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Autore: nattini1    10/06/2017    7 recensioni
L’uomo possiede angoli nel suo cuore che ancora non esistono e nei quali il dolore entra perché esistano; se è stato stabilito che quel cuore debba spezzarsi, il dolore non sarà segno di morte, ma di vita. Fanfiction 2* classificata al contest ByeBoys&Girls Hellatus, prompt 4 Dean’s top 13 Zepp Tra XX (spoiler dodicesima stagione)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Il finale di stagione mi ha lasciato con il cuore spezzato la conseguenza è questa mia nuova destiel, la prima decisamente malinconica. Chi ha già letto qualcosa di mio sa che, a parte un paio di eccezioni (una AU natalizia tutta fluff e la mia raccolta di drabble sulle paure), scrivo fanfiction decisamente leggere, se non addirittura dichiaratamente comiche, quindi spero che sia uscito qualcosa di buono! La one shot è ambientata subito dopo la 12x12 (ho lasciato in inglese “I love you” mantenendo l’ambiguità della frase, mi rifiuto categoricamente di tradurla con un troppo riduttivo “Vi voglio bene”).

Ringrazio chi mi vorrà lasciare il suo pensiero.

 

Prompt 4: "Dean’s top 13 Zepp Tra XX". Seguendo il testo di una canzone che secondo voi Dean ha messo nella cassetta.

 

• Personaggi: Dean, Castiel

• Coppia: Dean/Castiel

• Genere: introspettivo, malinconico

• Rating: verde


 

 

 

 

[Questi personaggi non mi appartengono; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.]

 

 

Quella notte per Dean non fu facile addormentarsi; si rigirava tra le lenzuola del letto della sua stanza nel bunker cercando di resistere nell’oscurità, tenendo cocciutamente gli occhi chiusi, senza sapere che ore fossero. L’eco delle parole che Cas aveva pronunciato in agonia, con il respiro che inciampava nei denti, nello sforzo immane di non affogare nel proprio sangue, non voleva lasciare la sua mente: “Grazie. Conoscervi mi ha regalato gli anni migliori della mia vita”.

Dean si voltò nel letto per l’ennesima volta. C’era mancato poco, l’aveva quasi perso di nuovo. Troppe volte la vita si era fatta carico di fargli sapere quanto la felicità fosse fragile e precaria: lo aveva reso orfano di madre quando Sam era appena nato, dando a lui, ancora più crudelmente, quattro anni di tempo per affezionarsi alla voce che gli cantava Hey Jude come ninna nanna e al sorriso che lo rassicurava. Il padre aveva fatto quello che riteneva il suo meglio per crescerli, ma il suo meglio si era rivelato l’averli sballottati in giro per l’America per svolgere l’attività di famiglia, il che aveva portato all’impossibilità di costruire un legame stabile con luoghi o persone.

Tutto quello che Dean aveva imparato nei suoi 38 anni di vita era che non esisteva investimento sicuro: amare significava, in ogni caso, avere la possibilità di perdere qualcuno, il cuore prima o poi avrebbe sofferto per causa sua, e magari anche si sarebbe spezzato. Volendo avere la certezza di mantenere il proprio intatto, aveva cercato di non donarlo a nessuno, concentrandosi sulla caccia o indugiando in passatempi come il bere, evitando ogni tipo di coinvolgimento che fosse più che occasionale. L’alternativa che aveva scelto al rischio di soffrire era la dannazione. L’unico posto dove poteva stare perfettamente al sicuro da tutti i pericoli e i turbamenti dell’amore era il suo inferno personale.

E tutto ciò che abbiamo condiviso mi ha cambiato”. Dean si premette il cuscino sulle orecchie; dannazione, perché quella voce non faceva silenzio? Di quello scrigno del suo egoismo, in cui si era volontariamente rinchiuso, avevano rubato la chiave pochi eletti. Dal momento in cui aveva portato fuori dalla casa in fiamme il suo fratellino, non aveva potuto fare a meno di amarlo incondizionatamente, si era sentito in dovere di proteggerlo dall’indifferenza del loro padre, dal peso delle responsabilità che caricava tutte sulle proprie spalle, dai pericoli della caccia, arrivando a dare l’anima per lui. Tra di loro c’era un legame che andava aldilà dell’essere semplici fratelli, si capivano in ogni circostanza ed era la persona con cui aveva vissuto praticamente tutta la propria vita.

C’era stato Bobby, un secondo padre, affettuosamente burbero e dannatamente affidabile, che gli aveva regalato pomeriggi a giocare a baseball, rari momenti d’infanzia spensierata in una vita che aveva perso presto la sua innocenza. Il vecchio cacciatore aveva cercato di accompagnarlo e proteggerlo anche oltre la morte.

Charlie aveva rappresentato il fruscio di una gonna nella sua vita, era stata la sorella che non aveva avuto, ancora sperava di veder sbucare il suo smagliante sorriso e il suo taglio di capelli sbarazzino e sentirla salutare con il suo “Hi, bitches!”.

Ma per la precarietà del suo andare, Dean non si era mai permesso di avere punti di riferimento fissi, finché era arrivato Castiel ed era rimasto accanto a lui; nonostante tutto quello che avevano passato, nel bene e nel male, era rimasto ed era stato trafitto da una lancia maledetta che l’aveva quasi ucciso. Quella punta acuminata e ancor più le parole che l’angelo aveva pronunciato “Siete la mia famiglia. I love you” avevano spezzato anche il cuore di Dean. Perché quel dannato angelo era riuscito a fargli provare così tanta sofferenza? Forse, se avesse ascoltato la sua muta domanda, Chuck gli avrebbe saputo spiegare che l’uomo possiede angoli nel suo cuore che ancora non esistono e nei quali il dolore entra perché esistano e, se è stato stabilito che quel cuore debba spezzarsi, il dolore non sarà segno di morte, ma di vita.

Le coperte erano diventate ormai un tormento e Dean le scalciò via. Uscì dalla sua stanza, percorrendo i corridoi del bunker finché non arrivò in una stanza dove aveva sistemato un vecchio stereo a due piastre. Recuperate le sue cassette dal cruscotto di Baby, si sedette per terra, infilò una cassetta vuota da una parte, una con le canzoni che gli facevano compagnia da anni dall’altra e premette play e rec. Le note di Ramble On riempirono l’aria: “Ah, sometimes I grow so tired, / But I know I’ve got one thing I gotta do (A volte sono così stanco, ma so che c’è una cosa che devo fare)”. Era davvero a pezzi, ma aveva bisogno di rispondere in qualche modo a quella voce che lo tormentava e, se non fosse riuscito a farlo con le proprie parole, lo avrebbe fatto con quelle di altri. L’ultima volta che si era sentito così stanco era stato in Purgatorio, dove avevano affrontato un combattimento dopo l’altro, dove lui e Cas avevano confuso lo spazio e il tempo, perdendo la memoria di ciò che era del singolo, perché esisteva solo ciò che era loro. Ricordò l’abbraccio spregiudicato di quando si erano ritrovati, dimentico ancora una volta del concetto di spazio personale, la testa affondata sulla spalla di lui e le lacrime di liberazione e di gioia sfrontata.

La canzone finì e Dean bloccò i nastri e inserì un’altra cassetta con Kashmir: “All I see turns to brown /As the sun burns the ground / And my eyes fill with sand / As I scan this wasted land / Trying to find, trying to find, where I’ve been (Tutto quello che vedo imbrunisce, mentre il sole brucia il terreno e i miei occhi si riempiono di sabbia, mentre osservo questa terra desolata cercando di scoprire dove sono stato)”. Non aveva mai preso scorciatoie per andare da un posto all’atro, guidando per giorni e giorni lungo nastri d’asfalto che si snodavano in un tempo quasi sospeso, in cui il presente, il passato e il futuro sembravano sovrapporsi. Aveva guardato di sfuggita i paesaggi, che mutavano in fretta come i volti delle persone che incontrava, senza conservarne una vera memoria, senza lasciare una traccia o un ricordo del suo passaggio. E pensò al mare scuro, a volte sereno, a volte in tempesta, degli occhi di Castiel, il cui colore era indelebilmente impresso nella sua mente a ricordargli che quello era un porto sicuro dove sostare ogni volta e per tutto il tempo che desiderasse.

Le canzoni si susseguirono una dopo l’atra, e così i pensieri, finché riempì l’ultimo spazio rimasto con Traveling Riverside Blues: “Well I know my baby, If I see her in the dark I said I know my rider, If I see her in the dark (Riconosco la mia Baby se la vedo nel buio, riconosco la mia fantina se la vedo nel buio)”. Un passo non proprio leggero lo fece voltare e scorse la figura di Castiel nella penombra della cornice della porta con due bottiglie di birra in mano: “Dean”. Lo fissò per un lungo momento e poi aggiunse: “Sono venuto a salutarti prima di riprendere la ricerca di Kelly. Troveremo un modo, ma intanto beviamo” e alzò una bottiglia tendendola a Dean.

Dean si alzò stiracchiando le gambe indolenzite per essere stato tento tempo nella stessa posizione, scribacchiò qualcosa sul lato della cassetta, se la rigirò tra le dita, poi la infilò nella tasca posteriore dei jeans e prese la bottiglia che gli veniva offerta. Bevve una lunga sorsata e disse: “Così te ne andrai di nuovo”. Una constatazione, non una domanda, che aveva il gusto amaro, più amaro di quello della birra nella sua bocca, della consapevolezza che l’angelo non si sentisse a casa propria in nessun posto, nemmeno al suo fianco.

Castiel sospirò: “È una mia responsabilità”.

Dean si mosse e superò la porta urtando nel mentre la spalla di Casiel, che si spostò impercettibilmente, e si congedò con un: “Beh, hai fatto bene a passare. Fatti sentire”. Poi, quasi avesse preso una decisone si bloccò, fece un mezzo giro su se stesso estraendo dalla tasca la cassetta e la tese all’angelo in un gesto quasi brusco: “Tieni, così potrai ascoltare qualcosa di decente ogni tanto”.

Castiel inclinò la testa di lato, osservando la cassetta e un impercettibile sorriso sfiorò le sue labbra; poi tese la mano, la prese e la infilò con cura nella tasca interna del suo trench sussurrando un ringraziamento.

Dean si girò e, senza voltarsi indietro, si diresse in camera sua con l’unico desiderio di buttarsi sul materasso e riuscire finalmente a dormire almeno un paio d’ore. Non l’aveva mai fatto per nessuno, nemmeno per Sam, non aveva mai desiderato di poter condividere qualcosa di così intimo come tutte le sfaccettature delle emozioni che la musica gli aveva fatto provare e che erano il fragile filo che teneva insieme la sua esistenza. Si chiese se il suo ingenuo angelo avesse capito che gli aveva dato una parte di sé, che gli aveva donato il tempo in cui aveva pensato a lui, i ricordi dei giorni di caccia della sua vita e se nell’ascoltare avrebbero trovato un punto di incontro. E, addormentandosi, si affacciò alla mente del cacciatore la risposta al perché avesse provato tanto dolore: mentre Castiel parlava di amore, lui amava. Forse era questa la fede di cui Cas gli aveva parlato una volta.

   
 
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