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Autore: Mellololo    07/09/2017    2 recensioni
Akira Mado è alle prese con un caso decisamente particolare, dato un Ghoul che uccide giovani coppie di innamorati, dopo averli sorpresi in casa assieme, ha già fatto strage di milioni di innocenti.
E soltanto grazie all'aiuto di un vecchio collega, l'investigatrice arriverà all'identità dell'assassino.
Ma come ricorderà il loro incontro, in futuro, la donna?
Come uno sbaglio imposto dalla nuova natura in cui si è ritrovato a vivere l'ex investigatore, come un peccato, come l'ennesima menzogna, o come il piccolo frammento di una verità più grande che li ha sempre riguardati?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mado Akira, Takizawa Seidō
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Quel giorno, il suo capo l'aveva trattenuta al lavoro fino a tarda sera: era solito imporle degli orari fuori mano, per una giovane donna della sua età. E non se ne preoccupava affatto.

Con una scusa qualsiasi, la convinceva che ci fosse una montagna di scartoffie da compilare e rinnovava la bugia circa ogni due ore, accorgendosi che la bionda aveva appena terminato il nuovo compito assegnatole.
E così le scartoffie sulla sua scrivania si moltiplicavano, senza una ragione ben precisa.

Il solo motivo che spiegasse tale meccanismo burocratico che si era costruito attorno a lei era il fatto che Mado fosse una dei pochi veterani, rimasti ancora in vita, di quello che era diventato una sorta di circolo ricreativo, dopo la morte di parecchi investigatori durante l'assalto all'Anteiku.

E la giovane aveva bene afferrato il concetto di responsabilità che le era stato affidato e gravava ogni giorno sulle sue spalle: un aiuto le avrebbe fatto piacere, certo. Ma chiederlo e ammettere le proprie debolezze richiedeva fin troppo tempo.
In fondo, lei non aveva nemmeno una famiglia a cui provvedere o altri impegni che fossero al centro dei suoi pensieri. Perciò, poteva lavorare quanto era necessario.

Decise, pertanto, di accettare con un sorriso anche l'ennesimo incarico garantitogli.
Quella volta, un po' più impossibile di tutti gli altri.
 
~•~
 
L'ufficio in cui si ritrovava ogni sera prima di congedarsi e potersene tornare a casa non era il suo, ma lo conosceva bene ugualmente.
Ci era entrata così tante volte, che era difficile che la sua memoria attenta non facesse il modo di fissare per bene in sé tutti i dettagli che lo caratterizzavano.

Il ritorno era una routine, oramai.

Due tocchi alla porta con la sua mano affusolata emettevano una sensazione dolce e quasi impossibile da udire.
Ma Arima riusciva a farlo, perché a quell'ora non poteva che essere la sua subordinata e nessun altro, a cercarlo e volergli parlare.

Permesso di entrare nella stanza accordato, i passi che la separavano, una volta aperta la porta, dalla scrivania dinanzi a cui sedeva il suo capo, non erano troppi.
Il suono prodotto dal tacco delle scarpe che si appoggiava al pavimento di legno e quello della biro nera tra le mani dell'albino erano gli unici udibili; i soli con il coraggio necessario per spezzare il silenzio della notte.

Dall'esterno, la luce ancora accesa di pochissimi uffici era possibile notare.

"Io ho finito. Se permetti, tornerei a casa, Arima."-proferì la donna, posizionatasi dinanzi la scrivania dell'uomo con il capo chino e intento a esaminare i fogli su cui giaceva il suo organo prensile e continuava a muoversi da destra verso sinistra. Tutto d'un tratto, l'investigatore alzò la testa a mezz'aria, per puntarla contro la sua ospite: gli occhi stanchi, lo sguardo quasi assente, i capelli corti scompigliati per via della mano che era solito portarsi sulla testa per grattarsela mentre lavorava, l'aria stordita che assumeva, indipendentemente dalla sua volontà, ogni volta, lo rendevano veramente poco credibile.
E anche in quel momento, la giovane dovette trattenere una risata. Non ci riuscì, se non muovendo il capo; rivolgendolo altrove.

La sua attenzione venne catturata da uno dei tanti Maneki Neko appoggiati sugli scaffali della immensa libreria. Ma quello che aveva subito notato lei, quella sera come tutte, era il più bello: le piaceva molto il gatto della fortuna sorridente e bianco di Arima; le ricordava il suo.

E il movimento per far tornare la testa dritta verso l'albino fu di una velocità unica. Egli, intanto, toltasi la minuta montatura chiara adagiata sul naso, affidò per un attimo le lenti al tavolo, per massaggiarsi un po' le tempie con le dita.
"A quel caso..."-incominciò la frase, e gli occhiali dapprima passarono alle mani, poi tornarono subito al loro posto, mentre gli occhi erano ancora socchiusi come durante il massaggio.
"...penserai tu, vero?"-domandò alla sua subordinata, schiudendo di colpo gli occhi e lanciandole uno sguardo severo al punto giusto.

Akira deglutì. Ma permise alla paura di essere un tratto evidente della sua espressione soltanto per poco. Poi, la mandò via.

"Sissignore."-fu la risposta della bionda, le cui mani erano incrociate sulla parte finale del ventre. Un inchino cortese, ed era già dinanzi la porta, pronta per andarsene.
"Arrivederci."-salutò, ma non ricevette alcun suono di rimando. Soltanto quando superò l'uscio della porta ed era pronta a chiuderla, puntato lo sguardo sul suo capo, l'investigatrice si accorse che quello non aveva mai smesso di guardarla con un sorriso a fior di labbra che gli illuminava il volto.
"Grazie."-fu la parola che pose fine ad un discorso flemmatico, come i tanti consumati in quel posto.

Grazie.

Era la millesima volta che la ringraziava di obbedirlo in quel modo così pacato e costante. E per merito della sua correttezza, Akira si era guadagnata fiducia e stima un po' da parte di tutti, alla CCG.
Ma era davvero così stanca di continuare a lottare con tanta caparbia, mentre gli altri si prendevano il merito delle sue conquiste.

Era così sola, oramai.
 
~•~
 
Quel Ghoul è una novità tra gli archivi della CCG. Ma non è stato così difficile, per lui, farsi notare ai nostri occhi. È un assassino, e non uccide per sola fame. Credo che brami di vedere gli uomini stesi al suolo.
Le parole di Arima le risuonavano nella testa: l'ultimo caso che l'albino le aveva affidato non riusciva proprio a scordarselo.
Nemmeno per un attimo, quel mostro evadeva dai suoi pensieri. Anzi, anche a casa, il lavoro era la sola cosa che la impegnasse a tempo pieno.

Si udì un tintinnio di chiavi e il debole scricchiolio di una porta che si apriva, mentre il buio era calato da un pezzo su uno dei quartieri più rinomati della città.
Akira non abitava lì; quella era la casa dei suoi genitori. Ma il suo piccolo appartamento, situato in mezzo al nulla, tra abitazioni oramai vuote e gente poco raccomandabile, era diventato troppo costoso per lei. E non valeva la pena di pagare così tanto, per poche stanze e urla anonime che, all'improvviso, spezzavano il silenzio della notte.

S'era, pertanto, avvalsa dei sacrifici che i genitori avevano fatto quando erano ancora in vita, e si era impossessata della casa in cui aveva trascorso l'infanzia: quell'abitazione era molto capiente.
Non che gli servisse più spazio, ma, in quelle quattro mura, era come rivivere il suo passato. E questo le stava bene.

Non le ci volle molto, inoltre, per abituarsi.
E in poco tempo era riuscita a riempire il vuoto che prima quelle stanze sfoggiavano con le sue cose, rimpiazzato ciò che non era di suo gradimento, e sistemato negli armadi i vestiti del padre: non aveva avuto il coraggio, invece, di buttare anche quelli.

Una volta aperto il maestoso portone, rivolse il suo sguardo in terra. E Maris Stella era lì, come sempre, ad aspettarla.
Sbrigate le faccende in cucina e preparata una piccola cena per sé, raggiunse il piano di sopra, dove erano situate le camere da letto.

Si spogliò in fretta, perché non vedeva l'ora di andare a dormire. Brividi le percorsero effimeramente la schiena, quando si ritrovò nuda delle sue vesti.
Un veloce sguardo alla finestra chiusa, e si accorse che aveva iniziato a piovere: non poté fare a meno di pensare a quello.

Si infilò nella doccia e lasciò che l'acqua calda la riscaldasse e che le gocce le rigassero il corpo e l'animo.
Ti sembrerà strano, ma le sue prede sono esclusivamente giovani innamorati. Li coglie di sorpresa in casa, e li uccide senza divorarli.
Spero davvero che ti venga in mente un piano.

Assieme all'acqua, scorrevano anche le preoccupazioni inerenti al lavoro e al nuovo caso affibbiatole.

Come sempre, poi, si sentiva osservata.

Si sentiva spiata anche mentre si lavava: era davvero possibile?

Ma nemmeno il pensiero che qualcuno stesse tramando alle sue spalle, riuscì ad impedire alle lacrime della donna di confondersi con le altre stille.
 
~•~
 
Dopo un po' di tempo, la bionda uscì dal bagno.

Fece un giro per casa, mentre lasciava d'ovunque andava un odore di buono e pulito. Un misto di lavanda e rosa invase dolcemente l'aria. E mentre si muoveva per le stanze vuote, la sola veste che copriva gran parte del suo corpo nudo era un accappatoio bianco, che si sposava perfettamente con la carnagione chiara dell'investigatrice.

Nel calore che si era creato e aleggiava tra l'asciugamano che la avvolgeva e la sua pelle, si sentiva al sicuro e stava bene.
Ma la folata di vento gelido che la colpì all'improvviso, raggiunta la sua camera, la fece tremare tutta: quando si affrettò e corse a chiuderla, non si ricordò di aver lasciato la finestra aperta.

Un po' perplessa per tale arcano, uno sbadiglio che proprio non riuscì a evitare le fece ricordare tutta la stanchezza che aveva accumulato quel giorno.
Quindi, la donna decise di lasciare il resto all'indomani e incolpò di quel momento di distrazione la spossatezza dovuta agli impegni lavorativi. Indossò la camicia da notte, quando sul letto notò una lettera.

Si sedette all'estremità del materasso e prese tra le mani il foglio di carta di cui proprio non ricordava la provenienza: quella calligrafia, i contenuti che trapelavano dalle righe del messaggio potevano voler dire una cosa soltanto.

Potevano voler indicare una persona soltanto.

Compreso quanto c'era da comprendere, l'investigatrice si affacciò alla finestra. Liberatasi delle tendine, diede un'occhiata alla strada, ai passanti e alle auto ancora in giro, nonostante il maltempo: allora, aveva finalmente deciso di cercarla.

Rabbrividì pensando a com'era diventato il suo vecchio collega. Si infilò tra le coperte, ma non poté far a meno di far notare a se stessa che non importava quanto ne avesse paura;

lei aveva bisogno di lui.
~•~
 
"Cosa vuoi?"-fu l'unica cosa che l'investigatrice ebbe il coraggio di chiedergli, raggiunto il luogo menzionato nella lettera ricevuta. In realtà, avrebbe voluto domandargli tante altre cose.

Se stava bene o aveva sofferto, magari.

Nella sua testa suonava tutto più facile, ma l'emozione del momento la distolse da ogni cosa che aveva pianificato: allora, avevano ragione.

Era vivo.

Vivo davvero.

"Te."-rispose secco il Ghoul, senza guardare la sua interlocutrice in volto e provocandole un sobbalzo. Da quando era arrivata, non si era degnato di rivolgerle uno sguardo: lei aveva paura; ma non era la sola.
E sebbene la donna non riuscisse a scrutargli gli occhi, la sua nuova immagine le era perfettamente chiara: i lunghi capelli bianchi, gli stracci neri con cui aveva coperto parte della testa e della chioma disordinata e tutto il corpo esile lo rendevano diverso dal solito. Un po' più temibile, forse.

"Insomma, che tu sia salva."-si corresse egli dopo un po', con la stessa tranquillità di prima. Poi, alzò finalmente il capo. Dinanzi a sé, la bionda era immobile e rigida: lo sapeva, ne era sicura; lui l'avrebbe uccisa, un giorno.
Mentre lei voleva soltanto salvarlo.

E accettò ugualmente l'aiuto che il Ghoul le aveva promesso nella lettera, non soltanto perché ne avesse necessariamente bisogno.

Ma perché, in fondo, anche lei voleva solamente lui.
   
 
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