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Autore: _Elwing    18/08/2017    1 recensioni
«Perché hai guardato? Perché tu devi sempre guardare?»
Erano passati giorni da quando Pipino aveva messo le mani sul Palantir recuperato a Isengard e nonostante questo Merry non riusciva a non ritornarci con il pensiero, non riusciva a non rimproverare ancora nella mente l’amico per non essere riuscito a controllare la tentazione di mettere le mani sull’antica pietra veggente.
Prima della separazione avvenuta a Edoras, lui e Pipino erano sempre rimasti insieme. Una presenza scontata, a volte perfino fastidiosa, alla quale tutt’un tratto gli sembrava di non aver mai saputo dare il giusto valore.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Eowyn, Merry
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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«Perché hai guardato? Perché tu devi sempre guardare?»
Erano passati giorni da quando Pipino aveva messo le mani sul Palantir recuperato a Isengard e nonostante questo Merry non riusciva a non ritornarci con il pensiero, non riusciva a non rimproverare ancora nella mente l’amico per non essere riuscito a controllare la tentazione di mettere le mani sull’antica pietra veggente.
Prima della separazione avvenuta a Edoras, lui e Pipino erano sempre rimasti insieme. Una presenza scontata, a volte perfino fastidiosa, alla quale tutt’un tratto gli sembrava di non aver mai saputo dare il giusto valore.
Quasi gli seccava ammetterlo – perché in teoria doveva essere arrabbiato con lui – ma Pipino gli mancava. All’improvviso era come se la solitudine fosse piombata come un macigno sul suo cuore e avesse preso il posto fino a quel momento occupato dalla compagnia del suo amico.
Ancora gli sembrava di vederlo, mentre in groppa a Ombromanto attraversava con Gandalf le verdi praterie di Rohan per andarsene via, ancora più vicino al Nemico.
«Tu verrai con me, Merry?»
Gli era sembrata una supplica, quella domanda che con occhi lucidi, speranzosi nonostante probabilmente in fondo al cuore avesse capito quale sarebbe stata la risposta, Pipino gli aveva posto. 
Non aveva avuto il cuore di rispondergli; forse perché avrebbe fatto più male a lui.
Con lui della Compagnia partita da Gran Burrone non era rimasto nessuno: Sam e Frodo erano dispersi in un punto imprecisato nella tenebrosa Terra di Mordor, Gandalf e Pipino a Gondor, Aragorn – seguito come sempre dai fedeli Legolas e Gimli – chissà dove tra le montagne.
Quando re Theoden l’aveva preso al suo servizio come “scudiero di Rohan” Merry si era sentito felice, perché di nuovo avrebbe potuto sentirsi parte di qualcosa, e al contempo aveva riso di sé. Lui, Meriadoc Brandybuck, noto scansafatiche incapace di fare altro se non disturbare la quiete della Contea con Pipino, che ora aveva bisogno di un’occupazione per non sentirsi vuoto e inutile, mentre tutti attorno a lui avevano il loro posto e sembravano starci comodi.
Tra i cavalieri di Rohan, quei Rohirrim imponenti bardati nelle loro severe armature, i capelli lunghi e ribelli sotto gli elmi scintillanti, che quando montavano i loro cavalli sembravano ancora più alti e terribili di quanto non fossero, Merry si sentiva a disagio e, nel suo essere così piccolo, minuto, diverso da loro, solo. Aveva viaggiato sul suo piccolo pony al fianco dei loro grossi cavalli da Edoras sino a Dunclivo, dove il re aveva deciso di fermarsi e installare gli accampamenti. Ma adesso, Theoden non voleva che lui proseguisse.
«Il campo di battaglia non è posto per uno hobbit – gli aveva detto il re. – Attenderai qui il ritorno dei tuoi compagni, al sicuro».
Dove nessuno dei suoi amici era, al sicuro: lì gli si chiedeva di attendere. Dove non avrebbe potuto muovere un dito in favore di nessuno, dove si sarebbe sentito inutile e indesiderato fino al ritorno degli altri, che avrebbero raccontato le loro imprese mentre lui avrebbe dovuto ascoltare senza poter a sua volta condividere le sue.
Chi di loro, alla fine, sarebbe tornato? E chi, se ci fosse riuscito, avrebbe avuto voglia di raccontare quel che aveva visto e fatto?
Aspettare in mezzo a tanta incertezza era la condanna peggiore. Il campo di battaglia da cui il re voleva ad ogni costo tenerlo lontano non poteva essere più terribile della logorante attesa.

Girovagando tra le tende dell’accampamento, anche senza volerlo, Merry aveva ascoltato i discorsi frammentari dei cavalieri. In realtà, era da prima della partenza che non si parlava d’altro se non di quella battaglia e del luogo dove si sarebbe combattuta. Non avendolo mai visto e non avendo mai visto nulla di quel che i cavalieri descrivevano, Merry non poteva far altro che immaginare.
La battaglia si sarebbe svolta ai Campi del Pelennor, una pianura, che Merry immaginava vasta come un mare di erba verde che si estendeva tra il grande fiume Anduin (lo stesso che aveva attraversato anche lui, quando ancora la Compagnia era unita, lasciata la bella terra di Lorien) e Minas Tirith, la capitale del regno di Gondor (dove Gandalf aveva portato Pipino). Merry non riusciva a immaginare l’esercito nemico, non riusciva a visualizzare nella mente la marea di uomini e orchi che i soldati di Gondor e i cavalieri di Rohan si sarebbero trovati davanti e avrebbero dovuto affrontare nell’impeto di una battaglia spietata. Sarebbero morti, da una parte e dall’altra: questa sorte sarebbe potuta toccare a chiunque, la morte non si sarebbe fermata davanti a una corona; impietosa, avrebbe preso il re e l’orco come fossero la stessa cosa, come avessero lo stesso valore. 
Forse, Merry non voleva vedere queste cose. Sentiva la paura afferrarlo quando si immaginava in mezzo alla battaglia, in balia dello scontro, delle armi che cozzavano – piccolo com’era, sarebbe stato facile per lui finire infilzato quasi inavvertitamente, sia da una che dall’altra parte. Ma davanti al divieto del re di partecipare a quella battaglia il suo senso di solitudine aumentava fino a sovrastare il terrore che di essa poteva provare.

Era sera tardi e Merry, al riparo nella semioscurità di una tenda da prima che il sole tramontasse, fu ridestato dai suoi pensieri dal rumore improvviso della tenda che si apriva. Rivolse uno sguardo sorpreso, quasi frastornato, alla persona che entrò.
Era diversa da chiunque si trovasse in quegli accampamenti, diversa da chiunque si sarebbe potuto incontrare girovagando fra le tende dei cavalieri. Una presenza che, in mezzo a tanta confusione e a tanti uomini d’armi alti e possenti passava facilmente inosservata, come un’ombra pallida, sbiadita, invisibile. Incontrandola ci si sarebbe solo potuti chiedere cosa mai ci facesse lì, in un posto che non avrebbe potuto essere più inadatto. Un po’ come lui.
Era una fanciulla, bella nonostante il pallore di un viso segnato da troppe sofferenze. Rassomigliava nell’aspetto ai terribili Rohirrim solo per la lunga criniera di capelli d’oro e per lo sguardo fermo.
Proprio a lui si rivolsero quegli occhi, di solito offuscati da un velo di tristezza che assai di rado si sollevava; in quel momento sorridevano impercettibilmente, gentili.
«Ecco, Merry, ne ho trovato uno della tua misura – gli disse la fanciulla; Eowyn, così si chiamava, ed era la nipote del re.
Mostrò allo hobbit un elmo di un argento un po’ sbiadito – segno che doveva essere passato attraverso numerose battaglie.
«Lo proviamo?»
Annuendo, Merry si alzò. La dama glielo mise in testa: gli stava a pennello, tanto che Merry ebbe per un momento la sensazione che fosse stato forgiato appositamente per lui (gli sembrava strano, quasi ridicolo, pensare che potesse esserci stato tra i Rohirrim un cavaliere che avesse la testa grande – o piccola – come la sua).
Sorrise, in risposta al sorriso che la dama gli stava rivolgendo, evidentemente soddisfatta di essere riuscita ad accontentarlo.
«E non ho portato solo questo – disse ancora Eowyn; senza aggiungere altro, porse a Merry uno spadino avvolto nel fodero. Merry lo guardò con occhi sgranati. Con uno strattone un po’ goffo lo estrasse dalla custodia; quasi colpì in pieno petto la dama la quale, ritraendosi un poco, soffocò un’esclamazione e rise, guardando l’espressione colpevole e ansiosa dello hobbit.
«Perdonami – si scusò Merry – bé, comunque non è affilata».
Fece correre lo sguardo lungo la lama, che ora teneva dritta davanti al naso, ed effettivamente era come aveva detto.
«Così non va bene – gli disse Eowyn, afferrando la lama con la mano nuda e stringendola con la stessa confidenza con cui una qualsiasi altra fanciulla avrebbe potuto stringere un mestolo – Non ucciderai molti orchi con una lama smussata».
«Non ne ucciderò comunque – ribatté Merry, il tono di voce piatto – il re non vuole farmi partire per la battaglia. Vuole che resti qui, non importa se tutti i miei amici sono andati a combattere. Io devo restare a guardare e aspettare, ai margini degli eventi, non importa se sarò l’unico a non aver fatto nulla».
Tenendo la mano chiusa sull’elsa dello spadino, Merry percepì con chiarezza che Eowyn aveva improvvisamente aumentato la forza con cui stava stringendo la lama. Istintivamente alzò lo sguardo su di lei, quasi scordando per la sorpresa quel che aveva appena detto.
Era come se gli occhi della dama si fossero improvvisamente illuminati di una luce mai vista, come se nelle profondità dello strato di ghiaccio che li ricopriva si fosse accesa la fiamma di un fuoco impetuoso.
«Hai le stesse ragioni degli altri di andare in battaglia e combattere – la voce di Eowyn, mentre parlava, era tagliente ma leggermente tremula – Se è il tuo desiderio, perché dovresti rinunciare? Perché non dovresti batterti per coloro che ami? Non curarti di chi dubita di te: fidati solo del tuo cuore».
Merry era certo che Eowyn gli avesse parlato per incoraggiarlo, che credeva davvero in ciò che la sua voce sosteneva, perché se ne sentì immediatamente confortato: per la prima volta dopo giorni e giorni si sentì meno solo. Ma non era sicuro, anzi, non credeva affatto che Eowyn avesse parlato solo per lui.

Il momento della partenza giunse in fretta. Prima dell’alba del giorno seguente i cavalieri erano già in sella ai loro cavalli, scalpitanti per la fretta e l’impazienza di andare.
«Resterai qui – sentenziò Theoden, il tono di voce che non accettava repliche – Non riusciresti a stare al passo dei nostri cavalli in sella a quel pony e nessuno dei miei uomini può averti come fardello».
Anche l’ultimo tentativo di Merry per seguire i Rohirrim era fallito. Avrebbe dovuto aspettarselo, il fatto che fosse armato ed equipaggiato non faceva di lui un guerriero. Non gli restava che arrendersi.
Fece per allontanarsi, per evitare di essere travolto dai cavalli che i cavalieri lanciavano al galoppo, quando d’un tratto si sentì afferrare sotto le ascelle. I suoi piedi si staccarono da terra e, il tempo di un sussulto, si ritrovò in sella a un grosso cavallo, a guardare per la prima volta tutti dalla loro altezza.
«Cavalca con me – gli sussurrò una voce alle sue spalle. Merry non ebbe bisogno di voltarsi a guardare per sapere a chi apparteneva. Sentì lo stomaco fare una capriola per l’eccitazione, mentre con voce tremula rispose:
«Mia signora!»
Ripensò allo sguardo con cui la dama l’aveva guardato la sera prima nella tenda: non si era sbagliato nell’impressione che aveva avuto, che le sue parole non erano solo per lui, ma parlavano di lei per prima. Era bello aver trovato qualcuno a cui sentirsi simile, eppure Merry provò un’improvvisa stretta al cuore: se il re non aveva voluto che lui lo seguisse in battaglia, tantomeno avrebbe voluto trovarci la preziosa e amata nipote. Eowyn doveva essersi unita ai Rohirrim senza farne parola con nessuno, di nascosto.
Perché? Cosa poteva esserci in una battaglia in grado di attirare una fanciulla al punto di prenderne parte? Cosa cercava Eowyn, cosa sperava di trovare nella desolazione verso cui stavano andando incontro?
Merry si rispose quando, smontati da cavallo per una sosta voluta dal re, lui e Eowyn sedettero in disparte dagli altri, vicino a delle rocce.
La fanciulla era più pallida di quanto non l’avesse mai vista, i suoi occhi spenti e freddi come se tutta la vitalità fosse stata risucchiata. Merry non aveva mai visto qualcuno in punto di morte, ma se avesse dovuto descrivere come immaginava dovesse essere sarebbe stato identico a come Eowyn gli appariva in quel momento.
Eowyn sembrava star andando incontro alla morte, come se la stesse cercando, come se non vedesse altro davanti ai suoi occhi.
«C’è altro per te, che ti aspetta dopo questa battaglia – disse Merry ad alta voce, dando concretezza ai suoi pensieri quasi senza accorgersene.
Eowyn lo guardò. Sembrava che un vago stupore si fosse acceso sul suo volto, ma non fiatò.
« Sei stata gentile con me, mi hai incoraggiato a seguire ciò che il cuore mi diceva di fare nonostante nessun altro credesse in me. Neppure io credevo in me. Ti sei comportata da amica, proprio quando mi sono venuti a mancare tutti gli amici. Hai detto “cavalca con me”: io cavalcherò con te, se tu accetterai di cavalcare con me; e insieme faremo tutto il possibile per passare attraverso quel campo di battaglia conservando intatta la nostra vita».
Eowyn rivolse a Merry il sorriso più sofferente che lo hobbit avesse mai visto comparire sul volto di una persona: era così distante che Merry provò la strana e inspiegabile sensazione che non fosse neppure rivolto a lui.
Forse, anche la fanciulla aveva portato nel cuore per tanto tempo, perfino più a lungo di lui, lo stesso desiderio da cui Merry si era sentito logorare negli ultimi giorni. Forse anche lei desiderava solo un amico.
In un gesto silenzioso e pacato, la dama allungò il braccio verso Merry, porgendogli la mano. In silenzio, Merry gliela strinse.



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Angolo Autrice
Non sono del tutto convinta di aver fatto la cosa giusta pubblicando questa storia. Sono sempre molto insicura. In ogni caso, ci tenevo tanto a dire che l'ho scritta davvero con il cuore. Spero di non aver fatto errori gravi, sia per quel che riguarda sintassi e grammatica, si per quel che riguarda i personaggi e la storia originale. Ho deciso di seguire le vicende del film e ho cercato di approfondire i sentimenti che Eowyn e Merry possono aver provato prima della battaglia dei Campi del Pelennor. La loro amicizia è una delle cose che ho sempre amato di più del Signore degli Anelli e anche se in questa storia il punto di vista è quello di Merry, Eowyn è uno dei miei personaggi preferiti, se non addirittura la mia preferita in assoluto. La cosa principale per me era descrivere i loro sentimenti e le loro riflessioni, per questo non ho scritto della battaglia e il contorno potrebbe risultare un pò "scarno" di eventi. Insomma, per me il centro dovevano essere loro due e se ce l'ho fatta sono soddisfatta :)
Per quel che riguarda il titolo... è sempre un problema trovarne uno che non strida con la storia. Quello che ho scelto mi sembrava racchiudesse l'essenza di ciò che volevo trasmettere, la nascita di questo bel rapporto di amicizia e fiducia che volevo descrivere. Ma se non vi piace va bene lo stesso :P
Spero che qualcuno possa apprezzarla. Se avete voglia lasciate una recensione, la leggo molto volentieri. Anche quelle negative: i consigli sono sempre molto ben accetti, chiedo solo di essere il più possibile gentili nell'esprimerli perché dietro a questo computer e a questa storia c'è una persona con dei sentimenti.
Grazie e spero sia stata una buona lettura :)
_Elwing

  
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