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Autore: LadyStark    14/07/2017    2 recensioni
Dal testo:
- Non sono un uomo gentile – disse Sherlock
- Non ho mai pensato lo fossi – sussurrò, quasi vergognandosi della sua stessa voce – e comunque non ti ho mai chiesto di esserlo – continuò trovando un poco di quella sicurezza che aveva ostentato fino a qualche minuto prima.
[Sherlolly]
Seguito di "Di cosa hai bisogno?"
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mary Morstan, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccomi di nuovo qui!!! Speravate che fossi sparita, invece no! 
Complici le calde serate estive che mi privano dal sonno, l'ennesimo rewatch e l'idea che volevo dare un seguito alla One shot precedente.... è venuta fuori questa! E' il seguito ideale di "Di cosa hai bisogno?", infatti parte un po' in media res, se non avete letto l'altra (ma riuscite a leggere anche questa in maniera dissociata se volete :) )
Come al solito, ho cercato di tenere i personaggi nei ragnhi il più possibile, ma temo che mi siano sfuggiti. Ditemi se è necessario aggiungere l'OCC. 
Sempre come al solito mi farebbe infinitamente piacere sapere cosa ne pensate di questa mia ultima (per ora) follia! 
Buona Lettura! 



Il gatto di Molly dormiva tranquillo sulle sue gambe, incurante della tensione che la sua padrona stesse provando in quel momento.  Ormai aveva finito di leggere il nuovo romanzo che aveva comprato, aveva rivisto qualche vecchio dvd e ora stava inutilmente passando in rassegna i canali televisivi nella speranza di trovare qualcosa se non di interessante, che almeno facesse scorrere il tempo in maniera meno estenuante.

Non che non avesse provato a prendere sonno, sia chiaro. Subito dopo aver lasciato Sherlock addormentato in camera sua, si era messa sul divano, convinta che il suo cuore avrebbe ripreso un battito normale in pochi minuti e che avrebbe avuto come ricompensa per la sua gentilezza nei confronti dell’uomo una nottata senza sogni.

Invece non aveva fatto i conti con se stessa. Il suo cuore continuava a battere a una velocità decisamente anormale, dapprima per l’adrenalina, poi per la gioia e infine per l’ansia. Sherlock Holmes era entrato a casa sua poche ore prima, in evidente stato confusionale, ma stranamente pulito da alcool e droghe, e leaveva detto a chiare lettere di aver bisogno di lei, di aver bisogno di smettere di giocare. Aveva poi biascicato qualche spiegazione sulla telefonata che ogni giorno lei malediceva, ma poi, vinto dalla stanchezza si era buttato sul suo letto, ancora vestito, e si era addormentato.
Molly sapeva che doveva lasciarlo riposare e che se lui era a casa sua, dichiarando di avere bisogno di lei, non poteva essere una situazione spiacevole, ma d’altro canto non riusciva a immaginare cosa potesse nascere dalla conversazione che per forza di cose avrebbe avuto con il detective al mattino, mentre cerca di fare colazione prima di andare a lavoro. Si sentiva come la notte prima degli esami da affrontare; sapeva di avere studiato e di essere pronta, ma non riusciva a tenere a freno quella paura irrazionale che davanti a lei il professore le facesse domande di cui persino Ippocrate avrebbe ignorato la risposta.

La donna guardò l’orologio e sospirò: le tre di notte. Sembrava di essere seduta su quel divano da giorni. Decise di spostare delicatamente il gatto dalle sue gambe e alzarsi per preparare una tazza di the. Mentre l’acqua nel bollitore si scaldava, maledì la sorte malevola che la volesse di turno per i tre giorni seguenti. Non avrebbe recuperato il sonno arretrato fino al fine settimana. O forse lo avrebbe perso del tutto. Di certo perse la presa sulla tazza che aveva scelto per versare il the, che le cadde di mano quando la voce di Sherlock la colse di sorpesa con un pratico : - Per me senza zucchero il the, grazie -.
 

Molly si voltò lentamente, cercando di riprendersi dallo spavento. Davanti a lei Sherlock fissava la tazza in frantumi con un’espressione imperscrutabile. La tensione che si era creata tra i due era palpabile e perfino John avrebbe potuto intuire che tra i due c’era bisogno di una conversazione chiarificatrice.
Sherlock si abbassò iniziando a raccogliere i cocci.
- Rischi di tagliarti – mormorò Molly, ma l’uomo continuò in silenzio, fino a quando non raccolse tutti i pezzi di ceramica abbastanza grandi da poter essere presi a mani nude, mettendoli sul piano cottura.
- Meglio chiudere la porta per non far entrare il tuo gatto, se si dovesse tagliare con qualche coccio rimasto, non vorrei sporcarmi nel tentativo di aiutarti a medicarlo – fu la risposta del detective mentre si accomodava al tavolo, in attesa di riccevere il suo the.
Molly annuì e chiuse la porta della cucina. Poi però, spense il bollitore e, appoggiando le mani sul tavolo, fissò l’uomo che, aveva deciso, le aveva tolto fin troppe ore di sonno negli ultimi anni.  – Facciamo gli adulti, stavolta – disse. La sua voce era poco più che un sussurro ma era ferma e decisa. 

Sherlock la fissò e notò come i muscoli del collo tesi non influissero sulla determinazione negli occhi di lei.
- Io mi sono sempre comportato da adul... –

- Io ti amo – lo interruppe lei e in meno di un secondo cadde il silenzio. Le mani di Molly afferrarono i bordi del tavolo nella speranza di avere un sostegno. Sospirò poi riprese, gli occhi leggermente lucidi – Facciamo gli adulti, e affrontiamo la cosa. Sappiamo benissimo che se non lo facciamo ora non lo faremo mai, ma è così, Sherlock. Io sono innamorata di te, da anni. E tu lo sai, lo hai sempre saputo – una pausa – altrimenti non mi avresti chiesto tutti quei favori sicuramente immorali e al limite della legalità. Lo sono e credo lo sarò sempre, almeno in qualche modo.  Ed è inutile continuare a ignorare la cosa, non porterà benefici a nessuno. Il punto ora è, Sherlock: l’ho detto ad alta voce e questo inevitabilmente porterà un cambiamento nel nostro rapporto. Quale è? Che cosa diventiamo? – un sospiro, una nuova pausa, più lunga – Sherlock, cosa sono io per te? Perché me lo hai fatto dire in quel modo? –

Sherlock Holmes era impietrito. Mai si sarebbe aspettato che una persona timida e riservata come Molly Hooper lo avrebbe affrontato di petto su un argomento così intimo e importante. La fissò e in un secondo nella sua mente riaffiorarono tutti i ricordi dei momenti in cui la donna aveva dato prova di una forza insolita e sorprendentemente semplice.

“Mi chiedevo, quando hai finito, se ti andava di prendere un caffè”

“Tu mi dici sempre delle cose orribili. Sempre, sempre”

“Se dovessi avere bisogno di qualcosa, qualsiasi cosa, hai me”

“ Io non conto”

“Non era il mio fidanzato. Siamo usciti un paio di volte. L’ho mollato io”

“Come osi tradire la fiducia dei tuoi amici! Chiedi scusa”

“Di cosa hai bisogno?”

“Dillo prima tu allora”

 
Sherlock si ritrovò nel suo palazzo mentale. Aveva pochi secondi per rispondere, per questo aveva bisogno di tutta la concentrazione che poteva avere. Chiamò Mary, l’unica che sapeva lo avrebbe aiutato e non solo perché era morta e quindi non poteva dargli torto nella vita vera.

- Questa non te l’aspettavi vero? – rise la bionda comparsa accanto a lui, in piedi, mentre osservava Molly. Poi guardò Sherlock, solo in apparenza calmo – perché vuoi il mio aiuto? –
Sherlock non rispose. Mary sospirò: - Certo che ha ragione nel dire che dovresti comportarti da adulto –
Ancora silenzio.
- Non è la prima volta che ti zittisce o sbaglio? – continuò Mary – quella volta, che ti ha zittito con uno sguardo, davanti a quel ragazzo per il caso del Parlamento e della metro, ricordi? Se solo John venisse a saperlo, credo le chiederebbe consiglio. Ti ha rimesso in riga semplicemente guardandoti. Lui non ci riesce mai.  –
- Mary... –
- E quando a Natale l’hai umiliata, non credi che in realtà sia stata lei a umiliare te dopo? Per non parlare del fatto che senza di lei la tua finta morte per smantellare la rete di Moriarty non sarebbe riuscita. Oh, dimenticavo, lei ha piantato Moriarty. Sì, probabilmente lui glielo ha permesso, ma quante donne conosci che sono uscite con il re dei criminali e lo abbiano mollato dopo avergli fatto vedere serie tv di pessimo gusto?  Non chiedermi perché lo so, lo ha scritto nel suo blog e tu lo hai letto, non ti sei fatto qualche domanda sul perché leggi il blog di Molly? –

Sherlock corse a un altro ricordo. La piscina, John pieno di esplosivo, cecchini pronti a ucciderli e Jim Moriarty che lo guardava e gli diceva che gli avrebbe bruciato il cuore. E poi ricordò di nuovo sua sorella. Sua sorella Eurus che aveva avuto cinque minuti di conversazione non controllata con Moriarty.

- E ha incentrato tutto il suo gioco su di te – continuò Mary, anticipando il suo pensiero – Che Moriarty avesse capito prima di te cosa ti avrebbe fatto perdere la lucidità? –

- Molly è un’amica – disse Sherlock confuso.
- Un’amica che hai chiamato nel tuo palazzo mentale quando ti ho sparato. Ti ha detto da che parte cadere per sopravvivere. Ti ha fatto concentrare per rimanere in vita. Hai scelto lei per farti concentrare –
- Mi avevi sparato, Mary –
- E avevi bisogno di concentrarti. C’era Molly nella tua testa a dirti cosa sarebbe successo. O sbaglio? –
- Sì, d’accordo era lei – sbottò Sherlock – cosa vuoi che faccia ora? –

- Parla. Guardala e parla. Come un uomo, Sherlock, non come un detective – Ordinò Mary.
 

- Sherlock parlami ti prego – sussurrò Molly, riportandolo alla realtà. Se Mary fosse stata viva e avesse assistito alla scena, era certo che gli avrebbe ripetuto esattamente quello che la sua priezione mentale gli aveva appena imposto.
- Molly – iniziò Sherlock, ma si bloccò di colpo quando riconobbe gli stessi sintomi che aveva provato durante quella maledetta telefonata a Sherrinford. Faceva fatica a deglutire, le mani gli sudavano anche se erano fredde e sentiva chiaramente le sue pulsazioni aumentare. Paura. Ecco cosa stava provando, paura. Ma perché?

Perché i cambiamenti ti piacciono come una cena con Mycroft a sfogliare gli album di famiglia, perché i cambiamenti  fanno paura, ecco perché. La voce nella sua testa risuonava fin troppo simile a quella di John. Si morse l’interno della guancia nel constatare che aveva ragione. Indubbiamente, indipendentemente dalle parole che si sarebbero detti, il rapporto tra lui e Molly Hooper sarebbe uscito completamente cambiato e rivoluzionato. Come però, doveva deciderlo solo lui. Sarebbe stato molto più semplice ingorare la cosa, far finta che non fosse mai successo nulla e proseguire quel rapporto così nebuloso, che faceva comodo a entrambi. Molly si nutriva della speranza di potergli un giorno stare accanto in modo diverso e lui avrebbe contato sempre su ua persona che gli avrebbe offerto tutto l’aiuto possibile.

Ma era giunto il momento di mettere fine a quel gioco.
“Non hai vinto, hai perso”
La voce di Eurus gli risuonò nella testa. Sherlock sospirò: aveva ragione sua sorella, aveva avuto ragione lui anni fa: i sentimenti sono un difetto chimico della parte che perde. E lui aveva perso. Era Molly Hooper ad aver vinto.
- Molly siediti – furono le uniche parole che riuscì ad articolare.
La donna però scosse la testa in segno di diniego e continuò a guardarlo.
- Vuoi che mi comporti da adulto? Siediti, dobbiamo parlare di parecchie cose – mormorò Sherlock con lo sguardo basso e la voce ancora più profonda.  Molly rimase in silenzio, ferma, nella speranza di non dover cedere ancora una volta al volere del detective, ma capitolò quando lui alzò nuovamente lo sguardo, incrociando il suo e disse – Perfavore, Molly -. Le volte in cui lui le aveva chiesto di fare qualcosa “perfavore” erano state rare, anzi, forse quella era la prima volta. I suoi occhi erano sinceramente velati da una richiesta di aiuto, aveva davvero bisogno che lei si sedesse e lo ascoltasse. Qualunque cosa stesse per dire, era importante, difficile da esaurire in poche parole e terribilmente gravoso per entrambi.

Sospirò mentre si sedeva di fronte a lui e allungava le mani sul tavolo – Parliamo – disse allora.

Sherlock chiuse gli occhi, scacciando per l’ultima volta l’immagine di Mary che gli sorrideva maliziosa e gli ripeteva quella parola che aveva imparato a odiare “Parla”  e prese un respiro profondo prima di iniziare.
- Tu hai sempre contato Molly, mi sono sempre fidato di te, per questo ti ho incluso in diversi casi, nel mio lavoro – sospirò nuovamente mentre sorrideva – io mi reputavo sposato con il mio lavoro –
Molly lo guardava, il cuore che le batteva all’impazzata e le guance calde. Si impose di respirare per evitare di iperventilare, non sarebbe stato un buon momento.  Guardava Sherlock e riusciva a vedere che quello che stava facendo gli stava costando fatica, lo vedeva da come le sue perole uscissero a rallentatore dalle sua labbra, da come la sua voce fosse ancora più profonda del normale, dai gomiti appoggiati al tavolo e la testa tra le mani, mentre gli occhi fissavano un punto indefinito, a volte vagavano nella stanza, a volte rimanevano fissi.

- Molly ti reputo una persona intelligente, ti elencherò diversi fatti, tu cerca di aiutarmi a giungere alle deduzioni. Ti chiedo aiuto e ti prometto che non sto cercando di sviare il discorso. Mi aiuti? – chiese l’umo alzando lo sguardo.

Ci fu un momento di silenzio, in cui il tempo sembrava fermarsi poi Molly sorrise. Fece per allungare una mano ma si fermò a mezz’aria, incerta se afferrare quella di Sherlock o meno.  Chiuse la mano e annuì.

- Partiamo dall’inizio – disse Sherlock.
- No. Partiamo dalla fine – rispose lei. Nonostante tradisse un certo nervosismo, i suoi modi erano gentili. Il consulente investigativo fu sorpreso di quell’atteggiamento; come era possibile riuscire a sostenere tutte quelle “complicate piccole emozioni” come diceva sua sorella e rimanere integri? Come riusciva a farlo Molly Hooper? 

Schioccò la lingua, infastidito nel constatare che la patologa aveva ragione. Partire dalla fine e andare a ritroso, come faceva lui con un caso. Come faceva lei con un’autopsia. Partivano dal fatto e cercavano di capire come era successo.
- Non volevo ferirti con quella telefonata, Molly – replicò allora lui – Sono stato costretto. Pensavo ci fossero delle bombe piazzate in casa tua e mia sorella ha ideato questo stupido gioco in cui ti avrebbe risparmiato la vita solo se tu mi avessi detto che....solo se tu me lo avessi detto. Ma avevo poco tempo, per questo ti ho ferito –
Molly sentì il sangue defluire rapidamente dalle sue guance. La paura la pietrificò sulla sedia e ringraziò l’intelletto dell’uomo che aveva davanti nell’interpretare i suoi balbettii nella domanda che la sua mente stava cercando di far passare alla sua bocca.

- Io.... non.... –
- Non sapevi di mia sorella – sorrise l’uomo guardandola – nemmeno io fino a poco fa e ti racconterò tutto nei dettagli, ma dopo. – la guardò e sentì una sensazione ormai fin troppo familiare toranre a farlgi compagnia. Il suo stomaco si chiuse e nel fondo della sua gola quella fastidiosa sensazione di vertigine gli fece serrare i pugni e batterli sul tavolo.

Molly sobbalzò.
Sherlock dovette lottare contro quella sensazione che si era acuita alla vista della reazione ancora più spaventata di Molly. Allungò lentamente una mano sul tavolo, il palmo rivolto verso l’alto, fino a sfiorare le dita della donna. Si sentì piacevolemente sorpreso nel constatare che la mano di Molly non si fosse ritratta ma era rimasta lì, sul tavolo, a pochi millimetri dalla sua.

- Perdonami – mormorò Sherlock, guardandola. Molly allungò leggermente la sua mano, fino a quando i suoi polpastrelli non toccarono il palmo di Sherlock. Sospirò nel sentire il calore della mano dell’uomo, chiudendo gli occhi e beandosi di quel contatto. Esile, senza conseguenze, ma così semplice da avere il potere di spiazzarla.
Sherlock la guardò, sorpreso quasi quanto lei di quel contatto tra le loro mani. Non immaginava che la sua epidermide fosse così recettiva. Sentiva il calore di Molly, le vene che pulsavano sotto la sua pelle, il sudore, che lei cercava inevitabilmente di controllare. Provò la strana e inspiegabile sensazione di voler  studiare ancora più a fondo quel contatto e prima che il suo cervello elaborasse le informazioni, si trovò a stringere delicatamente la mano della donna e far scorrere il pollice sul dorso della sua mano, constatando quanto fosse liscia la pelle della patologa.

- Mia sorella sapeva di te  - riprese Sherlock lentamente – ha detto che salvandoti, con quella telefonata, avevo perso, che “il contesto emotivo” mi distrugge, ogni volta –

Continuava a far scorrere il pollice sul dorso della mano di Molly, rendendosi conto di come quel gesto lo calmava. Non si era conto di essere nervoso, ma quando iniziò a ripetere quell’azione, lentamente, si accorse di come i battiti cardiaci del suo cuore tornassero regolari. Cercò lo sguardo di Molly, completamente spaesato e totalmene incapace di nascondere le emozioni. Si ricordò di tutte le volte che le aveva visto quell’espressione dipinta in volto e di tutte le volte che aveva usato quell’espressione a suo vantaggio; la sensazione di nausea e di dolore allo stomaco si acuì. Nella sua testa, Mary gli diceva dolcemente “Questo, si chiama rimorso. Solitamente puoi trovarlo simile alla vergogna. Chiedile scusa”.

- Come faceva a sapere di me? – chiese Molly. Si sarebbe persa nello sguardo del consulente investigativo, avrebbe passato il resto della notte a farsi accarezzare il dorso della mano, ma capì che doveva rimanere lucida, ancora un po’, almeno un po’.

Sherlock le sorrise, un sorriso caldo, come rare volte aveva fatto: - Molly Hooper, l’unica donna di mia conoscenza in grado di usare la semplicità come arma – le mormorò. Nessuno in effetti si era posto questa domanda. Non se lo era chiesto John, probabilmente non lo avrebbe mai intuito, non se lo era chiesto Lestrade quando gli furono raccontati gli avvenimenti e non se lo era chiesto nemmeno suo fratello Mycroft. Perché suo fratello non si era posto una domanda così facile?

- Perché Mycroft non ha un cuore – rise Mary, apparendo appoggiata al tavolo sorridendo maliziosa alla vista delle mani dei due – o forse perché, nonostante tutto, tuo fratello ti conosce meglio di quanto tu creda e voleva farti affrontare questa cosa – agitò le braccia indicando Molly – senza che tu ti sentissi spinto da lui o sotto qualche forma di pressione. Diamine se sai essere un bambino a volte –

Sherlock chiuse gli occhi, cacciando l’amica in fondo al suo palazzo mentale. Guardò di nuovo Molly e combatté contro la morsa allo stomaco.
- Mia sorella parlò cinque minuti con Jim Moriarty. Cinque minuti. Deve aver saputo di te in quell’occasione-  o quando era andata a Baker Street travestita? Avevano camminato e parlato tutta la notte
Molly era confusa e strinse leggermente la presa attorno al polso di Sherlock, come per cercare un punto fermo. La testa iniziava a girarle e sentiva fino nelle orecchie i battiti del suo cuore. 
- Perché Moriarty e tua sorella..... – deglutì a vuoto - ....avrebbero mai dovuto parlare di me? Io non..cont......perché? -  chiese la donna.  La voce era poco più che un sussurro, le guance in fiamme e la vista si stava appannando. Sentiva il suo cuore battere così velocemente che per un secondo temette potesse non reggere.  Si impose di sostenere lo sguardo di Sherlock, di mostrarsi stabile, ferma.
Sherlock sentì la presa di Molly sul suo polso. Smise di far scorrere il pollice sulla mano di lei e la strinse, gentilmente.

Era la resa dei conti. Si sentì sull’orlo del baratro, un baratro che non conosceva. Avrebbe pagato qualsiasi somma per poter tornare indietro, ma era abbastanza intelligente da comprendere che quelle emozioni, quel contesto emotivo, ormai lo avevano già spinto oltre. Doveva solo avere il coraggio di ammetterlo e andare avanti.
- A detta di Mycroft – iniziò Sherlock – era tutto incentrato su di me. Un gioco perverso di mia sorella –
Molly trattenne il respiro e davanti agli occhi di Sherlock si palesò un nuovo ricordo. In una piscina buia, Jim Moriarty lo guardava e gli diceva che gli avrebbe bruciato il cuore.  Gli aveva risposto di non averne uno. Moriarty replicò che si sbagliava.
- E allora perché.... se era per te...perché io....? – La voce di Molly gli arrivò lontana, come un’eco mentre lui continuava a elaborare i dati velocemente.
Sherlock scattò in piedi all’idea che anni prima, Moriarty aveva capito quanto Molly fosse importante. Lo aveva capito anni prima di lui. E gli aveva bruciato il cuore.

Molly sobbalzò ma prima che potesse riuscire a  muoversi, Sherlock le fu accanto, sovrastandola, quasi imprigionandola ta la sedia e il tavolo.
- Sapevano, Molly. Sapevano prima di me, nonostante il mio inconscio cercasse di dirmelo – Mormorò velocemente Sherlock, fissandola. Lei non disse nulla, si limitava a guardarlo con gli occhi sgranati e le labbra socchiuse, spaventata, turbata, ansiosa.
- C’eri tu nel mio palazzo mentale quando Mary mi ha sparato – riprese l’uomo velcemente – c’eri tu che mi dicevi di concentrarmi.  Io ho messo te nel mio palazzo mentale quando avevo bisogno di restare lucido. Io ricordo i tuoi dettagli, ricordo che ti eri messa il rossetto e poi lo hai tolto. Io ricordo solo le informazioni utili, non sapevo nulla del sistema solare, ma ricordavo il tuo rossetto. – rise, di se stesso, di come solo ora realizzasse il tutto -  Ricordo il tuo sguardo quando mi hai detto che tutti fanno cose stupide quando sono innamorati, ricordi come ti ho risposto? –

Molly scosse la testa in segno di diniego, confusa e preoccupata dalla fretta di parlare di Sherlock.
- Ti ho detto “ Lo fanno” – si abbassò fino a cercare il suo sguardo – Lo fanno, perché tu non rientravi tra quelle persone. Tu non eri tra le persone che fanno cose stupide, tu non sei stupida.  – rise di nuovo - Il mio cervello ha cercato di dirmelo per anni, ma ho dovuto avere il terrore di vederti morire e la certezza di ferirti a fondo prima che riuscissi a capirlo –

Allungò una mano e sfiorò il mento di Molly. Si maledisse per voler aumentare il contatto della sua mano con la guancia della donna.
- Sherlock... – sussurrò lei, incapace di cedere alla speranza che stava facendosi largo nel suo cuore.
- Molly, come sono le mie pupille? – soffiò l’uomo mentre cedeva alla tentazione e allungava la sua mano sulla guancia della donna.
- Dilatate – fu solo in grado di dire lei.

Sherlock appoggiò la fronte contro quella di lei, sospirando e iniziando a ridere. Circondò il volto di Molly con entrambe le mani. Molly si impose di respirare, di mantenere il controllo, mentre cercava di elaborare tutte le informazioni.
- Molly – la chiamò Sherlock, facendola rabbrividire per come il suo nome veniva pronunciato dall’uomo. Lei era ancora incapace di articolare una frase compiuta, si limitò a mettere una mano sopra quelle dell’uomo, ripercorrendo la lunghezza del braccio a ritroso,cercando di imprimere nella sua memoria ogni muscolo, dall’avambraccio ai bicipiti, fino alle spalle. Avrebbe rinunciato a quasi ogni cosa per poter far durare quel momento un po’ più a lungo, per poter imprimere nella sua memoria la forma dei muscoli dell’uomo.

- Molly, non sono un uomo “normale”. Non ti porterò fiori, non ti chiederò di cenare insieme, non flirterò mai con te. Non credo di esserne nemmeno capce.  E non te lo dirò. – si alzò di scatto, vagando per la cucina. – Ma, Molly..... io credo.... io.....è vero -. Si fermò fissando un puto imprecisato, sopra la testa di Molly. Lei fece per parlare ma lui alzò  una mano, continuando subito dopo a parlare.
- Non ammetterò mai di essere “umano”, Molly, non ti esporrò mai al pericolo in questo modo, né esporrò me stesso a un simile pericolo, ma è vero...probabilmente è sempre stato vero, almeno in una parte della mia testa. Sinceramente Molly – le si avvicinò di un passo – non sono neanche sicuro di cosa sia. Non so se quando il picco di adrenalina sarà  scemato rimarrà tutto uguale – un altro passo e la mano tesa davanti a sé, porta per far alzare la donna – Probabilmente sarò intrattabile, negherò e non mancherò dall’umiliarti – le accarezzò una guancia – soffrirai probabilmente più di quanto non tu non abbia fatto fino ad ora.  Se scoprirò che questo “contesto emotivo” in cui tu rientri è davvero così grande, se davvero risulto perdente a questo difetto chimico, sappi che non mostrerò attenzione nei soliti modi. Sarò irascibile, possessivo e petulante. Non sempre mi scuserò. Non so se sono in grado di riconoscere i miei errori, senza l’aiuto di qualcuno. Non sono mai stato in grado di badare ai miei bisogni, sicuramente non sarò in grado di badare a quelli altrui – un ulteriore passo. Ormai tra i due erano rimasti pochi centimentri; fuori dalla finestra iniziava ad albeggiare – Non ripeterò queste parole ancora, né ripeterò quelle.... -

Si avvicinò a lei, incuriosito dal sapere se le labbra della patologa erano davvero troppo piccole come aveva detto una volta o se invece erano davvero morbide come sembravano.
Molly chiuse gli occhi. Qualsiasi cosa avesse detto, era certa sarebbe stata irrilevante, sperava solo che non fosse tutta un’allucinazione.

Sherlock sfiorò le labbra di Molly, poi la fissò nuovamente, come se si fosse ricordato improvvisamente di qualcosa di estremamente importante.
- Non sono un uomo gentile – disse con voce gutturale. Molly allora aprì gli occhi e gli sorrise di rimando. Come poteva non essere gentile, pensò, mentre le spostava lentamente un ciuffo di capelli dal viso, riavviandolo dietro l’orecchio. Arrossì quando il suo cervello le suggerì il giusto contesto in cui analizzare la frase.

- Non ho mai pensato lo fossi – sussurrò, quasi vergognandosi della sua stessa voce – e comunque non ti ho mai chiesto di esserlo – continuò trovando un poco di quella sicurezza che aveva ostentato fino a qualche minuto prima.

Sherlock Holmes sorrise malizioso, avventandosi sulle labbra della patologa. Si sorprese nel constatare come sì, fossero piccole e sottili, ma come la cosa non gli desse fastidio, anzi, gli provocava una nuova sensazione in fondo allo stomaco. Sentiva caldo, ma era un calore totalmente diverso da quello della paura o del nervosismo. Fece scorrere le mani sulla nuca di Molly, facendole piegare leggermente la testa all’indietro, permettendosi così una via facilitata per raggiungere il suo scopo.
Molly si aggrappò alle spalle larghe dell’uomo per cercare di rimanere in piedi sulle sue gambe. Fu una fortuna per lei sentire il braccio di Sherlock intorno alla sua vita, che la sollevava senza fatica e la faceva sedere sul tavolo della cucina.

Il sonno non era più nei bisogni primari di nessuno dei due, mentre invece un profondo senso di vergogna investì Molly quando constatò che lei indossava una vecchia tuta mentre Sherlock era vestito con camicia e pantaloni. Si chiese se esisteva un momento della giornata in cui non fosse così maledettamente elegante. Quel pensiero le fece provare un senso di piacevole vertigine, facendola sospirare sontro le labbra dell’uomo.
Sherlock dal canto suo, sentendo il respiro di Molly decise di diventare più audace, facendo scivolare le sue mani sui fianchi della donna, fino alle sue cosce, aprendole gentilmente, posizionandosi in mezzo. Molly strinse i pugni sul colletto della camicia, prendendo l’iniziativa e mordendo gentilmente il labbro inferiore di Sherlock. Avrebbe sopportato altri anni di sofferenza se avesse saputo che avrebbe avuto Sherlock Holmes in casa sua, nella sua cucina mentre continuava a baciarla in maniera tutt’altro che amichevole. Allacciò le sue gambe alla vita dell’uomo, annullando la distanza tra di loro. Il verso gutturale che sentì provenire da Sherlock le diede una piacevole conferma di cosa stava facendo.
Sherlock per la prima volta, si sentì sopraffatto. Cercava di pensare, ma nessun ragionamento degno di tale nome gli apparriva. Sentiva solo il suo cuore pompare più velocemente il sangue nelle sue vene e una potente sensazione di frenesia che gli impediva di tenere le mani ferme. Continuava a farle vagare sul corpo esile di Molly, constatando le diverse reazioni che otteneva. Quando sentì le gambe di lei attorno ai suoi fianchi non potè trattenersi dall’emettere quel suono. Si staccò da Molly, senza fiato, con una mano sul collo di lei, l’altra sulla sua schiena, sotto la maglietta sformata che indossava.

- Credo tu debba fermarmi ora – disse, la voce roca e profonda – ora non è ancora troppo tardi per farmi andare via, dormire e sentirti libera da qualsiasi tipo di vincolo -  la guardò, complimentandosi con se stesso mentalmente per la reazione che notava sul viso di lei.

Molly sospirò e sorrise – Sherlock Holmes – soffiò  sulle sue labbra – se vuoi andartene senza alcun tipo di vincolo puoi farlo – gli sbottonò il primo bottone della camicia, con mani leggermente tremanti – ora – le sue dita raggiunsero un altro bottone- o quando vorrai tu. – Allungò una mano, incerta, fino a sfiorare la pelle dell’uomo che il tessuto lasciava vedere – Sappiamo entrambi che stai solo fingendo di darmi questa libertà –

Il calore della pelle di Molly sulla sua fece aumentare la smania del detective di muovere le sue mani sul corpo di Molly. Rise gutturalmente contro le labbra della patologa mentre cercava di placare il suo bisogno.

- Ti suggerisco di prendere un giorno di pausa dal lavoro – le intimò lui prima di gettare in un angolo la maglietta sformata di lei.  Molly rise e l’ultimo pensiero razionale che le attraversò la mente fu che probabilmente Sherlock aveva ragione, anzi gliene sarebbero serviti un paio, ma di certo non avrebbe dato all’uomo quella soddisfazione. Almeno per ora. 



Ed eccomi!!! Si lo so, mi sono sfuggiti di mano sul finale, ma non ho resistito a concedere una gioia a loro e a me :) 
Come sopra, mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate! 
Grazie per aver letto e alla prossima! 
LS

 
  
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