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Autore: Hana_Weasley    14/09/2017    1 recensioni
Hoseok è un goblin e ormai sono 900 anni che attende colui che potrà mettere fine alla sua lunga vita: lo sposo del Goblin.
Taehyung è uno studente di diciannove anni con una vita difficile e numerosi problemi. I suoi zii lo maltrattano e a scuola tutti lo ignorano a causa della sua capacità di vedere i fantasmi.
Yoongi è un mietitore di anime di 300 anni che non ha alcuna memoria del suo passato e che per sua sfortuna si ritrova ad abitare con il Goblin.
Jimin è uno spensierato ventunenne. La sua è una vita semplice almeno fino a quando il destino - chiamato comunemente Namjoon - non lo farà incontrare con Yoongi.
«E questa qui, amici miei, è proprio la storia del triste ed eterno amore del Goblin e del suo sposo.»
[VHOPE E YOONMIN con accenni NAMJIN]
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Jung Hoseok/ J-Hope, Kim Taehyung/ V, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin, Un po' tutti
Note: AU, Movieverse, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Sono tornata!
Ho cominciato a lavorare a questa fanfiction a luglio e ho pensato fosse il momento di cominciare a pubblicarla. 
Questa volta si tratta di una long (ho previsto una decina di capitoli) vhope e yoonmin con qualche accenno namjin. La fanfiction è chiaramente ispirata al kdrama Goblin quindi alcune cose rispetteranno la trama originale della storia mentre altre saranno completamente diverse o mie aggiunte. 
Gli aggiornamenti saranno, ahimè, piuttosto lenti. Ho appena terminato di scrivere il quarto capitolo quindi non so bene quando posterò il secondo. Cercherò comunque di non far passare troppo tempo, ve lo prometto!
Buona lettura!



 
Dedico la fanfiction a Andy, Cate e Silvia, le mie compagne di sclerate su Goblin!




 
Tanto tempo fa esisteva un generale di Goryeo considerato quasi un “Dio della Guerra” per le sue prodezze in battaglia. Grazie a lui, Goryeo brillò e divenne ricca e prospera, nonché una roccaforte impenetrabile dai nemici.
Tuttavia, un Dio o forse il Fato o chicchessia molto spesso sono dispettosi e mettono a dura prova l’uomo.
E così il tanto ammirato generale di Goryeo venne tradito da chi meno si aspettasse e venne ucciso… o forse no.
Come già detto, molto spesso il destino è indisponente e vendicativo e proprio per questo il Generale divenne un Goblin, un essere non vivo e non morto, con i poteri di un Dio e un’esistenza immortale.
E l’immortalità fu proprio la punizione che ricevette: essere costretto a guardare, impotente, le persone a lui care morire per poi rinascere e per poi morire di nuovo, in un ciclo senza fine.
La leggenda tuttavia narra che l’unica persona in grado di poter liberare il Goblin da questa sofferenza e di donargli la pace eterna sarà solo ed unicamente lo sposo del Goblin.
E questa qui, amici miei, è proprio la storia del triste ed eterno amore del Goblin e del suo sposo.

 
1998 

Sungmin ascoltò attentamente la storia che il giovane e bel ragazzo che lavorava nel chioschetto gli stava raccontando e non potè fare a meno di pensare che fosse un racconto terribilmente triste nonostante si trattasse solo di una leggenda metropolitana.
Infondo, il Goblin aveva bisogno di trovare l’amore per poter finalmente morire, vi era qualcosa di più triste e malinconico?
Sorrise cordialmente al ragazzino che le sorrise cordialmente mentre le dava il gelato che aveva appena ordinato.
“Grazie per la bella storia, ma ora devo andare!”
“Aspetti!” la richiamò quello.
Sungmin si voltò in attesa che parlasse.
“Se mai dovesse trovarsi in pericolo preghi con tutta sè stessa. Preghi dal profondo del cuore e magari un Dio gentile deciderà di aiutarla. E ora vada e non prenda tanto freddo, farà male al bambino.”
La giovane donna rimase ferma qualche istante, tentando di trovare un senso a ciò che il ragazzo le aveva appena detto. Apparentemente non sembrò trovarne uno perché con un’alzata di spalle si incamminò nella via, salutandolo per un’ultima volta.
Sungmin camminava per il viale ricoperta di foglie variopinte mentre distrattamente si accarezzava la pancia appena in vista, segno che la donna fosse probabilmente incinta.
“Chissà cosa intendeva quello strambo ragazzo. E poi cosa ne sa lui di bambini se a mala pena avrà diciassette anni?” Mormorò, come se stesse parlando al bambino che si trovava dentro di sè.
Si fermò quando si accorse che il semaforo era rosso e attese pazientemente che scattasse nuovamente il verde e le auto si fermassero dallo sfrecciare per la strada. Riprese a camminare nella stradina solitaria e piuttosto silenziosa. E forse fu proprio quello il problema.
L’atmosfera era tanto calma che Sungmin mai avrebbe potuto immaginare potesse accaderle qualcosa. Con tranquillità attraversava quindi la strada mentre canticchiava distrattamente nella sua testa una melodia sentita poco prima per le strade di Seoul.
Non si accorse quindi dell’auto che arrivò sparata dal vicoletto, e quando lo fece fu ormai troppo tardi per lei che se ne rese perfettamente conto.
La macchina, arrivata ad una grande velocità, la sbalzò a qualche metro di distanza e Sungmin perse immediatamente coscienza a causa della forte botta alla testa provocata dall’impatto con il duro suolo.
L’uomo che guidava l’auto, visibilmente ubriaco, scese dalla vettura e quando si rese conto di quello che aveva appena fatto entrò immediatamente nel panico.
La donna pareva morta, lì a terra e  era ricoperta di sangue ed era tutta colpa sua.
Ma non poteva assolutamente chiamare qualcuno. Lo avrebbero denunciato e sarebbe finito in prigione, non poteva in nessun modo permettersi qualcosa del genere.
Prese allora il corpo della donna, con poca grazia, e barcollando lo infilò nel bagagliaio della sua auto. Guidò fino a che non raggiunse il confine della città e appena giunse una strada solitaria abbandono il corpo della donna vicino al marciapiede, e senza neppure lasciarle un ulteriore sguardo la abbandonò lì.
Sungmin nel mentre si era ripresa e si era resa conto che probabilmente sarebbe potuta morire da un momento all’altro.
E andava anche bene, la sua vita era sempre stata terribilmente disastrosa e probabilmente la morte le avrebbe dato finalmente un po’ di pace. Ma a morire, quella notte, non sarebbe stata solo lei. Aspettava un bambino e per quanto lei odiasse tutta la sua vita, amava immensamente quella creatura, nonostante non fosse ancora nata. Voleva terribilmente che suo figlio vivesse, non le importava altro.
Ed in quel momento ricordò ciò che il ragazzino strano le aveva detto poco prima.
Forse sarebbe stato inutile ma era la sua unica speranza quella, era l’unica speranza che aveva di salvare suo figlio.
Quindi pregò, pregò con tutto il suo cuore e la sua anima, sperando che un Dio o qualsiasi altra cosa la sentisse e avesse pietà di lei.
Pregò intensamente e quando aprì con fatica gli occhi, la visuale fu catturata da due eleganti scarpe da uomo laccate di nero.
Sempre con molta fatica alzò lo sguardo posandolo sulla figura di un uomo imponente e giovane che la osservava con sguardo serio.
“Mi hai chiamato.” Disse quello, stupendola.
“S-sei tu? Sei t-tu il Dio?” chiese con voce gracchiante.
L’uomo si limitò ad annuire.
“A-aiutami, ti p-prego.” Sungmin lo pregò disperatamente mentre le lacrime abbandonavano i suoi occhi per poi posarsi sull’asfalto.
“Normalmente non intervengo in ciò che riguarda la vita e la morte.”
Sungmin cominciò a piangere più forte, sentendosi più che mai impotente di fronte a quella situazione. Non le importava nulla di se stessa ma doveva salvare suo figlio, non importava come ma doveva riuscirci.
“AIUTALO!” urlò con quel poco di voce che le era rimasta e tossicchiando subito dopo per lo sforzo.
L’uomo parve stupirsi a quell’urlo e si soffermò ad osservare con più attenzione la donna. Fu solo a quel punto che l’uomo notò la pancia accentuata della ragazza e si rese conto della reale situazione.
Non lo stava pregando per salvare lei, ma per salvare la creatura che teneva nel suo grembo.
L’uomo osservò come la ragazza, ricoperta di sangue praticamente ovunque, annaspasse per un po’ d’aria e prese la sua decisione.
Si avvicinò al suo corpicino e stese un bracciò in sua direzione mentre sentiva il suo potere divino scorrergli nelle vene intensamente. Chiuse gli occhi e lasciò che i suoi poteri facessero il resto, guarendo la povera ragazza che svenne nuovamente ma decisamente in pace . L’uomo osservò pietosamente la donna e con un solo schiocco di dita fece sì che fosse trasportata nella sua dimora, al caldo, e si assicurò di farle anche trovare qualche medicina vicino per ogni eventualità.
Poi, così come era arrivato, scomparve, come se in quella isolata via nulla fosse accaduto.
Tuttavia quella sera qualcosa era effettivamente accaduto, qualcosa che gli umani chiamano “miracolo” ma che è semplicemente l’intervento di un Dio capriccioso. Così almeno la pensava il misterioso uomo vestito completamente in nero e con un cappello del medesimo colore posato sul capo, mentre osservava con circospezione l’ambiente, soffermandosi in particolar modo sulla pozza di sangue ancora fresco che dipingeva drammaticamente la strada. Ridiede uno sguardo alle due cartoline con teneva in mano segno evidente che qualcosa non andava.
 
“Kim Sungmin
22 anni
Morta per emorragia interna.”
 
E
 
“Nessun Nome
0 anni.”
 
Quella notte, in quel posto, sarebbero dovute morire due persone eppure davanti all’uomo non vi era nessun corpo o nessun fantasma. Solo sangue.
L’uomo dai capelli corvini sospirò pesantemente ed imprecando se ne andò sicuro che queste due persone sfuggite alla morte sarebbero state una bella rogna per il suo lavoro.
 
 1200 d.C., durante il regno della dinastia Goryeo.

Il generale ancora una volta stava eliminando qualsiasi nemico gli si ponesse davanti con maestria e senza subire gravi ferite. Come sempre stava dimostrando anche in quella battaglia di essere decisamente degno del soprannome che gli abitanti dell’impero gli avevano affibbiato con ammirazione.
“Dio della guerra.”
In realtà a Jung Hoseok – così era il suo vero nome – non piaceva molto essere chiamato così. Naturalmente essere acclamato per le sue abilità in battaglia era soddisfacente ma Hoseok non combatteva per la gloria, era qualcosa di effimero e che a lui più di tanto non importava.
Lui combatteva e uccideva nemici e nemici solo perché quello era il suo compito e quello era ciò che Sua Maestà gli aveva ordinato di fare.
E Hoseok ammirava e voleva incredibilmente bene al Re in quanto lo aveva visto crescere e gli era sempre stato accanto come consigliere.
E se lui gli diceva di combattere i nemici, Hoseok avrebbe fatto questo ed altro, di ciò ne era decisamente certo.
Il Re dovette fin da giovane assumersi le responsabilità della sua posizione dopo la morte dei genitori che richiesero specificatamente che Hoseok si prendesse cura del ragazzo. Così il generale aveva in un certo senso cresciuto il ragazzino, sviluppando nei suoi confronti un grandissimo affetto. Il Re aveva sempre ricambiato questo sentimento, vedendo in Hoseok la figura di un fratello maggiore al quale poter chiedere consiglio. Così, quando era in dubbio su una qualsiasi decisione da prendere, non si faceva problemi a confidarsi con il generale che nel modo più obiettivo e giusto possibile tentava di aiutare come poteva il giovane Re.
Quando il generale e il suo esercito tornarono a Palazzo, Hoseok si accorse immediatamente che qualcosa non andava. L’atmosfera era tesa e cupa e alle soglie dell’imponente portone, ad aspettarlo, vi erano i soldati personali del palazzo che rapidamente lo bloccarono.
“Mi dispiace ma non può andare più avanti di così.” Disse uno di loro.
E Hoseok davvero non riusciva a capire cosa stesse accadendo e perché una decina di soldati lo guardavano minacciosi, tenendo saldamente tra le mani le loro spade, come se dovessero attaccare da un momento all’altro.
“Qual è il problema?” chiese quindi, tentando di non apparire così alterato come in realtà era.
“È accusato di alto tradimento e se solo farà un altro passo verrà ucciso all’istante.”
Tradimento?
In quale universo avrebbe mai potuto tradire il re, a cui voleva così bene? In quale universo avrebbe potuto fare del male a quel ragazzo? Era un’accusa che non stava in piedi e non avrebbe permesso che tutti si convincessero di quell’infondata diceria.
“Mi lasci passare e parlare con il Re.” Disse quindi, con voce dura.
“Non mi è permesso.”
“Bene, vorrà dire che me lo prenderò da solo il permesso.” E dicendo ciò sguainò la spada e si lanciò all’attaccò dell’uomo con il quale prese a lottare.
Dietro di lui anche il suo esercito partì alla carica scontrandosi contro l’altro, nonostante i suoi uomini fossero ancora stremati dalla precedente battaglia durata tre giorni.
Hoseok in poco tempo sconfisse il suo rivale e ebbe via libera verso l’interno del palazzo. Aprì il grosso portone mentre alle sue spalle il combattimento non cessava e si ritrovò nell’enorme spiazzo che accoglieva le dimore imperiali.
Tutti erano riuniti lì, come ad attenderlo, e la prima persona con la quale incrociò gli occhi fu un ragazzo dalle guance paffute e i capelli corvini, ovvero suo fratello minore che riportava sul volto evidenti segni di percosse e che veniva saldamente tenuto da una guardia.
Hoseok divenne ancora più confuso ma la rabbia prese il sopravvento nel vedere  le condizioni del ragazzo.
Cominciò a camminare per raggiungere la cima della scale, dove ad attenderlo vi era il re accompagnato dai suoi personali enunchi. Lì in alto mancava solo il suo fratellino che invece di trovarsi accanto al re, pronto a servirlo, come sempre, era bloccato nella presa ferrea della guardia.
“Fermati.” Intimò il Re con voce ferma. “Se fai solo un altro passo uccido tutta la tua famiglia.”
“Anche lui?” chiese Hoseok mentre indicava il fratello.
“Specialmente lui.” Rispose il Re con uno sguardo tanto freddo da far venire i brividi a Hoseok.
“Non sono un traditore.” Affermò il generale. “Tutto ciò che faccio l’ho sempre fatto per voi e mai penserei di tradire la vostra fiducia, Altezza. Cosa le fa pensare che io l’abbia tradito? Quale mio gesto vi ha portato ad una simile conclusione?”
“Miravi a questo fin da subito, vero? Avete cercato di entrare nelle mie grazie unicamente per spodestarmi e prendere tu il mio posto, non è così?!” lo accusò apertamente il re.
“Mai! Non ambisco a nessuna gloria o posizione!” Hoseok tentò di difendersi perché ciò di cui lo stava accusando il re era quanto di più diverso dalla realtà e non riusciva a capire come fosse giunto ad una tale conclusione.
Lui non voleva in alcun modo prendere il suo posto. Il suo ruolo era quello di servire il Re e l’Impero e mai e poi mai avrebbe potuto fare qualcosa di simile.
“Arrenditi e lasciati uccidere e ti permetterò di essere ricordato dall’Impero come un eroe.”
In quel momento Hoseok era più che mai in conflitto con sé stesso.  Da una parte voleva raggiungere il Re e provare la sua innocenza ma dall’altra sapeva che se avesse anche solo fatto un passo, tutti i suoi cari sarebbero stati uccisi e lui non lo voleva.
Si voltò e i suoi occhi incrociarono quelli di suo fratello che dopo un attimo di titubanza gli sorrise, donandogli ancora una volta la vista di quello splendido sorriso che regalava a chiunque.
Fallo.” Gli disse.  “Non pensare al resto e va da lui.” Continuò, senza smettere di sorridergli.
Hoseok lo osservò e gli venne da piangere alla visione di quella drammatica contrapposizione: la condizione pietosa nella quale si trovava il ragazzo contrapposta al suo luminoso sorriso e ottimismo. A malincuore quindi prese la sua decisione mentre suo fratello, che sembrava aver capito le sue intenzioni, prese ad annuire per incoraggiarlo.
Fece un passo e la fatica fu paragonabile a quella dello scalare una montagna per quanto fosse il peso che quel passo si portava dietro insieme alla consapevolezza che con quel passo avrebbe perso tutti i suoi cari.
Fece un altro passo e con coraggio un altro ancora.
Dall’alto il Re osservava sconvolto la scena, non avendo idea che il generale sarebbe stato così coraggioso, tanto dal decidere di sacrificare molte vite per salvare la sua.
Gi Woojin, l’enunco che si trovava accanto a lui, gli si avvicinò parlandogli in modo che potesse sentire solo Re ciò che aveva da dire.
“Vostra Maestà, cosa sta aspettando?  Quell’uomo sta disubbidendo agli ordini imperiali e sono sicuro stia tentando di raggiungervi per uccidervi. Dia l’ordine, adesso.”
Il Re osservava Hoseok trovarsi in prossimità delle scale mentre nella sua testa rimbombavano le parole del suo enunco. Si rese conto di quanto avesse ragione e che aveva la necessità di uccidere quell’uomo.
“Uccidete i suoi famigliari!” diede quindi l’ordine e dall’alto partirono immediatamente numerose frecce che si andarono a conficcare nei corpi della famiglia Jung.
Il primo ad essere colpito fu proprio suo fratello e nell’istante stesso in cui la freccia colpì il suo petto, il ragazzo crollò a terra privo di forze e con gli occhi spalancati e vuoti.
Hoseok osservò impotente la scena ed in poco tempo vide tutti i suoi cari venire colpiti a morte.
Per la prima volta odiò il Re. Per quello che aveva fatto a lui, per quello che aveva fatto alla sua famiglia, per quello che inaspettatamente aveva fatto a suo fratello. Lo odiò con tutto il cuore e giurò che qualunque cosa sarebbe successa di lì in avanti quel rancore non lo avrebbe mai abbandonato, neppure nella tomba.
E poi, inavvertitamente, una freccia colpì anche lui, facendolo accasciare al suolo per il dolore lancinante.
La vista gli si offuscò e il dolore prese il possesso tanto che fece fatica ad udire l’ordine urlato dal re di ucciderlo.
Vide una figura sfocata raggiungerlo e afferrare la sua spada, la spada che lo stesso Re gli aveva donato con un sorriso tra le labbra – cosa abbastanza rara per lui – incitandolo a fare del suo meglio in battaglia e onorandolo.
La guardia prese la spada e senza esitare la trafisse proprio all’altezza del cuore mettendo un fermo alla vita di Hoseok.
Il Re osservò la scena tentando di convincersi che quello che aveva fatto era giusto e che i traditori meritavano solo quella fine. Si sistemò la corona sui capelli scuri e diede un ultimo sguardo al fratello di Hoseok, soffermandosi sul corpo supino e sporco di sangue che sembrava richiamare il colore dell’anello che portava al dito. Si voltò di scatto e si diresse nelle sue stanze lasciando che le guardie se la sbrigassero con i corpi dei traditori.
 
 Il corpo di Jung Hoseok non ricevette neppure una degna sepoltura.
Venne malamente adagiato tra la steppaglia di campagna e abbandonato agli insetti.
D’altronde era un traditore e chi osava andare contro il Re meritava quel tipo di fine e certo non aveva diritto ad una lapide che permettesse alle persone di ricordarlo anche nel tempo.
Tuttavia le persone a lui care andavano a trovare quel corpo oramai circondato dall’erba fin troppo cresciuta e pregavano qualsiasi divinità di trattare bene il loro generale che era sempre stato tanto buono e gentile e diveniva una bestia solo con i nemici.
E Dio allora accolse le loro preghiere.
Laddove giaceva il corpo di Hoseok vi era tranquillità quella sera e non c’era anima viva tranne che per una piccola farfalla che svolazzava tra l’erba alta.
La spada, ancora conficcata nel corpo del generale, prese a brillare improvvisamente e in quel momento Dio operò riportando in vita l’anima ed il corpo di Hoseok.
Tuttavia Hoseok era anche un peccatore perché con quella stessa spada aveva ucciso centinaia e centinai di uomini. Per questo Dio gli donò l’immortalità, un dono ma al tempo stesso una punizione divina. Hoseok quella notte divenne un Goblin, un essere dotato di poteri magici simili a quelli divini e capace di aiutare le persone tanto quanto punirle. E come tale avrebbe osservato le persone a lui care reincarnarsi in nuove vite per poi morire nuovamente all’infinito, come punizione per le vite che aveva stroncato con la sua spada.
Solo un modo vi era per permettere al Goblin di divenire cenere e finalmente terminare la sua lunga vita: la nascita del suo sposo che avrebbe poi dovuto estrarre la spada e mettere fine a tutte le sue sofferenze.
Hoseok ascoltò attentamente ciò che Dio gli disse e con passo spedito si diresse verso il palazzo reale. Sapeva esattamente cosa avrebbe fatto come prima azione da Goblin e già pregustava il dolce sapore della vendetta. Entrò immediatamente nelle stanze che ospitavano i servi del palazzo e non ci mise molto a raggiungere quella di Gi Woojin, colui che Hoseok reputava il vero colpevole.
Il Goblin era sicuro con non mai che a plagiare il suo re fosse stato quell’uomo ed era deciso a mettere un fermo alla sua vita.
Entrò nella stanza e il rumore della porta richiamò l’attenzione dell’enunco che nel momento in cui si soffermò sul volto pieno di tagli di Hoseok, spalancò gli occhi per la sorpresa. Decisamente non poteva aspettarsi che colui che aveva visto – trionfalmente – morire davanti ai suoi occhi fosse in realtà vivo e in quel momento si trovasse proprio di fronte a lui, deciso più che mai a fargliela pagare.
Gi Woojin tentò la fuga ma si ritrovò immediatamente il Goblin a sbarrargli la strada.
“Tu, bastard-” l’uomo non fece neppure in tempo a finire di parlare che venne afferrato dalla gola e sbattuto al muro. Tentò di divincolarsi dalla presa ferrea di Hoseok ma questi era troppo forte e prese a stringere sempre di più, fino a quando l’enunco non esalò l’ultimo respiro e si accasciò a terra, ormai morto.
Hoseok si sentì per un attimo meglio all’idea che quel viscido uomo fosse finalmente morto e abbandonò in fretta il palazzo, pronto a vivere la sua immortale vita.
 
 
2007
 
Il piccolo Taehyung correva sul marciapiede mentre Sungmin lo richiamava e gli intimava di non allontanarsi troppo.
Il bambino rideva allegramente e tranquillizzava la madre esclamando di essere abbastanza grande ora che aveva ben nove anni. Sungmin a quell’affermazione ridacchiò e con una piccola corsetta raggiunse il figlio, gli prese la mano e cominciò a camminare al suo fianco.
“Mamma dimmi la verità, ci siamo persi, vero?”
La donna di ormai trentuno anni si grattò imbarazzata la testa e poi si inginocchio per raggiungere l’altezza del bambino.
“Può essere, ma non è grave. Ci basterà chiedere a qualcuno dove si trova la fermata dell’autobus più vicina. Inoltre potremmo dire di essere sopravvissuti ad una mirabolante avventura!” esclamò con quanto più ottimismo riuscisse a trasmettere, considerando che le strade erano assurdamente deserte.
Continuarono a camminare per almeno un’altra decina di minuti prima che Taehyung richiamasse l’attenzione della donna.
“Mamma, mamma! Chiediamo a quel signore lì, vieni!” disse il figlio, trascinando sua madre verso l’uomo che si trovava poco distante da loro.
“Mi scusi, signore, potrei sapere dove si trova la fermata dell’autobus?” chiese il bambino, donando all’uomo un grande sorriso che solo a guardarlo metteva allegria.
La donna osservava cupamente il figlio parlare al vuoto e tentò di trattenere le lacrime. Doveva essere forte per il suo bambino e sostenerlo nonostante tutto.
D’altronde non era colpa sua se aveva questa capacità di vedere i fantasmi e certo non lo avrebbe amato di meno per quel motivo. Anzi, lo avrebbe sostenuto ancora di più. Era solo preoccupata, si trattava solo di un bambino e lei non voleva in alcun modo che crescesse con un qualsiasi tipo di trauma.
 
Qualche sera dopo quell’incidente, Taehyung arrivò a casa di tutta fretta.
Sua madre aveva promesso che avrebbe preparato gli hamburger ed erano una pietanza che Taehyung amava con tutto il cuore, quindi si tolse in fretta le scarpe ed il cappotto per poi entrare nella piccola cucina dove trovò un piatto con il delizioso panino e sua madre ad attenderlo.
“Ah, ho una gran fame!” esclamò Taehyung che tutto contento si accomodò a tavola. Solo in quel momento si soffermò ad osservare con maggiore attenzione la madre.
Taehyung si sentì letteralmente morire.
“M-mamma?” chiamò titubante il piccolo.
“Sì tesoro?” Sungmin tentò di sorridergli anche se tutto quello che voleva fare era piangere.
“Sei m-morta?” chiese Taehyung, sperando di essersi sbagliato. Ma vedeva fantasmi da ormai nove anni e sapeva riconoscerli se prestava la giusta attenzione.
La donna infatti annuì mentre calde lacrime presero a scendere, bagnando le sue guance.
“Mi dispiace.” Si scusò. Perché avrebbe voluto rimanere ancora a lungo accanto al figlio. Avrebbe voluto vederlo crescere, vederlo sorridere in modo spensierato. Avrebbe voluto portarlo al mare e allo zoo. Avrebbe voluto ascoltare le sue paure e aiutarlo nelle questioni d’amore.
E invece in fato aveva deciso per lei che era rimasta in vita per troppo tempo.
Sungmin tuttavia si sentì grata. Era grata a Dio perché sarebbe dovuta morire nove anni fa e invece aveva avuto del tempo in più – qualcosa che era sicura solo a pochi veniva concesso – per vivere la sua vita e amare suo figlio.
“Tesoro, devi essere forte, va bene? La mamma ti ama e vuole che tu continui a vivere con la solita spensieratezza.”
Il bambino annuì mentre singhiozzava in preda ad un pianto disperato.
“Chiedi a SeokJin, il ragazzo del chiosco, di aiutarti e portarti all’ospedale okay? Probabilmente verrai affidato agli zii, quindi non rimarrai da solo. E ti prego, Taehyung, stai attento ai fantasmi.”
Taehyung annuì nuovamente, non riuscendo a smettere di piangere ma tentando di ricordarsi tutto quello che sua madre gli aveva detto nonostante la confusione che provava in quel momento.
“Ti amo.” Disse Sungmin e con un ultimo sorriso rivolto al figlio scomparve, lasciando Taehyung completamente solo.
Il bambino si asciugò le lacrime dal volto e facendosi forza uscì di casa con l’intenzione di raggiungere il chioschetto. Ma prima che potesse incamminarsi si ritrovò davanti un uomo vestito completamente di nero.
Era piuttosto basso per essere un adulto e aveva i capelli corvini. A fare contrasto con il nero dei suoi abiti e del suo cappello era la sua pelle, pallida come non mai e bianca come lo zucchero tanto che quasi luccicava.
Taehyung fece finta di non vederlo e prese a guardarsi attorno, fingendo di cercare qualcosa.
“Smettila, so che puoi vedermi.” Disse l’uomo.
“No, non è vero.” Replicò per poi tapparsi la bocca, rendendosi conto dell’errore appena compiuto.
“Sono venuto per prendere tua madre, non si trovava all’ospedale, ma ora mi trovo davanti te. Saresti dovuto morire nove anni fa, non dovresti trovarti qui.” Gli disse il minaccioso uomo.
Taehyung prese ad indietreggiare impaurito, non voleva essere portato via da quell’uomo e non volendo di certo morire.
“I-io-” cominciò a balbettare per la paura.
“Smettila di importunare questo bambino.” Disse poi un’altra voce.
Taehyung alzò lo sguardo per vedere Seokjin raggiungerlo e pararsi di fronte a lui, come a volerlo difendere dall’uomo in nero.
“Non ti lascerò prendere questo bambino.” Continuò, mentre l’uomo in nero roteava gli occhi esasperato.
“Ti stai immischiando in cose che non ti riguardano.” Replicò stancamente.
“Mi riguardano eccome, Cupo Mietitore dei miei stivali! E adesso vattene, non c’è nulla per te!” gli intimò il giovane uomo.
Il Cupo Mietitore sospirò, spazientito, e poi si rivolse al bambino. “Ci rivedremo, ne sono certo.” E poi scomparve, lasciandosi dietro del fumo nero.
Seokjin si inginocchiò di fronte al bambino e gli accarezzò teneramente i morbidi capelli, mentre Taehyung ricominciava silenziosamente a piangere.
“Non ti preoccupare, quell’uomo non ti darà più alcun fastidio, te lo prometto.”  Tentò di consolarlo. Infilò poi una mano nella tasca dell’elegante cappotto e tirò fuori un lecca lecca che diede al bambino.
“Tieni, mangialo mentre andiamo in ospedale, okay?”
Il bambino si asciugò le lacrime e prese il dolce, cominciando a mangiarlo mentre mano nella mano con Seokjin si dirigeva verso l’ospedale, laddove si trovava il corpo di sua madre.
Nel mentre, gli spiriti che si trovavano nei dintorni presero a sussurrare eccitati, passandosi l’informazione e discutendone con entusiasmo.
Quel piccolo e indifeso bambino era proprio lui: lo sposo del Goblin. 

 
  
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