“
Io continuo a studiare i cocci del nostro rapporto nella mia mente
e ad esaminare la mia vita, cercando di capire da dove è partita la crepa ”.[i]
Non avrebbero più saputo dire, ormai, qual era stata l’origine
della loro situazione attuale: forse era stata una frase detta a sproposito, o
forse un attimo di disattenzione o, ancora, un gesto fatto senza pensare
all’altro. O forse, molto più semplicemente, erano stati l’ennesima coppia
innamorata, convinta come tante altre che l’amore potesse tutto – anche guarire
i dolori mai leniti –, sfondando le porte di un altro cliché favolistico.
Poiché – e probabilmente questa era stata la cosa più difficile da accettare –
di favolistico avevano solo le sembianze, la loro storia era sempre stata un
susseguirsi di vicende mai conclusesi con un “e vissero felici e contenti”, bensì
con l’ennesimo nemico da abbattere. E chi era, in fin dei conti, il vero
nemico?
Lui, lei, loro.
Belle non sarebbe stata più in grado di individuare la goccia che aveva fatto
traboccare il vaso, aveva perso da diverso tempo il conto delle volte che si erano
dati la colpa a vicenda e dei successivi silenzi che, con arrendevole
ammissione da parte di entrambi, dicevano sin troppo.
Rumplestiltskin, d’altro canto, non era più l’uomo prima dell’Oscuro e forse
non lo era mai stato, probabilmente aveva perso quella parte di sé troppo tempo
fa e dopo anni di magia oscura e azioni malvagie, non lo voleva neppure
ritrovare. Se c’era stata una sola cosa di cui non si era mai pentito nella sua
lunga vita, era stata proprio quell’amore: l’unica probabilità che non aveva
considerato, l’eccezione al di fuori di ogni regola che si era preposto, il
lieve bagliore in un mondo che gli appariva null’altro che abissale.
C’erano stati dei momenti di felicità, pur flebili e delicati, forse
imperfetti, com’era d’altronde il simbolo del loro legame, una tazzina
scheggiata: un oggetto a primo acchito rovinato, provato dal tempo, ma di un
candore e di un’unicità singolare al mondo.
Era forse proprio quello, il loro problema – o, meglio, la crepa?
O forse era stato tutto fissato sin dall’inizio, ben prima che potessero
rendersi effettivamente conto dei loro sentimenti, a causa di quella peculiare
e insolita spaccatura?
Probabilmente era l’ennesimo segno infausto, ma d’altronde ormai la tazzina non
esisteva più e ne erano rimasti solo cocci, nient’altro che inconsistenti
frammenti di un guscio esterno che ormai era venuto a mancare e che, pur
ricostruendolo, non avrebbe più avuto lo stesso aspetto.
Quando si smette di tenere all’altro accade qualcosa che nella vita di
tutti i giorni sembra una prassi e quando arriva il proprio turno si stenta
quasi a crederci: nulla ha più importanza, le parole non hanno più alcun
peso e i gesti sono semplicemente atti meccanici, eseguiti nel segno di un
amore che tuttavia aveva smesso di definirsi tale.
Ma le parole, che fossero in cattiva o in buona fede, non erano mai state più
aguzze e inferocite di così, né tantomeno sincere: le avevano dette senza remora,
accusandosi di non tenere a nient’altro se non al proprio benessere personale,
urlandole in cielo senza alcun freno. Avevano preso quei cocci, gli ultimi
rimasti, lanciandoseli contro e ferendosi a vicenda, causando dei segni
indelebili.
Cocci
C’erano delle sere in cui Belle puntava lo sguardo oltre le tapparelle per ore,
scattando meccanicamente alla porta, di tanto in tanto; in cuor suo,
conservando l’unico bagliore di speranza rimastole, sperava che Gideon
oltrepassasse la soglia e si lasciasse cadere tra le braccia della sua mamma.
Non c’era nemmeno bisogno che si scusasse o che proferisse parola, le sarebbe
bastato stringerlo tra le braccia come aveva fatto non molto tempo prima,
quando aveva dovuto compiere la scelta più difficile della sua vita.
E per cosa, poi, a conti fatti? Per ottenerne ancor più dolore, sofferenza e
pentimento, per una vita ben peggiore di quella che aveva pensato per il suo
bambino – il suo bambino, ironico, non smetteva di immaginarlo
come un neonato in fasce.
Come d’altronde aveva immaginato quale grande pericolo Rumplestiltskin sarebbe
stato nella sua vita, incosciente del fatto che un bambino meritasse di
conoscere il proprio padre, non importa quanto dipendente dal potere. Poteva
sentire la sua presenza a qualche passo da lei, probabilmente avvolto
nell’oscurità della notte, ma Belle sapeva che non si sarebbe rivelato a lei
finché non avesse proferito parola.
« Puoi anche dirlo, sai? », sentenziò, morsicandosi nervosamente le labbra. « È
colpa tua. Non ti sei fidata di me. Io non l’avrei mai fatto ».
Rumplestiltskin avanzò dal suo cono d’ombra, distanziandosi quanto bastava da
lei – lo stesso distacco che ormai li separava da tanto, troppo tempo.
« Nel momento del bisogno, fai qualsiasi cosa per proteggere le persone che ami
– ricordi? Te l’ho già detto ».
Seguì un breve momento di silenzio, poi un sospiro: « Quante volte al giorno
posso ripeterlo a me stessa? ».
Belle si sfiorò il ventre, riflettendo su quelli che sarebbero dovuti essere i
momenti più felici della sua vita, mentre Rumplestiltskin avanzò ancora di
qualche passo, abbastanza da poterla confortare con una mano sulla spalla e da
poter sentire il suo respiro sulla pelle nuda.
« Mi dispiace che tu debba affrontarlo, Belle ».
Socchiusero entrambi gli occhi per un istante, dimenticando il male che si
erano fatti a vicenda più e più volte negli ultimi mesi, mentre al di là della
biblioteca probabilmente regnava il vero caos.
Lo aveva visto davanti ai suoi occhi, non poteva negarlo: Gideon, il neonato in
fasce al quale non molto tempo prima aveva donato il suo cuore, aveva
intrapreso il cammino dell’oscurità e – avendone l’opportunità – si sarebbe
macchiato le mani di sangue senza alcun pentimento.
Di cosa si stupiva, dopotutto?
Aveva segnato il suo destino sin da quando si era innamorata dell’Oscuro,
quando aveva deciso di far parte della sua vita, oppure quando aveva dovuto
lasciarlo, per poi provare e riprovare a seppellire quei sentimenti, a dar peso
alla razionalità piuttosto che al suo lato emotivo, ripromettendosi più e più
volte di smettere semplicemente di… provare. E per un po’ aveva anche
funzionato, quando non era in possesso del suo cuore ogni cosa le era sembrata
più leggera, persino incrociare di nuovo il cammino di Rumplestiltskin si era
rivelato meno doloroso. Almeno finché non le aveva restituito ciò che di più
caro avrebbe voluto nascondere e, nuovamente, tutti i pensieri che avevano
dapprima offuscato la sua mente avevano ripreso vita, lesti e turbinosi come
solo un battito cardiaco sarebbe potuto essere, in men che non si dica si era ritrovata
a chiedersi come mai l’oscurità in persona, fermo alleato delle ennesime
nemiche in circolazione, avesse messo al primo posto il suo cuore, una
priorità che mal si sposava con tutti gli intenti vendicatori che da sempre lo
avevano caratterizzato.
La strada dal dubbio alla certezza era stata breve e, ancora una volta, aveva
riaperto l’ennesima porta e nuovamente aveva scelto di incrociare la strada più
tenebrosa, poiché anche se minuscolo, quasi invisibile e ben camuffato da ogni
traccia di bontà, in Rumplestiltskin c’era del buono e lei sarebbe stata il suo
faro nella notte, a costo di perdersi un po’ nel buio insieme a lui.
E forse, col passare degli anni, si era anche affezionata a quell’oscurità,
forse era sempre stato il suo destino quello di imbattersi nelle cose più
tenebrose, ragion per cui aveva difeso a spada tratta gli Orchi e aveva
intravisto in Gaston una scintilla di perfidia e, infine, aveva deciso di
seguire l’Oscuro, compiendo il più grande sacrificio della sua vita.
Probabilmente l’ottenebrante manto di Rumplestiltskin era diventato un po’
anche il suo, ma l’arrivo di un bambino aveva cambiato ogni cosa: le paure di
Belle si erano manifestate come mai prima d’allora, i pensieri più oscuri
avevano attraversato la sua mente e, tra i timori peggiori, vi era proprio la
preoccupazione per la strada che Gideon rimaneva intento a perseguire.
Per la prima volta nella sua vita nemmeno i potevano aiutarla e la
conseguente perdita di certezze si apriva come un varco sotto i suoi piedi e
quanto più si aggrappava ad una misera fiammella di speranza, tanto più
l’abisso si estendeva e, ormai, non riusciva più a scorgerne la luce.
« Non ha ancora fatto del male a nessuno », proruppe Rumplestiltskin,
distogliendola dai suoi pensieri. « Non lo farà, te lo prometto ».
Doveva credere alle ennesime promesse?
Quella fu la prima risposta che si diede mentalmente, ma stavolta c’era qualcosa
di diverso a frapporsi tra loro e suo marito avrebbe forse avuto il coraggio di
dare all’oscurità l’ennesimo motivo per esistere?
Belle non riusciva a pensare alla risposta più adeguata, ragion per cui accettò
ben volentieri il conforto che suo marito le stava offrendo, scovando per la
prima volta dopo tanti mesi qualcosa che avevano perso molto tempo fa: il
sostegno che erano in grado di darsi a vicenda.
Ma l’atmosfera a Storybrooke non era mai stata tanto pesante e non era quello
il momento delle parole, né il contesto adatto: stavano iniziando ad abituarsi
a quel confortante silenzio, quando improvvisamente udirono la voce di Gideon
provenire come un fulmine a ciel sereno, insieme a tanti altri frastuoni.
Accorsero entrambi all’unisono, solo per scoprire uno scenario che non lasciava
spazio ad ulteriori indugi.
*
Gli abbracci di Belle erano in grado di trasmettere calore umano e di emanare,
in qualche misura, la luce che aveva dentro di sé. Spesso, negli ultimi anni,
si era chiesto come fosse stato possibile vivere senza quel calore per tutto il
tempo in cui credeva di averla persa, poiché ritrovarla era stato come tornare
a rivedere uno spicchio di sole dietro ogni angolo d’ombra.
La vita gli aveva dato infinite possibilità e Rumplestiltskin, ne era ben
cosciente, le aveva scartate più e più volte, in favore di una forma di
dipendenza diversa dall’amore. Aveva sempre amato il potere, lo aveva bramato
persino nei suoi giorni peggiori, vi era rifuggito diverse volte, ma non
smetteva mai di riproporsi a lui: non importava quanto avesse perso a causa
della sua infinita bramosia, non era mai abbastanza.
Almeno finché Belle non ne era stata la vittima e aveva dovuto compiere l’atto
che lo aveva allontanato il più possibile da lei e non solo in termini di
distanza; eppure, anche in un mondo senza magia, Rumplestiltskin era andato a
rincorrere qualcosa che gli donasse nuovamente il potere, il che la diceva
lunga a proposito della sua dipendenza.
Era stato quello il momento in cui aveva finalmente capito e accettato le
peggiori sfaccettature di sé stesso, ammettendo per la prima volta di non poter
essere l’uomo senza rinunciare alla bestia. E non si trattava di una mancanza
d’amore nei confronti di Belle, quanto di un analisi sul proprio essere e su
quanto gli ultimi trecento anni vissuti da Oscuro lo avessero formato.
L’uomo che era stato un tempo, la breve eppur intensa vita che aveva condotto
prima di diventare l’oscurità in persona, era svanito in una coltre di nubi e
di lui aveva conservato solo la parte migliore – quella, cioè, che era in grado
di tirar fuori con Belle o con suo figlio.
Eppure, affondando il capo nella spalla di Belle, ogni problema sembrava solo
un arcano da poter aggirare con facilità e qualsiasi cosa appariva minuscola,
superabile e riusciva a sentirsi più forte, persino ora che aveva tutto quel
potere. Poiché, se c’era una cosa che aveva compreso negli ultimi tempi, era
proprio il fatto che accanto a lei riuscisse a sentire una forza inspiegabile,
un tumultuoso crescendo di speranza che non avrebbe saputo definire a parole,
ma grazie alla fiducia che Belle riponeva in lui sarebbe stato in grado di
affrontare qualsiasi maledizione o qualsivoglia battaglia.
E quando non era accanto a lei avvertiva qualcosa di manchevole in lui, come un
pezzo che sarebbe potuto essere integrale solamente se condiviso con la giusta
metà – non a caso, aveva conservato la tazzina scheggiata per tutto quel tempo.
Forse quell’oggetto era una metafora del loro rapporto e forse averla dovuta
frantumare aveva, in qualche misura, smantellato anche il collante che li aveva
tenuti uniti sino ad allora; eppure quella tazzina riappariva nelle loro vite,
che fosse nell’Oltretomba o nel mondo dei sogni, come a voler dir loro di
guardare ben oltre le crepe e i cocci che il tempo aveva segnato sui loro
volti.
Non erano la metafora di un oggetto rovinato, bensì la forza stessa di qualcosa
che probabilmente non era perfetto, ma quanto più reale possibile: il passare
degli anni aveva visto litigi, dibattiti, separazioni, rappacificazioni, parole
crude, pentimenti e, ancora, porte sbattute, innumerevoli addii, lacrime di
felicità e di dolore. Ma la loro storia non aveva mai visto nulla che
proclamasse chiuso un capitolo, in fin dei conti: forse erano dei masochisti,
dei testardi oppure erano semplicemente caratteri troppo forti per mollare le
loro opinioni e troppo deboli per potersi lasciar andare.
Forse i loro problemi scaturivano proprio dall’origine della loro unione, ossia
il fatto di essere tanto impulsivi da non poter far altro che scontrarsi, nel
bene e nel male – e, lo sapeva ben prima di Belle, la vita con un Oscuro non
poteva che portare ad una pila di cose negative piuttosto che positive.
Pur tuttavia Belle aveva visto la bontà in quel che, ormai, il tempo aveva
impolverato come un vecchio tomo e nella sua fede, Rumplestiltskin, aveva
imparato – assai più raramente rispetto a lei, invero – a credere a sua volta,
stupendosi per le incalcolabili occasioni in cui aveva avuto ragione.
Quegli abbracci gli ricordavano che Belle era ancora lì, gli facevano sperare
che una parte di lei non avesse smesso di credere in lui e, forse, di amarlo?
In quel momento, in quel particolare frangente, laddove Gideon era al primo
posto, a Rumplestiltskin sarebbe bastata la sua fiducia e null’altro.
Nonostante ciò, le mani gli tremavano tanto più si avvicinavano ad accarezzare
la schiena di Belle e averla tra le sue braccia era come abbracciare nuovamente
la luce stessa, una sensazione che sin troppe volte aveva dimenticato.
« Mi dispiace aver dubitato di te », sussurrò Belle, quasi soffocando quelle
parole nel colletto della sua giacca. « Non avrei dovuto. Non in questo caso,
non con Gideon ».
Cosa avrebbe dovuto rispondere, in quel momento? Probabilmente che le avrebbe
perdonato qualsiasi cosa, poiché non aveva mai conosciuto un animo più
altruista di sua moglie e il sol fatto che era ancora in grado di riporre una
certa fiducia in lui lo rendeva ancor più fermo nelle sue intenzioni.
« Non ci pensare più, Belle, non serve a nulla torturarsi ora ».
Poté sentire il suo cenno di assenso mentre si appoggiava ancora una volta, in
punta di piedi, sulla sua spalla e Rumplestiltskin, nuovamente, la stringeva a
sé, ma stavolta con più decisione; poi rimasero diversi minuti così, talvolta
ciondolando un po’, ma intenzionati più che mai a non separarsi da
quell’avvolgente abbraccio.
*
Mentre Emma Swan e sua madre se ne andavano, probabilmente
fiere di aver proclamato l’ennesimo discorsetto da inneggianti eroine, Rumplestiltskin
poteva già scorgere sul volto di Belle una certa rassegnazione.
Non era mai stata il tipo di persona che si era data per vinta nella vita,
altrimenti non sarebbe arrivata a sposare l’Oscuro probabilmente, ma l’enorme
mole di scompigli causati di Gideon non accennava ad arrestarsi e saperne di
essere stata la causa diretta era… beh, in una certa misura era piuttosto
demoralizzante. La cosa peggiore era che, sebbene in linea di massima potesse
essere d’accordo con Snow White e la sua famiglia, nessuno di loro aveva mosso
un sol passo in sua direzione, nessuno aveva dato loro il beneficio del dubbio
o le aveva offerto una mano, specialmente dopo che lei aveva rischiato la sua
stessa vita a Camelot per poter essere d’aiuto.
Il punto era che la bontà non ripagava poi così tanto come credeva, quindi
perché difendere fermamente la gentilezza e la compassione umana come armi di
difesa personali?
Perché essere un’eroina, dopotutto, quando non aveva incontrato altro che
dolore e perdite lungo una strada che sarebbe dovuta essere nient’altro che in
salita?
Le parole di Rumplestiltskin vorrebbero essere di conforto, così come il gesto
di intrecciare le sue mani a quelle di Belle, ma in quel momento non poteva
dirsi propriamente compassionevole.
« Non credo di essermi mai sentita tanto persa », confessò, mentre le mani di
Rumple disegnavano invisibile circonferenze sulle sue. « Voglio dire, che senso
ha… tutto? ».
« Lui non è nato così, Belle, a questo devi credere. E tu non sei affatto una
persona arrendevole ».
Forse era solo stanca di essere una persona che, dopotutto, aveva perso più che
guadagnato, avrebbe voluto rispondergli; ma Rumplestiltskin si sarebbe sentito
a sua volta in colpa e, in quella particolare situazione, uno di loro due
doveva essere forte per l’altro o altrimenti avrebbero perso a prescindere.
« Anche gli eroi hanno i loro attimi di incertezza, no? Non dice forse così
quel libro? », aggiunse Rumple, attirando la sua attenzione.
« Quale libro? »
« Il tuo libro ».
L’espressione di Belle si distese in un’espressione decisamente più soave e
senza alcun dubbio più familiare a Rumplestiltskin: « Hai letto il mio libro? ».
I loro sguardi si incrociarono per qualche secondo, spezzando per diversi
attimi la tensione provocata dall’intero contesto, dopodiché Belle aggiunse: «
Tanto per la cronaca, quel libro non dice esattamente così, anzi, non lo dice
affatto… ma ho capito qual era l’intento. Grazie ».
A dir la verità, Belle dubitava che avesse mai letto il libro regalatole da sua
madre e poi tramandato, come da tradizione, di generazione in generazione e, in
quel caso, a Gideon, ma tutto quel a cui Rumplestiltskin mirava era la sua
serenità interiore, attraverso qualcosa che le avesse fatto ritrovare un
granello di speranza. E doveva ammetterlo, per quanto il contesto richiedesse
una forza d’animo non indifferente, quelle parole avevano sortito il loro
effetto e ancora una volta le avevano provato che i potevano salvare da
qualsiasi battaglia, bisognava solo avere il coraggio di sfogliarne le pagine.
*
Quando Rumplestiltskin l’aveva vista di fronte a sé, non aveva voluto davvero
crederci sul momento: la donna che lo aveva abbandonato tanti anni prima, la
donna che aveva anteposto i suoi bisogni a tutto il resto, la donna che non era
nemmeno in grado di individuare come “madre” e che, nella sua mente, continuava
a definire semplicemente la Fata Corvina, per palesare un certo distacco.
Era sicuro di averla odiata quando era ancora un bambino, mentre da adolescente
era semplicemente arrabbiato per la sua assenza, finché… beh, finché la vita
non lo aveva plasmato nella codardia fatta persona. Poi, non era diventato
nient’altro se non un codardo camuffato dalle tenebre dell’oscurità e quel
nuovo capitolo della sua prosperosa vita nel segno della malvagità lo aveva
condotto ad un nuovo, temibile stadio. Ogni voce nella sua testa, che si
trattasse del passato o del presente, era stata ben celata da una miriade di
suoni corali e più passava il tempo, tanto più si affollavano nella sua mente,
ottenebrando quel passato che non voleva ricordare – i rumori che non voleva
sentire, le mancanze che non voleva avvertire, l’umanità che non aveva alcun
bisogno di far riaffiorare.
Almeno finché la presenza di Belle nel Castello Oscuro non aveva cambiato ogni
cosa, facendogli udire e percepire e… provare, ancor più di prima se
possibile. Rumplestiltskin aveva ben presto scoperto che quando non si
provavano sentimenti per molto tempo, questi ultimi erano capaci di emergere
con una propria coscienza e di ribellarsi come demoni liberi dalle sue grinfie
e colpire con una forza tale da far invidia a tutta la magia del mondo.
Quando aveva ricominciato a provare, pur volendo celare alla vista di Belle
quei sentimenti, il bisogno di sapere si era risvegliato in lui e il bambino,
il ragazzino e l’uomo adulto avevano a lungo lottato al fine di sterminare quei
pensieri, ma non essere in grado di capire era una sensazione inspiegabile –
sapendo, perlomeno, avrebbe potuto farsene una ragione e chiudere una volta e
per sempre quel doloroso capitolo.
Ma se nella Foresta Incantata la Fata Corvina era stata in grado di riaprire
delle ferite che non si sarebbero mai davvero rimarginate, nella realtà attuale
ciò che prevaleva in lui era la sola indifferenza e quella donna che avanzava
con passo deciso verso di lui, la stessa che l’aveva messo al mondo, al momento
non era nient’altro che l’ennesima piaga che si frapponeva tra la liberazione
di suo figlio e la sua – per l’ennesima volta.
Poteva accettare ogni colpo sferrato da quella donna, ma non le avrebbe
permesso di fare la stessa cosa con Gideon, qualsiasi arma avesse dovuto
sfoderare per fermarla. Non riusciva nemmeno a sentire la parola “Madre” uscire
come un suono usuale dalla bocca di suo figlio, non avrebbe permesso alla Fata
di riuscire nel suo losco intento e non sarebbe venuto meno alla promessa fatta
a Belle. Non ora, perlomeno, che aveva capito quale fosse il suo asso nella
manica e qual era la posta disposta a giocarsi: il cuore di Gideon era nelle
mani di quella donna malvagia, ne era certo, una mossa scaltra e inquietante
per intimorirlo e per avere al suo fianco l’illusione di una persona che amasse
la sua anima perversa.
Rumplestiltskin rimase ben più di qualche minuto a fissare la soglia dopo la
dipartita del nuovo duo più temuto di Storybrooke, ancora attonito per l’unica
visita che non avrebbe più voluto ricevere. Era ancora sbigottito di fronte
alla porta cigolante, quando il calore delle mani di Belle sopraggiunse sulla
sua pelle e si voltò in sua direzione, ben sapendo quanto avrebbe dovuto starle
vicino – era lei, dopotutto, che si era sentita tradita dal titolo stesso di
madre ed era lei, ancora una volta, a dover vedere il suo bambino allontanarsi
ancora di più.
E invece, paradossalmente, era Belle a donargli forza ed era lui ad
abbandonarsi al suo docile tocco, nel completo silenzio che solo una scia del
genere avrebbe potuto lasciare, nel giorno che non avrebbe mai voluto che arrivasse.
Era facile parlare di indifferenza quando la Fata Corvina era a reami di
distanza, ma ora che si trovava sul suo stesso suolo il campo di battaglia
diveniva una certezza e il fatto stesso di dover affrontare rabbia, dolore,
risentimento e indifferenza in un solo scontro era una prospettiva che nemmeno
l’Oscuro aveva mai considerato prima d’allora.
« Pensavo che non la dovessi rivedere mai più, mi dispiace », confessò Belle,
affondando le dita tra i suoi capelli.
« È la sorte dei cattivi, sai? », sentenziò con tono fermo, pensando a ciò che
sarebbe avvenuto in un futuro non troppo lontano. « Si pensa che le nostri
sorti saranno sempre migliori, ma prima o poi dovremo pagare tutti. È una legge
naturale ».
« Non dire così. Non siete affatto uguali », lo rassicurò Belle, con la solita
testardaggine che la contraddistingueva. « Se lo foste, saresti forse qui a
salvare ogni giorno nostro figlio? E se lo foste, al momento staresti facendo
del male a Gideon anziché cercare una soluzione meno dolorosa possibile ».
Belle prese il suo volto tra le mani e, per un breve e prezioso istante di
tranquillità, il mondo gli sembrò già diverso.
« Te l’ho già detto, hai fatto tanti sbagli, ma essere un padre non è
uno di questi ».
Belle indugiò in un sorriso amaro, dettato dalla situazione in cui si
trovavano, ma riuscì a vedere uno spiraglio al di là delle nuvole che stavano
per affastellare un cielo quanto mai oscuro – e pensò, forse per la prima
volta, che a essere l’uomo che Belle meritava avrebbe potuto imparare un po’
ogni giorno, guidato dai suoi sorrisi e dalla sua fiducia.
*
Vi erano stati dei giorni in cui Belle era tornata a casa con la convinzione di
dover accudire un bambino, fermandosi nei negozi dedicati ai neonati, talvolta
comprando un sonaglio, altre volte un peluche – aveva concesso al suo bambino
la migliore possibilità di una vita felice, ne era convinta, pur a costo di
privarsi della gioia più grande.
E poi il suo bambino era tornato – non più bambino, invero – e la sua
vita era stata tutt’altro che felice, lo poteva dire solo guardando la sua
espressione: riconosceva i segni della sofferenza, delle ingiustizie subite,
del passare del tempo. E avrebbe voluto gettarsi al collo di Gideon, abbracciarlo
e rassicurarlo, perché la sua mamma non gli avrebbe permesso di soffrire un
minuto di più, ma, d’altro canto, davanti a sé non aveva più un neonato, bensì
un uomo adulto.
Agli occhi di Gideon probabilmente era un’estranea anche in quel momento, nonostante
continuasse a incrociare il suo cammino e lo invitasse a tornare dalla loro
parte, laddove sarebbe sempre dovuto essere, con i suoi genitori.
Belle non sapeva cosa facesse più male, l’indifferenza del suo bambino – uomo,
Belle, è un uomo – nei suoi confronti, oppure il fatto che
riconoscesse come madre una donna che di materno aveva avuto ben poco, la Fata
Corvina.
Quindi c’erano giorni in cui continuava a circondarsi di oggetti che taluni
avrebbero definito inutili, ma che la aiutavano ad arrivare alla fine di una
lunga giornata, ricordandosi che prima di ogni altra cosa era una madre – era ancora
una madre, nonostante tutto.
Quando Zelena aveva portato la piccola Robin con sé, chiedendole gentilmente di
badare a lei per qualche ora, Belle aveva tutto l’occorrente con sé – e, in
qualche modo, badare al negozio con i versi indistinti di una bambina in
sottofondo, le permetteva di sentirsi ancora quel che forse non sarebbe più
potuta essere.
Quanto più Belle scacciava i pensieri negativi, tanto più questi ultimi si
affollavano ancor più insolenti e scendevano direttamente dai suoi occhi, nella
maniera più inaspettata possibile. Per fortuna quel giorno era sola in negozio
e la piccola Robin non era una testimone affidabile, non avrebbe mai voluto che
la vedessero così e soprattutto che Rumple la trovasse in quelle condizioni.
Era già abbastanza difficile per entrambi arrivare alla fine di un’altra
faticosa giornata senza esser riusciti nelle proprie intenzioni, figurarsi
farlo lasciandosi andare a pianti isterici.
Così Belle avrebbe deciso che avrebbe finto, ancora una volta e per l’ennesima
giornata, di non dover badare ad una bambina, bensì di doversi preoccupare di
un altro essere umano come se fosse il proprio, solo per non tastare nuovamente
il sapore salato delle lacrime e per non dover pensare a quanto si era persa di
Gideon – dai pannolini alle letture serali, fino al suo primo giorno di scuola
e ai drammi adolescenziali –, il quale, pur considerando l’intera situazione,
sarebbe rimasto il suo bambino.
*
Ora che Rumplestiltskin aveva scoperto la verità, una serie di emozioni si
muovevano vorticosamente in lui e prima d’ogni altra cosa stava ridefinendo il
concetto stesso di amore. Si chiedeva se lo avesse conosciuto davvero,
dopotutto, se sua madre era stata in grado di mettere alla prova una miriade di
bambini al sol fine di proteggere il proprio e, infine, creando di proprio
pugno la peggiore maledizione mai esistita, solo per la troppa paura di
perderlo.
L’oscurità si era impossessata di lei e, come ogni buon vecchio cattivo, le si
era ritorta contro: era divenuta ella stessa l’immagine stessa di ciò che
avrebbe dovuto combattere, accettando un destino che di positivo non aveva
nulla da offrirle. Eppure, avendo vissuto una situazione in parallelo,
Rumplestiltskin non poteva fare a meno di chiedersi quanto l’amore fosse una
giustificazione e quando il potere iniziasse a divenire l’unica vera costante –
qual era il confine? Lo aveva superato?
E, se sua madre lo aveva davvero amato tanto e poi si era ridotta ad asservire
l’oscurità, il fato gli avrebbe riservato lo stesso trattamento?
Forse il destino non aveva proprio nulla a che vedere con l’intera situazione,
probabilmente scegliere il potere era una decisione egoistica e confondersi
nell’illusorietà protettiva del suo manto non avrebbe mai portato all’agognata
strada giusta.
Eppure Belle lo aveva sempre saputo, maledizione o meno, più volte gli aveva
ripetuto quanto dietro la bestia ci fosse un uomo, talvolta un eroe e spesso un
codardo che si nascondeva dietro la forza che solo il potere era in grado di
imbastire.
Le volte che Rumplestiltskin aveva lottato per amore, per l’amore che lo legava
all’affetto dei suoi cari, erano state le sue battaglie migliori, ma continuava
a non credervi e a tornare indietro sui suoi passi, spingendosi verso un abisso
sempre più profondo.
Persino ora che aveva restituito il cuore a Gideon e aveva riconosciuto davvero
suo figlio, persino ora che Belle aveva ammesso quanto fosse stata fiera di
lui, i pensieri di Rumplestitskin indugiavano su quanto di più negativo,
chiedendosi quale tranello la Fata Corvina aveva in serbo per un’unica
battaglia vinta stando dalla parte del bene.
Il potere poteva qualsiasi cosa, ma non gli avrebbe di certo dato una nuova
personalità: in fondo era sempre la stessa persona, zoppicante o meno che
fosse, la quale ripeteva gli stessi sbagli e cancellava il tutto con l’ausilio
della magia, in un infinito circolo vizioso.
Se lo chiedeva persino mentre osservava con sospettoso distacco uno scenario
che a molti sarebbe parso familiare, forse anche quotidiano: Belle si trovava
nella loro cucina, occupata tra le stoviglie e uno sfarzoso banchetto, intenta
a inondare Gideon di domande e a essere, finalmente, la madre che era destinata
a diventare.
Non la vedeva sorridere da molto tempo, non in modo speranzoso, aveva
dimenticato quanto la sola capacità di sua moglie di entrare in una stanza
potesse renderla automaticamente accogliente.
Poteva sentirla ridacchiare in sottofondo con Gideon, mentre scopriva quali
fossero i suoi piatti preferiti e in quel momento Rumplestiltskin pensò che se
avesse potuto fermare il tempo e bloccarlo in un sol punto, sarebbe stato
proprio quello: il sorriso di Belle che riempiva la stanza e l’abitudine di suo
figlio, certamente ereditata da sua madre, di gesticolare ogni qual volta
raccontava entusiasticamente qualcosa.
Rumplestiltskin non avrebbe voluto rovinare quel quadretto, ragion per cui si
sentiva sempre inadeguato e aveva la sensazione di dover restare qualche passo
indietro: era stato così durante la Guerra degli Orchi e quando aveva scelto la
magia a Baelfire e la medesima cosa era accaduta quando aveva lasciato andare per
la prima volta Belle – eppure provava l’amore, lo provava sin troppo, così
tanto da: “Essere troppo debole per essere buono”, sua moglie lo aveva
detto a chiare lettere e aveva centrato il punto.
Ma quale cattivo, dopotutto, aveva mai avuto un lieto fine?
Rumplestiltskin non si era mai illuso, era l’uomo che sceglieva il potere e un
giorno – forse neppure troppo lontano – avrebbe pagato il pegno delle sue
azioni, come si confaceva a qualsiasi cattivo che si rispettasse. Il fatto che
avesse una famiglia non lo rendeva migliore, anzi, probabilmente era destinato
a trascinare sulla via della perdizione i restanti membri della sua famiglia – e,
almeno per loro, avrebbe voluto una vita migliore.
Ma tutti quei pensieri si dileguavano come neve al sole quando le risa di Belle
si interruppero per trascinarlo in sua direzione e grazie al calore delle sue
mani sentì, istantaneamente, di esser parte della scena che stava osservando da
spettatore, perdendosi nei pensieri più tenebrosi.
« Non vorrai perdere altro tempo, Rumple – specie dopo tutto quel che abbiamo
da recuperare con lui », gli sussurrò Belle, avvicinandosi per qualche flebile
momento al suo orecchio.
E no, non avrebbe voluto mai voluto che Gideon subisse tanto dolore, ma nei
suoi occhi e nel suo sorriso ritrovava Belle e tutto ciò bastava a
rassicurarlo: aveva ereditato lo spirito necessario per superare tutto ciò che
la vita gli aveva tolto, ne era certo.
*
Quel che aveva permesso alla Fata Corvina di compiere, lo aveva fatto per
amore: aveva sperato con tutto sé stesso che quella convinzione bastasse
affinché Belle lo perdonasse, per averle fatto vivere l’ennesimo sortilegio da
vittima.
Rumplestiltskin aveva ucciso a sangue freddo anche sua madre, una donna che di
tale ormai aveva ben poco e che gli aveva impartito un importante lezione: il
potere poteva pur essere un afrodisiaco, ma decidere di soccombervi era una
scelta squisitamente personale.
Dopodiché aveva dovuto compiere la scelta più dura della sua vita e, se ne rese
davvero conto solo in quel momento, scegliere la via del bene sarebbe stata una
decisione che avrebbe dovuto compiere ogni giorno, soppesando tanto la parte
malvagia quanto quella buona. Era così che si sentiva un cattivo in bilico tra
due confini, dopotutto: dentro sé stesso sapeva qual era la scelta più giusta
da compiere, ma far ragionare la mente era tutt’altro conto e non cadere in
trappole insidiose sarebbe stata una sfida giornaliera.
D’altro canto, buoni e cattivi avevano uno scopo comune: perseguire il proprio
credo, destino, strategia o qualsivoglia definire la missione che erano intenzionati
a compiere, in nome di un bene più grande. Per Rumplestiltskin, ora che la sua
famiglia era riunita, quello scopo era proprio quanto aveva di più caro, la
vita gli aveva concesso un’altra possibilità – un nuovo inizio, come lo
aveva definito Belle –, tutto quel potere non si sarebbe mai frapposto
all’amore.
Restava solo un’ultima cosa da definire e, se tutta quella situazione gli aveva
insegnato qualcosa, era avere il coraggio di compiere qualsiasi azione in nome
dell’amore e avrebbe fatto qualsiasi cosa in suo potere affinché Belle potesse
vedere l’uomo che sapeva – ora più che mai – di poter essere per lei e per
Gideon.
Belle non ricordava più quale fosse stata l’ultima volta che si era potuta
godere un libro comodamente, sorseggiando il suo tè pomeridiano, senza dover
compiere delle ricerche su mostri impossibili, creature provenienti da altri
reami o mondi paralleli.
Accanto a lei – e questa era l’unica, piacevole novità – i limitati versetti di
Gideon rimanevano l’unico sottofondo alla quiete della biblioteca, come
d’altronde sarebbe di rito in un contesto del genere, per la prima volta nella
sua vita forse poteva tirare un sospiro di sollievo.
Molto, ancora, rimaneva da rimettere al proprio posto: rapporti da riconciliare,
amicizie da rinsaldare, un matrimonio da dover salvare per esempio –
impossibile non pensare a quell’intera situazione, forse il periodo che avevano
trascorso a salvare la versione adulta di Gideon aveva permesso loro di
temporeggiare un po’, ma Belle sapeva che non avrebbe potuto rimandare quella
discussione ancora a lungo.
Il fatto era che, come gli aveva fatto presente nel mondo dei sogni, tornare
insieme a Rumplestiltskin non era solo una scelta d’amore, ma anche un destino
beffardo che avrebbe potuto ritorcersi loro contro: il potere non aveva vinto
per quella volta, ma sarebbe stato così per sempre o, per meglio dire, finché
morte non li avesse separati?
Stare insieme avrebbe causato solamente sofferenze, lo sapeva.
Erano tanti, forse troppi, i pensieri che indugiavano nella sua mente e ogni
qualvolta si voltava vi erano due occhi profondamente familiari a ricordarle
quanto quella decisione fosse prossima – l’annosa domanda che l’assillava
davvero era solamente una: l’amore poteva bastare?
Anni di sofferenze, promesse infrante e dolorose palpitazioni si annidavano
malignamente nella sua mente, tanto quanto i ricordi felici, il rincorrersi a
vicenda e le maledizioni spezzate. Belle spostò lo sguardo dal libro – era alla
prima pagina da circa mezz’ora, ormai – per volgerlo verso le sue tasche ed
estrarne qualcosa che significava più di quanto la reale grandezza
sottintendesse.
Erano giorni che portava quell’anello con sé, combattuta sul da farsi, così
aveva trovato una via di mezzo e continuava ad averlo accanto a sé, ma non del
tutto; Belle lo stava rigirando tra le dita, sotto lo sguardo attento di Gideon
che ne aveva catturato il luccichio, quasi a giudicare le sue azioni.
« Ehi, non sei al mio posto, non è così facile », disse, volgendosi in direzione
di Gideon e arricciando il naso.
Girò la fede nuziale su sé stessa più e più volte e poi, presa da un certo
favore, si chiese da quando fosse così restia e poco coraggiosa, aveva
affrontato sfide ben peggiori nella sua vita e il neonato nella culla al suo
fianco ne era la prova. Belle infilò impulsivamente l’anello al suo anulare,
laddove un tempo era appartenuto, con la sensazione di aver appena colmato un
vuoto di inestimabile valore: era come se avesse appena riempito – o, meglio,
aggiustato – una crepa, come se il pezzo di un puzzle fosse tornato al suo
posto e ora poteva ammirare il frutto del duro lavoro portato a termine.
Non era poi così strano che le venisse da comparare la loro relazione a
qualcosa di frantumato, il più delle volte: non a caso l’emblema del loro amore
era stata una tazzina scheggiata e, se a molti poteva apparire come un oggetto
danneggiato, loro avevano sempre pensato che conservasse una certa dignità e
una buona dose di realtà. Gli oggetti non erano destinati a rimanere nello
stesso stato per sempre, non era nel loro destino, così come le persone:
evolvere, modificarsi, talvolta rovinarsi era il naturale corso di ogni cosa,
la loro tazzina non era da meno.
Un’incrinatura non poteva rovinare l’intera composizione, pur apparendo
anti-estetica nel suo stesso essere, ma le dava certamente un nuovo
significato; quando Belle aveva rivisto la tazzina per la prima volta a
Storybrooke, aveva pensato che fosse ancor più bella di quanto l’avesse
lasciata. Rovinata dal passare del tempo, sicuramente, ma dignitosa nel suo
rimanere fermamente scheggiata, nonostante avesse attraversato reami e
maledizioni ben più grandi di un comune oggetto da cristalleria.
Belle si era convinta che fosse protetta dal vero amore, ben più forte di qualsiasi
cosa il mondo potesse lanciarle contro, ragione sufficiente per continuare a
lottarvi e per ricordarle che la speranza era ancora lì, ma l’avrebbe vista
davvero solo se fosse andata oltre le inevitabili lesioni.
Anche ora che la tazzina sembrava distrutta per sempre, dopo il sacrificio
compiuto da Rumple al fine di liberarsi dalle grinfie di Merida, Belle non
avrebbe giurato di non poterla rivedere mai più: era quella la speranza
che trovava necessaria conservare, nonostante le perturbabilità e le sfide che
la vita metteva sul suo cammino – la speranza di poter
ricostruire anche senza vederne i cocci, affidarsi alla fede più grande mai
conosciuta e credervi con tutte le forze.
Persa com’era nei suoi pensieri dimenticò completamente la cena alla quale
avrebbe dovuto presenziare, un modo come un altro di riunire Storybrooke – eroi
e cattivi, senza più distinzioni di sorta – sotto un unico tetto, letteralmente
e figurativamente.
Belle si affrettò a chiudere la biblioteca, portando con sé Gideon e avanzando
verso il negozio, col cuore in gola che le batteva forte come la prima volta
che aveva baciato Rumple o lo aveva abbracciato o, semplicemente, si erano
ritrovati; ma, quando si trattava di suo marito, ogni volta le sembrava la
prima e se questo non era vero amore, Belle non avrebbe voluto sapere cosa
significasse davvero.
« Ehi, sei pronto? », avanzò con apparente decisione, poggiando Gideon nella
culla.
Rumplestiltskin la vide comparire come una sorta di visione, col suo sorriso
più brillante e l’abito svolazzante che le dondolava dolcemente dai fianchi. «
Cosa c’è? ».
Per una volta, avrebbe voluto risponderle Rumplestiltskin, non succedeva
proprio nulla e stava iniziando ad abituarsi magnificamente a quella
prospettiva: semplicemente Belle e Gideon ogni sera nel suo negozio, le luci
soffuse e la tranquilla quanto giornaliera vita familiare.
« Sei bellissima », le rispose, dopo qualche attimo di silenzio.
Rumplestiltskin cercò di non darlo a vedere, ma non poté fare a meno di
ammirare il luccichio che era tornato a splendere sul suo anulare ad anni di
distanza, ancor più brillante di quanto potesse ricordare. O forse era proprio Belle
a splendere di luce propria, portando nella sua vita un bagliore che non
avrebbe mai trovato da solo, lungo una strada costeggiata da sole trappole.
« È che sono felice, finalmente ».
Nel mentre proferiva quelle parole, Belle voltò lo sguardo verso il volto
sognante di Gideon e pensò da quanto non si sentisse tanto sollevata; se c’era
stata una cosa che aveva imparato da quell’intera situazione era che, per
quanto si fosse ostinata a negarlo, il suo amore per Rumplestiltskin era nato
in un Castello Oscuro, nel bel mezzo di un’oscurità tutt’altro che latente, con
un uomo che più volte le aveva ricordato la sua vera identità.
Belle aveva negato a sé stessa più volte cosa significasse essere innamorata
dell’Oscuro, sarebbe stato come ammettere una macchia d’oscurità sulla sua
personalissima fedina d’onore, ma le ultime vicissitudini le avevano più che
mai mostrato la reale natura del suo amore – e ciò non significava che avrebbe
approvato l’oscurità, beninteso, ma non poteva trascorrere il resto della sua
vita senza tenerne conto e non sarebbe cambiata per nulla al mondo.
Sarebbero stati onesti, semplicemente, riguardo ogni aspetto della loro vita:
Rumplestiltskin era un amante del potere, ma ciò non significava che non
avrebbe potuto amare allo stesso modo la sua famiglia; e, d’altro canto, nella
situazione forse più perigliosa della loro vita, nel momento in cui avrebbe
potuto ottenere entrambe le cose – amore e potere – non aveva compiuto un gesto
egoistico, anche se la natura stessa del cattivo lo impediva.
Rumplestiltskin sarebbe andato contro natura, letteralmente, per amore della
sua stessa famiglia e Belle sarebbe stata colei che lo avrebbe guidato, con
pazienza e amore, lungo un percorso talvolta accidentato, ma certamente
realistico.
Poiché la vera natura dell’amore, dopotutto, consisteva nel camminare insieme e
darsi vicendevolmente una mano, tanto nei percorsi accidentati quanto in quelli
più regolari, fin dove il viaggio lo permetteva, senza mai aspirare a una vetta
finale.
Rumplestiltskin l’avvicinò a sé con delicatezza, come a voler esser certo che
quel lieto inizio fosse qualcosa di reale; poi, lasciò che la musica si
espandesse nella stanza con uno schiocco di dita e in quel momento non vi era
bisogno né di un cerimonioso abito da ballo, né di una platea a regola d’arte,
con sontuosi lampadari appesi al soffitto e grandi spazi ove volteggiare.
Bastavano loro due, raccolti nell’intima e soffusa luce quale una stanza del
genere poteva donare, tutta la magia era lì: Belle poteva rivedere la prima
volta che suo marito le aveva fatto battere il cuore quando era precipitata tra
le sue braccia, mentre la mente di Rumplestiltskin rivangava l’istante in cui
aveva capito quanto fossero profondi i suoi sentimenti.
I ricordi del passato si confondevano con quelli più recenti, in una stremante
lotta tra quanto di negativo e di positivo si erano fatti a vicenda, ma alla
fine l’amore non si era mai voluto arrendere e avevano solo dovuto ricordare
quanto effettivamente non si fossero mai dati per vinti.
Non avevano bisogno né di parole, né di gesti plateali per riconoscere nell’altro
l’unico, vero collante che li aveva sempre tenuti uniti, persino quando erano
giunti al proverbiale orlo del precipizio. Era stata la speranza ad averli indissolubilmente
legati, sino a rafforzare il loro rapporto, poiché aveva insegnato loro che con
pazienza e dedizione i cocci potevano essere raccolti e montati in un’altra,
magica forma, forse dalle sembianze simili dalla precedente, forse in modo
completamente diverso, l’unico modo per scoprirlo era – paradossalmente – vivendo
quella relazione giorno per giorno.
“ Just a little change,
small to say the least,
both a little scared,
neither one prepared…
Beauty and the Beast ”.[ii]
[i] “Io e Annie”, di Woody Allen.
[ii]
“Beauty and the Beast”, Disney.
Se siete arrivati alla fine di questo lungo escursus di tredici pagine – e no,
il bello è che non posso nemmeno dire di non avere nulla da fare, sono in
sessione estiva – grazie, qualsiasi sarà il vostro giudizio.
Il mio intento era quello di colmare alcune scene della 6B (oltre a presentare
un breve epilogo della 6A nell’introduzione) lasciate irrisolte, a mio parere.
Ad esempio, cosa è accaduto dopo l’abbraccio dei rumbelle? O, ancora, cosa è
accaduto dopo la ‘reunion’ della 06x19, per quel breve momento di sollievo
pre-maledizione?
Insomma, spero si sia capito, ma ho cercato di colmare alcune scene che sarebbero
dovute esserci quantomeno e alcuni discorsi tra i rumbelle che avrei voluto
vedere – io la scena dell’anello me la meritavo, tanto per dirne una. ;;
Infine, questa storia non voleva solo essere un racconto della 6B, ho voluto
che fosse il più possibile introspettiva e che analizzasse le ragioni da parte
di Belle e di Rumple – insomma, che fosse il più possibile ‘capita’.
Infatti ho disseminato la storia di riferimenti, tanto a Skin Deep quanto agli
altri episodi Rumbelle centric (sempre troppo pochi!), con tante frasi che si
sono detti a vicenda negli ultimi sei anni.
Questa coppia ha avuto il mio cuore – nella gioia e nel dolore, soprattutto
quest’ultimo! – in questi ultimi anni e penso che il motivo per cui li abbia
amati così tanto, sebbene mi dessero più angosce che gioie, sia stato il
fatto che se la speranza che mi hanno dato inizialmente è che ognuno può essere
amato, la speranza finale è stata che (anche fosse una coppia su un milione) le cose
possono essere rimesse al proprio posto, l’amore non muore mai e tantomeno la
speranza. Insomma, per quanto si siano fatti del male a vicenda, non hanno mai
smesso di amarsi – anche quando si sono detti le cose peggiori – e questo basta
a renderli la mia grande, amata OTP.
Da qui il titolo, “Cocci”, perché avevo questa citazione in testa di un film che adoro
che continuava a farmi pensare a loro e per me Once non poteva chiudersi senza
un tributo finale alla coppia del mio cuore (anche se spero che Em torni almeno
come guest nella settima stagione, sebbene non credo proprio che la seguirò
regolarmente).
Ad ogni modo, gazie per essere arrivati sin qui.
Kì.