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Autore: MadAka    03/07/2017    1 recensioni
“Il sovrano aveva impiegato due anni per sentirsi all’altezza del compito che il padre gli aveva prematuramente lasciato. Tuttavia, alla fine, l’erede di T’Chaka si stava dimostrando un ottimo re, così come un perfetto Pantera Nera.”
[Post Civil War. Sono presenti riferimenti ad altri film Marvel, in particolare AoU. Alcune cose possono essere tratte anche dai fumetti]
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Nuovo personaggio, Sam Wilson/Falcon, Steve Rogers, T'Challa/Black Panter
Note: Movieverse | Avvertimenti: Incompiuta
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Il lungo corridoio che si stagliava oltre l’ingresso da cui Bucky era appena entrato mostrò subito la fatiscenza dell’edificio in cui erano. Molte luci erano fulminate, alcune pendevano dai loro fili; le infiltrazioni avevano ricoperto il pavimento di uno strato sottile – ma quantomeno uniforme – di acqua e sulle pareti muschi e licheni avevano appestato saltuariamente.

T'Challa richiuse la porta, cercando di fare meno rumore possibile. Non sarebbe stato semplice passare inosservati; il silenzio che regnava era tetro e fu subito evidente che anche il rumore più insignificante avrebbe rimbombato a lungo. Anisa si voltò appena verso i due uomini, i tonfa in mano, la lunga treccia ordinata e composta. Era vigile e reattiva come la corda di un violino.

La Pantera fece cenno di seguirla e si avviò per prima: la leggerezza con cui si muoveva era sorprendente, sembrava quasi galleggiasse sopra la terra. I tre proseguirono lungo il corridoio, appostandosi in corrispondenza di ogni porta e controllando furtivi se dentro le stanze vi era o meno qualcuno. Non incontrarono nessuno e non trovarono niente; la desolazione di quel luogo era quasi demoralizzante.

Una volta raggiunta la fine del corridoio – che, come Bucky aveva notato, pendeva leggermente – si trovarono davanti all’ultima porta. Questa si apriva su delle scale mal illuminate che portavano in profondità. La loro tromba quadrata e il metallo di cui erano fatte permisero a T'Challa di identificare subito il numero dei piani.

«Sono tre» informò i compagni.

«Forse ci conviene dividerci» propose Anisa.

«Mai» rispose pronta la Pantera. «Suggerisco di partire dal piano più basso e salire a ritroso.»

Gli altri due annuirono con un cenno, infine scesero le scale, raggiungendo il piano costruito nella piena profondità della struttura. Dalle dimensioni pareva un hangar. Lo osservarono attentamente, senza fiatare. Anisa notò una serie di grandi casse ammassate contro una parete, i tre uomini a sorvegliarle intenti a parlare. Non si erano accorti della loro presenza e questo semplificò notevolmente il lavoro di Pantera Nera. Si avviò silenzioso verso gli uomini, il passo accelerato che non provocava alcun rumore. Appena li raggiunse assestò un colpo al primo, gomito contro collo; questi crollò a terra subito, privo di sensi, e quando gli altri due si accorsero di cos’era accaduto era già troppo tardi. Anisa e Bucky assistettero da spettatori e videro il secondo dei tre venire colpito anch’esso al collo con il taglio della mano, mentre con altrettanta rapidità – come se i suoi movimenti non avessero bisogno di pensieri – la Pantera sferrava un calcio in pieno petto al terzo uomo, per poi finirlo con un colpo preciso e potente alla nuca.

«Armi» disse poi T'Challa, dopo aver controllato le iscrizioni sulle casse.

«Devono averne rubate ancora, non possono essere le stesse dell’altra volta. Quelle casse sono andate distrutte nell’esplosione.»

Anisa fece notare la cosa al sovrano, riferendosi a quanto successo nella vecchia centrale sulle sponde dell’Omo. Lei e la Pantera si guardarono, consapevoli della stessa cosa: Klaw aveva depredato ancora.

T'Challa si accorse che Bucky si stava guardando intorno, studiando l’ampia stanza.

«Hai notato qualcosa?» gli chiese.

L’uomo indicò un punto, nel lato corto opposto alle scale. «Laggiù c’è un altro ingresso. Forse c’era un montacarichi o qualcosa del genere.»

La Pantera apprezzò il suo spirito di osservazione, tuttavia trovò che quella informazione servisse a poco. Era in procinto di dire ciò che avrebbe voluto fare quando il rumore di molteplici passi che scendevano le scale attirò la sua attenzione. Fece cenno ai compagni di nascondersi e i tre si misero dietro le casse, accucciandosi.

Klaw in persona arrivò nell’ampia stanza, i due possenti uomini che già avevano visto insieme a lui erano alle sue spalle. Il bracconiere non disse niente. Si sentivano solo i suoi passi riecheggiare nella stanza, poi, come se avesse sempre saputo, si sporse oltre le casse.

«Buh» disse, una smorfia divertita in viso.

T'Challa non si domandò come fosse possibile che li avesse individuati, la risposta, qualunque fosse, non gli importava. Scattò contro l’uomo, gli artigli da Pantera sfoderati, e fendette il braccio destro del suo rivale con furia cieca. Il suono che l’impatto produsse fu sordo e innaturale. T'Challa venne colto alla sprovvista e Klaw ne approfittò; puntò la pistola all’addome di T'Challa e gli sparò. Il proiettile, però, incontrò la resistenza del vibranio e si dimostrò impotente. Bucky intervenne, sferrando un colpo con il calcio del fucile nel ventre di Klaw, che accusò e indietreggiò dolorante.

Anche Anisa scattò; insieme a T'Challa superò Bucky, i tonfa stretti in pugno per avventarsi sul nemico. Tuttavia non riuscirono a raggiungerlo in tempo. Uno degli uomini scuri che era con Klaw si fece avanti, Bucky mirò verso di lui ma fu inutile. Pantera Nera riuscì a riconoscerlo appena prima che l’uomo, esattamente come la volta precedente in cui lo avevano incontrato, estraesse un accendino facendolo scattare. Un’enorme fiamma rossa partì e si propagò con feroce violenza. Anisa e T'Challa si spostarono in tempo, il Soldato riuscì a sparare al limite prima che il fuoco lo raggiungesse, inghiottendo il suo fucile d’assalto. Mentre lasciava la presa dall’arma e rotolava a terra per schivare le fiamme e mettersi in salvo, avrebbe potuto giurare di sentire il suono per lui troppo famigliare della carne che viene lacerata con forza, strappata dalla violenza del proiettile.

La fiamma si estinse con la stessa, inspiegabile, forza con cui era sorta. Di Klaw e degli altri due non vi era più traccia ma si potevano ancora sentire distintamente i loro passi salire frettolosamente le scale.

Bucky si rimise in piedi, lanciando un’occhiata al fucile d’assalto che aveva imbracciato fino a pochi attimi prima: era in parte sciolto e parecchio rovinato. Se non avesse incontrato così tante cose strane già nel suo penultimo risveglio, quel breve incontro con Klaw e i suoi uomini lo avrebbe seriamente sorpreso. Non ebbe tempo di chiedersi cosa quel fuoco significasse, T'Challa e Anisa gli dissero di seguirli e lui, lasciando indietro il fucile d’assalto ed estraendo una delle pistole, li seguì senza fiatare.

Raggiunsero le scale e le salirono in fretta, tuttavia, all’altezza del secondo dei tre piani interrati, una nuova e possente fiamma si sprigionò da sopra le loro teste, in un punto imprecisato. T'Challa riuscì a schivarla al limite, appiattendosi contro la ringhiera e balzando sulla rampa di scale successiva con agilità sorprendente. Anisa e Bucky si videro costretti a tuffarsi nel corridoio che si apriva accanto a loro e, come vi furono dentro, sentirono la Pantera urlare: «Io lo raggiungo. Fate attenzione!»

Il fuoco non sembrava intenzionato a estinguersi; bruciava inspiegabilmente e circoscritto alle sole scale. Era assurdo, lo sapevano entrambi, eppure i due avevano smesso di porsi domande.

«Controlliamo che non ci sia qualcuno a questo piano» propose Anisa. Il Soldato annuì e si portò davanti a lei, iniziando a sorvegliare cautamente ciò che li circondava. Percorsero buona parte del corridoio prima di scoprire di non essere soli. Qualcosa alle loro spalle riverberava contro le pareti del corridoio e quando si voltarono, capendo che si trattava del rumore di passi, si trovarono davanti Ulysses Klaw e l’altro uomo che era con lui, l’unico che non aveva ancora fatto alcunché da quando lo avevano incontrato.

«Vediamo un po’» esordì Klaw, l’espressione di chi deve scegliere quale trancio di carne cucinare per prima. «Nessuno di voi è Pantera Nera. Questo vi rende totalmente privi di interesse.»

La sua attenzione poi si focalizzò esclusivamente sul Soldato; corrugando la fronte lo squadrò, dicendo: «Hai qualcosa di famigliare. Ti ho già incontrato altre volte?»

Bucky vide Anisa scattare in avanti prima che potesse in qualche modo impedirglielo. La donna aveva agito in modo avventato e lui lo sapeva perfettamente. Klaw sollevò la mano destra e la respinse indietro, provocando nell’aria che riempiva il lungo corridoio un riverbero e una pressione fortissimi. Il Soldato si sentiva schiacciare da quella pressione; il braccio sinistro era scosso con violenza, le orecchie gli facevano male ed era come se il suo corpo venisse compresso. Cercò di spostarsi dalla traiettoria di Klaw appena capì che in qualche modo era lui a provocare tutto quello e quando ci riuscì e sentì i suoi polmoni nuovamente in grado di respirare, prese rapidamente la mira e sparò. Colpì Klaw alla spalla, l’uomo si fece sfuggire un urlo di dolore e, puntato Bucky, sollevò nuovamente la mano destra. Ancora quella strana pressione aggredì feroce il Soldato. Inevitabilmente si portò le mani alla testa, il braccio sinistro come impazzito, il suo corpo incapace di reagire e un dolore opprimente a schiacciarlo da dentro. Notò di sfuggita Anisa, accasciata a terra poco più avanti di lui e quando la sua sopportazione fu al limite prese a gridare nella remota speranza di riuscire a resistere.

Il dolore cessò improvvisamente. Bucky respirava a fatica, ma si accorse di non essere l’unico. Si voltò appena e vide Klaw che lo stava fissando. Si teneva la spalla sinistra, ferita, con la mano destra, un largo rivolo di sangue rosso cupo a macchiare la mano e i vestiti e una pozza di quel suo stesso sangue a brillare inquietante sul lurido pavimento del corridoio. Il proiettile sparato da Bucky prima era andato a segno e, a giudicare da quanto Klaw sanguinava, l’uomo avrebbe dovuto medicarsi in fretta.

Con il fiato corto e la voce roca, Klaw si voltò verso il suo uomo e fece un cenno in direzione di Bucky – ancora troppo scosso per rialzarsi – e Anisa, dicendo: «Sule, pensaci tu.»

L’uomo acconsentì con il capo e si portò avanti, estraendo una pistola, mentre Klaw si allontanava lungo il corridoio, la mano destra sempre premuta contro la spalla sinistra.

Sule – a quanto pareva questo era il suo nome – puntò l’arma contro il Soldato e sparò. Il proiettile urtò contro il braccio metallico che Bucky aveva prontamente sollevato, lasciando i suoi riflessi liberi di agire con la rapidità che avevano conquistato a suon di allenamenti e combattimenti. Tuttavia il Soldato si accorse che la velocità con cui lo sparo lo aveva colpito era ben superiore a quella che si sarebbe aspettato; per un lungo attimo si chiese come ciò fosse possibile. Lasciò da parte i pensieri e si mosse, appoggiandosi con la schiena alla parete e puntando l’arma contro l’avversario. Quest’ultimo riuscì a spostarsi in tempo così da schivare il colpo lanciato da Bucky, preso con poca mira, e a rispondere al fuoco a sua volta. Nuovamente il Soldato fu più veloce e riuscì a proteggersi, ma ancora una volta la rapidità e il riverbero che quell’unico proiettile aveva provocato sul braccio gli fecero capire che c’era qualcosa di sospetto nell’arma – o addirittura nell’uomo. Si alzò per poterlo fronteggiare e vide Anisa, nuovamente in piedi, lanciarsi contro Sule. La donna tese il corpo e il tonfa destro, con un gesto fluido, andò a colpire l’uomo proprio sotto le costole. Lui si voltò a guardarla e le sferrò una gomitata, ma lei si mosse più velocemente e schivò il colpo, rispondendo a sua volta con un altro affondo dei suoi tonfa. Era evidente che Sule, nel corpo a corpo, non era ferrato quanto la sua avversaria – e probabilmente neanche quanto Bucky – e il Soldato rimase a guardarli mentre lei affondava e lui tentava di ripararsi, in attesa del momento in cui si sarebbero separati, così che potesse prendere adeguatamente la mira senza rischiare di ferire Anisa.

«Insegui Klaw!» gli urlò la donna all’improvviso.

Lui non si mosse subito. Non era sicuro che lasciarla sola fosse una buona idea, ma la sua superiorità su Sule, in quel momento, era evidente. Con un rapido cenno di assenso l’uomo si avviò, iniziando a correre lungo il corridoio, seguendo le gocce di sangue scuro che baluginavano qua e là.

Anisa, nel frattempo aveva messo alle strette l’avversario, che si era ritrovato con la schiena contro una serie di vecchie casse impilate l’una sull’altra. Continuava a proteggersi il volto con le braccia, la pistola in mano con la quale non riusciva a prendere la mira contro la donna. Il corpo a corpo non era mai stato la sua specialità e contro Anisa questa cosa era evidente. Lei si muoveva con rapidità e agilità; ogni affondo dei suoi tonfa era dato in modo fluido, elegante e potente e nei suoi gesti c’era una tale naturalezza che sembrava non avesse fatto altro per tutta la vita.

L’uomo cercò di controbattere; sollevò il ginocchio puntando all’addome della donna, lei se ne accorse in tempo, schivò il colpo e controbatté dandogli un pugno sotto al mento. A causa di quella botta Sule si morse la lingua, sentì la bocca riempirsi di sangue caldo e in preda alla più totale furia puntò istintivamente la pistola contro Anisa. Nuovamente lei fu più veloce; con quel gesto l’uomo aveva involontariamente esposto il collo e ciò diede la possibilità alla donna di colpire esattamente lì. Il rumore del suo tonfa che colpiva il collo di Sule fu violento e chiaro. L’uomo non riuscì a reagire, i suoi occhi si fecero vaghi mentre lanciava un’ultima occhiata ad Anisa e, boccheggiando sangue, si accasciò alla parete e scivolò fino in terra. Lei rimase a guardarlo un momento, attendendo che il suo respiro si regolarizzasse appena, dopodiché si avviò per raggiungere Bucky e cercare Klaw.

A metà del corridoio, però, non fu in grado di sentire i rumori provenienti alle sue spalle. Se solo ci fosse riuscita si sarebbe accorta che Sule si stava rialzando, il respiro ansante, il mento sporco di sangue e lo sguardo pieno di folle odio. L’uomo raggiunse il centro del corridoio, notando in lontananza la ragazza che correva per raggiungere le scale, sollevò la pistola e prese la mira. Anche se lei era distante sapeva perfettamente che il colpo sarebbe andato a segno: la sua mira era impeccabile e, inoltre, lui…

Lo scoppio dello sparo squarciò l’aria come un tuono. Anisa sentì in corrispondenza all’esplosione un intenso dolore farsi strada attraverso il suo fianco sinistro. Il respirò le morì in gola e le gambe cedettero improvvisamente, perse la presa dai tonfa e rovinò a terra, il viso contro il pavimento. Il suo corpo cominciò a essere scosso da dei fremiti involontari, mentre un calore viscido si propagava poco sotto le sue costole, riversandosi sulla pelle e sul pavimento, accompagnato da un dolore intenso come non ne aveva mai provati prima. I passi di Sule risalirono il corridoio e lei capì che a spararle era stato lui. Si sentì improvvisamente indifesa e l’angoscia e la paura si presentarono da lei, sgorgando a fiotti dalle profondità più remote della sua mente. Sule la raggiunse, contemplò per un momento il suo corpo, infine si chinò accanto a lei. Anisa vide i suoi occhi e il suo sorriso – macchiato di sangue – animati da una divertita follia.

«Ulysses mi ha detto che nelle vostre tute c’è del vibranio» esordì, senza staccare gli occhi da Anisa. Avvicinò il viso alla ragazza e mormorò: «A quanto pare nella tua non ne hanno messo abbastanza.»

La mente della donna era annebbiata dal troppo dolore e non fu in grado di dare un senso a quelle parole. Sentiva i polmoni bramare sempre più aria, ma respirare le faceva talmente male che desiderava non doverlo fare. Sule le afferrò la treccia, sollevandole le testa e avvinandosi ancora di più a lei. I suoi occhi, ora, erano neri e pieni di solo odio.

«Potrei finirti, ma non credo che lo farò. Sei talmente gracile che morirai dissanguata prima che qualcuno possa venire a recuperarti.»

La lasciò andare e si alzò, avviandosi verso le scale, senza voltarsi un’ultima volta.

 

*

 

Le tracce del sangue di Klaw portarono Bucky nel piano più interrato dell’edificio, quello in cui lo avevano incontrato all’inizio dello scontro. Lo notò mentre si avviava verso la parete opposta alle scale, il passo rapido e una fasciatura approssimativa sulla spalla. Klaw si voltò quasi subito, certamente sentendo il Soldato.

«Di nuovo tu!» ringhiò e senza aspettare altro puntò contro di lui la mano destro.

Come un’onda invisibile da quell’insignificante gesto si sprigionò un’intensa forza, che respinse Bucky e lo fece sentire come schiacciato da qualcosa. Era inspiegabile, tuttavia arrivò alla conclusione che, in qualche modo, quell’assurda pressione venisse generata dalla mano destra di Klaw. Si parò istintivamente con il braccio in vibranio e si accorse che nonostante l’arto vibrasse in modo quasi incontrollato era comunque in grado di attutire quella strana pressione. Traendo ispirazione da quella nuova e curiosa scoperta, il Soldato estrasse la pistola e cercò in qualche modo di prendere la mira verso Klaw.

Come l’arma divenne visibile agli occhi del nemico, però, la forza che continuava a percuotere e comprimere Bucky si fece più intensa. Qualsiasi cosa fosse a provocare quell’onda andava fermata subito, altrimenti, lui ne era certo, sarebbe rimasto ucciso. Respirava a fatica, la testa e le membra gli facevano malissimo e non sapeva per quanto avrebbe potuto resistere a una tale pressione. Le ginocchia gli cedettero e lui si ritrovò a terra, sentendosi senza via d’uscita. Con un ultimo sforzo, però, costrinse il suo corpo a seguire i suoi ordini ancora una volta; ignorò il dolore, rotolò rapidamente sul fianco e con altrettanta velocità prese la mira e sparò. Il colpo urtò la mano destra di Klaw, ma non accadde altro. L’uomo si voltò in direzione del Soldato, lanciandogli un’occhiata feroce. Bucky lo ignorò completamente, corse verso di lui e lo colpì con un destro che Klaw riuscì a schivare. In risposta quest’ultimo sferrò un colpo, magistralmente evitato dal Soldato che replicò a sua volta con un pugno. Klaw schivò anche quello e puntò la mano destra all’altezza del petto di Bucky che si accorse in tempo della cosa e riuscì ad afferrare il polso dell’altro, puntando il suo arto verso il soffitto.

Fece a malapena in tempo; la strana energia si sprigionò dall’articolazione del suo avversario e si propagò in alto, verso il soffitto. Sopra le loro teste si trovava un vecchio lampadario fatiscente, appeso al soffitto solo grazie a pochi e ormai consumati fili. Non fu in grado di resistere alla scossa che lo raggiunse, infatti i fili si lacerarono e il lampadario crollò pesantemente verso di loro. Entrambi gli uomini riuscirono a schivarlo al limite, lanciandosi indietro. Il crollò sollevò una nube di polvere, mentre calcinacci e pezzi di vetro schizzavano da tutte le parti. Bucky si rialzò, cercando di individuare Klaw; lo vide più avanti, diretto verso l’altro ingresso che aveva individuato prima. Estrasse la pistola prendendo la mira, ma questa volta fu l’avversario ad agire più in fretta. Klaw prese a sparare una raffica di colpi, mirando in direzione di Bucky che si vide costretto a proteggersi con il braccio in vibranio. Quando i colpi cessarono e lui tornò a guardare nel punto in cui si trovava Klaw, l’uomo non c’era più.

Corse verso l’uscita con l’intenzione di inseguirlo, ma come compì il primo passo il rumore di un solo sparo provenne da oltre quella stanza. Il Soldato si bloccò, rimanendo sul chi vive, cercando di decifrare altri rumori intorno a lui. Quel colpo fu l’unico ed era chiaro, per lui, che era stato sparato nel piano superiore rispetto a quello in cui si trovava. Si sentì improvvisamente gelare il sangue alla consapevolezza che, al piano di sopra, si trovava Anisa sola con Sule e, soprattutto, che quello armato fra i due era lui. Lasciò perdere l’inseguimento di Klaw e percorse a ritroso le scale in gran fretta. Come ebbe raggiunto il piano superiore, prima di imboccare il corridoio, estrasse la pistola e tese tutti i suoi sensi, dopodiché si avviò.

Mano a mano che si incamminava lungo il corridoio non trovò nulla, né sentì qualcosa in grado di permettergli di capire se lì si trovava qualcuno e, nel caso, chi fosse. Poi, poco più avanti rispetto a dove si trovava, vide qualcosa. Si avvicinò con cautela, finché non fu certo di quello che stava guardando.

Il corpo di Anisa era disteso a terra, il volto rivolto di lato e una pozza di sangue che lentamente si allargava intorno alla donna. Corse verso di lei, spaventato e le si inginocchiò accanto.

Anisa era cosciente ma respirava piano e quando puntò i suoi occhi in quelli di Bucky il suo sguardo era vacuo. Il Soldato rimase stordito per un momento, poi il suo sangue freddo prese il sopravvento. Osservò con cura la ferita della donna, il tessuto della tuta lacerato con millimetrica precisione. Capì subito che la lesione andava medicata in fretta, altrimenti Anisa non sarebbe riuscita a uscire viva da quell’edificio.

Bucky estrasse il coltello dalla cintura, distese il braccio e con cura lacerò i punti della tuta in corrispondenza della spalla sinistra. Aiutandosi con i denti forzò la cucitura finché questa non cedette, strappando la manica nella metà esatta e permettendogli di avere in mano una striscia di stoffa nera lunga quanto il suo braccio; l’avrebbe usata per medicare temporaneamente la donna, colpita al di sotto delle costole, il punto in cui il suo corpo si faceva sottile.

Prestando particolare attenzione anche al gesto più minimo voltò Anisa, sollevandole lentamente il busto e prendendola fra le braccia, le gambe di lei mollemente abbandonate sul pavimento. Abbassò la zip che la tuta della donna aveva sulla schiena e con cautela gliela sfilò tanto da permettergli di raggiungere il punto in cui era stata colpita. La fascia bianca che le stringeva il seno era in parte impregnata di rosso, così come il suo addome era striato dal sangue viscido. Bucky le avvolse intorno al corpo la striscia di stoffa che era riuscito a rimediare, stringendo a sufficienza per arrestare il flusso ma senza arrecare ulteriori dolori ad Anisa.

Quando ebbe finito di risistemarle indosso la tuta e aver richiuso la zip, la allontanò appena, facendole appoggiare la schiena al suo braccio di metallo, accorgendosi che lei continuava a guardarlo.

Fu una strana sensazione quella che provò; gli occhi della donna erano velati ma chiaramente fissi nei suoi e pareva non volessero abbandonarli. Dentro il Soldato il profondo desiderio di salvarla si accentuò; si ritrovò a sperare che tutto andasse per il meglio con una tale intensità che quasi si sorprese di provare simili sentimenti.

«Andrà tutto bene» le mormorò, mentre si apprestava a raccoglierla per poter andare a cercare T'Challa.

La sollevò con cautela, come se avesse fra le mani una sottile lastra di cristallo.

«Ora andiamo da T'Challa.»

Le sorrideva lievemente, come nel tentativo di tranquillizzarla, benché fosse preoccupato per le sue condizioni, mentre Anisa continuava a guardarlo. Bucky riusciva a sentire distintamente i deboli fremiti che percuotevano il suo corpo; conosceva quello stato, quegli spasmi involontari, indomabili, che un corpo ferito liberava in preda al dolore e che non lasciavano mai presagire nulla di buono.

Quando la donna chiuse gli occhi, registrando un’ultima volta i lineamenti del Soldato, l’uomo accelerò il passo. Salì di un altro piano, l’orecchio teso alla ricerca di suoni che potessero in qualche modo avvertirlo della presenza di qualcuno. Sule e l’altro uomo di Klaw erano ancora nell’edificio e avrebbe fatto bene ad accorgersi di loro prima che fosse tardi se mai avessero dovuto attaccarlo.

Non accadde; mano a mano che proseguiva cautamente lungo il piano cominciò a sentire dei rumori: colpi, scontri, rantoli. Identificato il punto dalla quale provenivano Bucky si avvicinò piano, stringendo più forte Anisa e si sporse lentamente per vedere ciò che stava accadendo nella stanza.

Il corpo di Sule era disteso a terra, al margine, sanguinava copiosamente, dei profondi tagli a lacerargli il fianco destro, la pistola ancora stretta in mano. Pantera Nera era concentrato sull’altro uomo, che in un modo o nell’altro continuava a bersagliare il sovrano con rapide e intense fiamme rosse. L’agilità della Pantera nello schivare il fuoco era tale che in un unico, curioso, attimo di consapevolezza Bucky si ritrovò a chiedersi come avesse fatto, anni prima, a resistergli in combattimento.

Un calcio veloce della Pantera fece saltare di mano l’accendino all’uomo, che cadde lontano e scivolò verso una delle pareti. L’uomo allora estrasse un coltello a serramanico, preparandosi a fronteggiare così T'Challa. Nuovamente – e come era prevedibile – il sovrano fu più veloce; si abbassò per schivare il fendente, approfittò di quel gesto per prendere la spinta e lanciarsi contro l’avversario, colpendolo con violenza al petto con il ginocchio. Subito, poi, gli diede il colpo di grazia assestandogli un calcio nel lato scoperto del collo. Prima ancora che l’uomo potesse accorgersi di ciò che era accaduto le gambe gli cedettero sotto il suo stesso peso e lui si afflosciò in terra privo di sensi.

T'Challa lo sovrastò con tutta la raffinata forza della Pantera Nera. Prima che potesse perquisire il corpo del malcapitato che giaceva ai suoi piedi, però, Bucky si fece avanti: «Pantera» lo chiamò.

T'Challa si voltò, fissò il Soldato per un attimo prima di capire. Anche se non la poteva vedere oltre la maschera, Bucky immaginò l’espressione che il sovrano doveva aver assunto; il modo in cui i suoi muscoli, da tesi e pronti che erano, si lasciarono andare, era il chiaro messaggio che ciò che aveva appena visto non sarebbe dovuto accadere.

«Anisa» mormorò.

Si avvicinò alla donna, le slacciò l’elmetto con delicatezza e le passò una mano sulla fronte imperlata. La donna era incosciente e respirava piano, stretta fra le braccia di Bucky.

«Le hanno sparato» informò quest’ultimo. «Se non viene medicata in fretta morirà.»

Il Soldato non usò alcun giro di parole. Sapeva perfettamente che T'Challa, che non era affatto uno sprovveduto, non si sarebbe illuso con semplici e banali rassicurazioni, specie in casi come quello. Inoltre, come se non bastasse, Bucky voleva davvero uscire in fretta da quell’edificio per poter affidare Anisa alle cure di medici competenti e dotati delle giuste strumentazioni.

T'Challa annuì, passando in maniera incerta la mano sulla fronte della donna.

«Dov’è Klaw?» chiese.

La sua domanda sorprese il Soldato, che abbassò un momento lo sguardo prima di rispondere.

«È fuggito. Dall’uscita che si trovava al piano più interrato.»

Il sovrano si voltò a guardare gli uomini di Klaw, entrambi a terra, soppesando mentalmente cosa fare di loro. Con tutta probabilità Sule non sarebbe sopravvissuto, ma l’altro si sarebbe svegliato prima o poi e sarebbe diventato nuovamente una minaccia se avesse ripreso in mano quel suo strano accendino. La risposta gli apparve improvvisamente semplice. Andò a recuperare l’accendino da terra e tornò da Bucky.

«Riportiamola a palazzo» disse, alludendo ad Anisa.

Il Soldato si avviò fuori dalla stanza, poi lungo il corridoio, seguendo la Pantera che apriva la strada con il suo passo felpato.

Quella missione era stata un fallimento e nel silenzio surreale che circondava i tre, quella consapevolezza si fece perfettamente palpabile.

 

 

 

___________________

Ehm, ehm… ciao!

Vorrei davvero scusarmi tantissimo con tutti quelli che hanno iniziato a seguire questa fan fiction, che magari ci si sono anche appassionati, e che poi ho lasciato “appesi” perché, di punto in bianco, ho smesso di aggiornare.

Scusatemi davvero tanto!

Non mi sono dimenticata di questa storia, al contrario. Il problema è che mi richiede molto tempo da scrivere perché non è semplice affrontare il tutto in modo soddisfacente – e spero, almeno un minimo, di riuscirci – e anche perché è comunque qualcosa di nuovo.

In aggiunta a questo c’è il fatto, e credo sia proprio questo il vero “problema”, che sto scrivendo la mia tesi di laurea, perciò davanti al pc non posso concedermi di scrivere di T'Challa, ma devo per forza buttare giù pagine e pagine di Word con cose universitarie.

A ogni modo, spero che questo mio ritorno possa contribuire a farmi perdonare. Temo che anche gli altri aggiornamenti richiederanno tempo – spero non così tanto quanto questo, almeno – e farò il possibile per pubblicarli.

Sto portando avanti questa storia, dovete credermi, solo molto lentamente.

Se siete arrivati fin qui grazie per essere passati!

MadAka

 

  
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