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Autore: Kira Eyler    05/10/2017    6 recensioni
[Nomi, fatti e descrizioni sono state modificate per questioni di privacy. Si può dire "basato su una storia vera"]
[Leggete le note a inizio storia, per maggiori chiarimenti e precisazioni]
Shori scrive una lettera. E' una lettera che non consegnerà mai a nessuno, che terrà per sé, piena di rabbia, malinconia, nostalgia.
Scrive una lettera a Hanaki, la sua prima amica, che soffre del disturbo Borderline di personalità.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Note:
Questa è, più che altro, una storia nata come sfogo ad un ricordo. 
Ho fatto ricerche su ricerche sul disturbo Borderline, ma non sono una psicologa; alla fine, ho scritto basandomi sia su quelle, sia sui sintomi che quella persona dimostrava. E' comunque un disturbo serio, di trattarlo in modo più approfondito di questo non ne sono in grado.
Già dico che verrà nominata una canzone, "Battle Cry" degli Skillet. Ascoltatela, merita molto!
La storia è abbastanza lunga, sono sicura che ci saranno errori (anche perché scrivo con la febbre... sigh...), ma spero possa piacervi comunque.
-Kira
 

Mind Brand

Shori sedeva a un tavolo di un Maid Cafè. Il chiacchiericcio più vivace proveniva dalla famiglia seduta proprio dietro di lei, l’aria famigliare e calda si mischiava all’odore di caffé e dolci appena sfornati; lei, col cappotto bluastro abbottonato, i pantaloni pesanti e dal colore scuro, i guanti infilati in una tasca in modo disordinato, era quella più fuori luogo.
Se ne stava da sola, con una tazza fumante e ancora piena; fissava con gli occhi verdi, lucidi per la leggera influenza, il quadernetto davanti a lei, aperto a una pagina vuota. Cercava le parole con cui iniziare quella lettera che, tanto, non avrebbe mai letto nessuno.
Che senso aveva, allora, scriverla? Neanche lei lo sapeva, ma aveva quella necessità da giorni. L’aveva sempre respinta per non ricordare, però aveva capito che continuare in quel modo non aiutava: ed eccola lì.
Sospirò, una delle ciocche più lunghe le scivolò davanti la spalla. Ticchettò la penna sul foglio, poi si arrese al solito inizio banale:
 
“Cara Hanaki,
ti scrive quella che, un tempo, consideravi tua sorella. Sai, quelle cose ridicole come ‘amiche per caso, sorelle per scelta’: però con te quella frase non la trovavo ridicola, per niente. Come dire... ci siamo conosciute in un modo un po’ insolito. Lo dicevi sempre, tu.”
* * *
 
La campanella di scuola era appena suonata. La rossa mise le sue cose in fretta e furia nella borsa, uscì dall’aula il più velocemente possibile; aveva undici anni, a quel tempo.
Camminò per il corridoio guardando a terra, senza cercare di incontrare lo sguardo di un amico, o di un compagno. Aveva gli auricolari nelle orecchie, il telefono in tasca, la musica in testa ad un volume non troppo alto, quasi totalmente basso. Anche quel giorno stava uscendo da sola, come sempre, ferita dalle classiche parole di chi la etichettava come “strana”.
Ad un certo punto finì col piede su qualcosa; un ragazzo lanciò un urletto. Shori capì che, al 110%, gli aveva pestato un piede. Alzò il capo e fece per aprir bocca, ma un altro la afferrò da dietro per le spalle e la sbatté contro il muro.
-Guarda dove cammini, anche tu!- gridò lui, mentre lei cercava di liberarsi dalla sua presa -Non ne bastava una, di puttana!-
La lasciò andare e lei poté finalmente voltarsi. I ragazzi, che erano tre, lasciarono stare la ragazza con cui se la stavano prendendo poco prima e si avvicinarono minacciosi a Shori; questa indietreggiò, spaventata, priva di coraggio per parlare.
E l’altra fanciulla strinse i pugni.
-Scimmioni, prendetevela con me e lasciate stare lei!- la sentì gridare, furiosa.
La rossa sgranò gli occhi, stupita: una sconosciuta, forse più piccola di lei vista l’altezza, la stava difendendo? La stava difendendo nonostante sapesse che, poi, avrebbero continuato a picchiare lei? Aveva già lividi sul viso pallido e un po’ paffuto: cosa la spingeva a farlo?
I tre la guardarono, risero divertiti. Si scambiarono un’occhiata d’intesa e tornarono da lei.
Quella, però, sorrise fiera, sotto una stupita Shori; in un attimo li sorpassò, afferrò l’altra per una mano e poi prese a correre giù per le scale.
La più alta fece solo in tempo a togliersi gli auricolari dalle orecchie; iniziò a correre, seguendo la sconosciuta che l’aveva aiutata, stringendole forte la mano. Si fermarono quando furono sicure di non essere seguite, e solo in quel momento la stretta di mano si sciolse.
Entrambe si appoggiarono alla parete per riprendere fiato; la “nanetta”, addirittura, scivolò fino a sedersi.
-Mi mancano i tempi in cui facevo Karate!- esclamò. Si spostò una ciocca di capelli castani, mossi e di media lunghezza, dietro l’orecchio e riprese, osservando Shori con un sorriso divertito: -E anche i tempi in cui, i tipi come loro, li prendevo a calci. Ma tu stai bene, vero?-
-I... Io... Chi...- pronunciò l’altra in risposta. Ancora la guardava confusa, stranita, non sapeva cosa dire.
-Sono Hanaki, piacere mio-
* * *
 
“Eppure da quella volta iniziammo a conoscerci meglio. Diventammo amiche inseparabili, avevamo gli stessi gusti... o quasi: tu odiavi tantissimo il rock, davvero tanto. Così come il metal, ma a me piacevano. E io odiavo le canzoni rap, che tu amavi. Però c’era la canzone del mio gruppo preferito, gli Skillet, che amavi anche tu: dicevi che era nostra, vista però dal lato d’amicizia. Io ancora la sento nostra.”
* * *
 
Le due fanciulle se ne stavano vicine, sedute a terra, spalla a spalla. Hanaki aveva un auricolare e Shori aveva l’altro; erano i suoi, quindi manteneva lei il telefono. La castana si divertiva sempre: la sua migliore amica aveva quel brutto vizio di tenere il volume bassissimo.
Staccò gli auricolari, senza avvisare; la rossa esclamò un “Ehi!” indispettito, anche quando la più bassa, vestita con maglione e pantaloni pesanti nonostante fosse piena estate, le prese il telefono dalle mani.
Balzò in piedi, Shori la imitò e fece per riprendere il cellulare, ma Hanaki alzò al massimo il volume e fece partire la canzone.
-I believe, we can’t lose, even mountains will move!- cantò, ad alta voce, quasi gridando. Posò il telefono sul divano, prese le mani dell’amica che rideva imbarazzata: -It’s my faith, it’s my life: this is our battle cry!-
E, come ipnotizzata, anche la più timida seguì la castana. Presero a cantare insieme, ad alta voce, imitando alla meno peggio l’accento:
-They can’t take us down, if we stand our ground! If we live, if we die, we will shout out our battle cry!-
* * *
 
“Alla fine, una battaglia la stavamo davvero combattendo. Anzi, più di una. Tu avevi la tua malattia fisica: avevi la febbre praticamente sempre, non riuscivi a non sentire freddo. La schiena ti faceva sempre male e ti stancavi quasi subito. Avevi la tua famiglia, che famiglia non era: amavi più me, che loro, mostri senza cuore. Io cercavo di non incontrare i bulletti e di sopravvivere alle medie, così come anche tu. Tu... cavolo, eri più forte di me. Eri tu a difendere me, quando sarebbe dovuto essere il contrario!”
* * *
 
Shori piangeva, rintanata in un angolo dell’aula di scienze. Hanaki tentava inutilmente di consolarla, ma dalla compassione era passata alla rabbia, rabbia smisurata.
Aveva gettato contro il muro una sedia, tanto era furiosa, ed era anche per questo che la maggiore non stava raccontando cos’era successo: aveva paura. Paura di una ragazza di un anno più piccola di lei e malata.
-Shori, adesso- ordinò Hanaki, furiosa, accovacciata davanti a lei, dopo minuti privi di parole -Dimmi chi è stato a farti piangere e perché. Dimmelo.-
Oh, si sentiva così debole e inutile, la rossa.
Tirò su col naso e, seppur sotto costrizione, parlò tra i singhiozzi: -Ni... Nio ha detto cose orribili su di me. Ora mi odiano, e chi non mi odia mi evita...-
Questo bastò a far aumentare la furia della castana che, senza aggiungere niente e impulsivamente, si scaraventò fuori dall’aula.
Ciò che successe, Shori lo venne a sapere in seguito, ma non da Hanaki: bensì da Nio. Questa le si era avvicinata spaventata, le aveva porto le sue scuse con tanto di inchino e, solo alla fine, le aveva raccontato tutto: Hanaki era corsa da lei con aria minacciosa, l’aveva insultata, era passata alle mani quando si era rifiutata di chiedere scusa davanti a tutti.
Era così spaventata dalla sua migliore amica, eppure era sollevata: l’avrebbe difesa lei, da chiunque.
* * *
 
“Quand’è che le cose sono peggiorate, Hanaki?
Quando i problemi nella tua famiglia erano aumentati, quando non riuscivo a farti dimenticare le cose brutte. Li ricordo tutti, quei momenti: per una frase sbagliata piangevi, o ti arrabbiavi; cambiavi umore così velocemente, a volte mi confondevi. Una volta dimenticai la finestra di camera mia aperta, e ti arrabbiasti così tanto che finisti per insultarmi: tutto perché, per una volta, dimenticai che soffrivi il freddo. Litigammo, davvero molto pesantemente.
Di nuovo, il tuo umore cambiò: mentre io ero ancora arrabbiata per i tuoi insulti, a te sembrava già esserti passata l’ira e cambiasti discorso. I nostri frequenti litigi finivano così, sempre: con nessuna delle due che chiedeva scusa, perché, stranamente, a volte sembravi non essere più arrabbiata; con me che, stanca, ti chiedevo perdono.”
-Volete altro, signorina?-
Shori alzò gli occhi dal quaderno.
-Un dolce, uno qualsiasi- rispose flebilmente, sorridendo appena. La maid che aveva interrotto la sua scrittura annuì e se ne andò, così riprese:
“Poi, però, iniziasti davvero a esagerare. Arrivasti al punto da ordinarmi di stare sempre con te, di non lasciarti; arrivasti ad allontanarmi ogni nuovo amico che incontravo. Stavo così male: non volevo perdere te, ma non volevo restare sola con te.”
* * *
 
-Chi è quella?-
Shori perse un battito nel sentire la voce di Hanaki. Si voltò e la guardò, confusa.
-Quella chi?- le domandò. Davvero non sapeva di chi stesse parlando.
-Quella con cui parli da giorni- fu la risposta della castana, con tono da “Mrs Ovvietà”; -Le parli da giorni, l’altro ieri hai chiesto il suo contatto sui social e ieri addirittura il numero. Ieri notte parlavi con lei quando non mi rispondevi, vero? Vero!?-
La rossa indietreggiò, all’alzata di tono di Hanaki. Non l’aveva mai vista così furiosa e, cavolo, sembrava una stalker. Negò subito col capo e si affrettò a rispondere: -Ieri avevo mal di testa, ci sono stata poco col cellulare! Però, sì, comunicavo con te e con lei, poco ciascu...-
-Ecco, lo sapevo! Lo sapevo! TROIA!-
Shori sgranò gli occhi e perse un battito. Separò leggermente le labbra rosee, indietreggiò di un passo. L’amica iniziò a piangere, portandosi una mano alla testa, e lei si sentì tremendamente in colpa senza un reale motivo.
-Vuoi abbandonarmi! Dillo che vuoi abbandonarmi!- gridò la minore, mentre le lacrime le rigavano il volto e i pochi passanti le fissavano. Lei non se ne curava e, disperata, continuava a piangere: -Vuoi lasciarmi anche tu! Cos’ha lei più di me!? Cosa devo fare io per tenerti solo con me!?-
-Ehi, ehi, calmati!- osò la maggiore. Si avvicinò e fece per abbracciarla, ma quella la spinse violentemente a terra.
-Stronza, stronza!- e ritornò col tono adirato che aveva poco prima -Mi vuoi abbandonare, cazzo! Dillo invece di dirmi bugie! Io mi fidavo!-
Singhiozzò rumorosamente, asciugandosi le lacrime e stroppicciandosi gli occhi. L’altra non poteva credere ai suoi occhi, non poteva credere alle sue orecchie: non capiva perché facesse così, perché passasse dalla tristezza alla rabbia più violenta. Fece per alzarsi, venendo nuovamente spinta al suolo, e per miracolo non batté la testa.
-Non ti sto abbandonando!- gridò allora Shori, con le poche forze e il poco coraggio che aveva in corpo.
Hanaki negò col capo e sorrise amaramente: -Invece sì, perché parli più con lei che con me! Mi abbandoni, perché!? Cos’ho fatto di sbagliato?-
La rossa aprì bocca, ma la castana lanciò un ultimo “Vaffanculo” e poi corse via, facendola rimanere scioccata. Gli uomini che avevano assistito alla scena l’aiutarono ad alzarsi, le consigliarono di prestare attenzione a quella ragazza.
Perché non aveva ascoltato i loro consigli?
* * *
 
“Di tuoi scatti così ce ne erano sempre, anche quando stavamo insieme. Mentre conversavamo allegramente e mi arrivava il messaggio di qualcun altro, impazzivi e dicevi sempre le stesse cose: che ti stavo abbandonando, che ti eri fidata, che non capivi perché ti stavo abbandonando. E io, invece, non capivo perché ti comportavi così.
Iniziasti a controllare ogni chat, iniziasti a voler sapere tutto delle telefonate che facevo. Sembravi così dannatamente ossessionata. Volevo lasciarti per davvero, stavo vivendo malissimo, ma mi facevi così pena e... per me eri tutto.
Poi ho incontrato la persona giusta. Ti dirò, l’ho fatto disperare: per convincermi ad allontanarmi da te, ha dovuto penare un sacco. Però poi ci è riuscito. Ci siamo riusciti. Tu mi mancavi ancora: mi costrinse a bloccarti su ogni social, a non parlarti. E non capivo perché tanta preoccupazione, forse eri solo troppo gelosa. Mi mancavi così tanto... però...”
* * *
 
Shori era al negozio della zia di Hanaki, senza il suo salvatore. Ne approfittò per sapere come stesse l’amica, visto ciò che era successo in quei giorni in cui avevano smesso di sentirsi: aveva smesso di venire a scuola, si era chiusa in stanza, faceva di tutto per contattarla. Sembrava davvero impazzita, in soli pochi giorni che sembravano un’eternità.
-Sarò sincera, perché nasconderlo è ormai inutile- parlò la donna, facendosi più vicina alla fanciulla. Abbassò il tono e proseguì, con un tono così freddo da sembrare innaturale: -Hanaki ha la personalità Borderline.-
-No, non è vero- fu la risposta immediata, quasi meccanica, della giovane.
Aveva sentito tante volte quella parola, sembrava qualcosa di terribile: non sapeva cosa fosse, ma da come ne parlavano tutti, chi ne soffriva sembrava al pari degli psicopatici. E nonostante iniziasse già a capire quegli scatti d’ira violenti, non voleva crederci.
-Avrei voluto dirtelo, ma era così felice con te. Se avessi saputo, tu...-
-NON E’ VERO!- urlò, con le lacrime agli occhi, interrompendo l’adulta. Lasciò cadere le borse della spesa sul pavimento e corse fuori dal negozio, più veloce che poteva.
Corse per le strade, gridando e piangendo, con quella sola parola che aveva distrutto la vita della sua ex migliore amica, la loro amicizia e adesso il suo mondo. Si sentì morire, Shori, non riusciva più a pensare lucidamente.
Corse verso la casa del suo salvatore, continuando a gridare e a singhiozzare disperata. Arrivò davanti alla porta e diede dei colpi ben forti con un pugno, si appoggiò ad essa, continuò a colpirla fino a quando la madre del ragazzo non venne ad aprirle. All’apertura della porta perse l’equilibrio, cadde ai piedi della donna e non si alzò.
Questa, allarmata, si accovacciò accanto a lei e chiamò il figlio.
Shori non capiva più niente. Shori era distrutta, incredula, disperata. Shori aveva paura. Shori si odiava.
Kyuusai, il nome del ragazzo che l’aveva salvata da quella personalità borderline, rimase scioccato dal trovare l’amica in quelle condizioni.
-Che significa!?- riuscì a gridare, mettendosi a sedere, la ragazzina. La madre di Kyuusai la strinse forte a sé, le accarezzò dolcemente i capelli, ma lei continuò a gridare, guardando il giovane come se si aspettasse una risposta da lui: -Che significa che Hanaki ha quel fottuto Borderline!?-
* * *
 
“Solo due anni dopo sono andata a ricercare il vero significato di quel disturbo, sai? Tu stavi combattendo anche quella battaglia e io non lo sapevo. Mi sono sentita così in colpa per averti abbandonata...”
La fanciulla si asciugò una lacrima che aveva preso a scivolarle lungo la guancia.
“Kyuusai mi ha detto che non devo sentirmi in colpa, ma io mi sento anche una vigliacca: dovevo aiutarti, non fuggire via. O almeno dovevo supportarti, è così che fanno le amiche, quelle vere. Invece davanti a questa difficoltà sono scappata. E’ vero, era ed è più forte di noi, però è talmente triste come sia una vigliacca: era una battaglia che dovevamo affrontare insieme. ‘This is our battle cry’, ricordi? Ti ho lasciata da sola, contro un mostro che ti divora dall’interno e non puoi neanche vedere. Non sarai una psicopatica, ma, cavolo, è disumano: una parola, un disturbo, ha distrutto ciò che eravamo, ha distrutto ciò che eri.”
La porta del Maid Cafè si aprì, accompagnata dalla solita esclamazione gioiosa della maid di turno: -Benvenuto, signore!-
“Mi manchi, Hanaki, non lo nego. Tuttavia, per una parte è stato un bene troncare il nostro rapporto. Ti volevo dire che”
-Cosa scrivi, scemetta?- domandò una voce maschile, dal tono scherzoso.
Shori chiuse il quaderno e si alzò, stringendolo al petto: al suo fianco si presentò Kyuusai, che le scompigliò i capelli con fare affettuoso.
La giovane gli fece una linguaccia; successivamente, rispose semplicemente e sinceramente: -Una lettera.-
Lui alzò un sopracciglio scuro.
-Una lettera?- fece.
Lei annuì e osservò fuori dalla finestra del café. Parlò, con tono nostalgico: -La lettera di una ragazza al suo amore, perduto per mano di una maledetta malattia-
Sentì la risata del moro e si voltò a osservarlo, sentendolo poi parlare sconcertato: -Tiri fuori idee per il tuo romanzo ovunque-
Fortunatamente, pensò Shori, aveva finto bene. Aveva modificato le parole con cui raccontava il contenuto della lettera e, anche se alla fine era la stessa cosa, restava lei l’unica a sapere cosa realmente ci fosse scritto.
Poi, per spezzare quell’aria che si era venuta a creare, cambiò il soggetto del discorso: -Deve ancora arrivare il dolce che avevo chiesto-


 
   
 
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