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Autore: Calliope    14/06/2009    2 recensioni
"Gli amici non si ingannano. I patti non si infrangono"
Robert Stevens credeva di essere fuori pericolo, ormai, ma il suo vecchio amico Jesse è tornato dall'Oltretomba, ed è deciso a fargli scontare la propria morte.
La mia prima storia sovrannaturale, scritta per il compleanno di Noemi. Grazie a lei ho scoperto il genere e a lei è dedicata, con tanto affetto.
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Anche se la trama è di mia proprietà, i nomi dei protagonisti sono tratti dalla storia di Jesse James e Robert Ford. E proprio a questa mi sono ispirata, anche se lontanamente. Buona lettura.

 

A Noemi e al suo compleanno. Un solo grazie non basta.

 

Winston Avenue, number 98

 

“Centrale operativa 911”

Silenzio. Chiunque avesse digitato il numero di emergenza non si faceva sentire.

“911. Qual è l’emergenza?” ripeté l’operatrice, seccata. Molto probabilmente era l’ennesimo scherzo idiota di ragazzini senza nulla di meglio da fare il sabato notte.

E poi udì un sibilo, seguito da un respiro pesante.

“Signore? Signore, cosa succede?”

“98 di Winston Avenue, Dallas” sussurrò una voce roca.

“Signore, so da dove chiama. Mi dica cosa sta succedendo” L’operatrice non sapeva cosa pensare, adesso. “Signore?”

Dopo un interminabile attimo di silenzio, la voce parlò ancora.

“L’inferno ha reclamato una nuova anima, questa notte”

“Cosa?”

La voce divenne più fioca e sussurrata, e al tempo stesso implacabile.

“I torti subiti vanno vendicati”

“Mi scusi, io…”

Clic.

La centralinista si sentì gelare il sangue nelle vene e compose in fretta un numero interno. Doveva mandare un’unità al numero 98 di Winston Avenue, e immediatamente.

 

 

°°°

 

Venti minuti prima.

 

Al 98 di Winston Avenue, a Dallas, un uomo era sdraiato ignaro nel suo letto.

La finestra della camera era aperta per placare il caldo insopportabile, ma l’aria che entrava era appena sufficiente a muovere di tanto in tanto la sottile tenda bianca. La stanza era piuttosto piccola e mal arredata, con giusto un letto, un cassettone di legno, una scrivania e una sedia piuttosto sgangherata.

Robert Stevens dormiva un sonno agitato. Non che non ci fosse abituato: negli ultimi tempi le notti tranquille erano rare, ma quella in particolare i suoi sogni erano incredibilmente realistici.

 

L’erba secca scricchiolava sotto le sue scarpe firmate mentre avanzava esposto al sole cocente. Faceva incredibilmente caldo, e piccole gocce di sudore gli imperlavano la fronte. Le asciugò con un fazzoletto. A quell’ora, in quel luogo di pace, non c’era nessuno. Robert fiancheggiò un filare di cipressi respirando profondamente, senza fare rumore per non turbare l’assoluto silenzio che lo circondava, superò un vialetto di ghiaia e si inoltrò tra le lapidi di marmo grigio che scintillavano alla luce accecante. Continuò a camminare fino a quando non trovò quella che cercava. A quel punto si fermò e prese a guardarla, impassibile.

"Ciao, Jesse" disse dopo qualche lungo momento. Sul suo volto si dipinse un ghigno malevolo. "Spero che tu ti stia divertendo"

 

L’uomo si svegliò di soprassalto e imprecò. Non era la prima volta che sognava la tomba di Jesse Walker, ma apriva sempre gli occhi prima che il sogno terminasse. Non avrebbe saputo spiegare cosa si aspettava da quella pietra lucida, cosa temeva, eppure era sicuro che se non si fosse svegliato gli sarebbe accaduto qualcosa. Qualcosa di terribile.

Cercò a tentoni l’abat-jour nel buio appena rischiarato dalla luce della luna per poi premere il tastino di plastica. Si sentì un debole clic, ma non successe nulla.

Perfetto. Lampadina fulminata.

Robert cominciò ad agitarsi. Sentiva una strana sensazione nel petto, che lo opprimeva e gli stringeva il cuore… era come la sensazione di avere una spada di Damocle sospesa sulla testa. Si guardò stupidamente intorno al buio, e naturalmente non vide nessuno. D’istinto si mise a sedere appoggiando la schiena contro la testiera del letto e pensò con terrore a quando, la sera prima, aveva messo la pistola nel suo cassetto in soggiorno. Era nella stanza vicina, ma in quel momento gli sembrava irraggiungibile.

All’improvviso un colpo di vento fece sbattere la finestra aperta con la non secondaria conseguenza di farlo trasalire come un bambino spaventato dai tuoni. La tenda svolazzò nella penombra, simile a un fantasma.

Robert, calmati, i fantasmi non esistono.

La porta della camera da letto cigolò.

Va tutto bene. Jesse è morto, ora. Morto.

La tenda svolazzò di nuovo, mostrando una finestra completamente appannata. Mentre Robert la fissava, terrorizzato, sul vetro cominciarono a tracciarsi con lentezza esasperante delle lettere.

Revenge. Vendetta.

Non era possibile.

Stevens si guardò intorno spaventato, stringendo il lenzuolo tra le mani, senza osare muoversi. Poi cercò di tranquillizzarsi.

Decisamente, non c’era nulla di cui occuparsi. Probabilmente era solo la sua immaginazione.

E poi, senza alcun preavviso, Robert sentì una incredibile voglia di dormire.

Desiderava soltanto chiudere gli occhi, scivolare sotto il lenzuolo leggero e addormentarsi, dormire fino al giorno dopo e anche di più. Voleva solo questo. Non aveva bisogno di altro.

In un ultimo sprazzo di lucidità, l’uomo realizzò che quella non era certamente una sensazione normale. E tuttavia il torpore innaturale lo stava avvolgendo come una calda coperta, come un bozzolo, senza dargli la possibilità di scappare né di ribellarsi.

“Aiuto…” trovò la forza di sussurrare. Nessuno lo sentì.

Contro la sua volontà Robert Stevens sprofondò nel sonno più profondo, ma non prima di aver visto un'ombra scura proprio accanto al suo letto. Il suo cuore prese a battere più velocemente.

 

Camminava sull’erba secca del cimitero con passo lento e pesante. Aveva ripercorso quella strada molte volte, nella vita reale e nei suoi sogni: non poteva perdersi. Superò la tomba ricoperta di fiori di una donna e finalmente la vide.

La tomba di Jesse, dimenticata dal mondo. Ma non da lui.

“Ciao, Jesse” disse, ma stranamente sul suo viso non comparve alcun sorriso.

“Ti stavo aspettando, Bobby”

Robert sobbalzò e si voltò, guardando nella direzione da cui veniva la voce; inizialmente non vide nulla, e poi distinse una sagoma nera accanto ad un cipresso. Era appoggiata al tronco con la schiena, con naturalezza. Non si riuscivano a distinguere le sue fattezze, ma Stevens era sicuro che si trattasse di lui. Chi altro avrebbe potuto essere?

“Sei qui per punirmi, amico?” chiese, tentando di controllarsi. Era solo un sogno, dopotutto.

L’ombra non si mosse. “La vendetta, caro Robert, è un piatto dolce da gustare, dolce più di qualsiasi altra cosa. È l’unica in grado di darmi veramente la pace”

Robert scoppiò a ridere. “Sei molto divertente. Peccato che io stia sognando, in questo momento, o sbaglio? Tu sei morto, Jesse, e io ho preso i soldi. Faresti meglio a lasciare in pace le mie notti e metterti il cuore in pace”

“I soldi, già… Sono stato sciocco e avventato a fidarmi di te. Eravamo amici, e quel colpo sarebbe stato la svolta del secolo, una vera e propria manna dal cielo. Quando sarebbe ricapitata un’occasione simile? Un volo in Europa e nessuno avrebbe scoperto nulla; era questo il tuo piano, no? Ma non è difficile capire come si arriva alla parte in cui tu mi pianti una pallottola nel cervello”

“I miei debiti erano molti. Eri scomodo, Jesse. Tu avresti fatto la stessa cosa” replicò Robert stringendosi nelle spalle.

“È qui che sbagli, Bobby. Il tuo debito più grande deve essere ancora saldato” disse però la voce, ora più sinistra e sussurrata della normale voce di Jesse Walker. “Premendo il grilletto non hai firmato solo la mia, di condanna a morte”

Robert esitò, improvvisamente spaventato. La sensazione era tornata, e più forte di prima.

“Sei pronto per l’inferno, Bob?”

Voleva svegliarsi. Voleva aprire gli occhi. Si sentiva male, peggio di quanto non fosse mai stato.

“Gli amici non si ingannano. I patti non si infrangono. Aspettavo questo momento da troppo tempo”

E Jesse uscì dall’ombra del cipresso.

Robert non ebbe  nemmeno il tempo di gridare.

 

Qualche minuto dopo, al numero 98 di Winston Avenue, una figura scura digitò il 911.

 

°°°

 

Quando il pronto intervento fece irruzione nella casa di Robert Stevens trovò la porta sbarrata a doppia mandata dall’interno e tutte le finestre chiuse. L’uomo era sdraiato sul letto, con un’espressione di puro terrore sul volto.

Gli era venuto un infarto.

Perquisendo la casa, successivamente, gli investigatori trovarono parecchio denaro rubato e le prove dell’istituzione di un conto presso una banca estera sul quale il morto aveva già versato una buona parte dei soldi. L’indagine andò avanti fino a quando non fu fatta luce sul turbolento passato di Stevens, pluriomicida responsabile di svariate rapine con un particolare debole per il gioco d’azzardo.

Venne seppellito senza troppe cerimonie nel cimitero di Dallas, e nessuno sentì la sua mancanza. Mentre il prete parlava alle poche persone presenti al funerale al cugino di Stevens, Frank, parve di vedere qualcosa che si muoveva dietro a un albero.

Nulla di cui preoccuparsi, però. Probabilmente era solo la sua immaginazione.

 

 

 

 

 

 

 

  
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