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Autore: TenouHaruka    02/09/2017    3 recensioni
I Talismani sono stati trovati e, contrariamente alle attese, nessun sacrificio è stato necessario. Tutto si è risolto per il meglio, quindi...? Haruka si trova a fare i conti con se stessa e con tutto quello che è successo, e non ne è poi così sicura.
Prosecuzione dell'episodio n. 111, "Il misterioso potere del Calice Sacro! La seconda trasformazione di Moon" (nella serie italiana, "La Coppa Lunare").
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Setsuna/Sidia | Coppie: Haruka/Michiru
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza serie
- Questa storia fa parte della serie 'Stelle del Destino'
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“Sei sicura di sentirti bene, Usako? Te la senti di alzarti?”

“Sto bene, Mamo-chan. Davvero. Mi sento solo molto debole...” rispose Sailor Moon, ancora seduta a terra.

“E così il famoso Graal è questo,” esclamò Sailor Mars raccogliendolo. Le altre si avvicinarono per osservarlo meglio.

“Scaturito dal potere congiunto dei tre Talismani,” proseguì Sailor Mercury, ammirata. “Che spettacolo incredibile!” esclamò voltandosi verso le protagoniste di tale spettacolo, seguita a ruote dalle altre.

Ma dove solo pochi attimi prima c’erano Sailor Uranus, Sailor Neptune e Sailor Pluto, adesso non c’era più nessuno.
 

 

Il sole era ormai tramontato, e il cantiere della cattedrale marina era finalmente avvolto nel silenzio. Segni di pneumatici sull’asfalto, e un tratto di guard-rail divelto, restavano a muti testimoni della scomparsa di Eudial.

Le tre guerriere raggiunsero la base della scalinata di ingresso, dove l’elicottero era pronto per loro.

Sailor Pluto salì a bordo agilmente e si sistemò alla guida senza esitazioni, Uranus la imitò, mentre Neptune, che si era attardata un momento nel salire, si sistemò dietro.

“Tutto bene?” chiese Haruka voltandosi, mentre l’elicottero si sollevava da terra.

“Sì, tutto bene” rispose Michiru pacatamente. “Grazie per aver preso il mio posto, Sailor Pluto.” concluse facendosi indietro, e appoggiando la schiena alla parete della cabina. “Riposati.” rispose la guerriera dagli occhi di granato, poi si rivolse ad Haruka. “Fin dove possiamo arrivare con questo?”

“C’è un punto di atterraggio sul tetto del grattacielo dove viviamo, da quella parte.”

“Perfetto.” concluse l’altra, tornando alla guida.


 

Tokyo risplendeva delle sue mille luci mentre attraversavano l’area della baia. Una città mai ferma, sempre brulicante di vita, a qualsiasi orario. E così doveva restare.

Haruka osservava le luci vicine e lontane, la torre delle telecomunicazioni, l’area del porto, assorta nei suoi pensieri. Condusse l’elicottero finché non giunsero a destinazione, poi finalmente, mentre le pale rallentavano la loro corsa fino a fermarsi, tirò un sospiro di sollievo e si voltò indietro.

Michiru era scivolata verso l’angolo della cabina, la testa appoggiata al finestrino, priva di sensi, o forse addormentata. Ma indossava la divisa scolastica anziché la sailor fuku, e Haruka rabbrividì; scavalcò il sedile precipitandosi su di lei e chiamandola per nome.

“Michiru! Michiru! Che ti succede? Rispondimi!” esclamava, agitandosi sempre più ad ogni mancata risposta. Sailor Pluto le mise una mano sulla spalla, facendola voltare. “Calmati,” le disse con voce ferma, ma Haruka voleva solo ignorare quella interruzione. “Sailor Uranus!” la chiamò imperiosamente, sorprendendola. “È completamente inutile che tu perda la testa adesso.” proseguì scandendo le parole. “Avanti, portiamola dentro, ti aiuto.”

In un’altra circostanza quel tono avrebbe mandato in bestia Haruka, ma Sailor Pluto le trasmetteva un’autorevolezza tale che Sailor Uranus si fermò immediatamente, a comando. L’altra le sorrise comprensiva, poi passò dietro a darle mano.

Estratta Michiru dall’abitacolo, Haruka la prese in braccio e si diresse verso l’appartamento. Dette una spinta con la spalla alla vetrata per aprirla, entrò dentro, attraversò la stanza e il corridoio, si infilò in camera e finalmente adagiò Michiru sul letto. Respirò profondamente: aveva il fiato corto.

“Cerca di non strafare, Sailor Uranus.” disse la guerriera di Plutone, che aveva seguito l’altra passo passo. “Va’ a sederti un momento, e inverti la trasformazione. Ci penso io, qui, stai tranquilla.” concluse con un sorriso caldo e rassicurante.

Haruka si ritrovò in salotto quasi senza rendersi conto di come ci fosse arrivata. Sailor Pluto la trattava con grande confidenza, come se si conoscessero da moltissimo tempo, e le ispirava rispetto e fiducia, fin da subito si era sentita più tranquilla, avendola con loro.

Decise di darle retta e tornare alla sua consueta identità, ma nell’attimo stesso in cui riprese i suoi panni ordinari, sentì la testa girare e le gambe cederle, e cadde seduta all’indietro sul divano; era esausta.


 

Quando riaprì gli occhi si trovò davanti una giovane donna molto bella, con lunghissimi capelli fermati in una crocchia e occhi penetranti.

Indossava una camicetta bianca e un tailleur lilla, posò sul tavolino una delle tazze che teneva in mano e vi si sedette accanto.

Haruka si tirò su e si ricompose, era rimasta immobile così come era caduta.

“Mi sono permessa di preparare del tè, questo è per te, se lo vuoi.” disse con un sorriso composto indicando la tazza posata.

“Sailor Pluto, io...”

“Il mio nome in questo mondo è Meioh Setsuna. Puoi chiamarmi così.” spiegò, piegando leggermente la testa.

Haruka rispose meccanicamente all’inchino, poi buttò un’occhiata verso l’esterno. “È sempre buio, per quanto tempo ho dormito? Michiru...” Provò ad alzarsi di scatto, ma un capogiro la rimise seduta.

“Ti sei assopita solo per qualche minuto, ho fatto appena in tempo a sistemare Michiru a letto e preparare il tè. E ti ho già detto di non esagerare… forse hai dimenticato che voi due non avete fatto proprio una passeggiata di salute, oggi!” rispose Setsuna con tono di rimprovero.

“Ma Michiru come sta? Perché si è trasformata, che le è successo?” chiese Haruka, ansiosa, quasi supplicando.

Sailor Pluto sospirò, chiuse gli occhi come a voler scegliere le parole da usare, poi, ricordandosi il momento e lo stato emotivo della giovane compagna, e volendo interferire il meno possibile, cominciò: “Vedi Haruka-san, tu e Michiru-san oggi siete state davvero a un passo dal non farcela. È stato solo merito dei vostri poteri planetari prima, e della sacra coppa poi, se siete sopravvissute. Questo perché è passato molto tempo prima che i talismani potessero riunirsi...” Finì di bere il tè, e posò la tazza sul tavolino.

“Michiru-san soprattutto, era già molto debilitata per tutto quello che era successo prima che Eudial la colpisse. Per questo ha ceduto prima di te.” concluse rapidamente.

Haruka apprezzò la delicatezza della compagna, chiara ma volutamente vaga nel rievocare l’accaduto. Scacciò dalla testa quel pensiero, che non si sentiva ancora in grado di affrontare, e si focalizzò sui ricordi più recenti per ricostruire quello che era successo. Ma le mancavano troppi elementi, e soltanto la guerriera di Plutone poteva fornirglieli.

“Setsuna-san, io non capisco… chi possedeva il terzo talismano? E come ha fatto Sailor Moon a sapere della cattedrale, e infine tu… io… ho saputo chi eri appena mi sono risvegliata, ma...” Cominciò a dolerle la testa, si portò una mano alla fronte nel tentativo di lenire il dolore, ma senza successo. “...ma non so come, né perché...”

“Tranquillizzati, Haruka-san, per favore… è normale che tu sia confusa, il tuo risveglio come guerriera si sta completando adesso.” rispose l’altra, osservandola. Haruka era visibilmente al limite, ma sembrava che qualche misteriosa riserva di energia continuasse a tenerla in piedi.

Sospirò di nuovo. “Avrei preferito parlarvi insieme, senza dubbio, ma tu non mi stai dando scelta.”

“Sono stata io a portare il terzo talismano direttamente dal futuro, da cui provengo.” cominciò lentamente, attenta a valutare le reazioni della compagna più giovane. “Perché come già sai, soltanto l’unione dei tre talismani può far apparire il Graal. Purtroppo le cose non sono andate come sarebbe stato naturale che avvenisse, e questo ha fatto sì che la situazione sia diventata molto pericolosa.”

Si alzò in piedi, con atteggiamento solenne. “I tre Talismani sono le armi destinate a difendere il sistema solare, di cui noi siamo i primi baluardi, da attacchi e invasioni dall’esterno. Come io possiedo la Sfera di Granato, la Spada e lo Specchio vi appartengono di diritto. Quando il vostro risveglio, la vostra presa di coscienza si fosse completata, tu e Sailor Neptune sareste state in grado di evocare autonomamente i vostri talismani.”

“Ma allora… la ricerca dei cuori puri...” ribatté Haruka, turbata dall’idea che tutto quello che avevano fatto fino ad allora fosse in realtà privo di senso.

Setsuna le si sedette di nuovo davanti, in modo da guardarla dritta negli occhi.

“Normalmente è molto difficile giudicare noi stessi in modo imparziale, sia nel bene che nel male.” rispose con un sorriso affettuoso. “La ricerca dei cuori puri era in un certo qual modo il vostro processo di maturazione, sia morale che psicologica. E converrai con me che decidere volontariamente di sacrificare la propria vita per un bene superiore non è cosa da tutti, mentre a voi è sembrato normale.”

Haruka la guardò dubbiosa.

“Purtroppo i nostri nemici hanno progredito nelle loro ricerche molto più rapidamente del previsto, e così gli eventi sono precipitati. Voi non eravate ancora pronte, anche se non per molto, e ho dovuto lasciarli agire. A quel punto, il potere della Sacra Coppa era l’unica cosa che potesse separare i talismani dai cristalli del cuore che vi erano stati strappati in modo così violento.”

La guerriera di Urano restò in silenzio, rimuginando. Fu l’altra a rompere gli indugi; si alzò in piedi e salutò. “Adesso devo andare, ma mi farò viva presto, prima possibile.”

Haruka stavolta impiegò maggior cautela, e seppure a fatica riuscì ad alzarsi, e seguire l’altra fino alla porta. “Ma come, Setsuna-san, proprio adesso...” chiese, indicando col braccio verso la camera dove si trovava la terza guerriera.

Sailor Pluto si voltò sulla soglia, le mise una mano sulla spalla, e con un sorriso materno rispose “Ti assicuro,” facendo una pausa per risultare più convincente, “che Michiru sta bene, Tenoh Haruka. Lasciala riposare… e tu fa’ lo stesso.”

Haruka sentì il tocco sulla spalla farsi più intenso, e dopo un battito di ciglia, Setsuna era sparita.


 

Rimase un attimo a fissare il corridoio buio, interdetta; ma a quello avrebbe pensato in un altro momento. Chiuse la porta, buttò da parte giacca e cravatta, allentò il colletto, e raggiunse lentamente la camera da letto per controllare la situazione.

Michiru aveva un’espressione rilassata, adesso. Sembrava star meglio rispetto al viaggio in elicottero, e Haruka si tranquillizzò. Sailor Pluto non aveva fatto fatica a recuperare una camicia da notte tra le mille cose che Michiru le aveva portato a casa nel tempo, e l’aveva sistemata con cura.

Quando avevano scoperto per caso che il proprietario dell’appartamento adiacente si era fatto costruire una grande piscina dentro casa, Michiru era impazzita. Aveva voluto vederla, e se ne era innamorata. Sicuramente doveva essere un tipo eccentrico, visto che aveva adattato il terrazzo ad accogliere una pista da elicotteri!

Lei ci aveva pensato un po’ su, e dopo poco aveva rilevato tutto. Una parete abbattuta, ed ecco che la casa si era prestata sempre più alle visite della giovane violinista.

Haruka si avvicinò al letto, poi si ritrasse. Lasciala riposare, ricordò.

“Questo almeno glielo devo,” disse tra sé e sé lasciando la stanza.


 

Tornò in sala. “E tu fa’ lo stesso.” disse piano a sé stessa, avvicinandosi alla vetrata. Facile a dirsi.

Era esausta, ma il fermento che aveva nel petto non le dava requie.

Guardò l’angolo dove si sedeva di solito, anche quella stessa mattina. Aveva avuto il presentimento che il gran giorno era infine giunto, ed era concentrata sull’obiettivo. I loro sforzi acquisivano significato, il primo traguardo era vicino! E l’avrebbe raggiunto, anche a costo di fare cose di cui normalmente avrebbe provato vergogna.

Michiru le si era avvicinata, era appena uscita dalla piscina, pelle e capelli ancora umidi.

Le si era seduta accanto, e il tocco fresco della sua mano l’aveva colta impreparata, e sbalzata dai suoi cupi pensieri.

L’aveva lasciata fare, sorpresa, intrecciare le dita con le sue, in una danza dolcissima, ad ogni tocco un sussulto nel petto. E poi, si era trovata rapita da quegli occhi d’un azzurro profondo che sembravano cullarla, finché con poche, semplici parole, Michiru le aveva dimostrato di aver letto, ancora una volta, nel profondo del suo animo.

Per un attimo, che avrebbe voluto non passasse mai, si era sentita leggera, senza timori e preoccupazioni; e soprattutto, felice come mai prima.

L’idea di incontrare Sailor Moon era stata di Michiru, così come la scelta del luogo dell’appuntamento. L’avrebbero vista all’ultimo momento utile, per non darle modo di interferire con loro e di seguirle, e comunque da lì avrebbero potuto partire direttamente in elicottero, le aveva spiegato.

Le aveva chiesto di partire con largo anticipo, e per quasi un’ora era rimasta ad osservare, assorta e silenziosa, il movimento incessante di tutte quelle creature marine. Ne era così coinvolta che avrebbe potuto tranquillamente essere una di loro, aveva pensato Haruka. Ma a ripensarci ora, sembrava stesse cercando ardentemente di assorbire la loro serenità.


 

Haruka tornò al divano, si sedette buttando la testa all’indietro, e si coprì gli occhi col dorso di una mano.

Quando erano arrivate davanti all’ingresso della cattedrale marina il sole era prossimo al tramonto, e la luce, con la sua tipica colorazione giallo-arancio, colpiva le guglie e le colonne creando lunghe ombre scure, mentre le parti esposte brillavano orgogliose ma tristi, come consapevoli della brevità di quel momento di grazia.

Michiru le aveva sfiorato la mano, e in quell’attimo un brutto presentimento l’aveva pervasa, un senso di insicurezza, forse anche paura. Tanto che si era irrigidita, e il fatto che la compagna le avesse ricordato la promessa che si erano fatte, proprio in quel momento, l’aveva resa ancora più nervosa. E aveva sdrammatizzato, come suo solito, incapace di esprimere quello che stava provando davvero.

Possibile che Michiru fosse consapevole di quello che le aspettava? Che le sue premonizioni fossero più definite? Tra loro due, lei era sempre stata quella più sensitiva, non per nulla si era risvegliata per prima, e ogni volta sembrava sempre un passo avanti a lei, nel percepire le cose.

Ma se davvero era così, quale terribile fardello aveva sopportato da sola per tutto il giorno?

Haruka aveva rimesso tutti gli episodi in sequenza, e più ci pensava, meno quell’ipotesi le pareva incredibile. Il mal di testa aumentò. Non solo non le aveva detto nulla, ma si era anche impegnata a rasserenarla!

Come aveva potuto essere così cieca? Così presa, così concentrata sulla maledettissima missione da non vedere altro, intorno a sé, da non capire che la scala dei valori era molto diversa, tra loro due. Che stupida che era stata!

Lei… lei non aveva mai veramente creduto che qualcosa di grave potesse capitare loro. Ebbra di fiducia nella bontà delle loro motivazioni, e nei loro poteri planetari. Se erano state risvegliate per quello scopo, lo avrebbero sicuramente raggiunto. Che ingenua… e Michiru aveva capito anche questo suo pensiero tanto, tanto tempo prima.


 

Non era passato molto tempo da quando alle trasformazioni di umani in mostri erano seguite le apparizioni di demoni creati appositamente per cercare cuori puri. I demoni estraevano i cristalli dalle loro vittime, convinti di trovare i talismani al loro interno; e loro avevano cominciato a seguirne le mosse, intervenendo al momento opportuno.

Si erano trattenute fuori quella sera, dopo l’ultimo scontro. Era una serata piacevolmente calda, e una magnifica luna piena, alta nel cielo, rischiarava il deposito di rottami.

Sailor Neptune era seduta sul tetto di un’automobile, mentre lei era in piedi, un passo indietro, e il vento leggero le smuoveva i capelli.

“Mi domando se quella ragazza che sognava il primo bacio si sarà salvata,” aveva detto la guerriera di Nettuno. “Vedrai che starà bene.” aveva risposto lei.

“Ad ogni modo, sono contenta che il suo non fosse un talismano.” aveva aggiunto pacatamente Michiru.

“Ma cosa stai dicendo?” l’aveva rimproverata istintivamente. “Qualunque cosa accada, dobbiamo trovare i talismani!”

“Hai ragione… perché questa è la missione che ci è stata affidata.” aveva risposto l’altra, a mezza voce.

Erano rimaste in silenzio per un po’, poi Sailor Neptune si era alzata in piedi, e rivolta verso di lei. I suoi occhi brillavano febbrilmente.

“Uranus, dobbiamo prometterci una cosa” le aveva detto prendendole la mano. “D’ora in avanti, qualsiasi cosa accada all’altra, ognuna di noi porterà avanti la missione anche da sola, senza esitare, per nessun motivo al mondo.”

Pronunciate quelle parole, lentamente, solennemente, con gli occhi lucidi, aveva distolto un momento lo sguardo, e poi aveva concluso “Il nostro compito è troppo importante, dobbiamo impedire la distruzione.”

Haruka era rimasta spiazzata. Non solo per quello che le aveva chiesto, quanto per il modo: la stava quasi pregando.

Le parole avevano sempre avuto un peso importante, per lei; per questo le spendeva sempre con parsimonia. E questa richiesta, proprio, non la capiva. Non bastava forse aver preso l’impegno di portare a termine la missione, a garantire la totale abnegazione al compito? E così aveva risposto: che le sembrava una cosa superflua.

“Fallo per far contenta me, allora. Se sarà stato inutile poi, tanto meglio.” aveva insistito fissandola intensamente, sforzandosi di sorridere.

A quell’insistenza accorata, aveva ceduto. D’altronde solo pochi minuti prima l’aveva redarguita con veemenza, e se ne era pentita subito dopo.

“D’accordo, te lo prometto. Qualsiasi cosa ci succeda, la missione prima di tutto,” aveva sospirato.

Sailor Neptune le aveva stretto più forte la mano, come a suggellare il patto, e con un’espressione enigmatica aveva concluso “Bene. So che sei il tipo che non mancherebbe mai alla parola data.”

Poi era saltata giù dalla macchina, chiedendole di rientrare.


 

Si mise a fissare il soffitto. A quell’altezza era molto poca, la luce che arrivava dall’esterno, le luci dei palazzi più vicini erano comunque troppo lontane. L’appartamento era completamente silenzioso, e questo stato di calma contrastava sempre più col subbuglio che aveva dentro.

Sì, lei manteneva la parola data. Sempre. Specie se farlo le permetteva di non dover venire a patti con se stessa.

Come era successo quella volta alla cascata.

Con Sailor Moon che le dava dell’insensibile, e lei che si trincerava dietro quella stupida promessa. Mentre la rabbia la divorava, per essere bloccata lì con lei in quella grotta, e con tutte le sue forze cercava di convincersi che Neptune doveva star bene, che doveva avercela fatta. Perché se così non fosse stato…

Perché se così non fosse stato sarebbe diventata pazza, ma solo ora riusciva a dirlo. Allora no.

Evidentemente doveva batterci la testa, doveva proprio perderla, per ammettere una volta per tutte i suoi sentimenti.

Stupida idiota.

Non le erano bastati i momenti sereni insieme? Non erano bastati tutti quei piccoli gesti, gli sguardi, le risate, le schermaglie scherzose, le battute? Non le era bastato vedere che la bellissima Michiru Kaioh, sempre perfetta, composta, irreprensibile in pubblico, quando era sola con lei diventava un’altra persona?

Non si era accorta che anche lei faceva lo stesso, che cambiava quando erano insieme, e che era proprio questo, il motivo miracoloso per cui Michiru la leggeva come un libro aperto?


 

Quando quella strega di Eudial le aveva rivelato che Sailor Neptune custodiva un talismano nel suo cuore, la sua reazione era stata l’incredulità. Non poteva essere vero, era troppo assurdo! Che senso aveva averla risvegliata come guerriera, se il suo ruolo era quello di vittima sacrificale? Non era possibile, non era giusto! Come poteva il Messia essere così crudele? E come poteva lei, assistere a tutto ciò?

Aveva corso a perdifiato per i corridoi di quell’edificio mostruoso, continuando a negare con violenza quell’ipotesi oscena, e quando l’aveva vista legata, incosciente, a quella sorta di altare, di colpo si era sentita catapultare nel più orribile degli incubi.

Non aveva pensato, si era lanciata in avanti. E un attimo dopo si era trovata a terra, colpita da centinaia di dardi di fuoco.

Tutto quello che era successo dopo le sembrava tuttora un incubo terribile. Uno di quelli a cui si assiste come semplici spettatori, senza poter intervenire.

Ogni istante di quella sequenza le si era scolpito dentro. Riviveva ogni passo, ogni respiro, ogni lamento come se fosse ancora lì, e si sentiva dilaniare. Le aveva gridato, l’aveva scongiurata di fermarsi. Perché diavolo invece non si era mossa? Come aveva potuto lasciar scorrere gli eventi a quel modo?

Cosa l’aveva paralizzata, l’incredulità? O piuttosto, quella immensa, inarrestabile, incondizionata manifestazione d’amore?

Persino la strega era rimasta esterrefatta.

E poi quel maledetto sparo, accidentale. Il cristallo sospeso per aria, che si trasformava nel talismano, mentre Michiru crollava a terra senza vita.

E niente aveva più senso.

Niente.


 

Nel buio e nel silenzio della notte, sola con se stessa, Haruka cominciò a singhiozzare. Ora sì che si vergognava di sé. Michiru, la sua Michiru, ancora una volta, per l’ennesima volta, le aveva dimostrato quanto contasse per lei. La missione veniva dopo, il mondo intero veniva dopo. E lei non aveva saputo fermarla, non aveva saputo difendere la sua massima fonte di gioia.

Anche se a volte cercava di nasconderlo. Anche se a volte non lo voleva ammettere. Lo era. Lo era, e il grido che le si era strozzato nel petto glielo dimostrava. Era la sua gioia, e in un attimo l’aveva perduta per sempre.

Era rimasta lì come un fantoccio, svuotata di ogni energia. Incapace di immaginare un futuro. Aveva restituito la spilla a Sailor Moon, che chissà come, le aveva raggiunte. Comunque troppo tardi. Per lei, tutto era soltanto nero.

A quel punto, sapere che anche nel suo cuore c’era un talismano, che avrebbe potuto metter fine a quell’incubo sprofondando nell’oblio, era stata l’unica consolazione. Una resa onorevole, come un antico samurai.

E aveva premuto quel grilletto con sollievo.


 

Aprì gli occhi, e il soffitto aveva cambiato colore. Girò la testa verso la finestra, l’alba era passata da un pezzo. Diamine, quand’è che mi sono addormentata? Scostò la schiena dal divano, e si rese conto che si sentiva molto meglio. Si alzò senza difficoltà, si avvicinò alla vetrata e si incantò a guardare il sole che si alzava orgoglioso dal mare, in mezzo ai grattacieli.

Non ricordava se aveva sognato, ma si era svegliata con un ricordo ben chiaro davanti agli occhi: il talismano che le risplendeva di fronte, e poco distanti gli altri due, collegati tra loro come in risonanza.

Si era voltata verso Neptune, felicemente incredula: e l’altra le aveva risposto con uno sguardo, ed un sorriso, così timidamente complici, che valevano più di mille parole.

Aveva ricevuto una grazia, e per tutto il sistema solare, non l’avrebbe sprecata.


 

Notò le due tazze che Sailor Pluto le aveva lasciato sul tavolino. La sua era ancora piena, e la raccolse. Era fredda, ovviamente, ma il profumo si percepiva ancora bene. Gelsomino.

Sorrise, era uno dei primi tè che Michiru le aveva portato a casa. Uno dei suoi preferiti.

E poi è semplice da preparare, quando te l’avrò mostrato una volta, sarai perfettamente in grado di farlo da sola, le aveva detto sorridendo porgendole un raffinato barattolo di latta, decorato a fiorellini bianchi.

Lasciò le tazze da sciacquare nel lavello della cucina, e si spostò nella camera da letto. Come pensava, Michiru non si era ancora svegliata.

Prese una sedia e l’avvicinò al letto, stando attenta a non far rumore, e vi si sedette a cavalcioni, con le braccia incrociate sulla cima dello schienale.

La giovane musicista sembrava riposare tranquilla, si era pure girata sul fianco, come era solita dormire, e Haruka si soffermò ad osservare il suo viso rilassato, come a volerne memorizzare ogni singolo dettaglio.

L’aveva trovata bellissima sin dal loro primo incontro al campo di atletica: lineamenti morbidi in un ovale perfetto, lunghi capelli ben curati, occhi intelligenti di un azzurro profondo, e un seno niente male. Aveva dovuto impegnarsi, a non lasciar trasparire il suo apprezzamento. Poi l’aveva riconosciuta come la guerriera che appariva nel suo incubo ricorrente, e si era subito fatta indietro.

Era stata sgarbata con lei, più di una volta, sferzante come il vento invernale sulle cime degli alberi, per tenere le distanze, ed evitare di soffrire. E ciò nonostante, nell’arco di breve tempo Michiru l’aveva salvata due volte, la prima fisicamente, contro il mostro al circuito, la seconda di ritorno da Kyoto, quando andandosene l’aveva svegliata dalla sua lucida follia. Certo, da allora era cambiata… ma il loro rapporto era comunque rimasto sbilanciato.

Ah, inutile ripeterselo ancora: come si era abituata in fretta ad avere Michiru accanto a sé, non altrettanto rapida era stata a capire quanto, davvero, stava ricevendo da lei, figuriamoci a riconoscerne l’importanza.

Sospirò. Con i ricordi, ad uno ad uno i pensieri che l’avevano angosciata la notte precedente tornavano a riempirle la testa, smontando l’euforia del risveglio.


 

Michiru si mosse sotto la coperta leggera, respirò con più profondità e tornò a voltarsi sulla schiena.

Haruka si alzò d’impulso e ruotò la sedia, in modo da non avere davanti l’ostacolo dello schienale, e si sedette di nuovo, più vicina al letto. Attendeva quel risveglio e lo temeva, sentì il cuore accelerare i battiti.

La violinista aprì e richiuse subito gli occhi, come disturbata dalla luce, poi li aprì di nuovo, ancora velati dal sonno, e si voltò leggermente verso la figura che si stava sporgendo su di lei.

“Haruka...” sussurrò con la voce ancora impastata. Cercò di schiarirsela. “Siamo… a casa?” chiese, come domandandosi se fosse davvero sveglia oppure no. La giovane pilota annuì. Sentiva la bocca secca e un groppo alla gola, ma non avrebbe saputo dire se di gioia o di tensione.

“I talismani… hanno evocato il Graal...” riprese quasi tra sé e sé. “...non serviva nessun sacrificio...”

In un attimo Haruka si sentì sbilanciare in avanti, tanto da perdere quasi l’equilibrio. Michiru si era sollevata a sedere sul letto e le aveva avvolto le braccia attorno al collo, scoppiando in una calda risata. Era la prima volta che la sentiva ridere così liberamente!

Si puntellò con una mano sul letto per non cadere, mentre con l’altra cinse la schiena della donna che le riempiva il cuore, sostenendola. La tensione si sciolse, e non poté che unirsi a quella contagiosa esplosione di gioia.

Risero a lungo, tenendosi strette, finché Michiru non volle tornare a incrociare gli occhi della compagna; sciolse l’abbraccio e si appoggiò sui gomiti, recuperando la distanza visiva minima.

“Come ti senti, stai bene? Hai bisogno di qualcosa?” domandò Haruka.

Michiru provò un senso di deja-vu e sorrise di se stessa, svegliarsi in quella stanza dopo essere stata male stava rischiando di diventare un vizio! Un bel vizio però, se quello era il risveglio. La somiglianza con l’altra volta terminava lì, comunque. La giovane donna che aveva davanti era la stessa solo nell’aspetto.

O forse nemmeno in quello…? La guardò ancora un attimo.

Nei suoi splendidi occhi verdi c’era una luce diversa quella mattina, e un calore che in precedenza vi aveva visto solo di rado, e solo in fugaci occasioni. Quant’era bella…

“No… ho già tutto quello di cui ho bisogno accanto a me.” rispose con sincerità.

Haruka le prese la mano e la strinse, forte ma delicata. Sembrava che volesse dire mille cose, ma che non sapesse da che parte cominciare.

“Michiru, ecco… ci sono delle cose di cui volevo parlarti… in merito a ieri, ma non solo...”

Haruka non era brava con le parole, quando si trattava di esprimere i propri sentimenti. Per tanto tempo si era impegnata a nasconderli, a mostrare una maschera, che le consentisse di essere lasciata in pace e di potersi occupare dei propri interessi. In effetti si sentiva in difficoltà, ma voleva fortemente dimostrare alla persona che le stava davanti che aveva capito quanto fosse davvero importante per lei.

Partì da lontano.

“C’è una cosa che mi ossessiona, Michiru, non mi dà pace, ho bisogno che tu mi dica… tu sapevi cosa ci attendeva alla cattedrale?” chiese di getto, come togliendosi un gran peso di dosso. “Sei… sei stata strana tutto il giorno, e quando davanti al portone hai tirato in ballo la nostra promessa...”

“No, Haruka, non lo sapevo.” la interruppe l’altra, seria. “Ho avuto per tutto il giorno il pensiero fisso che si sarebbe persa una vita, se davvero avessimo trovato un talismano. Tutto qua. È stato solo davanti all’ingresso della cattedrale che ho avuto una sensazione forte di pericolo. Nello stesso momento in cui l’hai avuta anche tu.”

Haruka sobbalzò tra sé e sé. Allora aveva capito… annuì. “Già, e io sono stata confortante come un pezzo di ghiaccio...” replicò sollevando le spalle.

Michiru rise piano. Le era sempre piaciuta la sua autoironia, anche quand’era amara, e lei sorrise: qualsiasi ne fosse la causa, era sempre bello vederla ridere. Poi riprese: “In ogni caso, pericolo o no, non hai esitato a intervenire per salvarmi, anche se ci eravamo promesse di tenere la missione davanti a ogni altra cosa, e io...” Inghiottì. Voleva dirle che si era vergognata di se stessa, per non aver fatto nulla, per avere fatto scorrere gli eventi in quel modo, come inebetita.

“Haruka, non arrabbiarti, ti prego...” intervenne la violinista, guardandola timorosa.

“Io ho sempre creduto nella nostra missione, da quando ho cominciato a sognare la distruzione del pianeta. Ho sempre creduto che avrei, e poi che avremmo, insieme, potuto salvare questo nostro mondo. Non che sia stato facile, per me, archiviare tutti i miei sogni e i miei progetti, ma ci ho impegnato tutte le mie energie,” continuò rapida, convulsamente, come per non farsi interrompere, “...fino a un certo momento.”

“Quando ho cominciato ad avere davvero davanti agli occhi quali erano i rischi, e cosa c’era in ballo, ho perso la mia sicurezza. Vedevo te così decisa, determinata, e io invece dubitavo. Non della missione, ma di me stessa.” Rimase un attimo in silenzio, con lo sguardo fisso sulle lenzuola.

“Ho voluto che ci promettessimo solennemente di andare avanti ad ogni costo, senza pensare l’una all’altra in caso di pericolo; ho sperato che così, almeno una di noi ce l’avrebbe fatta, avrebbe portato a termine la missione. Perché io sapevo già che non ne sarei stata in grado.”

L’altra la stava fissando impietrita, e Michiru sentì gli occhi gonfiarsi di lacrime.

“Quando quella donna ha puntato il fucile contro di te ho saputo solo che dovevo fermarla. Al diavolo il talismano, al diavolo tutto. Senza di te era tutto inutile! Oddio Haruka, ti amo così tanto...”

Fu abbastanza. Haruka scattò in avanti e strinse la violinista in un abbraccio avvolgente, lasciandola quasi senza respiro.

Non riusciva a crederci… voleva confessare i suoi sentimenti a Michiru, e invece era lei a ricevere l’ennesima manifestazione d’amore, una dichiarazione così calda e appassionata che il cuore le stava scoppiando nel petto.

La sentì fremere, allentò la stretta e si fece indietro, desiderosa di annegare di nuovo in quegli occhi azzurri meravigliosi che adesso però la guardavano con stupore.

“Haruka, ma tu stai… piangendo?” chiese Michiru, incredula. “Tu non piangi mai...”

Stava piangendo? Sì, stava piangendo. Sentì il calore, e il sapore salato, delle lacrime che le scivolavano sul viso. Non era poi così terribile…

“Piango perché sono felice che tu sia entrata nella mia vita,” rispose con un sorriso dolcissimo. “E ti assicuro che farò qualsiasi cosa perché tu non ne esca mai più, mio preziosissimo angelo.”

“Quello che voglio dirti è che non ho fatto niente, finora, per meritare tutto quello che mi hai dato in questi mesi,” continuò dopo un attimo di silenzio.

Le prese una mano e se la accostò al centro del petto, tenendola premuta con la sua; il cuore le batteva ancora molto forte, ma andava bene così, non voleva nasconderle più nulla. “Però sappi che questo è tuo, totalmente ed integralmente tuo, lo è da tempo e lo sarà sempre.”

Delineò con l’altra mano l’ovale perfetto della giovane musicista, si accostò delicatamente, chiuse gli occhi e sfiorò le sue labbra socchiuse con le proprie.

Un primo tocco leggero, una carezza con il labbro inferiore, per assaporare il calore e la morbidezza di quella bocca così desiderata; poi, ricevuto il tacito assenso della compagna, perfezionò quel primo bacio con dolcezza e passione, mentre Michiru le portava le mani dietro la nuca, attraversandole i capelli con le dita.

Non servivano altre parole.

Entrambe avevano atteso quel momento a lungo nel loro cuore, seppur con diversa consapevolezza; e finalmente erano lì, nell’intimità perfetta di due anime nate per stare l’una con l’altra.

Haruka si sdraiò sul letto, un braccio disteso perché l’altra potesse appoggiarvi la testa.

La giovane violinista raccolse l’invito e si accostò il più possibile, la guancia appoggiata tra il suo braccio e la spalla, e con la mano libera le cinse la vita, mentre l’altra le accarezzava i capelli.

Rimasero così a lungo, in silenzio, desiderose soltanto di godere l’una della vicinanza dell’altra.

  
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