La
bella ragazza orientale
Quando Jean
Kirshtein aveva incontrato Mikasa Ackerman, era rimasto semplicemente folgorato
dalla sua austera bellezza.
Lei gli era
passata davanti e lui, a bocca aperta, la mascella quasi paralizzata, aveva
guardato rapito i suoi tratti orientali, il suo ovale perfetto, i suoi capelli
color ebano lunghi e lisci, che, mossi da un soffio di vento, si sollevavano
appena.
Poteva ritenersi
abbastanza fortunato ad aver incrociato i passi della donna ideale così, per
puro caso, non tutti potevano vantare la stessa esperienza, spesso ci si
innamorava della prima persona che sapeva mettere l’altro a proprio agio, senza
soffermarsi sul lato estetico, perché l’amore andava oltre le
apparenze.
Perciò, non era
assolutamente possibile che le apparenze lo stessero ingannando, che
l’imprevedibile ruota del karma non stesse girando a suo favore, che il mondo si
stesse prendendo gioco delle sue belle speranze e aspettative di
vita.
E adesso che
l’aveva vista, non poteva lasciarsela mica scappare, doveva tentare un primo
approccio e lo avrebbe fatto al più presto, come era vero che il suo nome era
Jean Kirshtein!
La
possibilità del primo approccio si presentò una settimana dopo l’incontro
voluto dal destino.
Jean aveva
indossato il suo giubbotto migliore, quello di pelle nera, si era pettinato i
capelli all’indietro e aveva esibito l’espressione più accattivante del suo
repertorio, almeno secondo il suo modesto parere. Nulla sembrava andare storto,
pronunciò le classiche domande di rito e la splendida ragazza si volse appena,
degnandolo di uno sguardo. Peccato che non fosse un’occhiata interessata, ma
piuttosto imperscrutabile. Seria, molto seria, marziale quasi. Persino nel modo
secco di rispondere.
«Ehi. Ciao. Come
va? Giornata calda, nevvero? Posso offrirti qualcosa da
bere?».
«Sto bene. No,
non posso accettare, io non bevo. Adesso devo proprio andare.
Ciao».
Mentre lei si
allontanava con nonchalance, il suo sorriso smagliante si congelò sul viso, non
prima di essere mutato in una smorfia nervosa. Gli aveva decisamente dato un due
di picche fin da subito, forse doveva riconsiderare i suoi metodi di approccio.
Passò qualche ora a meditare in completa solitudine, poi chiamò il suo migliore
amico e si confidò con lui, per capire dove avesse sbagliato. Non conosceva
ancora il suo nome, perciò si limitò a definirla “la bella ragazza orientale”
con Marco Bodt.
«Ti assicuro che
non sono mai stato più impeccabile di oggi, eppure ho fallito miseramente. Cosa
mi consigli? Di riprovare allo stesso modo, di cambiare metodo, di attendere un
miracolo?» sciorinò Jean sospirando, appoggiando i gomiti sul tavolino di vetro
del bar e il mento sui palmi aperti.
Marco vi posò
delicatamente la tazza di tè nero che aveva ordinato e il suo sguardo sincero
tradì una certa compassione, però gli sorrise comprensivo.
«Tu sei stato
fantastico, Jean, non lo metto in dubbio. Non hai sbagliato, ma… Forse avresti
potuto essere più prudente. Era la prima volta che le rivolgevi la parola, è
normale che lei abbia reagito così davanti a uno che le è praticamente estraneo.
Il mio consiglio è di presentarti, prima di forzare la mano. Lascia che le cose
accadano naturalmente… Quindi sì, mostra pazienza. Io faccio il tifo per te,
amico mio, lo sai».
«Certo! Grazie,
Marco. Il tuo aiuto è prezioso come sempre, non ti deluderò», affermò lui con
rinnovata serenità, lasciando i soldi sul tavolino vetrato, battendogli una
pacca affettuosa sulla spalla e uscendo dal locale a passo
sicuro.
Trascorse
un’altra settimana, prima di poter rivedere la bella ragazza orientale, al
medesimo orario, sulla stessa strada di città.
Lui le si parò
davanti con un sorriso ottimista e lei si fermò. La sua espressione non era
cambiata di una virgola, sempre neutra e inafferrabile, ma ugualmente
affascinante ai suoi occhi.
Prese un bel
respiro e fece la sua presentazione con tranquillità.
«Ciao. Non mi
sono presentato l’altra volta, scusami tanto. Mi chiamo Jean Kirshtein e... E
sarei lieto di fare la tua conoscenza».
«Magari la
prossima volta. Ho un treno da prendere, se lo perdessi sarebbe alquanto
seccante. Arrivederci».
Diretta e
glaciale come la prima volta, ma almeno quell’ultimo saluto gli regalava invero
una piccola speranza.
L’avrebbe
rivista ancora.
Jean attese con
ansia lo scorrere dei sette giorni e improvvisamente, d’istinto, prese una
decisione diversa, una nuova via per fare finalmente breccia nell’interesse
della sua bella ragazza orientale. Così, quando la incrociò sulla stessa strada
per la quarta volta, accennò un saluto con la mano e proseguì diritto, facendo
il misterioso, dopodiché svoltò rapidamente l’angolo e la fissò da quella
postazione. Ovviamente si aspettava che lei non facesse una minima piega nel
vederlo, che avrebbe proseguito sui suoi passi lenti e decisi verso la sua
destinazione, questa volta l’unico elemento in più erano le cuffie, il cui cavo
spariva dentro uno zainetto viola, nelle orecchie.
L’immancabile
sciarpa rossa le avvolgeva morbida il collo, il suo abbigliamento era sempre
diverso, ma quell’accessorio non le mancava mai. Chissà... Forse si trattava di
un regalo da parte di una persona per lei molto
importante.
Jean però
sperava si trattasse della madre, perché l’idea che la bella ragazza orientale
avesse già un pretendente rischiava di deprimerlo.
Decise di andare
avanti con il suo piano, pedinandola finché non salì sul
treno.
La volta
successiva, il ragazzo si affidò nuovamente al pedinamento strategico, solo che,
in più, anche Jean prese il treno, attento a non farsi scoprire, non voleva mica
che lei pensasse a lui come a uno stalker, no!
Arrivarono a
destinazione dopo quattro fermate ed egli appuntò su un pezzo di carta il nome
proclamato a gran voce dal macchinista.
In questo modo
avrebbe potuto scegliere a suo piacimento un giorno intero per esplorare la zona
interessata e per ricercare la casa in cui viveva lei. Quando il treno ripartì e
la ragazza era ormai lontana, Jean si sentì così pieno di ottimismo da rivolgere
un sorriso abbagliante a chiunque lo incrociasse sul mezzo, in stazione e anche
fuori di lì. Telefonò a Marco per comunicargli la grande notizia e lui,
paziente, gli raccomandò prudenza.
«Si nota che sei
abbastanza preso dalla faccenda, ma spero tanto che alla fine tu non rimanga
molto deluso...» considerò l’amico lentigginoso parlando dall’altro capo del
telefono.
«Perché
deluso?».
«Perché lei
potrebbe essere già impegnata».
Curioso.
Era venuto lo
stesso, identico dubbio anche a Marco, tuttavia Jean non si arrese subito,
accantonò in un angolino della mente la sgradevole idea di un rivale in amore e
si concentrò piuttosto attentamente sulla sua missione, in vista della conquista
finale.
Con un fedora marroncino sul capo e gli
occhiali da sole per non essere riconosciuto dalla giovane orientale, Jean
scoprì effettivamente dove lei abitasse: stava in una comune villetta con
giardino annesso, cinto da un muretto basso e da un cancelletto di ferro. Studiò
gli orari, le abitudini, le amiche che frequentava. Nel corso del mese in cui
Jean la spiò, non successe nulla di serio, rilevante o preoccupante; non le si
avvicinarono che pochissimi ragazzi, ma nessuno di loro sembrava essere così
intimo con ella, non abbastanza da intimorirlo almeno, da indurlo a credere a
una relazione che superasse l’amicizia.
Corse dei
rischi soprattutto per scoprire il suo nome; alla fine il suo impegno era stato
premiato, lei si chiamava Mikasa. Mikasa… Un nome musicale, unico nel suo
genere, davvero perfetto!
Il giorno
prestabilito in cui lui avrebbe fatto finta di essere capitato lì nei paraggi
per caso, quasi come se fosse un segno del destino per loro due, optò di
invitare pure Marco. La scusa sarebbe stata che l’amico, alla ricerca di un
lavoro, dovesse sostenere un colloquio proprio in quella zona. Jean non avrebbe
mai lasciato che Marco perdesse l’imperdibile occasione di fare carriera, perciò
si era offerto di accompagnarlo, sperando così di toccare il cuore della bella
ragazza orientale, di Mikasa, con la sua sensibilità e lealtà nei riguardi del
migliore amico.
«Eccola, dico,
non è splendida? Non sembra uscita da un sogno?» parlò con tono estasiato lo
scaltro Jean, indicandola al buon Marco, che fece una faccia alquanto
strana.
«Non metto in
dubbio che sia bella, ma-» esordì l’altro, spiazzato, venendo però
interrotto.
«Certo!
Guardala, oggi è felice di vedermi! Ha persino indossato un grazioso vestito
verde. Sicuramente sta puntando a fare colpo su di me, ma non ha nulla da
temere, io sono già cotto di lei! Ah, l’amore... Che sentimento meraviglioso!»
la contemplò lui, perso.
«Jean, scusa se
freno il tuo entusiasmo prorompente, ma ti stai illudendo, lei-» ci riprovò il
buon Marco, ormai consapevole della vera identità della giovane.
«Oh, Marco, stai
zitto! Mikasa sta venendo verso di noi, è vicina...» mormorò a bassa voce, per
poi alzare il tono quando si rivolse alla fanciulla intenta a correre verso di
loro. «Ciao, carissima. Com-... Eh?» gli si mozzò il fiato e pure la domanda in
gola, quando lei li sorpassò senza calcolarli minimamente, dando conferma al
fatto che quell’espressione di pura serenità non era per lo scaltro Jean. Marco
scosse la testa, trattenendo una sonora risata che altrimenti, ne era sicuro,
avrebbe fatto rimanere male il suo sfortunato amico.
Seguirono con i
loro occhi, Marco comprensivi, Jean stupefatti, la corsa di Mikasa, che si
arrestò a qualche metro di distanza rispetto a dove si erano fermati, vicino a
una macchina grigia, dalla quale scese un ragazzo bruno che i due riconobbero.
Quella faccia da schiaffi... Jean non l’aveva affatto
scordata!
«N-non ci credo!
Quello è... lui è...» balbettò sconvolto, toccandosi il petto e stringendo il
tessuto della camicia azzurra in un pugno tremolante.
«Esatto. Eren
Jaeger. Il nostro ex compagno di classe. E quella è la sua ragazza, Mikasa
Ackerman. Davvero non l’avevi riconosciuta? Eppure, veniva sempre a prenderlo a
scuola e lo aiutava ad affrontare i bulli del quartiere. Era piuttosto in gamba,
ai tempi delle medie!».
«M-marco, quella
Mikasa era... Allora era un piccolo mostro, un vero maschiaccio con i capelli
corti, accidenti! Adesso lei è cambiata così tanto! Perché capitano tutte a me?!
Mi si è appena spezzato il cuore, lo sento...».
Jean dovette
tenersi a un lampione, poiché aveva la netta sensazione che molto presto sarebbe
caduto a terra, in preda a uno svenimento improvviso.
Marco si offrì
di accompagnarlo subito altrove, in un luogo più riparato e tranquillo, per
consolarlo. O almeno per fare un pacato tentativo di conforto, dato che il
migliore amico si chiuse immediatamente dentro una bolla di depressione che non
si sarebbe infranta tanto presto. Gli rimase vicino, pronto ad ascoltarlo, come
fanno gli amici veri, quelli che tengono l’uno per l’altro, soprattutto nel
momento del bisogno.
Finché tutta la
storia dello stalkeraggio di Jean non sarebbe necessariamente sfumata in un
ricordo stupido di gioventù, in un errore di giudizio e in un involontario,
mancato riconoscimento.
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Note: Era da tempo che sognavo di
realizzare un’idea del genere, non è venuta esattamente come la immagino *qui parla la mia scarsa autostima*, ma
spero vi strappi almeno un sorriso xD dato che essa calza a pennello con il tema
del contest.
La coppia è intesa a senso unico,
proprio come li vedo io nell’anime/manga, Jean cotto di lei, Mikasa indifferente
a lui ^^' però vivono in un’ambientazione moderna, pacifica, senza i giganti a
suscitare il panico generale...
Poi, il nostro Marco è vivo e vegeto,
quindi va tutto bene! :D Vi piace il suo ruolo di spalla del
protagonista?
Io adoro Jean e spero sia credibile,
anche se alla fine gli va male, povero caro xD
Ringrazio chiunque abbia letto questa
mia storiella e chiunque voglia lasciarmi un suo parere ^^
Rina