A salutare l’alba
“Mi
ero fermato per caso a salutare il sorgere dell'aurora
quando improvvisamente alla mia sinistra comparve Roscio
Perdonatemi, o Celesti, se oso affermare che
un mortale mi parve più bello di un dio.”
Base
Americana, 1944
Steve
strofinò gli occhi con una mano, sbadigliando leggermente mentre le palpebre
cominciavano ad appesantirsi e il corpo lamentava della mancanza di meritato
riposo. La guerra camminava tra di loro portando via centinaia di giovani
ragazzi al giorno, spregiudicata e immorale, incurante delle madri speranzose
di un loro ritorno ma che a loro tornava soltanto una misera lettera a macchina
con in fondo la firma del Presidente.
La
notte invece di portare consiglio aveva incrementato ulteriormente le preoccupazioni
di Steve ora designato Capitano dell’esercito e di conseguenza responsabile di
eventuali problemi. Diversi ragazzi erano morti e i loro occhi colmi di
terrore, di lacrime e di una speranza oramai inesistente erano rimasti lì,
bloccati nell’ultimo respiro prima che la vita scivolasse via dalle loro
membra. Avrebbe potuto fare di meglio, avrebbe potuto salvarli permettere che
rivedessero le loro famiglie ma era andata in modo diverso e ora al posto di un
sorriso in una faccia sporca di fuliggine vi era un cumulo di terra e due
bastoni legati con del filo spinato a simboleggiare la croce.
“Brutta
nottata?” Bucky si sedette accanto a lui con in mano una sigaretta e nell’altra
una fiaschetta all’interno della quale, Steve dedusse dal suo alito, fosse
bourbon.
“Dum
Dum ti ha fatto provare il suo bourbon?” Chiese con un tono di finta felicità.
“Non
è male devo ammetterlo ma preferisco la birra” Steve sbuffò alla risposta
continuando a guardare verso l’orizzonte illuminato da qualche lanterna che si
muoveva verso il perimetro per accertarsi che il filo spinato non fosse stato
tagliato dal nemico.
“Steve
sono ormai le due di mattina che ne diresti di far riposare quella tua
testolina?” Propose Bucky subito dopo. Aveva ragione in fondo ma la verità era
che se avesse chiuso gli occhi gli eventi della notte in cui aveva ritrovato
Bucky sarebbero tornati accompagnati dalle voci innocenti dei ragazzini.
“Proposta
allettante ma sono di guardia e poi non sono così stanco”
“Cazzate,
gli occhi sembrano che stiano per chiudersi da un momento all’altro”
“Buck…”
“Steve
non sei bravo a mentire” Rispose dandogli una leggera gomitata al braccio.
“Ah
si? E questo chi te lo dice?”
“I
tuoi occhi Steve, sei un cazzo di libro aperto. Gli altri non riescono a
leggerli ma con me è tutto diverso” Steve alzò gli occhi al cielo facendo finta
di essere scocciato.
“Diamine
Barnes perché non sei diventato uno psicologo a Brooklyn o uno di quelli che
leggono le carte? Un talento sprecato davvero!” Rispose Steve con tono
fintamente derisorio.
“Adesso
che fai il bulletto? Steve Rogers combatte i bulli per poi diventarne uno. Wow,
ce lo vedo come titolo di giornale”
“Jerk!”
“Punk!”
Subito
dopo lo scambio di battute calò un attimo di silenzio riempito soltanto dal
frinire dei grilli.
“Sarah
ti avrebbe adorato in questo momento” Disse Bucky.
“Non
so, mi avrebbe preferito sotto la sua ala materna pronta a proteggermi e a
prendersi cura di me”
“Per
quello ci sono io Steve” Il biondo si voltò nella sua direzione, nonostante
l’oscurità non permettesse una perfetta visione gli occhi di Bucky riuscirono a
incastrarsi con quelli di Steve.
“Lo
so Buck” Steve allungò una mano verso quella di Bucky cercando di trasmettere
ciò che a parole avrebbe voluto urlare in piena notte. Sentì pochi secondi dopo
la mano di Bucky ricercare la sua e incastrarono le dita in una salda presa. I
calli della mani delle mani sfregavano tra di loro insieme alle bende ormai
logore.
“Ehi
Steve, che c’è?” Steve si rese solo pochi secondi dopo che gli occhi bruciavano
per lo sforzo di non piangere.
“Niente…
niente” Portò l’altra mano al volto nascondendosi da Bucky e rimproverandosi
del suo essere così debole. Abbassò il capo appoggiandolo al ginocchio ma la
mano di Bucky raggiunse subito il suo volto sfregando dolcemente la guancia cercando
di rassicurare il compagno.
“Steve
sono qui, sono vivo, è tutto okay” Steve scosse la testa ripetutamente, nulla
era okay in quel momento a partire da lui e dal suo piccolo penoso spettacolo.
Un singhiozzo fece tremare tutto il suo corpo lasciando scorrere le lacrime
lungo le guance.
“Steve.
Steve.” Bucky lo forzò ad alzare il capo e quando i suoi incontrarono di nuovo
quelli di Bucky le lacrime non fecero altro che aumentare copiosamente.
“Mi
dispiace Buck, mi dispiace” Si gettò tra le sue braccia stringendolo a sé, inspirando
profondamente l’odore della sua pelle. Passarono diversi secondi uno
nell’abbraccio dell’altro lasciandosi cullare e godere del contatto fisico.
“Steve
non è colpa tua” Aggiunse poi Bucky facendo scivolare una mano dietro la sua
schiena cominciando ad accarezzarlo dolcemente.
“Se
fossi venuto prima… se il siero”
“Ehi.
Basta non aggiungere altro, ti ho già detto che non è colpa tua” Steve tacque e
allentò la presa su Bucky ma il fiume dei pensieri non si fermò a quell’ordine.
Era tutta colpa, le torture di Bucky e le morti di quei ragazzini dagli occhi
corrotti dal mostro.
“Lo
sai Buck, mamma mi diceva sempre che mi dovevo prendere le mie responsabilità e
guardami, sono qui con una fottuta calzamaglia e non riesco nemmeno a salvarti”
“Mi
hai salvato Steve! Sei il mio angelo custode e non saprò mai come ringraziarti
per questo. Senza di te sarei stato ancora il loro topo di laboratorio” Rispose
a voce alta il moro.
Steve
fece un piccolo sorriso, di quelli tristi che lasciavano in sospeso i sensi di
colpa per poi riproporli sulla brandina con gli occhi fissi al soffitto, asciugandosi
le ultime lacrime rimaste.
“Grazie
Buck” Disse poi Steve guardandolo amorevolmente.
“A
che servono gli amici se no?” Steve lo guardò confuso per un attimo mentre lo
fissava con un piccolo sorriso pestifero.
“Cosa?
Amico? Da quando in qua io sarei declassato ad amico?” Chiese fingendosi
offeso.
“Beh
gli interessi sono cambiati. Ora si mira più in alto Rogers”
“Ah
si? Pensavo che ti piacesse questo cambiamento” Steve portò la mano di Bucky ai
suoi addominali sorridendo glorioso.
“Il
generale Ross però ce l’ha più lungo”
“Cosa?
Figlio di…” Steve si gettò sopra di lui immobilizzandolo a terra tenendolo per
entrambi i polsi. Bucky cercò di divincolarsi dalla stretta di Steve ma oramai
i ruoli si erano ribaltati e quello che un tempo era gracile e debole era
diventato il più forte. James osservò il volto di Steve soddisfatto di aver
vinto per una volta contro l’amico. Steve aveva sempre avuto uno dei volti più
belli che Bucky avesse mai visto: gli zigomi e la mandibola pronunciati, labbra
piene e morbide al tocco e occhi chiari che lasciavano trasparire un’innocenza
che non lo avrebbe mai abbandonato. Bucky sorrise dolcemente continuando ad
osservarlo finché Steve non increspò le sopracciglia confuso dall’amico.
“E
ora che ti prende Barnes? Hai la febbre?” Chiese Steve allentando la presa sui
polsi del ragazzo.
“Forse.
Sai, collaborare con Capitan America non è così semplice” Rispose con tono
provocatorio.
“Perché
mai? Credo che tu sia il suo preferito” Affermò Steve con sguardo adorante
mentre portava una mano alla guancia del ragazzo.
“Lo
credevo ma ultimamente sta con la Carter e mi fa impazzire quando si scambiano
quei sorrisini complici” A Steve morirono le parole in bocca sentendo quella
dichiarazione: Bucky era veramente geloso?
“Oddio
Buck tu sei geloso di Peggy?” Chiese Steve alzando la voce di qualche tonalità.
Bucky portò una mano alla bocca del biondo avvisandolo di non urlare.
“Beh
che c’è? Non ti fa piacere che io sia geloso?” Chiese Bucky leggermente
infastidito. Steve sembrava che fosse sul punto di ridergli in faccia e quando
il moro allontanò la mano dalla sua bocca fu la prima cosa che fece. Si distese
al suo fianco continuando a ridere ma sommessamente. Bucky alzò gli occhi al
cielo facendo finta di non sentirlo ma Steve sembrava continuare
imperterritamente.
“Rogers
dacci un taglio!” Steve smise subito quando comprese che il tono di Bucky era
piuttosto infastidito. Voltò il capo verso il suo ma Bucky preferì guardare il
cielo stellato.
“Buck
avanti! Stavo solo scherzando è che non posso credere che tu sia geloso di
Peggy quando ho solo occhi per te” Affermò Steve con voce sincera. Il Capitano
allungò una mano verso il braccio di Bucky accarezzandolo teneramente. Come
poteva Bucky pensare che gli piacesse Peggy? Fin dai primi anni
dell’adolescenza aveva capito di essere innamorato di James. Steve amava Bucky.
“Ehi
Buchanan” Sapeva di farlo arrabbiare con quel nome eppure Steve adorava quel
piccolo broncio sulle labbra quando lo chiamava in quel modo. Fu quello che
successe, Bucky alzò gli occhi al cielo increspando le labbra in una smorfia
scocciata rifiutandosi però di guardarlo.
“Buck
guardami” Ordinò perentoriamente. Notò un piccolo sorriso da parte di Bucky
perché sapeva di non star eseguendo gli ordini di Capitan America.
“Ah
si? Non ascolti il tuo capo Barnes?”
“Pensi
che la scamperai come la scorsa volta?” Bucky fece un sbuffo simile a un riso.
“Però
il pompino da dieci e lode non ti è dispiaciuto Rogers” Rispose.
“Osi
parlare sopra il tuo superiore? Barnes sei proprio un ribelle” Bucky si voltò a
guardarlo sorridendo poi tornò ad osservare il cielo.
“Un
cielo così a Brooklyn lo sognavamo” Affermò in seguito. La volta celeste sopra
le loro teste illuminava gli occhi dei due e osservava i due soldati
impassibile, aveva visto la nascita, la crescita e la morte di ogni singolo
essere umano sul pianeta Terra eppure la vita non era apparsa così rosea. Nuovi
armamenti, decimazioni di intere popolazioni, razzismo, dittature, l’uomo non
aveva mai smesso di svelare la propria natura oscura.
“Eh
già ma a Brooklyn non c’era bisogno di un cielo così per farci sognare” Rispose
Steve. Riportò il capo tra le ginocchia notando lo spiazzo di erba oramai
inesistente in seguito all’incessante marciare dei soldati.
“Il
tetto di casa tua aveva una bella vista però, milioni di luci di locali e
abitazioni, un piccolo cielo sotto i nostri piedi” Aggiunse Bucky facendo un
piccolo sorriso. Il silenzio cadde lasciando spazio ai rami degli alberi che si
agitavano come se fossero in allerta di un’imminente attacco. Steve voleva
tornare a casa, voleva la pace, la gioia, i bambini rumorosi, le voci di strada
ma quello era un sogno e si sa che i sogni sono soltanto desideri.
“Pensi
che la guerra finirà Buck?" La domanda uscì come un sorta di muta
richiesta di aiuto, come un bambino che si assicura che non ci sia nessun
mostro sotto il suo letto. Vide Bucky sospirare e col respiro dalla sua bocca
scivolò via anche il sorriso.
“Vorrei
saper dare un risposta Steve, ma non lo so. Gli Stati Uniti continuano a
combattere imperterriti, ci lamentiamo di ciò ma alla fine siamo noi gli USA,
siamo noi che conquistiamo nuovo terreno, siamo noi che ogni giorno uccidiamo
un tedesco, la verità è che non sappiamo fermarci”
“Ci
deve essere un modo” Affermò Steve deciso.
“No
Steve, non c’è mai stato. I trattati di pace sono roba del 1400 qui per porre
fine a guerra c’è bisogno di uno sconfitto. C’è bisogno di un vincitore e di un
vinto. Un trattato di pace si tradurrebbe soltanto in una stupida resa da parte
di entrambi e gli Stati Uniti non possono permetterlo, non possono chinare il
capo davanti alla guerra”
“Ma
stiamo parlando di vite umane!” Sputò acido Steve. Necessitava di giustizia, di
essere fautore di una lotta in favore dei più deboli contro i “bulli” del mondo
là fuori che non pensavano due volte a premere il grilletto.
“Steve,
io e te siamo soltanto numeri di un registro, quando mai hai sentito parlare il
presidente di Jack, di Kurt o di Tom! Quando mai?! Pensano soltanto al proprio
guadagno personale perché di noi può interessare esclusivamente la nostra
capacità di combattere, la nostra voglia di rischiare la vita. Siamo pedine!
Insulse pedine in un cazzo di scacchiere!” Bucky si alzò di colpò e urlò nel
vuoto portando le mani ai capelli e tirando violentemente le ciocche. Steve si
alzò a ruota cercando di fermare la furia cieca dell’amico.
“Fanculo!
Fanculo!” Bucky urlò finché le corde vocali non cominciarono a dolergli e il
viso iniziò a divenire paonazzo per lo sforzo. Bucky continuò a battere i piedi
sul terreno mentre la vista cominciava ad offuscarsi a causa delle lacrime,
diede le spalle a Steve perché non avrebbe avuto il coraggio di guardarlo in
faccia.
“No
Steve! Non è fottutamente giusto! Perché sei qui? Perché non sei a Brooklyn?
Non dovevi venire! Non dovevi…” Steve si alzò e si mise davanti al ragazzo il
quale aveva il capo rivolto verso il basso.
“Perché
sono qui?” Chiese Steve imitando il tono del moro. “Diamine Buck è l’unica cosa
che ho voluto per tutta la mia vita!”
“Non
devi dimostrare nulla a nessuno Steve” Rispose Bucky a bassa voce. “Non devi
perché tu dimostri la tua forza ogni giorno della tua vita, combattevi contro i
bulli contro…” Steve lo interruppe incapace di ascoltare per qualche secondo di
più Bucky.
“E
a chi importava Buck? Al presidente? Agli Stati Uniti importava qualcosa della
mia lotta contro i bulli di quartiere? No, cazzo! Ero soltanto lo zimbello di
Brooklyn, un diciottenne incastrato nel corpo di un bambino di cinque anni! Non
importava nessuno Buck di quel che facevo!” Sputò Steve inferocito.
“Importava
a me cazzo!” Urlò Bucky di rimando facendo morire le parole sulle labbra di
Steve. “Pensi che non mi interessi nulla di te? Pensi di aver bisogno di un
corpo di un titano per essere considerato nella società? No Steve! A me non
importava il tuo corpo ma quello che eri dentro, io ti amo Steve!” Bucky si
voltò volgendogli per la seconda volta le spalle, portò le mani al volto
strofinando le mani sugli occhi rossi e brucianti. Steve osservò per un paio di
secondi la sagoma del moro e si sentì in colpa per quello scontro. ‘Maledetto orgoglio’ si rimproverò. Fece un passo verso il ragazzo
cercando di non allontanarlo ulteriormente. La guerra stava vincendo le loro
teste, stava riuscendo a penetrare nelle loro menti e a farli impazzire
riducendoli a corpi tremanti e distrutti. Quando Steve fu a pochi centimetri
inspirò profondamente per poi allungare le mani verso il corpo del ragazzo. Non
avrebbe accettato una loro separazione per questo, dovevano mettere da parte il
proprio orgoglio e cominciare ad accettare i propri difetti.
“Buck”
Steve avvolse le braccia attorno al suo corpo cercando di tenerlo vicino a sé
ma James iniziò a dimenarsi violentemente mentre le lacrime scendevano
velocemente lungo le guance. Steve appoggiò la fronte sulla spalla trattenendo
a sua volta amare lacrime. Poco dopo Bucky si fermò, esausto. I singhiozzi
scuotevano il suo corpo incessantemente e si chiese se fosse potuto morire in
quell’istante. Steve poggiò, poi, le labbra sul collo mentre con la mano
accarezzava l’avambraccio sinistro del moro. Non era giusto, pensò nella sua
testa, Steve doveva essere a Brooklyn a scrivergli lettere con i bordi
disegnati. Non era giusto che la guerra gli prendesse ciò di cui più aveva caro,
sperava in futuro migliore per il biondo perché non riusciva a disegnarlo con
un fucile in mano e il volto corrotto.
“Shh
Buck è tutto okay” Gli sussurrò Steve all’orecchio, cullandolo tra le braccia
forti e possenti in antitesi al piccolo ragazzo di Brooklyn. Chiuse gli occhi
un istante per assaporarsi il calore del corpo del biondo ma i ricordi del
laboratorio avvamparono come un incendio nella sua mente. Era stato circondato
da diverse persone, lo osservavano, lo analizzavano, lo toccavano. Si era
sentito come un topo da laboratorio e forse era proprio quello l’intento perché
il dottore occhialuto il cui nome gli era sfuggito aveva iniettato una sostanza
vischiosa nel suo corpo. “Un semplice vaccino” diceva mentre sorrideva
malignamente. La verità era diversa però, si ricordava di aver avuto
allucinazioni tra cui Steve seduto accanto al dottore mentre gli passava gli
strumenti per la sua macabra sperimentazione. Si era chiesto perché proprio lui
tra le centinaia di prigionieri di guerra, perché Tom non lo avevano nemmeno
guardato in faccia quando erano passati davanti alle sbarre della loro cella?
Perché il dottore aveva puntato un dito minaccioso su di lui e non su Dum Dum
che gli era accanto?
Un
singhiozzo uscì dalle sue labbra e capì che il peso di quei ricordi era ormai
diventato insostenibile, si lasciò sostenere da Steve il quale prontamente lo
sorresse.
“Buck…”
Steve lo voltò nella sua direzione cercando un contatto con i suoi occhi ma
Bucky non era più il James Buchanan Barnes che aveva conosciuto nei quartieri
di Brooklyn. Era un uomo cambiato, traviato dal tempo e da un dolore
invisibile. Ad Azzano non avevano parlato di ciò che era accaduto nel
laboratorio, Steve sosteneva che non vi fosse stata occasione, in realtà era
Bucky che si rifiutava di parlarne.
“Steve
fa male” Singhiozzò sommessamente, il petto che si alzava e abbassava a scatti
e il corpo che esprimeva il dolore in brividi. Steve prese il suo volto tra le
mani e incastrò gli occhi con quelli del compagno.
“È
tutto finito Buck, è tutto finito” Lo abbracciò ripetendo le parole più volte e
strofinando la mano lungo la schiena del ragazzo. Bucky lasciò che lacrime
scendessero e i tremiti fossero i padroni del suo corpo.
“Torniamo
alle nostre tende siamo entrambi stanchi” Steve intrecciò la sua mano con
quella di Bucky ma il moro lo strinse prontamente a sé.
“Avete
preso il dottore di Azzano?” Chiese poi senza un apparente interesse.
“Si
lo abbiamo preso Buck e ora passerà la sua intera vita a marcire in una cella”
Rispose Steve terminando la frase con una punta di soddisfazione ma che si
tramutò in preoccupazione quando il volto di Buck rabbuiarsi.
“Ha
raccontato di ciò che mi ha fatto?”
“No
Buck, non ha ancora parlato ma quando lo farà…”
“Se
lo farà” Lo corresse James per poi curvare le labbra in un sorriso amaro.
“Buck
la verità verrà fuori ne sono certo. Ross ha metodi
infallibili nel far confessare le persone” Affermò con tono rassicurante Steve
stringendo leggermente la mano del moro.
“Perché
non fanno confessare me Steve? Li ho sentiti parlare e so quello che mi hanno
fatto, sarebbe più facile non trovi?”
“Il
generale Ross ha preferito lasciarti un po’ di spazio
dopo quello che…” Mandò giù a vuoto “Beh dopo quello che ti è successo”
“Vorresti
saperlo vero? Desideri un buon motivo per ucciderlo con le tue stesse mani”
Steve non rispose ma lasciando Bucky dedurre dal suo sguardo.
“Beh
mi hanno fottuto il cervello Stevie e sai quale è la cosa più incredibile che
mi ricordo a malapena cosa ci siamo detti dieci minuti fa. Nella mia testa non
sono più sicuro se i ricordi che ho sono reali o soltanto prodotto della mia
mente malata”
“Ehi”
Lo interruppe Steve severamente “Non hai una mente malata” Bucky fece un finta
risata.
“E
tu che ne sai Rogers? Hai per caso visto cosa mi hanno fatto? Quello che ho
provato sulla mia pelle…” Bucky smise di parlare per cercare le parole giuste
ma quello che usciva dalla sua bocca sembrava un fiume in piena. “Fino a quel
momento non sapevo cosa fosse il vero dolore poi il dottore è venuto, ha
parlato…” Si soffermò una seconda volta per poi ricominciare a parlare
scimmiottando il dottore. “Sergente Barnes la procedura è appena cominciata, lei
diventerà il nuovo braccio dell’Hydra, incredibile non trova?”
Steve
abbassò il capo, non riuscendo a sostenere lo sguardo colmo di dolore di Buck,
i suoi sembravano pellicole cinematografiche dove avrebbe potuto rivedere le
azioni macabre degli scienziati.
“Il
liquido era vischioso, bruciava come ferro incandescente, ho urlato come un
dannato e loro mi hanno tirato un cazzotto, mi hanno di chiudere quella bocca da succhiacazzi perché se no mi
avrebbe strappato la lingua” Continuò Bucky con gli occhi lucidi. Steve lo
strinse a sé ulteriormente cercando di creare conforto.
“Ho
avuto paura Stevie, paura di dimenticare te, i tuoi sorrisi, le tue labbra, i tuoi
occhi, le tue mani, i tuoi disegni. Mi sono immaginato il tuo volto milioni di
volte, il tuo nome sulle mie labbra ripetuto nel silenzio. Ho avuto paura di
non rivederti più”
“Oh
Buck… Buck, Buck, Buck” Lo strinse a sé inspirando il suo odore di polvere da
sparo e di stantio e il profumo della sua pelle abbronzata. “Non avrei mai
potuto lasciarti, ho lottato duramente per ritrovarti, Ross
voleva abbandonarvi al vostro destino. Ma quando ho sentito 108° reggimento non
ci ho visto più… sapessi che casino” Bucky tirò su col naso.
“Ti-ti
amo Steve, ti amo” Disse sulla sua pelle.
“Anche
io Buck” Rispose.
“Dillo
S-Steve”
“Ti
amo Buck. Ti amo fino alla fine della linea, fino alla fine di tutto, fino alla
fine di questa merdosa guerra e quando torneremo a Brooklyn ci compreremo un
nuovo appartamento dove potremmo goderci la vita e noi due”
Bucky
sciolse l’abbraccio, lo guardò negli occhi, poi sulle labbra e si ricordò che
era da quasi una settimana che non parlavano e non si toccavano. James era
affamato dal tocco di Steve, assetato dalle sue labbra rosee.
“Baciami”
Disse con determinazione e con desiderio. Lo lesse anche negli occhi di Steve
il quale non esitò un solo secondo a poggiare le sue labbra su quelle di Bucky.
Si baciarono lentamente assaporando l’uno il sapore dell’altro, Steve portò le
mani alla mandibola del moro stringendolo dolcemente. Bucky produsse dei lievi
gemiti quando Steve introdusse la lingua nella sua bocca cercando la sua come a
sigillare la sua promessa di amore.
“Mmhh…
Steve” Avvolse con le mani il sottile bacino del biondo piantando i
polpastrelli nel giaccone verde. Si baciarono più volte incapaci di smettere.
“Steve
Steve” Bucky lo ripeté più volte nel timore che tutto
ciò scomparisse da un momento all’altro. L’amore proibito per Steve non
accennava a scomparire ma ad aumentare ogni giorno che trascorrevano insieme.
Nella mente rimembrò il primo giorno in cui aveva incontrato il biondo, aveva
soltanto dieci anni ma in quell’esatto istante capì che non avrebbe mollato il
ragazzino per nessun motivo. Steve Grant Rogers nella sua umile camicetta color
lino e al petto un piccolo quaderno da cui spuntavano disegni di notevole
tecnica. Durante i primi giorni di scuola Bucky aveva tentato di approcciarsi
al ragazzo senza risultare impacciato o invadente. La prima settimana era così
trascorsa con la pianificazione di inutili tentativi. Con lo stupore di Bucky,
Steve Rogers lo conobbe dopo averlo salvato in una rissa con ragazzi il doppio
di lui.
Un
rumore di cespugli li fece staccare simultaneamente. Entrambi avevano i capelli
spettinati e le labbra lucide e rosse. Si guardarono negli occhi, cercando il
desiderio che si spegneva lentamente. Poco dopo Gabe
spuntò dalla fitta vegetazione con in mano una lanterna e un sigaro che
penzolava dalla bocca.
“Ecco
vi qua” Sorrise calorosamente. “Che cavolo stavate facendo? Gli innamorati
sulla collinetta?” Steve si irrigidì subito alla domanda e non riuscì a trovare
una risposta adatta. Aprì la bocca per non destare sospetti ma Bucky lo
precedette.
“Si
Jones e sai una cosa Rogers ci sa proprio fare, Carter è proprio fortunata”
Rispose in tono ironico. Gabe rispose a sua volta con
una battuta che Steve non sentì, ancora in trans dopo la situazione in sua
opinione rischiosa.
“Chiamerò
Dum Dum per fare il cambio di guardia, voi due potete andare avete fatto
abbastanza per oggi” Jones fece un cenno ad entrambi per poi dirigersi verso la
postazione appena lasciata da Bucky e Steve.
Appena
il silenzio tornò Bucky e Steve si diressero fianco a fianco verso le proprie
tende. La notte era stata un turbinio di emozioni inaspettate ma fortemente
utili per entrambi. Camminarono per qualche metro vicini poi Bucky si fermò
davanti all’entrata della tenda. Steve si voltò pochi secondi dopo rendendosi
conto che Buck non lo stava più seguendo. Bucky lo guardò con occhi smarriti
ancora provato dal suo sfogo.
“Questa
è la mia tenda” Affermò piegando la testa verso il terreno battuto dai piedi
dei soldati. Steve si avvicinò con passi incerti indeciso sul da farsi.
Tacquero per qualche attimo trasportati dall’atmosfera taciturna dell’ambiente.
“Se
vuoi…” Disse Steve “Soltanto se vuoi, potresti dormire con me, la mia tenda è
abbastanza grande per due brandine” Bucky socchiuse la bocca mentre un piccolo
sorriso andava formandosi sulle labbra. Steve abbassò il capo mentre le guance
di coloravano di rosa.
“Steve
Rogers, mi stai per caso chiedendo di dormire con t.. mmphf!”
La mano callosa del biondo si poggiò sulla bocca di Bucky in un millesimo di
secondo. Steve sfoderò un’occhiata di rimprovero al moro che in risposta
sorrise con gli occhi.
“Barnes
abbassa quella voce! Ti possono sentire!” Affermò con tono severo. Bucky rise
con gli occhi, una punta di provocazione. Il biondo era sempre stato così
impeccabile, pignolo e perfettino. Bucky, invece, era l’esatto contrario, non
si curava di ciò che le persone pensavano intorno a lui a Brooklyn la sua
spavalderia era sinonimo di fascino per le giovani ragazze.
“E
se mi sentissero? Quale sarebbe il problema?” Ovviamente Steve percepì la nota
ironica nella voce del moro ma alzò comunque gli occhi al cielo. “Non sei
proprio cambiato Barnes” Rispose. Bucky si mostrò offeso poi le labbra si si
incresparono in un sorriso.
“Certamente
che voglio dormire nella tua tenda, quando tornerò a Brooklyn lo dirò a tutti e
mi dipingeranno come colui che ha avuto il dono di poter dormire a pochi
centimetri dal corpo imponente di Captain America” Disse Bucky con voce
presidenziale. Steve gli diede una gomitata nel costato per poi trascinarlo
senza tante cerimonie nella sua tende tirandolo per la manica della giacca
verde.
Appena
entrato Bucky cominciò ad osservare l’ambiente attorno a sé, si era immaginato
una tenda sontuosa per non dire regale ma non aveva nulla di diverso dalla loro
se non che lo spazio era interamente dedicato da un’unica persona e non aveva
la puzza di alcol della sua.
“Wow
quindi questa sarebbe la sua umile dimora Capitano?” Steve sospirò ancora una
volta per la stupidaggine del ragazzo ma decise di stare al gioco.
“È
di suo gradimento signore? C’è anche una bellissima vista sulle pendici
americane e una buona bottiglia di rum” Steve indicò una bottiglia appoggiata
sulla scrivania.
“Capitano
Rogers non sapevo di questa sua dipendenza”
“Si
da il caso che io non possa ubriacarmi. Quindi, carissimo Buchanan” Bucky alzò
gli occhi al cielo “Quando torneremo a Brooklyn non potrai farmi diventare il
divertimento delle tue compagnie femminili” Sorrise spavaldamente.
“Beh
quando torneremo a Brooklyn Steve Rogers avrà la coda di ragazze davanti alla
porta di casa”
“Puoi
giurarci ma l’unica ragazza che voglio ce l’ho qui davanti e devi sapere che ha
un culo da urlo e delle labbra peccaminose, i pensieri che si possono fare sono
vari”
“Ad
esempio?” Chiese il moro provocante.
“La
risposta è nel letto Barnes, faccia come se fosse a casa sua”