prodotti Gerber ed era stato Steve stesso a sceglierlo - con tutta probabilità per via del colore, ma chi può dirlo. In ogni caso James è disposto a tentare di farglielo bere, se può servire a evitare la disidratazione.

Infila la bottiglia di succo sotto un braccio e con l'altro continua a tenere Steve ben stretto a sé intanto che s'incammina verso la porta. Non si preoccupa neanche di chiudere a chiave (in casa non c'è niente che valga la pena rubare) però prende un appunto mentale per ricordarsi di controllare da cima a fondo l'appartamento, una volta che saranno tornati. Al momento non è il suo pensiero principale e si fionda giù per le scale e poi in strada per fermare un taxi.

OOOOO

«Guariscilo,» intima a Bruce quando finalmente raggiungono la Torre, le parole pronunciate a fatica attraverso la mascella serrata.

Ci sono voluti quasi quarantacinque minuti per attraversare la città e durante il viaggio Steve è peggiorato. Prima era semi-cosciente ma adesso è apatico e inerte, non si muove più irrequieto come faceva a casa. James è riuscito a convincerlo a bere qualcosa, anche se non abbastanza, e comunque c'era il pericolo che Steve rigurgitasse tutto. Se solo avesse avuto con sé una pistola l'avrebbe usata per minacciare il tassista e intimargli di sbrigarsi a portarli a destinazione.

Bruce e Clint li aspettavano all'ingresso e James ha subito lasciato il piccolo Capitano tra le braccia del dottore. Il fatto che Steve non si sia lamentato o non abbia protestato nell'essere separato da lui ha raddoppiato in un secondo l'angoscia di James.

Bruce risponde con un cenno d'assenso e si avvia lungo il corridoio in direzione del proprio laboratorio. Sia James sia Clint lo seguono senza dire una parola ed entrambi entrano nel laboratorio poco prima che le porte scorrevoli si chiudano.

Si fermano uno accanto all'altro mentre Bruce scompare in un angolo con Steve, ancora abbandonato molle e apatico tra le sue braccia. James deve combattere la tentazione di seguirli e proprio quando sta per muovere un paio di passi in avanti Clint, gli afferra il polso di metallo. L'arciere scuote la testa e lancia uno sguardo al laboratorio, dove Bruce è sparito. «Starà bene, Bruce sa quello che fa.»

James vorrebbe ribattere che sì, è sicuro che Bruce sappia quello che fa, però c'è Steve lì dentro ed è malato e qualcuno farà meglio a prendersi cura di lui altrimenti...

«Ma cosa è successo?» domanda Clint, strappandolo ai suoi pensieri ed evitando che prendano una piega fin troppo oscura.

James scuote la testa e torna a concentrarsi sul presente. «Non lo so,» dice sinceramente. «Te l'ho detto, stava bene fino a ieri sera ma stamattina si è svegliato caldo come una fornace.»

«Non pensi che abbia messo le mani dove non doveva, vero?» chiede ancora Clint e poi solleva le mani in aria, a causa dell'occhiataccia storta che si vede rivolgere da James. «Sto solo chiedendo. I ragazzini al giorno d'oggi lo fanno di continuo. Per la miseria, è così che metà di loro sviluppa dei superpoteri.»

Di nuovo James scuote la testa in risposta. «No, non credo. Era ancora a letto quando ho realizzato che stava male.»

«Ok,» annuisce l'arciere, stringendosi nelle spalle. «Almeno abbiamo escluso questa possibilità. Qualche altra idea?»

«No, ieri l'ho portato con me al supermercato e poi...» La consapevolezza colpisce James all'improvviso e impreca sottovoce in russo. «Cazzo, tutta quella gente... avrei dovuto saperlo...»

«Che cosa avresti dovuto sapere?» gli domanda Clint, un sopracciglio inarcato con aria interrogativa.

James sospira e si passa una mano sul viso. «Il sistema immunitario di Steve faceva schifo prima che lo trasformassero in Capitan America, si ammalava per qualsiasi sciocchezza. Se qualcuno nel raggio di cinque miglia aveva il raffreddore anche Steve finiva per prenderselo.»

«Quindi pensi che si sia ammalato quando l'hai portato al supermercato?» chiede Clint, che finalmente sembra iniziare a capire.

«Avrebbe senso,» risponde James e un'altra ondata di senso di colpa lo investe in pieno. Avrebbe dovuto ricordarselo... avrebbe dovuto saperlo...

Clint si accorge di quello che sta provando, perché gli mette una mano sulla spalla. «Non essere così duro con te stesso,» dice intanto che James si libera da quel contatto. Non lo prende come un affronto personale, comunque; il fatto che sia le dita sia il suo braccio siano ancora intatti ne è la dimostrazione. «Non è stata colpa tua.»

«Invece sì,» sbotta James d'un fiato e lo fulmina con una seconda occhiataccia storta. «Si è sempre ammalato così, avrei dovuto ricordarmelo.»

«Credo che dovresti darti un po' di tregua,» insiste Clint. «I Sovietici ti hanno fatto il lavaggio del cervello per settant'anni, se ti è sfuggito un piccolo particolare non è certo la fine del mondo. Capita a tutti di sbagliare.»

«Non quando lui è coinvolto,» replica James, lo sguardo fisso al laboratorio dove sono spariti Bruce e Steve.

Clint, rimasto a corto di obiezioni valide, si fa indietro e si siede al tavolo più vicino. È pieno di piastre di Petri e microscopi e di un sacco di altre cianfrusaglie che Bruce e Tony usano quando lavorano insieme, quindi sta ben attento a non toccare nulla; l'ultima cosa che gli serve è contaminarsi con l'esperimento della settimana e farsi spuntare un paio di pinne o roba simile.

James rimane in piedi, la schiena appoggiata contro il muro. Non si concede alcun riposo e incrocia le braccia sul petto nel tentativo di impedirsi di spaccare quello che gli capita a tiro. Avrebbe dovuto sapere che portare Steve in un posto affollato, nelle condizioni in cui si trova, sarebbe stato pericoloso per la sua salute. Avrebbe dovuto saperlo e in effetti è quasi sicuro che una parte di lui sapeva, però l'ha fatto lo stesso e ora Steve sta male. Ha voglia di prendere a pugni qualcosa ma non vuole ripagare Stark per i danni, così decide di restare in piedi ad aspettare.

Bruce riemerge dal laboratorio circa venti minuti più tardi tenendo Steve in braccio. Il piccolo Capitano non ha un aspetto migliore di quando è arrivato, anche se almeno sembra dormire sereno.

«Come sta?» domanda Clint non appena Bruce consegna il bambino al suo babysitter ufficiale.

«Direi che si tratta di un virus passeggero. Oltre alla febbre e al vomito non ha altri sintomi. I bambini prendono spesso questo tipo di microbi e stanno male di stomaco, non è niente di cui preoccuparsi,» dice Bruce, rivolto all'ex assassino. «Si sentirà abbastanza scombussolato per il resto della giornata ma dovrebbe eliminare tutto nel giro di poche ore.»

James sente che la tensione nel proprio corpo allenta la presa. «Allora starà bene?»

Bruce annuisce e sorride. «Sì, non credo sia nulla di serio. Gli ho dato qualcosa per la febbre, per aiutarlo a dormire, però vorrei che rimaneste entrambi qui in modo da tenerlo sotto controllo. Come ho detto, la disidratazione è il pericolo maggiore e restando qui alla Torre sarà più facile rendersi conto di quanti fluidi riesce a reintegrare.»

James si sistema il bambino addormentato un po' meglio tra le braccia. Steve è ancora un po' troppo caldo per i suoi gusti ma deve riconoscere che è di sicuro più calmo di quanto fosse quel mattino. Non è più irritabile o irrequieto e per il momento va più che bene.

Lascia il laboratorio e s'incammina verso il soggiorno, poi si lascia cadere seduto sul divano con Steve accoccolato in grembo. Il bambino borbotta qualcosa di incomprensibile e rimane addormentato; un angolo della bocca di James accenna un debole sorriso mentre posa la mano destra sui capelli biondi del piccolo.

La tv dall'altra parte della stanza è accesa, trasmette una partita di football. James non sa chi sta giocando né gli interessa, serve soltanto da rumore di fondo e niente di più.

Clint li raggiunge alcuni minuti dopo e si siede a propria volta sul divano, sprofondando tra i cuscini. È quieto e composto per la prima volta da che James l'ha conosciuto, segue la partita distrattamente e di tanto in tanto controlla che la miniatura di Capitan America stia bene. Sta offrendo supporto e conforto e James gliene è grato.

Il resto della mattinata passa tranquilla, il silenzio interrotto solo quando James o Bruce svegliano Steve per cercare di fargli bere qualcosa. Vomita ancora in qualche occasione e i conati lo lasciano irritabile e avvilito; si tratta di una lunga, noiosa giornata senza altri avvenimenti degni di nota e James quasi preferisce così.

La febbre inizia a scendere intorno alle due del pomeriggio e Steve si ritrova sudato fradicio, tremante in braccio a James. Non c'è nemmeno un cambio di vestiti a portata di mano - James non ha avuto la prontezza di pensarci quando ha lasciato l'appartamento, quel mattino, ed è costretto a rimediare usando una delle t-shirt di Stark. È nera con il disegno di un arcobaleno rifratto attraverso un triangolo e addosso a Steve è così grande da toccare terra. James non è sicuro di chi sia Pink Floyd ma Tony ha nel cassetto almeno altre cinque magliette con quel nome, quindi si immagina che prenderne una in prestito non sia un gran problema.

Steve piagnucola e borbotta intanto che viene spogliato dei vestiti ormai impregnati di sudore e poi imbacuccato nella t-shirt pulita. La febbre sembra essere passata e da quasi un'ora non ha più vomitato, però si sente ancora sottosopra e l'espressione sul suo viso è una chiara esternazione d'infelicità. Anche se ormai è guarito, è comunque stanco, stizzoso e in generale ridotto a uno straccio.

«Sai che se andrai avanti a fare questa faccia poi ti resterà sempre così, vero?» gli dice James nel vedere la smorfia immusonita. Steve risponde con un mugugno contrariato e non parla. James sa che è del tutto normale; ha poche memorie ben chiare di quando lui e Steve vivevano insieme eppure ricorda che Steve è sempre stato stizzoso e irritabile quando si ammalava (il che succedeva abbastanza di frequente, purtroppo).

A Steve non è mai piaciuto essere coccolato o coperto di attenzioni, a causa del suo fisico minuto, e il fatto che James sia sempre stato iperprotettivo non è mai servito a placare la sua irritabilità, anzi. Non funzionava come deterrente allora e non serve neanche adesso.

«Scusa, pulce, non parlo il borbottese,» dice James e riprende in braccio il bambino, sedendosi sul divano. Steve non cerca di divincolarsi e si lascia sistemare in una posizione più o meno confortevole. Si accoccola contro il fianco di James, la guancia schiacciata contro le sue costole e i ditini aggrappati al tessuto della sua maglia.

James gli passa le dita fra i capelli umidi e ne scosta un ciuffo da parte per controllargli la fronte. Soddisfatto nel constatare che davvero la febbre è passata continua ad accarezzargli lentamente i capelli.

Non saprebbe dire con esattezza quando inizia a canticchiare, ma ben presto una melodia appena accennata riempie lo spazio intorno a loro. Può sentire Steve appoggiarsi sempre di più al suo fianco, man mano che il sonno s'impossessa di lui. Bruce ha detto che il riposo è la cura migliore e James è determinato a fare in modo che Steve dorma il più possibile. Continua a cantare sottovoce, un braccio posato sulle spalle del piccolo Capitano per tenerlo stretto a sé.

Ricorda un'immagine simile a questa da una vita lontana anni, secoli - un momento di calma, il riposo offuscato dal fastidio della febbre e una ninna nanna. Solo che nel suo ricordo non è Steve a essere ammalato, è lui. Quella volta era lui ad aver preso un raffreddore, a essere scosso dai brividi di freddo e dalla tosse. Era rimasto lontano da Steve almeno per i primi due giorni, terrorizzato all'idea di poter contagiare il suo migliore amico. La madre di Steve l'aveva trovato mentre girovagava senza meta a un paio d'isolati di distanza da casa loro, in stato febbrile e tanto confuso da non sapere neanche dove si trovasse. Gli aveva fatto una bella lavata di testa e poi si era tolta il cappotto lungo la strada, per metterlo addosso a lui.

Non ricorda che età potesse avere all'epoca, ricorda solo che era abbastanza giovane da permettere a Sarah Rogers di caricarselo in braccio e portarlo nel piccolo appartamento nel quale viveva insieme a Steve. Non era riuscito a opporsi, anche se aveva almeno provato a protestare.

Si ricorda di averle detto di essere troppo malato per restare con loro, che sarebbe stato rischioso per Steve, eppure Sarah non gli aveva dato ascolto. Aveva risposto che era preparata a badare a entrambi e gli aveva in pratica ordinato di smettere di preoccuparsi e riposare, piuttosto. Lui aveva insistito un altro po' e Sarah aveva continuato a ignorarlo, finché la febbre gli aveva tolto qualsiasi energia e non era stato in grado di mettere insieme altre frasi di senso compiuto.

Ricorda di aver visto Steve nella stanza, appollaiato sul bordo del letto a guardarlo con occhi azzurri preoccupati. C'era una mascherina di tela stretta intorno al suo viso in modo da proteggergli naso e bocca e impedire che qualsiasi tipo di virus si trasmettesse a lui; non l'aveva mai lasciato solo un istante, non importava quanto James avesse insistito per convincerlo di star bene e di non aver bisogno che gli stesse intorno, rischiando di ammalarsi a propria volta. Steve era sempre stato cocciuto come sua madre, forse anche di più, e si era semplicemente rifiutato di andarsene.

Verso sera, quando l'aria nella stanza era diventata pesante per colpa della sua febbre e dell'unica candela rimasta accesa, Sarah aveva iniziato a cantare. Ancora adesso James non ha idea di cosa stesse cantando, cosa significasse la canzone o in che lingua fosse: Sarah stava cantando per lui ed era tutto ciò che gli servisse sapere.

Il motivo era lento e calmo, armonioso e delicato come vetro, intonato dalla sua voce dolce e vellutata. Sarebbe rimasto ad ascoltarla per sempre ma si era addormentato poco dopo, l'eco della ninna nanna ancora nelle orecchie. Steve era rimasto insieme con lui per tutto il tempo.

Quel ricordo gli fa stringere qualcosa nel petto e si lascia scappare un respiro profondo nel tentativo di scacciare il fastidio. Continua a canticchiare, domandandosi se anche Steve si ricordi così bene di quella notte.

«Cosa stai cantando?» chiede una voce e James lancia un'occhiata dietro il divano, dove c'è Clint in piedi all'ingresso del corridoio.

«È una ninna nanna russa,» risponde James mentre il respiro di Steve rimane pesante e regolare contro il suo fianco. Non sa dove l'ha sentita o quando, ricorda solo la melodia e le parole. «Si chiama Il Piccolo Lupo Grigio.»

«Allegro,» replica Clint con un mezzo sorriso. «Niente dice "sogni d'oro" meglio di una canzone che parla di lupi.»

James si stringe nelle spalle. «È simile alla ninna nanna della culla sul ramo, solo che in questo caso il bambino è sul bordo del letto e non deve sporgersi troppo o verrà un piccolo lupo grigio a portarlo via.»

Clint sembra riflettere per alcuni istanti prima di scuotere la testa, rassegnato. «Allegro sul serio, sì! Cavolo, in Russia è tutto talmente hardcore che perfino le ninne nanne sembrano canzoni metal.»

«Che ci vuoi fare... non si può essere troppo teneri se si vive in un Paese del genere,» ribatte James in tono scherzoso, anche se nella sua voce c'è una nota aspra che è difficile non notare.

«Cercherò di tenerlo a mente se mi capiterà di restare bloccato in Russia,» mormora Clint intanto che si allontana. «Non so se riuscirei a cavarmela con le mie favole della buonanotte che non parlano di lupi.»

James sorride tra sé e continua a canticchiare, con Steve ormai addormentato sdraiato al suo fianco.

 


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