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Autore: Flos Ignis    28/07/2017    5 recensioni
Storia partecipante al contest “Memorie impresse su specchi rotti” indetto da AriaBlack e Marina Swift sul forum di EFP.
Missing Moment dell’episodio 3X01, ambientato dopo il salvataggio di John dal falò da cui Sherlock l’ha tirato fuori.
Sherlock va a riflettere sul tetto da cui si è gettato due anni prima, ferito dal dolore che ha inflitto al suo più caro amico: teme che ciò che ha fatto sia irrimediabile, che la distanza e le menzogne li abbiano allontanati in modo definitivo.
Un breve scorcio dei pensieri dell’unico consulente investigativo al mondo: l’uomo che è tornato dalla morte.
Dal testo: ‘Si sedette su quel maledetto cornicione che di tanto in tanto appariva nei suoi incubi, chiedendosi se lo stesso accadesse anche a John.
Aveva perso ventiquattro mesi, una settimana e tre giorni in sua compagnia: era un tempo considerevole, un periodo in cui il suo amico aveva portato il lutto, ma poi era andato avanti e si era innamorato.
Non avrebbe mai recuperato ciò che si era perso, improvvisamente ne era dolorosamente consapevole. Qualcuno gli era stato accanto, aveva asciugato le sue lacrime e aveva causato i suoi sorrisi… qualcuno che non era lui.’
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Nickname su EFP: Flos Ignis ; Nickname sul forum: Fiore di Cenere

Fandom: Sherlock (BBC)

Personaggi: Sherlock Holmes

Rimorso: Sherlock rimpiange di aver fatto soffrire il suo amico John Watson, ma ancora di più rimpiange il tempo che hanno perduto, un tempo che non tornerà e che teme abbia rovinato il loro rapporto per sempre.

Note dell’autore: Ho sempre amato questo fandom e finalmente ho trovato l’ispirazione giusto per mettermi alla scrivania e scriverne: tutto grazie a questo contest, incentrato sui rimpianti e i rimorsi.

Sherlock può anche affermare di non possedere un cuore, ma tutti noi sappiamo che non esiste falsità peggiore. C’erano tanti episodi di cui scrivere per smentire questo genio (diciamocelo,è divertente contraddire qualcuno che solitamente ha sempre ragione), ma tra tutti ho scelto questo per un motivo: Sherlock e John sono uno tra i migliori esempi letterari/ televisivi in cui si parla di un’amicizia salvifica.

Il rimorso di aver ferito un amico può essere deleterio, velenoso e corrosivo come acido nelle vene, io lo so bene. Il timore di ferire le persone care ci fa essere più accorti, più sensibili agli altri: dopo questo episodio ho notato un attaccamento ancora maggiore di Sherlock nei confronti dell’amico, una cura particolare. Ho pensato che potesse esser dovuto al sollievo dovuto ad un perdono che non era sicuro sarebbe avvenuto.

Spero che tutti voi possiate apprezzare questo piccolo esperimento di introspezione.


 


 


 

Il tempo perduto


 


 


 

Londra, ai suoi piedi, mostrava un profilo ancora più affascinante di quanto ricordasse: le strade affollate, il cielo plumbeo, i rumori della vita che scorreva frenetica…

Sherlock Holmes inspirò a fondo la sua città, sentendosi nuovamente parte integrante di quel meccanismo complesso e affascinante che batteva, respirava, agonizzava e moriva tutto intorno a lui.

Le città presentavano le stesse caratteristiche delle persone: nascevano, interagivano, cercavano un equilibrio… e quando non ci riuscivano, qualcuno moriva per lasciare il posto a chi sopravviveva.

La notte stava prendendo il posto del giorno: da qualche parte nel suo palazzo mentale, ricordava di aver seppellito qualche nozione basilare di astronomia, specialmente perché non riusciva a dimenticare la voce di John che lo rimbeccava sulla sua totale ignoranza su informazioni inutili come i movimenti dei pianeti.

John… il suo amico, John Watson.

Quello stesso amico che, appena poche ore prima, aveva rischiato di morire bruciato dopo essere stato drogato, rapito e costretto sotto una cascina di legno in attesa che Guy Fawkes ardesse tra le fiamme.

Il compagno di mille avventure che l’aveva creduto morto per ben due anni, piangendo sulla sua tomba mentre gli chiedeva quell’ultimo miracolo: “non essere morto”. *

Contro molti dei pronostici del suo pessimistico fratello, invece, ce l’aveva fatta: era sopravvissuto ad una missione che avrebbe decimato le forze dell’MI6 britannica, aveva denunciato e disperso ogni cellula della vischiosa rete criminale di Moriarty.

Era tornato vittorioso, orgoglioso della sua intelligenza più che mai, pronto a narrare a John tutte le battaglie che aveva combattuto e vinto, ansioso di sentire nuovamente la quella voce amica che esclamava “fantastico” ad ogni sua deduzione.

Le sue alte doti intellettive però, troppo offuscate dall’affetto e dall’impazienza, non erano arrivate a intuire che John potesse non essere pronto ad un suo ritorno dal regno dei morti. Non avrebbe mai pensato che potesse essere arrabbiato con lui, non tanto da aggredirlo fisicamente sul pavimento di un ristorante e poi di nuovo ad ogni suo tentativo di spiegazione quella stessa sera.

Come se non fosse bastato ciò a fargli provare una profonda frustrazione, ventiquattr’ore dopo essersi ritrovati John finiva quasi bruciato vivo.

Sherlock rifletteva, su quel tetto che aveva visto il dramma della sua finta morte svolgersi sotto gli occhi del suo amico: ricordava la prima volta che si erano incontrati, le prime deduzioni su di lui, l’inevitabile verità che aveva scoperto in un battito di ciglia.

John Watson era un drogato di adrenalina, e con lui aveva trovato il suo nuovo campo di battaglia.

Sapeva che, se gli avesse parlato della missione sotto copertura, lui avrebbe abbandonato ogni cosa per seguirlo e coprirgli le spalle.

Sherlock non l’avrebbe mai permesso, perché il suo amico era un uomo d’onore, un soldato nell’anima: quella missione aveva comportato azioni di dubbia moralità che lui era stato disposto a compiere per la riuscita del suo compito, ma John non sarebbe sopravvissuto.

Non restando lo stesso straordinario uomo che era riuscito nel miracolo di diventare l’unico amico di un sociopatico del suo calibro.

L’aveva detto a Moriarty nel loro ultimo confronto: poteva anche essere dalla parte degli angeli, ma non sarebbe mai stato uno di loro. E per proteggere gli angeli che avevano scelto, per qualche ragione a lui ancora sconosciuta, di far parte della sua vita aveva fatto una scelta: era sparito dalle loro vite e loro erano stati al sicuro, suo fratello gli aveva assicurato una completa e discreta copertura per tutta la durata della sua assenza.

-Sono tornato-

Lo disse ad alta voce, sentendo la necessità quasi teatrale di aprire le braccia e salire sul cornicione: decise di non farlo, non era un’azione razionale e sarebbe stata troppo ance per lui.

In fondo, il suo naso ancora leggermente ammaccato era un bentornato sufficiente per lui, perché era un regalo del suo amico.

In quell’aggressione aveva compreso molto più di quanto avrebbe voluto: era invecchiato, il suo caro blogger, poteva vedere i segni del tempo in ogni ruga che si era aggiunta sul suo viso, nel venti percento di capelli grigi in più che aveva visto nella sua chioma bionda e persino in quei ridicoli baffi.

Le mani avevano i soliti calli però, aveva riconosciuto subito la loro stretta; le iridi avevano lo stesso colore di sempre, nocciola con pagliuzze dorate, anche se ora lo fissavano con rabbia mista a qualcos’altro… non era mai stato bravo a comprendere lo stato d’animo delle persone, ancor meno le cause scatenanti di certi sentimenti.

Era stato elementare comprendere quale fosse stata l’emozione che aveva provato lui stesso però, per una volta: felicità.

Persino un sociopatico come lui, persino Sherlock Holmes, dopo due anni di guerra apprezzava il calore umano, specie se veniva da una delle poche persone al mondo di cui apprezzava la compagnia. Forse, l’unica.

Tuttavia, era stata subito spazzata via: benché non se la fosse aspettata, la rabbia di John avrebbe potuto sopportarla… ma il saperlo ferito e deluso, quello no, non avrebbe mai potuto affrontarlo. Era scappato, l’aveva fatto per tutto il giorno: aveva chiesto a Molly di fargli da assistente perché doveva far tacere la voce nella sua testa che continuava a insultarlo, con lo stesso tono di rimprovero che il suo amico gli usava sempre in passato.

Lo avrebbe mai usato di nuovo? O da quel momento si sarebbe limitato a immaginarlo?

Ora che finalmente era solo, poteva permettersi un attimo di debolezza.

Si sedette su quel maledetto cornicione che di tanto in tanto appariva nei suoi incubi, chiedendosi se lo stesso accadesse anche a John.

Aveva perso ventiquattro mesi, una settimana e tre giorni in sua compagnia: era un tempo considerevole, un periodo in cui il suo amico aveva portato il lutto, ma poi era andato avanti e si era innamorato.

Non avrebbe mai recuperato ciò che si era perso, improvvisamente ne era dolorosamente consapevole. Qualcuno gli era stato accanto, aveva asciugato le sue lacrime e aveva causato i suoi sorrisi… qualcuno che non era lui.

Anche se l’aveva fatto per proteggere John, la signora Hudson, Lestrade e tutto il mondo dalla rete criminale del suo nemico, ciò non toglieva che si era finto morto e chi voleva proteggere aveva sofferto per questo.

Ciò l’aveva reso felice e gli aveva dato una motivazione aggiuntiva per raggiungere il più velocemente possibile il suo obiettivo, ma ora che tutto poteva tornare come prima scopriva che nulla era rimasto com’era.

Il tempo non si era fermato in attesa del suo ritorno, la vita era andata avanti.

John era andato avanti senza di lui.

Aveva avuto una vita se non felice, quanto meno senza rischi: non aveva ripreso ad usare il bastone però, quindi doveva aver vissuto abbastanza intensamente.

L’aveva trovato bene, tutto sommato.

Ed appena un giorno dopo, la sua vita era stata nuovamente a rischio: se fosse arrivato appena pochi minuti più tardi, non ci sarebbe stato nulla da fare.

Forse avrebbe fatto meglio a restare morto, almeno per quanto riguardava il suo amico: sarebbe stato più al sicuro, più felice. Se l’era cavata bene prima di lui, senza di lui e avrebbe continuato anche dopo.

Non si sarebbe mai perdonato la morte di John.

Con questo pensiero ben impresso nella mente aveva organizzato la messinscena che tanto aveva fatto soffrire il suo amico.

John l’avrebbe mai perdonato per avergli mentito?

Sarebbero mai tornati quelli che erano? Il loro rapporto era perso per sempre?

Per il momento non aveva abbastanza informazioni per fare deduzioni su un futuro così incerto e più di una volta il suo dottore l’aveva sorpreso con atteggiamenti che mai avrebbe previsto.

Sherlock stesso si sarebbe mai perdonato per averlo fatto soffrire?

Un messaggio di Mycroft lo distolse dai suoi pensieri: i loro genitori lo stavano aspettando a Baker Street, doveva sbrigarsi a tornare.

Diede un ultimo sguardo a quel luogo, decretando che il momento di autocommiserazione fosse durato anche troppo.

Londra era in pericolo, e John era stato preso nel mirino di qualcuno, con ogni probabilità per arrivare a lui: aveva molto su cui indagare, deduzioni da fare, vite da salvare.

Un perdono da meritare.

Il gioco era iniziato: con o senza John, lui avrebbe vinto.

Per il suo amico.


 


 


 


 

*Riferimento alla fine dell’episodio 2X03, quando Sherlock ascolta la richiesta che il suo amico esprime alla tomba.


 

  
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