23. This is what you were born for
Ama il tuo sogno se pur ti tormenta.
-Gabriele D’annunzio
Da qualche giorno, tutto era tornato alla normalità.
O quasi…
Come aveva immaginato, raccontare la verità ad Henry era stato sì liberatorio, ma forse, anche un po’ azzardato.
Ovviamente non aveva minimamente accennato al “Rabbit Hole” o al fatto che, a farle conoscere quel posto, era stato proprio il suo padre biologico. Suo figlio era intelligente ma ancora piccolo per sapere, quantomeno con certezza, che posti del genere esistessero e che, proprio sua madre, in quei posti lì ci aveva speso molto più tempo di quanto avrebbe mai immaginato.
Nei giorni successivi alla “Grande Verità”, come aveva cominciato a chiamarla nella sua testa, il morale del bambino era stato altalenante, passando da un profondo sconforto a un’utopica speranza, toccando, per un po’, persino una cieca rabbia.
Alla fine, da qualche giorno, il ragazzino aveva convenuto che il comportamento di suo padre non era stato corretto, che ciò che aveva fatto a sua madre era stato a dir poco “disdicevole”.
Sì, aveva usato proprio questo termine e sia Killian che Emma, si chiedevano ancora dove l’avesse mai sentito.
Ad ogni modo, Henry credeva ancora che, per quanto cattive fossero le sue intenzioni, Neal avesse ancora il diritto di sapere della sua esistenza, anche solo per rendersi davvero conto di ciò che aveva fatto, per toccare con mano i suoi errori.
Emma ovviamente si era arrabbiata moltissimo quando suo figlio aveva parlato di se stesso in quei termini e dopo avergli spiegato, per l’ennesima volta, che lui fosse stato la cosa migliore che le fosse mai capitata nella vita, gli aveva anche detto che non l’avrebbe fatto, che non avrebbe detto a quell’uomo della sua esistenza.
Ovviamente, dopo questa sorta di discussione, Emma ne era uscita ancora più sconvolta e preoccupata di prima.
Per questo, ora come ora, non aveva proprio tempo di pensare a ciò che Regina continuava a ripeterle da quanto? Una settimana?
«Scordatelo!»
«Ma non mi hai neanche fatto finire di parlare!» protestò la mora, stringendo i pugni lungo i fianchi.
«So dove vuoi arrivare e, no, Regina, non se ne parla!»
Emma le diede le spalle, doveva prendere le misure di quella cassapanca che le avevano portato l’altro giorno in negozio ed era meglio pensare a quello piuttosto che prendere anche solo lontanamente in considerazione l’idea di Regina.
Che pazzia.
No, non l’avrebbe fatto, non si sarebbe lasciata convincere come le altre volte.
Questa era una cosa ben diversa dal mettere o non mettere i tacchi.
No, no, no.
Assolutamente.
Ma ci stava ancora pensando?!
Dove aveva messo il metro?
«Emma, ti prego! L’Accademia potrebbe chiudere se non mi aiuti!»
Eccola, astuta come sempre.
Si stava già giocando la carta del senso di colpa. Ma questa volta, lei non si sarebbe lasciata convincere.
«Ma io ti aiuterò! Solo che… solo che non farò quella cosa!»
Regina sbuffò. Sapeva che sarebbe stata una battaglia difficile da vincere ma non era nella sua indole darsi per vinta. E poi, molte, moltissime persone contavano su di lei e lei sapeva, sapeva che Emma avrebbe potuto farle fare una bella figura! Se solo la sua amica fosse stata meno testarda e meno… be’, meno Emma!
«Perché?!» chiese, per l’ennesima volta, con le mani sui fianchi, seguendola, qualsiasi cosa avesse intenzione di fare.
«Sappiamo entrambe che muori dalla voglia di farlo da quando… be’, da quando sei nata praticamente!»
«Certo! E ho avuto i miei momenti! Adesso non è più tempo per me!»
Oh, finalmente, eccolo! Quanto avrebbe dovuto essere alta? Ci sarebbe stata bene nella camera da letto? O forse avrebbe potuto metterla nella soffitta…
E se…
No!
Emma, resta concentrata.
Resta concentrata.
Forse poteva chiamare Killian e chiedere il suo parere.
Su cosa, esattamente?
«Non essere ridicola!»
Oh, per la miseria!
«Ti sto ignorando, non si vede?!» sbottò Emma, quando, per l’ennesima volta, la donna si frappose tra lei e il dannato mobile che, dannazione, doveva misurare!
«Sì che si vede ma, ripeto, sei ridicola! Ti stai comportando da bambina capricciosa!»
Emma affilò lo sguardo e incrociò le braccia.
«Ma davvero?! Ok, lo farò…»
«Davvero?!» chiese e gli occhi della mora si illuminarono al solo pensiero.
«…Solo se lo fai anche tu!»
Il sorriso che si era aperto sulle labbra rosse di Regina, si spense così come si era acceso.
«Non essere ridicola! Io sono la preside!»
«E io non sono nessuno! O meglio, sono una povera donna che sta cercando di portare a termine un lavoro super importante, prima che il suo elfico e malvagio datore di lavoro la faccia fuori!» sbottò, arrendendosi e sedendosi a braccia incrociate sulla cassapanca o quel che diavolo era.
«Non giocare la carta di Gold, Emma! Perché te ne sei andata a Storybrooke da un giorno all’altro e lui non ti ha neanche licenziato!»
«Grazie a Belle! Sappiamo entrambe che l’avrebbe fatto se non fosse stato per lei!» sbottò Emma. Ma quando sarebbe entrato in testa a Regina che no, lei non avrebbe preso parte a quella pazzia?!
«E poi avete quasi finito, siete persino in anticipo! Quand’è che si sposano?!»
«A maggio…»
«E quando è prevista la consegna dei progetti completi e definitivi?»
«Tra una settimana…»
L’espressione di Regina era piuttosto chiara e Emma si stava innervosendo sempre di più. Sembrava dirle “Visto?! Io ho ragione e tu torto, quindi non c’è assolutamente nessun motivo perché tu non possa farlo!”.
«No, Regina, non se ne parla! E poi, consegniamo solo i progetti… sia io che Killian dovremmo comunque supervisionare che vengano presi alla lettera!»
Regina sospirò. Forse dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non ribattere ulteriormente e stava quasi per mandare tutto all’aria, quando, fortunatamente, si calmò in tempo.
Chiuse gli occhi, prese un bel respiro e si stampò in faccia un’espressione supplichevole.
«Ti prego, almeno pensaci! Oggi pomeriggio c’è il primo incontro, una specie di riunione, insomma, per vedere chi ha risposto effettivamente alla nostra richiesta! Ti prego, ti prego, vieni! Senti cosa diranno…»
«Cosa dirai! Scommetto che hai già il discorso pronto!»
«Non parlerò solo io e comunque sì, è pronto ma a te non interessa in questo momento! Vieni, portati Henry, Jones, Belle, Gold, chiunque tu voglia, ma vieni! Ho bisogno di te!»
Emma non rispose.
Restò imbronciata e pensierosa per qualche secondo.
«Perché? Perché mi vuoi così disperatamente?»
Forse fu ciò che Regina rispose in quel momento che le fece prendere in considerazione, per un solo, piccolissimo istante, la sua proposta.
«Perché ti conosco e so che puoi farcela…» mormorò, prima di raccogliere le sue cose e uscire.
Dio, quanto amava le uscite ad effetto!
E quanto era brava a convincere le persone!
«Ma perché ne stiamo discutendo adesso?!» urlò, esasperata, la donna.
«E quando vorresti farlo? Quando sarà ormai troppo tardi? No, è una cosa che dobbiamo decidere subito!»
David le si sedette accanto, sul grande divano del suo appartamento, poggiandole una mano sul ginocchio, un’aria così seria e pensierosa che, per un attimo, Mary Margaret si convinse che, in fondo, avesse ragione.
Fu un attimo, fortunatamente, perché, subito dopo, si ricordò su cosa esattamente verteva la loro conversazione.
«David, tesoro, sono incinta da neanche un mese e tu già vuoi scegliere la carta da parati della stanza del bambino!»
«Tu non vuoi scegliere il nome!» protestò lui, incrociando a sua volta le braccia.
«Perché non sappiamo neanche se sarà maschio o femmina!» protestò lei.
«Be’, potremmo fare un elenco…» azzardò lui.
«Sai che non chiamerò mio figlio “Geoffrey”, vero?!»
«Veramente io volevo proporre “Jon” e, se ci pensi, è una cosa carina, visto che è stato “Game of Thrones” che ci ha fatto avvicinare…»
«Non ci credo che tu l’abbia detto sul serio!» mormorò lei, seriamente preoccupata.
«E io non ci credo che tu voglia chiamarlo “Leopold”!»
«Ti ho solo detto che era il nome di mio padre, non che voglio chiamarlo così!» urlò lei, per l’ennesima volta.
«E poi… stai dando per scontato il fatto che sarà un maschio! E se è femmina? Giuro che se dici che vuoi chiamarla “Sansa” o “Dany”, ti uccido!»
David stava per aprire la bocca per replicare qualcosa ma la richiuse, prima che un’altra idea gli attraversasse il cervello.
«No! Neanche “Arya”!»
Mary Margaret lo bloccò, prima che potesse anche solo mettere voce ai suoi pensieri.
Ok, aveva afferrato il concetto, niente Game of Thrones…
Sbuffò.
«Come si chiamava tua madre?» chiese, dopo qualche minuto di silenzio.
«Eva…»
Lui ci pensò su un attimo.
«Non è male… mi piace!»
«David, abbiamo ancora tanto tempo per pensarci! Davvero…» mormorò lei, toccandogli un braccio.
L’uomo annuì.
«Hai ragione, Mary… abbiamo ancora tanto tempo!» convenne lui.
«Bene… vado a prepararmi una tisana!»
L’uomo la seguì con lo sguardo, mentre si incamminava verso la cucina e iniziava a trafficare con il bollitore.
Restò per un po’ in silenzio, perso nei suoi pensieri, poi, un lampo di genio.
«E cosa ne pensi di “Hermione”?»
«DAVID!»
«Cosa ci facciamo qui?» chiese, sbuffando e immaginando già la risposta.
«Sai Emma, non me ne avresti parlato se non fossi voluta venire…» affermò l’uomo, con ovvietà.
La donna storse la bocca ma non replicò perché, forse, in fondo aveva ragione.
Si guardò intorno e individuò subito la figura longilinea della sua amica, chiacchierare amabilmente (non avrebbe mai pensato di poter accostare “amabilmente” con la figura di Regina) con chissà chi.
Si nascose dietro Killian, sperando che lei non la notasse.
Se l’avesse fatto, l’avrebbe incastrata definitivamente e lei, lei non aveva ancora preso una decisione e riteneva di avere ancora voce in capitolo sulla sua vita… o no?
Si stava comportando come una bambina capricciosa?! Forse… ma, che importava?
Non avrebbe mai pensato che sarebbe ritornata in quella scuola, dopo così tanto tempo e adesso che era lì, non vedeva l’ora di scappare e ritornare a casa, al sicuro.
«Sai che odio lasciare Henry da solo…»
«Henry è grande e vaccinato e può benissimo restare da solo a casa per qualche ora… e, ad essere sincero, non so neanche se si sia accorto che ce ne siamo andati…»
Emma alzò gli occhi al cielo. Che idiota!
«Emma?! Sei davvero tu?»
Non seppe dire cosa accadde dopo ma si considerò piuttosto fortunata solo perché non cadde a terra, travolta da una ragazza dai lunghi capelli neri e da un profumo esotico e, allo stesso tempo, stranamente familiare.
«Esmeralda?!» chiese stranita, quando la donna si staccò.
Esmeralda era una delle ragazze con cui aveva più legato, durante gli anni in quella scuola. Aveva un talento naturale per ogni cosa, dal posare per una semplice fotografia, al ballare di fronte ad una platea gremita di gente. Emma ricordò che aveva anche una voce sensazionale e che, a volte, l’aveva persino invidiata.
«Non pensavo ci saresti stata anche tu! Che bello! Adesso non vedo davvero l’ora!» rispose la donna entusiasta.
Non era cambiata in tutti quegli anni.
Gli occhi erano ancora grandi e profondi, i capelli lunghi e neri, tenuti fermi da una fascia viola che, quasi sicuramente, era una qualche bandana che aveva comprato in chissà quale posto magnifico; alle orecchie dei grandi orecchini a forma di cerchio.
Sì, forse la invidiava ancora.
Non tanto.
Giusto un po’.
«Ma tu?! Dimmi un po’, vivi ancora in Francia?» chiese la giovane dai capelli biondi, cercando di sembrare il più entusiasta possibile.
E lo era, lo era davvero.
In fondo era felice per lei.
Ma non poteva evitare quei pensieri che, sin da quando Regina le aveva proposto di tornare, si erano appoggiati, fastidiosi, agli angoli della sua mente.
Rimpianti. Fallimenti. Ipotesi. Dubbi.
«Ho vissuto lì per un po’ di tempo, ho partecipato ad un grande musical e assieme alla compagnia abbiamo girato un po’ tutto il paese… è stato fantastico! Adesso però sono tornata in America, sai i francesi non sono molto simpatici…» rise e la sua risata, contagiò anche Emma.
«Sei sposata?»
«Oh per l’amor del cielo, no! Pensavo mi conoscessi meglio Emma!»
«Hai ragione, non sei mai stata il tipo da… relazioni durature…»
Risero.
A quel punto Esmeralda alzò lo sguardo e si accorse di Killian. Emma lo notò e quasi istintivamente, quasi a voler segnare il suo territorio, si appoggiò a lui, prendendogli una mano.
La donna dai capelli neri alzò un sopracciglio.
«E lui è…?» chiese, curiosa.
«Lui è Killian… il mio, ehm…»
«Il suo ragazzo» intervenne lui, andandole in aiuto e stringendo la mano della giovane in segno di saluto.
Si trattenne dal suo solito, galante, baciamano perché sapeva che, se lo avesse fatto, Emma lo avrebbe ucciso una volta tornati a casa.
Anche se forse non se ne sarebbe neanche accorta, considerando quanto fosse diventata rossa. Cosa aveva detto?
«Emma!»
Un’altra giovane donna andò loro incontro. Aveva la faccia cosparsa qui e lì di simpatiche lentiggini e i capelli arancioni, raccolti in due trecce che le cadevano sulle spalle.
Questa volta fu Emma stessa che, sorprendendolo, le si buttò tra le braccia.
«Anna! Non posso crederci! Oddio, non posso crederci… Mi sei mancata, mi sei mancata tanto!»
La giovane donna che, a quanto pareva, si chiamava Anna, la strinse a sua volta e Killian poté giurare persino di aver intravisto, sul suo viso, qualche lacrima.
Sorrise.
«Mi sei mancata anche tu!» mormorò, emozionata.
Anna la strinse ancora, eccitata e troppo sconvolta. Sì, si erano sentite qualche volta per email ma non aveva mai davvero abbandonato l’idea di poter rivedere la sua vecchia coinquilina un giorno.
Avevano condiviso così tanto insieme, in quel poco tempo in cui avevano convissuto…
Non poteva crederci che fossero passati così tanti anni!
La donna dai capelli rossi si guardò intorno e fece segno a qualcuno di raggiungerla.
Subito due tipetti piuttosto scatenati le andarono incontro, appendendosi alle sue gambe.
Lei li prese in braccio entrambi, sorridente.
«Loro sono Heike e Alfie, le mie piccole pesti!»
«Ciao piccoletti, ho sentito molto parlare di voi!» rispose Emma, stringendo le mani di entrambi e accarezzando loro la testa.
La bambina aveva i capelli biondi e le treccine come la madre mentre il piccolo, folti capelli arancioni e occhi chiarissimi.
«Lui è Kristoff e lei è Elsa, la ricordi vero?» mormorò quando, un uomo e una donna le si avvicinarono con un’espressione costernata, probabilmente per non essere riusciti ad evitare che i due bimbi si fiondassero in mezzo al caos tra le braccia della mamma.
«Certo che me la ricordo! Sogno ancora il semifreddo al cioccolato che ci preparasti una sera! Non penso di averne mai mangiato uno così buono!» mormorò Emma che, sorprendendo ancora una volta Killian, si stava trovando perfettamente a suo agio in mezzo a tutte quelle persone.
Elsa, una biondina dagli occhi color del ghiaccio, le sorrise imbarazzata e accettò di buon grado l’abbraccio che Emma le offrì.
Kristoff, invece, era un omone piuttosto alto e Killian non ci mise molto a capire che non solo non era americano, ma era completamente estraneo a tutto quello. Un po’ come lui, in fondo…
«Lui è…»
Stava ancora studiando quell’uomo bizzarro quando si ritrovò tra le braccia un alquanto calorosa Anna.
«Vi siete ritrovati! Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo!»
Killian guardò prima la donna e poi Emma che, divertita e piuttosto imbarazzata, scuoteva la testa.
«Salve, sono Killian!»
«Lo so! Ho sentito così tanto parlare di te! Volevo rompere una padella in testa ad Emma ogni volta che ne parlava…»
Killian rise. Quella donna era davvero… esuberante! E chiacchierona! E divertente! E gli era già simpatica!
«Anche io ho sentito molto parlare di te! Grazie per aver insegnato ad Emma a cucinare!» mormorò divertito quando lei si staccò e lo guardò, incapace di nascondere la sua felicità e la sua emozione.
Ecco, pensò Killian.
Al mondo servirebbero sicuramente più persone come Anna, pronte a gioire per un’altra persona, senza secondi fini, né tornaconti.
«Figurati! Lei ha sempre avuto un talento nascosto solo che non aveva voglia di applicarsi così un giorno le ho detto che se non si fosse messa ai fornelli, io non le avrei più cucinato niente e lei ha dovuto adattarsi e… Esmeralda!»
Killian rise quando la donna si accorse anche di lei e si buttò tra le sue braccia.
«Ma siete tutte qui?! Avete già incontrato Jane? E Tiana?» chiese emozionata, lasciando un bacio sulla guancia dell’altra.
«Non posso crederci che saremo di nuovo tutte insieme!» esclamò felice Esmeralda mentre stringeva la mano di Anna.
«Parteciperete tutte?» chiese Emma, ritornando al fianco di Killian, giusto per ricordarsi perché era lì.
«Certo che sì! Regina ci ha spiegato la situazione e non potevamo mancare!» mormorò Anna entusiasta.
«Già – le fece eco Esmeralda – A proposito, avreste mai immaginato che la giovane Mills, la pecora nera della famiglia, avrebbe preso il posto della madre un giorno?!» chiese, spostando lo sguardo proprio su Regina che adesso, si accingeva a salire sul palco.
«Lo farai anche tu, vero Emma?» chiese Anna, guardandola in attesa del suo consenso.
«Io veramente…»
Fortunatamente Regina accorse in suo aiuto, pur del tutto inconsapevolmente. Cominciò a provare il microfono e dopo essere sicura che fosse acceso, cominciò a parlare.
Emma non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura ma ero un po’ curiosa di sentire ciò che la sua amica avrebbe raccontato a quel vasto pubblico.
Sapeva che Regina non aveva alcun problema nel parlare davanti a molte persone o nell’intrattenere una folla e ne aveva dato prova diverse volte.
Tuttavia non amava neanche esporsi così tanto, ammettere di fronte a tutti di aver bisogno di una mano o peggio, di essere debole anche lei, come la restante parte del genere umano.
«Buon pomeriggio a tutti e benvenuti o per meglio dire, bentornati, alla “New York Arts Academy”! Prima di cominciare, volevo ringraziarvi dal più profondo del mio cuore per essere qui oggi…»
Come faceva la sua voce ad essere perfetta anche al microfono?!
Staccò per un attimo il cervello da ciò che Regina stava dicendo.
Decise che per quel giorno, ne aveva avuti abbastanza di discorsi di incoraggiamento e ne approfittò per guardarsi intorno.
L’attenzione dei presenti era rivolta a Regina che, come sempre, riusciva a catturare tutti, con il suo portamento, la sua eleganza e la sua austerità.
Persino Heike e Alfie sembravano rapiti da lei o, pensò più tardi, molto più probabilmente erano solo gli effetti del fuso orario… anche Kristoff, a dirla tutta, aveva tutta l’aria di una persona a cui non sarebbe per niente dispiaciuto distendersi sul pavimento e schiacciare un pisolino.
Emma sorrise un po’ sotto i baffi, poi mosse ancora lo sguardo.
C’erano molte persone, molte più di quanto avesse immaginato. Questo andò a incrementare le sue paure e la sua convinzione che Regina avesse troppa fiducia in lei e che, in fondo, non era poi così necessaria…
Intravide una coda di cavallo ondeggiare poco più lontano di dove si trovavano loro e riconobbe immediatamente Megara Egan. Anche lei era lì e aveva risposto all’appello.
In fondo, la cosa non la sorprese neanche più di tanto, considerando che persino Anna era tornata in America dalla Svezia… o era la Norvegia? Oh insomma, non ricordava bene, quei paesi europei erano tutti così dannatamente uguali!
Comunque non sapeva con precisione dove vivesse Meg ma era certa che, dovunque fosse, non avrebbe di certo rinunciato ad un’altra occasione per mettersi in mostra.
Era sempre stata vanitosa, amava essere al centro dell’attenzione ed essere ammirata e venerata come una dea.
Emma notò anche Tiana.
La riconobbe perché, come al solito, era completamente vestita di verde. Aveva da sempre avuto una fissazione per quel colore tant’è che, ricordò, qualche mese dopo l’inizio delle lezioni, aveva persino ordinato delle scarpe da punta di un bellissimo verde smeraldo! Le aveva pagate un occhio della testa ma quella smorfia di dolore, molto simile ad un sorriso, che le si dipinse sul viso quando le provò per la prima volta fu impagabile.
Da quel che ne sapeva, né Tiana, né Meg, lavoravano più nel mondo della danza. Avevano fatto le loro esperienze, avevano saziato quella fame di successo che, all’epoca, contraddistingueva tutti lì alla New York Academy e si erano ritirate alle loro vite, più o meno, monotone.
Tiana aveva messo su famiglia, Meg aveva tentato la carriera del cinema ma con scarsi risultati e alla fine, aveva aperto un negozio di vestiti.
Tutto questo stando alle loro pagine Facebook e no, Emma non aveva di certo controllato.
«…grazie signor Hopper! Questa era ciò che avremmo dovuto fare e che, come vi dicevo, prima o poi faremo. Tuttavia, qualcosa in me, continuava a dirmi che non era abbastanza…»
La voce di Regina, catturò di nuovo la sua attenzione ed Emma ritornò a guardarla e a prestarle attenzione.
«Non fraintendetemi! I vostri eredi sono più che degni di essere qui e non è colpa loro, né dei nostri insegnanti… so che, nonostante lo spettacolo sia stato rimandato, loro continueranno a dare il massimo! A questo punto, è bene che io vi spieghi, con chiarezza, costa sta veramente succedendo. Ho deciso di non mentirvi, né di indorarvi la pillola come, stando a questi fogli, avrei dovuto fare… vi racconterò le cose come stanno e voi, in seguito, potrete scegliere liberamente se restare o andarvene…»
In quel momento, Emma sentì lo sguardo di Regina su di sé e sapeva che era del tutto impossibile che la donna riuscisse ad individuarla in mezzo a così tanta gente, ma non aveva importanza. Quel discorso era per tutti, era vero, ma anche, e soprattutto, per lei.
«L’Accademia sta affrontando una grave crisi e il suo futuro è incerto…»
Regina lo disse senza mezzi termini, quasi volesse strappar via quel cerotto fastidioso il prima possibile.
«Non sappiamo se arriveremo al prossimo semestre, né se saremo in grado di fornire agli studenti i servizi che meritano… Finanziare uno spettacolo come quello che avremmo dovuto organizzare per Natale, sarebbe stato troppo dispendioso e ci avrebbe portato, quasi sicuramente, al collasso. Il consiglio, ha persino valutato di licenziare qualcuno, negare borse di studio o, addirittura, chiudere i battenti definitivamente…»
Fece una pausa, una di quelle tattiche che tennero tutti con il fiato sospeso e persino Emma, che sapeva già tutto, non staccò lo sguardo da lei neanche un momento.
«Come potrete immaginare, io mi sono fermamente opposta. Per me è impensabile dover chiudere questo luogo, questo luogo che è stato per me casa e inferno al tempo stesso, questo luogo che mi ha tolto tanto ma che, allo stesso tempo, mi ha dato molto più di quanto avrei mai immaginato… non potevo lasciare che cadesse nell’oblio, non potevo semplicemente arrendermi e restare a guardare… Per questo ho pensato a voi, ho pensato al passato glorioso, considerando quanto incerto sia e sarà il futuro… Voi, qui presenti, siete diventati quello che siete diventati grazie ai vostri sforzi, sicuramente, ma anche grazie a questa scuola che, con l’aiuto di Cora Mills, mia madre, vi ha sempre sostenuti e incoraggiati, vi ha sempre offerto tutte le migliori opportunità che questo mercato poteva offrirvi, per quanto sia difficile parlare di arte in questi termini. Adesso, l’Accademia ha bisogno dell’aiuto di tutti voi, ha bisogno che ognuno di voi la aiuti a risollevarsi, a ritornare quella che era un tempo. Per questo siete qui, perché noi abbiamo bisogno di voi, perché io ho bisogno di voi! Mi piacerebbe organizzare uno spettacolo in cui, ognuno di voi, ex-studenti, possa mostrare al mondo chi è diventato, cosa è diventato e se e quanto, questa Accademia, abbia giocato un ruolo importante nelle vostre vite… Il fatto che oggi siate qui, così numerosi e con così poco preavviso, mi rende estremamente felice ed estremamente ottimista… Faccio appello alla vostra gentilezza, alla vostra voglia di rimettervi in gioco, alla vostra competizione, faccio appello a voi, non come preside, ma come vostra collega, come ex-ballerina che sa quanto questo palco significhi per ognuno di noi e sa quanto insostituibile esso sia… -un’altra pausa, Dio quant’era brava! -…faccio appello a voi anche come figlia, perché mentirei se vi dicessi che tutto questo non sia nato come un modo per continuare ciò che mia madre, tempo fa, ha iniziato…»
Emma distolse lo sguardo e Killian se ne accorse. L’uomo poté giurare che la donna avesse gli occhi lucidi ma non commentò perché sapeva che non era il momento.
«Andiamo a casa…» mormorò, prima di congedarsi in fretta, con una scusa qualunque, da Esmeralda, Anna e la sua famiglia e trascinarlo fuori, all’aria aperta, dove finalmente ritornò a respirare.
«Swan?! Tutto bene?»
Emma ammise, con un sorriso forzato, che Killian avesse resistito in silenzio più tempo di quanto, all’inizio, avesse ipotizzato.
Ormai erano quasi arrivati al suo appartamento e per tutto il viaggio, l’uomo non aveva fatto altro che guidare in silenzio, limitandosi a lanciarle qualche occhiatina di tanto in tanto, giusto per controllare che respirasse ancora.
«Tutto bene…» mormorò, abbandonandosi, con stanchezza, sul sedile.
Le parole di Regina, quel palco, Anna, Esmeralda, Meg, tutto quello che aveva rivisto, tutto quello che aveva riprovato varcando di nuovo la soglia della sua vecchia scuola, le avevano provocato un forte mal di testa.
Non era pronta.
Non era pronta a tutto quello, a quell’ondata di sentimenti, ricordi, che l’avrebbero invasa una volta rientrata lì dentro.
E poi, aveva davvero preso in considerazione la possibilità di poter ritornare a ballare lì sopra? Ma davvero Emma?
Non essere stupida, cancellati immediatamente quest’idea dalla mente e ritorna alla tua banale e monotona vita!
Tutti lì dentro si erano guadagnati quel posto, avevano avuto un ruolo importante nel panorama internazionale, avevano ballato per le più importanti e prestigiose compagnie del mondo… e poi c’era lei, che non aveva fatto nulla se non restare incinta a diciott’anni, ballare per dieci anni in uno strip club e, da qualche tempo, arredare case, o meglio, cercare di arredare case.
Cosa poteva mai fare lei lì, su quel palco, assieme a tutte quelle persone?
Cosa poteva mai dimostrare?
«Emma? Ci sei?»
«Cosa?!» chiese, ritornando alla realtà.
«Ti ho chiesto se avessi fame… possiamo fermarci a prendere qualcosa da qualche parte, tipo… a quel ristorante indiano vicino casa tua?»
«Sì, sembra un’ottima idea…» mormorò, fingendosi entusiasta.
Killian parcheggiò subito dopo, spegnendo la macchina e girandosi completamente verso di lei.
«Ok, Swan, avanti… tu odi il cibo indiano da quando sei nata e, cosa più importante, non c’è un singolo ristorante indiano nei pressi di casa tua! Sapevo ci fosse qualcosa che ti preoccupava ma adesso ne ho la certezza! E ormai dovresti aver capito che puoi mentire a tutti, a Regina, ad Henry, perfino a te stessa, ma non a me! È per quello che ha detto Regina? Lo sai che non sei obbligata…»
Killian, in cuor suo, sapeva cosa preoccupasse Emma, l’aveva intuito nell’esatto istante in cui lei gli aveva parlato di tutto quello.
Tuttavia, sapeva anche che sbatterle in faccia la verità, così, di punto in bianco, non era la soluzione migliore perché lei, come al solito, avrebbe negato tutto e si sarebbe barricata dietro i suoi muri, ignorando testardamente tutto.
Nella migliore delle ipotesi, la donna ci sarebbe arrivata da sola e il suo cuore e avrebbe accettato tutto quello che, quella decisione, comportava.
Nella peggiore, Killian sarebbe intervenuto perché non poteva proprio permette che Emma soffrisse, era suo il compito di proteggere il suo cuore, no?
«Emma?! Perché piangi?»
La donna tirò su col naso, cercando di nascondere le lacrime che le rigavano il viso, evidentemente con scarsi risultati.
Non ce l’aveva fatta.
Ecco, un ulteriore fallimento.
Aveva trattenuto troppe cose e troppo al lungo ed era scoppiata, sopraffatta da tutto, dagli eventi di quell’ultimo periodo, Henry, Neal, i Gold e soprattutto, da quell’agglomerato di novità e passato che, quel giorno, aveva ritrovato.
Si strinse a Killian, in quella macchina che, da un po’, aveva imparato a conoscere e a distinguere.
Si strinse a lui e sentì il calore del suo corpo darle forza e sostegno, sentì che lui era lì e ci sarebbe rimasto, sempre, e questo, forse, contribuì ad allentare quella tensione che aveva provato fin dal primo istante nel quale aveva messo piede nella scuola.
«Emma, shh, calmati…» continuava a mormorarle in un orecchio e lei avrebbe tanto voluto, avrebbe tanto voluto calmarsi, ridarsi un contegno, ritornare forte come lo era sempre stata e pretendere che quell’attimo di debolezza non fosse mai accaduto, ma non ci riusciva, i singhiozzi scivolavano via dalla sua gola prima che lei stessa potesse fermarli.
Non riuscì a dire quanto tempo restò così, sperò non troppo, considerando che aveva lasciato suo figlio da solo a casa. Era più forte di lei, ma non riusciva a non pensare a lui, neppure per un momento.
Pensò che fosse il suo destino, comune a quello di tutte le mamme, preoccuparsi dei propri bambini, del sangue del proprio sangue.
Certo, tutte fuorché la sua.
Quell’improvvisa constatazione raggelò il suo cuore e lei, finalmente, riuscì ad asciugarsi le lacrime e a discostarsi da Killian.
«Va meglio?!»
Emma annuì.
«Scusa io non… non so davvero cosa mi sia preso…»
L’uomo scosse la testa.
Davvero lei credeva che avesse bisogno di giustificarsi? O che fosse, anche lontanamente, sorpreso dal suo comportamento?
Le porse un fazzoletto che aveva recuperato dal porta oggetti.
«Swan, non ti devi scusare, non con me…»
Restarono in silenzio per un po’, non molto, giusto il tempo che servì a Killian per raccogliere i pensieri e decidere che era giunto il momento adatto per cominciare a parlare.
«Emma, posso dirti una cosa senza che tu dia di matto?»
La donna annuì.
Forse, anzi, ne era quasi certa, sapeva cosa Killian stava per dirle, da sempre.
Lui però, era il più coraggioso, sempre, e il più bravo, almeno con le parole, e riusciva sempre a trasformare qualsiasi suo pensiero, che chissà come aveva intuito prima di lei, in un discorso sensato.
«Tu vuoi fare questo spettacolo Emma, vuoi farlo più di qualsiasi altra cosa. È il tuo mondo, è ciò per cui sei nata è… be’, sei tu. Tu vuoi fare questa cosa così tanto che ti spaventa. Hai sì paura di fallire, di non essere all’altezza, di cadere, ma ciò che più ti spaventa, è ammettere che quando Regina ti ha chiesto di farlo, tu hai esultato! Tu, dentro di te, sei pronta a tutto, sei pronta a correre il rischio, a cadere, a rialzarti, a rilanciarti in pasto ai leoni pur di salire di nuovo su quel palco! Lo sei sempre stata ed è per questo che sei così terrorizzata…»
Emma tacque.
Gli occhi le pizzicarono di nuovo.
Si sentiva vuota, si sentiva una massa di un liquido informe, la testa le pulsava, le guance e gli occhi ancora incrostati dalle lacrime di prima.
Si sentiva un corpo in una sala operatoria, aperto, esposto al mondo esterno e piccolo e fragile, pronto a mostrare a tutti che, dentro, non aveva che gli stessi organi e lo stesso sangue di qualsiasi altro essere umano.
«Come?» sussurrò, così piano che non fu sicura che Killian lo avesse sentito finché non si mise a parlare.
O meglio, a raccontare.
Storybrooke, febbraio 2002
Qualcuno bussò alla porta.
«Avanti!» disse, con il tono di voce più tranquillo che riuscì ad emettere. Non seppe dire se il risultato fu abbastanza convincente o se uscì un qualcosa di simile ad uno strano lamento.
Dalla faccia preoccupata del nuovo arrivato, probabilmente la seconda ipotesi era la più corretta.
«Ehi»
«Ciao, ippopotamo!» mormorò il ragazzo, porgendole un bigliettino e una grande scatola.
«Sai che oggi non è il mio cinquantesimo compleanno, vero?!» domandò lei divertita mentre leggeva il piccolo bigliettino d’auguri.
Killian si grattò la nuca imbarazzato, poi si accomodò ai piedi del letto, sfoderando uno dei suoi sorrisi furbi, uno di quelli che sfoggiava per far impazzire le ragazzine.
Povere illuse!
«Era il più carino! Gli altri erano abbastanza tristi, quelli con “guarisci presto” poi erano orribili! Solo infermiere in sovrappeso e siringhe! Ma chi è che disegna cose del genere?!»
Emma rise, come solo lui riusciva a farla ridere.
Soltanto Killian avrebbe potuto presentarsi al suo capezzale con un biglietto di buon cinquantesimo compleanno con un ippopotamo gigante che usciva da una torta!
«Che idiota che sei! E qui che c’è?» mormorò, aprendo la scatola.
Gli occhi le si illuminarono.
Ciambelle! Di tutti i tipi e di tutti i gusti!
«Ti adoro!» disse allungandosi, per abbracciarlo.
Una fitta però, a livello del ginocchio, glielo impedì.
«Ti fa male?!» chiese il ragazzo con voce grave, stringendole una mano.
«No no, va tutto bene…» mormorò la giovane, trasformando la smorfia di dolore in uno strano sorriso.
«Sei una pessima bugiarda, Swan! Lo sei sempre stata!»
Cercare di sdrammatizzare in situazioni come quella, era esattamente da lui e lei, in quel momento, non avrebbe potuto chiedere di meglio.
«Anche tu!»
«Solo perché tu riesci a capire quando sto mentendo, non vuol dire che anche io sia un pessimo bugiardo!» mormorò, con ovvietà.
«Comunque devi nascondere quelle ciambelle perché le ho prese dalla concorrenza e non voglio che Ingrid le veda e si arrabbi e non mi faccia più entrare in casa vostra!»
Emma scoppiò a ridere.
«Bel tentativo, Jones! Lo so che le hai prese da lei!»
«Non è vero!»
«Certo che è vero! Avresti dovuto pensarci prima di fargliele mettere in una delle scatole che io e lei abbiamo scelto qualche settimana fa! E poi, Ingrid ti adora, non ti caccerebbe mai! Ti farebbe vivere persino qui e fidati, è un gran privilegio, considerando il fatto che sei un maschio!»
Killian sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
«Ok, ok… mi hai beccato! Comunque non è colpa mia, tendo a fare questo effetto sulle donne!»
Emma gli diede un piccolo buffetto sulla spalla, poi gli offrì la scatola, sapendo già che, tanto, avrebbe scelto sempre e comunque quella glassata al cioccolato fondente con granella di cioccolato bianco.
Killian fissò un po’ la scatola, poi prese quella al cioccolato fondente con granella di cioccolato bianco e la addentò.
«Che c’è?!» mormorò, quando alzando lo sguardo, trovò un’Emma piuttosto divertita.
«No, niente…»
Lui scalciò via le scarpe, ignorando i lamenti della ragazza sulla terribile puzza che avrebbe inondato tutta la stanza di lì a poco, e si mise più comodo, a gambe incrociate, sul letto.
«Seriamente, come stai?!» le domandò, dopo un altro morso.
«Ho un tendine infiammato, Killy, non è niente che non sia già successo in passato… non capisco perché continuate a preoccuparvi!»
«Be’, perché, ad esempio, è la seconda volta che ti succede nel giro di quanto?! Tre settimane?!»
«Adesso non esagerare!»
«E guarda! Sei dimagrita ancora! Di questo passo le tue tette scompariranno!» mormorò, beccandosi un cuscino in faccia.
«Pervertito!»
«Mangia un’altra ciambella!» le ordinò, afferrando la scatola e mettendogliela sotto gli occhi.
Emma lo guardò male, poi prese quella con la glassa rosa e ne assaggiò un pezzetto.
«Contento?!»
Il ragazzo annuì, soddisfatto.
«Posso chiederti una cosa?!» mormorò, ad un tratto, dopo essere ritornato dal bagno e aver dato ad Emma una di quelle salviettine puzzolenti che a lei piacevano tanto.
«Tanto me la chiederai comunque! E no, per l’ultima volta, non ti dirò se Zoe Smith è ancora vergine o meno!»
«Non è quello e poi… so che non lo è!» mormorò, sfoderando un altro dei suoi sorrisi da mascalzone.
Emma alzò gli occhi al cielo.
«Chissà perché la cosa non mi sorprende!»
«Perché?! Sì, insomma… perché continui a farlo? Se ti fai male, se continui a soffrire? Perché non puoi semplicemente mollare un po’ la presa, allenarti come le persone normali, due o al massimo tre volte alla settimana?»
Emma lo fissò per un lasso di tempo che gli parve infinito.
Aveva uno sguardo indecifrabile, perfino per lui.
Moltissime volte, le avevano chiesto perché.
Ingrid, le sue compagne di classe, perfino Granny, una volta.
Perché continuare a fare una cosa, pur sapendo che potrebbe non darti da mangiare?
Perché vivere tra dolori, lividi, fratture, competizione e ansia?
Perché non scegliersi un lavoro, un vero lavoro e chiudere, per una buona volta, i sogni a chiave nel cassetto, da dove non si sarebbero più mossi?
Perché non concentrarsi piuttosto sulla scuola? Sul college? Perché non lasciarsi semplicemente andare?
Moltissime volte si era sentita chiedere tutto questo e, ogni volta, lei avrebbe sempre voluto rispondere la stessa cosa.
Perché mi fa stare bene.
Perché mi fa sentire parte di qualcosa, qualcosa di bello.
Perché mi fa ridere.
Perché mi fa anche piangere.
Perché mi ha fatto crescere.
Perché mi ha fatto cadere.
Perché mi ha fatto rialzare, sempre e comunque.
Perché mi ha insegnato l’arte di essere fragili.
Perché mi ha fatto capire l’essenza del sacrificio e della perseveranza.
Perché quella botta di adrenalina, prima di salire su un palco, non la scambierei per niente al mondo.
Perché gli applausi, dopo, quando tutto è finito e il sipario si chiude, non sono che l’apice di una montagna fatta di sacrifici, prove, sudore, tensione e felicità.
Perché la danza è tutto, è arte ed è vita al tempo stesso e non le importava neanche il giudizio degli altri, lei non danzava per loro, lei danzava per stessa, per scappare dai problemi della sua triste vita, per sfogarsi, semplicemente per esprimere, con un movimento, ciò che avrebbe tanto voluto urlare al mondo.
Lei danzava e questo bastava, questo le bastava, anche per vivere.
Non avrebbe fatto nient’altro nella vita, se non quello.
Così glielo disse, lo disse anche a lui, sicura che lui, più di tutti, avrebbe capito.
Non seppe dire se riuscì a trasmettergli tutto, quel misto di emozioni e sensazioni che solo ballando, aveva scoperto.
Sperò di sì. Di fatti, l’avrebbe scoperto solo molto tempo dopo.
Lei non era brava con le parole.
«Ecco, vedi, mi sono capitate tante cose brutte, ma la danza, la danza è per me valvola di sfogo e fonte di felicità, è ciò che voglio, è ciò per cui vivo… Tu non hai mai avuto qualcosa per cui vivere, Killy? Qualcosa che ti faccia battere il cuore e al tempo stesso tremare le ginocchia?»
Il ragazzo scosse la testa. Lo sguardo gli volò sul livido violaceo che aveva intorno al polso.
Distolse lo sguardo.
No.
Ma avrebbe tanto voluto.
«Come credi sia andata?» mormorò Regina, una volta che anche l’ultima persona presente si fosse congedata.
«Sei stata grandiosa!» le assicurò l’uomo, carezzandole una guancia.
«Il signor Hood ha ragione, signorina Mills! È stata fenomenale!» convenne Ella, mostrandole la lista di tutti quelli che si erano impegnati a partecipare a quel progetto.
«Blava ‘egina!»
Anche Roland volle dire la sua, battendo le mani, felice.
Robin lo prese in braccio, schioccandogli un bacio sulla guancia.
«Perché non vai a prendere a Regina una bottiglietta d’acqua? Sono sicuro che, dopo aver parlato con così tante persone, avrà molta molta sete…»
Roland non se lo fece ripetere due volte e, dopo essere tornato con i piedi sulla terra ferma, si precipitò verso uno dei grandi distributori automatici presenti lì vicino.
Ella lo seguì. Aveva preso questo compito da babysitter stranamente sul serio… ma Roland era un bambino così buono e tranquillo che era impossibile trovare un essere umano non in grado di affezionarglisi.
«Hai per caso visto Emma? O Killian?» chiese la donna, fingendosi più tranquilla di quanto in realtà non fosse.
«Sì, li ho intravisti entrambi ma c’erano troppe persone e non ho potuto salutarli… penso se ne siano andati prima che il discorso finisse però…» mormorò Robin, guardandosi intorno.
«Forse…» mormorò la donna, lasciandosi abbracciare.
Le piaceva che lui fosse lì con lei, pronto a darle manforte e a rassicurarla sempre, anche quando persino lei, non ci credeva più.
«Sono sicuro che Emma ci sarà domani…»
«Perché sei così sicuro?»
«Be’, perché la sua migliore amica e il suo ragazzo, sono le due persone più insistenti e ostinate che io abbia mai conosciuto!»
Emma rientrò nel suo piccolo appartamento, più tardi di quanto avesse calcolato. Gli occhi erano ancora umidi, così come le guance e le labbra.
Le parole di Killian le risuonavano in testa, insistenti, quasi quanto quelle di Regina.
In fondo, lo sapeva.
Forse, l’aveva sempre saputo.
Si incamminò verso il salone, credendo di trovarvi Henry, ancora sveglio, a giocare ai suoi videogiochi.
La luce era accesa ma del bambino non vi era traccia.
Preoccupata, mettendo da parte i suoi assurdi problemi, si diresse verso la sua camera.
Henry era lì, il volto pallido illuminato dalla luce della sua piccola abat-jour.
«Ehi ragazzino…» mormorò avvicinandosi e capendo al volo che qualcosa non andava.
«Ehi…»
Emma gli tastò la fronte.
Era bollente.
«Penso di avere la febbre…» concordò il bambino con voce flebile.
«Sì, lo penso anche io… Ti fa male la gola?»
Henry scosse la testa.
«Devo solo riposare… non preoccuparti! Piuttosto come è andata la riunione? Zia Regina ti ha convinto?»
Oh, questo Henry l’aveva sicuramente ereditato da lei. Il minimizzare qualsiasi cosa, una febbre, un raffreddore, cos’erano in confronto ad una piccola e insulsa riunione?
«Adesso questo non è importante. Prometto che ti racconto tutto quando starai meglio! Mi dispiace di averti lasciato Henry… avresti potuto chiamarmi, lo sai…»
«Certo che lo so!»
«Adesso riposa, io vado a preparare quella tisana che ti piace tanto…»
«Sai che quell’intruglio piace solo a te, vero?» rispose il bambino, chiudendo gli occhi e sistemandosi meglio sotto le coperte. Emma lo aiutò, sorridendo.
«Sì, certo! Ma tu da bravo bambino la berrai tutta e ti sentirai sicuramente meglio!»
Henry sbuffò. Il volto rosso dalla febbre faceva risaltare maggiormente i suoi occhi color nocciola.
Emma uscì, sapendo già che una volta ritornata, l’avrebbe ritrovato felicemente tra le braccia di Morfeo.
Per un momento, si ricordò di quando Henry si ammalò per la prima volta. Era piccolo, troppo piccolo e non faceva che piangere. Ricordò come si sentì, impotente, infelice, insicura. Mai come quella volta, mise in dubbio le sue capacità di essere, o meglio, poter essere una brava madre. Fortunatamente Anna e Regina erano con lei e la aiutarono a calmarsi e a portare il piccolo al pronto soccorso più vicino.
Da quel momento, Emma si ripromise che non avrebbe più lasciato che il suo piccolo soffrisse e che avrebbe fatto di tutto per evitarlo.
Ci era sempre riuscita, o almeno così credeva.
Quando aveva cominciato a mettere se stessa, prima di suo figlio?
Se non fosse andata a quella dannata riunione, sarebbe stata lì quando Henry ne aveva bisogno.
Non poteva, non poteva abbandonarlo.
Il suo unico obiettivo era di non compiere gli stessi errori di sua madre e suo padre.
Persa nei suoi pensieri, notò il telefono illuminarsi.
Due notifiche.
Qualcuno l’aveva inserita in un gruppo di Whatsapp “Spettacolo”.
Dannazione.
Lo ignorò e aprì l’altra conversazione.
Killian.
“Come stai?”
Si erano salutati da neanche mezz’ora e lui probabilmente non aveva neanche raggiunto il suo appartamento.
Sorrise involontariamente.
“Henry ha la febbre.” Scrisse velocemente.
Poi aggiunse “Non posso farlo”
Cinque secondi dopo, il telefono cominciò a vibrare.
Emma rispose al volo, immaginando già chi fosse.
«Sai che Henry non avrà la febbre per sempre, vero?» chiese una voce, dall’altro lato del telefono. Stranamente, non quella che si aspettava.
«Regina… io… come fai a sapere che Henry sta male?»
«Mi ha scritto il tuo capitano!»
«Cosa? Tu e Killian vi scrivete?» domandò allibita.
«Swan, non è questo il punto! Il punto è che lui credeva di averti convinta e che adesso, con Henry in quelle condizioni, temiamo tu possa ricadere di nuovo nel tuo circolo vizioso del “senso di colpa”…»
Emma alzò gli occhi al cielo.
Tipico.
Davvero tipico.
Tutti credevano di conoscerla meglio di quanto lei conoscesse se stessa! E la cosa che la fece infuriare più di tutte era che, dannazione! avevano ragione.
Che odio!
«Regina io davvero, non so che dire…»
«Dimmi che lo farai!»
Emma sospirò.
Dio, quanto lo voleva. Lo voleva davvero.
Ma cos’era successo l’ultima volta che aveva fatto qualcosa per sé? Aveva abbandonato il suo migliore amico a se stesso, aveva condannato entrambi a dodici anni di lontananza e quando finalmente si erano ritrovati, lo aveva costretto a riaprire ferite mai rimarginate che lui, ormai, stava cercando di dimenticare.
Cosa sarebbe successo adesso?
E se a rimetterci sarebbe stato davvero suo figlio? L’unica cosa buona che aveva fatto nella vita?
No.
«Swan? Sai che Henry vorrebbe che tu lo facessi! E anche tu lo vuoi, lo so, ti conosco! Non capisco perché ti stia facendo così tanti problemi! Non è un contratto, Emma. È un semplice spettacolo, quando finisce, quando il sipario calerà, ritornerai alla tua vita!»
Emma rimase in silenzio.
«Sai, è questo il problema Regina. Quando il sipario calerà, non so se potrò mai ritornare alla mia vita…»
Regina non disse niente.
Se non avesse percepito il suo sospiro, probabilmente Emma avrebbe creduto che avesse riattaccato, mandando a quel paese lei e tutti i suoi assurdi problemi adolescenziali.
«Emma, ascolta: il tuo problema è che tu non vivi il presente, davvero. Per dodici anni, non hai fatto che vivere nel passato, nei rimorsi e adesso che i nodi son venuti al pettine, il passato è diventato il futuro. Hai paura di perdere questo precario equilibrio che ti sei creata e lo capisco, Emma, davvero. Ma se continui così, non farai altro che perderti tutte le cose belle che ti capitano. E questo spettacolo, è una di quelle. Perché non puoi credere di poter essere felice? Non sei Dio, Emma, scendi dal piedistallo! Non tutto il mondo gira intorno a te, non hai il peso del mondo sulle spalle, Henry è grande ormai e sa badare a se stesso, un po’ di febbre non lo ucciderà e soprattutto, lui sa quanto danzare ti rende felice, così come lo sappiamo io e Jones. Smettila, smettila perché ti giuro, se fossi lì ti darei uno schiaffo così forte che ti risveglierebbe da questo stato di trance in cui ti trovi! Mettiti in gioco, dannazione! Rischia! Non sai cosa accadrà, magari non ti piace più, magari capisci che non è questo che ti rende felice! Ma se non lo fai, Emma, ti assicuro che te ne pentirai per tutta la vita!»
Questa volta fu Emma a restare in silenzio, cercando di assimilare tutto ciò che aveva udito. Se Killian le aveva ricordato il suo amore per la danza con ricordi felici e risate sommesse, Regina glielo aveva sbattuto in faccia con una tale violenza che poteva sentire ancora ogni parola rimbalzare nel suo cervello all’infinito. Le sembrò di ricevere un secchio d’acqua gelata addosso, un secchio che probabilmente si aspettava da tutta la vita.
Non pianse.
Non ce n’era bisogno.
«Okey» mormorò.
Regina, dall’altro lato, non fece in tempo a dire niente perché la linea cadde.
Emma, si dimenticò di ciò che stava facendo prima di quella chiamata e, come un automa, si diresse verso la sua camera da letto. In fondo all’armadio, sotto una pila di vestiti, c’era un cartone.
Lo tirò fuori e lo aprì e fu quasi come tornare a respirare, quasi come se la sua vita, da dodici anni in bianco nero, fosse divenuta di nuovo a colori.
Può darsi che non sarai ma felice. Perciò
Non ti resta che danzare,
danzare così bene da lasciare tutti a bocca aperta
-Haruki Murakami, “Kafka sulla spiaggia”
Non ti resta che danzare,
danzare così bene da lasciare tutti a bocca aperta
-Haruki Murakami, “Kafka sulla spiaggia”
Non so davvero come cominciare.
Premetto che, probabilmente, ho impiegato più tempo per scrivere questo breve paragrafetto di scuse/spiegazioni che per scrivere l’intero capitolo.
Non sono scomparsa come, molti di voi, avranno sicuramente immaginato!
Lo so, sono passati mesi dall’ultimo aggiornamento e da quel momento, lo ammetto, mi sono pian piano allontanata da efp.
Prima di azzardare una qualche spiegazione, vorrei chiedere scusa ad ognuno di voi che, nel bene e nel male, continuate a dedicare tempo alle vostre storie, ai vostri personaggi, ai vostri impegni. Non vi ho dimenticato, così come non ho dimenticato questa storia che, come ogni storia che si rispetti, merita una degna conclusione.
Tuttavia in questi mesi sono successe parecchie cose, ne sono cambiate altre e prossimamente, cambierà ancora tanto. Ho sentito il bisogno di prendermi una pausa, per un po’, da questi personaggi e conoscerne ed esplorarne altri, di nuovi e solo miei che magari, un giorno mi piacerebbe farvi conoscere. Ovviamente, Emma, Killian, Regina e tutti gli altri avranno per sempre un posto speciale nel mio cuore. Devo ammettere che anche la notizia dell’addio di alcuni membri del cast (tra i quali Jen), mi ha un po’ destabilizzata, come penso abbia destabilizzato tutti voi. Non so cosa aspettarmi da questa settima stagione, spero che non combinino casini, confido che A&E non rinneghino la bellissima storia che da sei anni a questa parte hanno creato.
Ritornando alla mia storia, non posso fare premonizioni, non so precisamente quando ci sarà il prossimo aggiornamento e mi dispiace davvero essermi persa molti dei vostri. Ora come ora, non so se avrò il tempo di leggerli tutti e me ne rammarico. Ad ogni modo, spero che il capitolo vi sia piaciuto e come sempre, se volete, mi farebbe piacere leggere direttamente i vostri commenti e le vostre recensioni! È un capitolo importante per me e per la storia, non è stato facile scriverlo. Anche io, come Emma, ho avuto bisogno di non pochi discorsetti per mettere in discussione certe scelte e rischiare in altre. Spero che le parole di Regina possano essere d'aiuto anche a voi, semmai ne aveste bisogno! :)
Ringrazio in anticipo tutti coloro che recensiranno e ringrazio anche chi non lo farà, chi si limiterà a leggere e a viaggiare solo con la fantasia. Ringrazio chi c’è sempre stato, chi vorrà esserci ancora e chi è appena entrato in questa storia di imprevisti e coincidenze che è parte di me da due anni ormai.
Spero vogliate restare qui con me fino alla fine di questo viaggio!
Un grandissimo abbraccio a ognuno di voi,
A presto,
(scusate ancora)
Sempre vostra
Kerri :*
PS: che ne pensate delle varie principesse ballerine? Ce le vedete? :) Chissà, se qualcuna di loro sarà presente davvero nella settima stagione…